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DIO NON È UN SOGNO MA FA SOGNARE

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DIO NON È UN SOGNO MA FA SOGNARE

Paolo Ricca – ‘Riforma’ del 25 feb 2011 (Chiesa Valdese)

L’altra notte ho sognato di pregare. Un sogno intenso e pure bello, tanto da spingermi ora a una riflessione: Dio si manifesta a noi anche in  sogno? Quella Parola del Signore che ascoltiamo di giorno, a mente desta, può raggiungere il nostro cuore di notte, nel pieno della vita onirica? Spontaneamente direi subito di sì: è impensabile che lo spirito di Dio si arresti sulla soglia del nostro sonno. La fede è dimensione onnipervasiva: non può svanire quando abbiamo gli occhi chiusi. E in effetti la Bibbia racconta spesso di sogni che Dio invia per rivelare la sua volontà: dal sogno della scala di Giacobbe ai sogni di Giuseppe narrati da Matteo. Ma che significa oggi sognare per coloro che hanno fede? Ecco un tema di cui mi pare non si parli proprio nelle nostre chiese. Omissione tanto più sorprendente se si pensa che la cultura contemporanea – dalla psicoanalisi di Freud e Jung fino alle ultime ricerche di neurobiologia – ha sempre considerato l’analisi del sogno come via imprescindibile per comprendere la mente umana. Come mai, invece, la predicazione delle nostre chiese sembra aver poco o nulla da dire sull’esperienza del sognare? Forse per paure di «derive misticheggianti »? O forse perché troppo concentrata sulle tematiche «diurne» dei problemi etici e sociali? Ma non rischiamo così di trascurare una dimensione interiore della vita che proprio il testo biblico invece non tralascia? Giampiero Comolli – Milano

Questa lettera sottopone alla nostra attenzione un tema insolito, mai affrontato in nessun’altra lettera pervenuta a questa  rubrica da quando esiste: il tema del sogno. Il nostro lettore constata che nella Bibbia il sogno come mezzo di  comunicazione di Dio e con Dio occupa un posto tutt’altro che secondario, mentre nelle chiese cristiane, compresa la  nostra, non occupa praticamente nessun posto; e ha ragione di porre, alla fine della lettera, una serie di interrogativi più  che legittimi. I punti da trattare mi sembra siano tre: il sogno; il sogno nella Bibbia; l’eclisse del sogno nella vita della  Chiesa e i modi possibili per superarla.

1. Il sogno. È un tema quanto mai vasto ed estremamente complesso. Interessa la religione, la filosofia, la psicologia, la psicoanalisi e altre discipline collaterali. È un fenomeno universale, di cui ogni persona umana fa l’esperienza, ma è  anche un fenomeno assolutamente personale, spesso difficile da decifrare anche per la persona che sogna: non  esistono, sembra, criteri generali, universalmente validi, per l’interpretazione dei sogni. Nell’antichità si pensava che il  sogno fosse un fatto soprannaturale e ci sono stati studiosi che hanno ravvisato nell’esperienza del sogno la nascita  della credenza in un Aldilà, in un «altro mondo» diverso da quello che sperimentiamo nello stato di veglia, e quindi  hanno visto nei sogni l’origine della religione. Nella modernità invece si pensa, in generale, che il sogno sia un fatto  naturale, la cui genesi viene spiegata in molti modi (stimoli fisici e psichici, incontri, ricordi, nodi irrisolti della vita,  desideri o impulsi repressi, rimozioni di varia natura), ma che resta in fin dei conti abbastanza misteriosa. I sogni  possono essere fausti e infausti; questi ultimi diventano facilmente incubi, come accadde alla moglie di Pilato che  consigliò (invano) al marito di non avere nulla a che fare con Gesù «perché oggi ho sofferto molto in sogno a cagione di  lui» (Matteo 27, 19). Ma già nell’antichità si levarono voci scettiche o critiche, come a esempio quella di Cicerone il  quale, nel De divinatione, vede nella divinazione (che era una specie di «religione dei sogni») nient’altro che  superstizione. Cicerone nega che «esista alcuna forza divina produttrice dei sogni» e sostiene che «nessuna visione  apparsa nel sonno proviene dalla volontà degli dèi» (2, 124). E aggiunge che, siccome sono più chiare e sicure le cose  viste da noi in stato di veglia che quelle che ci appaiono in sogno, «sarebbe stato più degno della bontà divina – se  davvero gli dèi intendessero con questo mezzo curarsi di noi – inviare visioni più chiare a chi è sveglio, non più oscure a  chi dorme» (2, 126). Così la pensava Cicerone sui sogni. Ma non così la pensa la Bibbia.

2. Il sogno nella Bibbia. La Bibbia è piena di sogni. Dio non è un sogno, ma fa sognare (Salmo 126, 1!). Fa sognare in  due sensi: anzitutto nel senso che comunica con gli uomini anche attraverso sogni; in secondo luogo nel senso che suscita in certe persone (profeti e altri) delle «visioni», che sono, per così dire, sogni a occhi aperti. L’elenco dei sogni  nella Bibbia sarebbe lungo. Il nostro lettore, a titolo di esempio, menziona quello bellissimo di Giacobbe (Genesi 28,  10-22), nel quale c’è la scala che unisce cielo e terra (Gesù, in Giovanni 1, 51, ha ripreso questo motivo: la «scala» è  lui!), ma soprattutto c’è la parola con la quale Dio stabilisce un patto con Giacobbe, decisivo per la sua vita; e ricorda i  sogni di Giuseppe, con i quali Dio lo informa sulla nascita miracolosa di Gesù, sulla necessita della fuga in Egitto per  salvare la vita del bambino e sulla possibilità di ritornare in patria dopo la morte di Erode. Si possono ricordare ancora,  sempre a titolo di esempio, i numerosi sogni di Giuseppe figlio di Giacobbe – e suoi (Genesi 37, 5-11) e quelli del  Faraone di cui Giuseppe svela il significato (Genesi 40 e 41), e, nella stessa linea, il sogno di Nebucadnetsar spiegato  da Daniele (Daniele 2). E ancora il sogno di Salomone nel corso del quale chiede a Dio di dargli «un cuore intelligente»  per essere in grado di «amministrare la giustizia e discernere il bene dal male» (I Re 3, 5-9).Sogno e  profezia erano all’inizio strettamente collegati tra loro (Numeri 12, 6) e, in genere, il sogno era considerato un mezzo  normale di comunicazione di Dio con l’uomo. Addirittura il profeta Gioele annuncia un tempo in cui lo Spirito di Dio sarà sparso «sopra ogni carne», cioè su ogni persona umana, e una delle sue manifestazione sarà che i vecchi avranno dei sogni e i giovani delle visioni (2, 28 s.) – testo che, com’è noto, Pietro cita nel suo sermone di Pentecoste (Atti 2, 17).  Dio dunque fa sognare e si serve del sogno per «parlare» all’uomo. Al tempo stesso però si manifesta già nell’Antico  Testamento una critica del sogno in rapporto alla polemica contro la falsa profezia: il falso profeta è «un sognatore»  (Deuteronomio 13, 1-5), che con i suoi sogni pensa di far dimenticare il nome di Dio al popolo d’Israele (Geremia 23,  25-28). I sogni di falsi profeti sono «paglia», mentre la parola di Dio recata da Geremia è «frumento». Anche  l’Ecclesiaste è critico nei confronti dei sogni (5, 2.6-7), e nella stessa linea il libro deuterocanonico del Siracide afferma  che «oracoli, auspici e sogni sono cose vane», perciò «non permettere che se ne occupi la tua mente» (34, 5-6). Rispetto all’Antico Testamento, nel Nuovo i sogni sono molto pochi. Oltre a quelli già citati di Giuseppe, ci sono i sogni  dell’apostolo Paolo in momenti cruciali del suo ministero (Atti 16, 9-10; 18, 9; 23, 11), ma più che di sogni si tratta di  «visioni» (che ricorrono anche in altre occasioni: Atti 9, 1-9; 27, 23 s.), nel corso delle quali viene impartito a Paolo un  ordine preciso, missionario o di altro genere: il contenuto del sogno o della visione è sempre una parola, che non è da  interpretare, ma semplicemente da ubbidire. Il sogno resta dunque anche nel Nuovo Testamento un mezzo con il quale  Dio, in certe circostanze, comunica la sua volontà. Non però in tutto il Nuovo Testamento: sogni e visioni non compaiono  er niente in Marco, negli scritti di Giovanni, nella maggioranza delle Lettere apostoliche e neppure nell’Apocalisse, che nasce non da un sogno, ma da una visione. Il sogno non è mai associato ai racconti della risurrezione e agli incontri con il Risorto: i discepoli, in quelle occasioni, non hanno sognato! Colpisce anche il fatto che   sogni e visioni non compaiano nelle liste dei carismi ((I Corinzi 12, 4-11; Romani 12, 6-8) e neppure nella descrizione  dei primi culti cristiani (I Corinzi 14, 26-33). Questo non significa che nel Nuovo Testamento ci sia una diffidenza nei  confronti di sogni e visioni: essi sono ancora visti come possibili mezzi di comunicazione tra Dio e l’uomo, ma sono  meno abituali e quindi meno frequenti che in altri momenti della storia della salvezza. Il mezzo di comunicazione  principale e normale tra Dio e l’uomo è la Parola, rivolta a persone sveglie. 3. L’eclisse del sogno. Il sogno ha  continuato a occupare un certo posto (marginale) nella vita di fede e nella storia della Chiesa antica e medievale, e  occasionalmente, anche in quella moderna, come dimostra, ad esempio, la celebre opera di John Bunyan (1628-1688)  Il viaggio del pellegrino [cristiano] verso l’altro mondo sotto forma di un sogno. È un fatto però che, soprattutto in tempi  più recenti, nella normale vita cristiana il sogno non è valorizzato come possibile esperienza religiosa e non occupa  alcun posto di rilievo nella predicazione, nella teologia, nella pratica pastorale e soprattutto nel culto comunitario. L’unica  ccezione sembra essere costituita oggi da certe chiese pentecostali, nelle quali il sogno svolge almeno  occasionalmente un qualche ruolo. A che cosa si deve attribuire questa eclisse del sogno nella vita della Chiesa? Al  timore di «derive misticheggianti», secondo una possibile ipotesi avanzata dal nostro lettore? Più probabilmente a una  certa atrofia della vita spirituale nelle nostre comunità e a un deficit di socializzazione delle esperienze di fede nel culto  pubblico. Ci teniamo tutto dentro, anche quello che potrebbe servire all’«utile comune» (I Corinzi 12, 7), cioè alla  edificazione della Chiesa. In compenso, la nostra generazione a beneficiato di alcuni sogni «a occhi aperti», come il  famoso I have a dream ( = «Ho un sogno») di Martin Luther King, che ha mobilitato e continua a mobilitare milioni di  persone in tutto il mondo. Un ricupero di familiarità con il sogno nella vita della Chiesa potrebbe partire da qui: sognare  (a occhi aperti, o anche chiusi, i sogni degli altri), in particolare dei poveri, degli ultimi in tutti i sensi, di quelli che  sognano ciò che dovrebbero avere, ma non hanno. E chiedere a Dio di darci una vita spirituale più ricca e più varia,  fatta non solo di pensiero e di morale, e di renderci capaci di condividerla con altri, liberandoci da una privatizzazione  estrema della vita di fede. Potrà allora accadere che si compia anche nelle nostre Chiese la promessa di Pentecoste:   vecchi che hanno dei sogni e giovani che hanno delle visioni.

 

LA BENEDIZIONE DELLA RICONOSCENZA (Ef 5,20; Eb 13,15)

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LA BENEDIZIONE DELLA RICONOSCENZA (Ef 5,20; Eb 13,15)

by Tempo di Riforma

« ..ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo » (Efesini 5:20). « …Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome » (Ebrei 13:15).

Alcune persone sembrano nate con un temperamento scontroso e febbrile ed è molto difficile per loro illuminarsi nel sorriso e nel canto. Qualunque, però, possa essere la nostra naturale disposizione, se apparteniamo a Cristo è nostro preciso dovere coltivare un cuore riconoscente. Una persona malinconica (che presenta, cioè, una stato d’animo di vaga tristezza, di struggente inquietudine e depressione costanti, caratterizzato dalla propensione al pessimismo, alla chiusura in se stessi e alla meditazione) ha un cattivo effetto sugli altri. E’ miserevole dover lavorare accanto o sotto una persona sempre pessimista. Non c’è nulla che vada bene, nulla che la soddisfi, non ha mai parole di lode e di incoraggiamento. Vi sono persone, invece, che per quanto la loro condizione sia umile e disgraziata, sono sempre d’animo lieto, sanno trovare in ogni cosa un aspetto positivo, e sono loro ad incoraggiarti quando sei triste. Se noi, invece che trovare sempre da criticare o da lamentarci, cercassimo cose per cui lodarli e ringraziarli, vedremmo miracolosamente cambiare il loro atteggiamento. Il vantaggio della gioia e della serenità è che sono fonti di forza per la nostra anima e per tutti coloro che ci circondano e, cosa da non sottovalutare, sarebbe di buona testimonianza per la fede che professiamo.

Un sito web che insegna la forza dell’ottimismo afferma: « Una persona che ha la mentalita’ rivolta all’ottimismo sa vivere alla grande!!! Considera i problemi delle opportunita’, è difficile che si lamenti, ha sempre una parola buona per tutti e soprattutto ha perennemente il sorriso sulle labbra. Un ottimista è ben visto e ben considerato dal mondo esterno »; « Vuoi vivere con entusiasmo e da protagonista la tua vita? Vuoi evitare che gli eventi ti travolgano, influenzando il tuo stato d’animo? Impara le tecniche per avere sempre un atteggiamento postivo! »; « Il linguaggio che usiamo con gli altri ma anche e soprattutto quando “parliamo” con noi stessi è veramente importante per far arrivare continuamente messaggi positivi al nostro cervello. Abituiamoci ad usare sempre termini positivi, motivazionali, che diano degli imput alla nostra mente. Una persona ottimista sa trovare sempre la parola giusta in ogni situazione, che sappia stimolare aiutando il nostro benessere psicofisico »; « La concezione filosofica dell’ottimismo dice che il mondo ha una prevalenza dei fattori positivi e quindi il bene prevale sul male. L’ottimismo in pratica è la tendenza di coloro che in una particolare situazione sono portati a vedere le cose favorevolmente. Avere una concezione ottimistica della vita aiuta quindi le persone ad uscire da situazioni sfavorevoli facendosi aiutare anche dal pensiero positivo ».

La psicologia secolare è consapevole degli effetti positivi dell’ottimismo e nemmeno conosce Cristo! Quanto più dovrebbe avere un atteggiamento raggiante e ottimista chi ha compreso l’amore di Dio in Cristo, lo vive e lo diffonde. Il mondo è triste e deve pagarsi i suoi comici, umoristi ed esperti di « pensiero positivo »: il cristiano (autentico) vive la sua vita nello spirito espresso dall’Apostolo Paolo quando scrive: « Noi non diamo nessun motivo di scandalo affinché il nostro servizio non sia biasimato; ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero; con un parlare veritiero, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nell’umiliazione, nella buona e nella cattiva fama; considerati come impostori, eppure veritieri; come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa! » (2 Corinzi 6:3-10).

PREGHIERA

Aiutaci, o Signore, a rallegrarci sempre, a pregare incessantemente e, in ogni cosa, a rendere grazie. Amen.

LA PAZZIA DI DIO

http://www.naiot.it/LaParolaFile/Spurgeon/lapazziadiDio.htm

LA PAZZIA DI DIO

Pregate incessantemente e predicate la fedele Parola il più chiaramente possibile! Qualcuno ci accuserà di immobilismo, mentre in realtà è in questo modo che facciamo intervenire Dio direttamente nella battaglia e quando sarà venuto Lui, vendicherà l’offesa al Suo Patto e compirà l’opera Sua in un momento.
«Ergiti, o Dio, difendi la Tua causa!»

CHARLES H. SPURGEON
(l’autore: Charles Haddon Spurgeon, comunemente C.H. Spurgeon (Kelvedon, 1834 – 1892), è stato un predicatore battista riformato britannico dell’800 la cui influenza continua a rimanere oggi molto grande fra cristiani riformati di diversa denominazione, fra i quali è ancora conosciuto come « il principe dei predicatori ». Wikipedia)

Non c’è mai stato un periodo in cui il cristianesimo biblico non sia stato minacciato dalla mondanità e dalle false dottrine. Le chiese Evangeliche del XX secolo offrono un esempio particolarmente triste.

Quando la pazzia è sapienza
«Nessuno s’inganni. Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio; perché la sapienza di questo mondo è pazzia davanti a Dio» (1 Corinzi 3:18-19).
E’ folle ricercare l’approvazione della sapienza dell’uomo; si tratta di un obiettivo di per se incompatibile con l’integrità richiesta dalla Scrittura.
L’apostolo Paolo affrontò estesamente questo problema nella sua prima epistola ai Corinzi.
Consapevole del fatto che il inondo considera la verità biblica come i pura follia, Paolo scrisse: «La pazzia di Dio è più saggia degli uomini» (1 Corinzi 1:25).
Il solo parlare di “pazzia di Dio” è sconvolgente, ma Paolo usa questa espressione proprio per gettare luce sul conflitto che esiste tra la filosofia umana e la verità biblica.
La sapienza umana non sempre appare saggia dati punto di vista umano.
In un’epoca come la nostra, ciò che è vero può anche essere in contrasto con ciò che funziona e ciò che è giusto può anche differire profondamente da ciò che il mondo considera accettabile. Anzi, spesso è così!
Tuttavia, questo non significa che vi sia qualche difetto nel Vangelo. Piuttosto, è la deficienza della sapienza umana ad essere smascherata.
Paolo difendeva il Vangelo dall’accusa di essere inferiore alla sapienza del mondo. Non tentò mai di dimostrare l’intellettuale del messaggio di Cristo, né ricercò l’apprezzamento e la stima dei cosiddetti sapienti di questo mondo.
Riconobbe, invece, che il Vangelo è pazzia agli occhi della sapienza umana. Egli scrisse:
“Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare; non con sapienza di parola, perché la croce di Cristo non sia resa vana. Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti». Dov’è. il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella Sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati: tanto Giudèi quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, poiché la pazzia di Dio e più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini. Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, ne molti potenti, ne molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio ed è grazie a Lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché com’è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore».
E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e Lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Corinzi 1:17; 2:5).

L’inferiorità della sapienza umana
Ricordiamoci che Paolo si trovava a predicare in una civiltà che, ai tempi dell’imperialismo Greco, aveva avuto un passato glorioso e che adesso, sotto il governo Romano, stava godendo di un brillante risveglio culturale.
Gli antichi Greci consideravano la filosofia come la più alta delle attività, umane e attorno ad essa ruotò tutta la loro civiltà.
I colti greci consideravano la loro filosofia molto seriamente.
Alcune scuole filosofiche avevano una tendenza religiosa e spiegavano l’origine dell’uomo, la moralità, le relazioni sociali ed il destino umano, ricorrendo a miti varie loro divinità. Queste scuole filosofiche erano estremamente complesse ed influenzavano ogni rapporto sociale, economico, politico ed educativo ed erano completamente in contrasto con la verità. rivelata dalla Scrittura.
Evidentemente, ritenevano che la sapienza umana potesse aggiungere valore alla rivelazione divina, o migliorare ciò che già avevano in Cristo.
Il brano che abbiamo riportato sopra, fu scritto da Paolo proprio per correggere questi credenti.
Paolo rivolse un ammonimento simile anche nell’epistola ai Colossesi: «Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Colossesi 2:8).
Ciò che gli premeva sottolineare, era che i cristiani non hanno nulla a che spartire con la sapienza umana. Essa, dal punto di vista spirituale, non può garantire niente di buono ai non credenti e non può aggiungere nulla a ciò che i credenti possiedono. La sapienza umana, infatti, non ha niente da offrire oltre alla confusione e alla divisione.
E’ importante notare come Paolo non condanni le realtà naturali o la verità razionale.
Egli non assume un atteggiamento insensato ed anti-intellettuale. Al contrario, Paolo stesso fa spesso appello alla mente dei discepoli: «Siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente» (Romani 12:2); «Rinnovati nello spirito della vostra mente» (Efesini 4:23); «Pensate alle cose di sopra» (Colossesi 3:2); «Siate ricolmi della profonda conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Colossesi 1:9).
L’apostolo non era affatto anti-intellettuale!
Per Paolo, tutta la verità era oggettiva, stabilita, infallibilmente rivelata da Dio mediante la Bibbia. Per conoscere la verità occorreva studio e diligenza (2 Timoteo 2:15). Si trattava di comprensione, non di sentimento (1 Corinzi 14:14-20).
Paolo non sottovalutava l’importanza della mente.
L’apostolo non stava attaccando nemmeno la tecnologia e la scienza.
All’epoca di Paolo, proprio come oggi, la medicina, l’architettura, l’ingegneria, la matematica e le altre scienze, avevano fatto grandi passi avanti. Paolo non stava condannando nessuno di questi settori della conoscenza.
I cristiani possono e devono ringraziare Dio per tutte le benedizioni che derivano da queste scienze. Se usate in modo appropriato, cioè se non diventano base per speculare su Dio, su ciò che è giusto e sbagliato, sul bene e sul male o sul significato spirituale della vita, le vere scienze non rappresentano affatto una minaccia per la verità del Vangelo.
Ciò cui Paolo si opponeva era la sapienza umana che stava dietro alla filosofia mondana «Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo?” (1 Corinzi 1:20).
Altrove, Paolo scrive: «Questo infatti, è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza di esserci comportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la semplicità e la sincerità di Dio, non con sapienza carnale ma con la grazia di Dio» (2 Corinzi 1:12).
Al contrario di Paolo, gli Evangelici di oggi hanno elevato la sapienza umana, mondana e carnale, ad un ruolo che non le compete.
Troppo spesso i cristiani, per andare dietro a queste cose, che sono incompatibili con la Bibbia e con la semplicità del Vangelo, sono stati disposti a torcere ed a rimodellare la verità divina per cercare di renderla più presentabile al mondo. In questo modo, migliaia di credenti hanno abbracciato la sapienza umana, perdendo il loro sincero attaccamento alla dottrina biblica.
Nello sforzo di perseguire questo falso obiettivo, la chiesa ha acquisito la mentalità del mondo, imitando tutte le sue mode e assumendo le sue mentalità.
Gli Evangelici che credono davvero nella Bibbia, quindi, hanno sempre dovuto sostenere una guerra spietata contro l’opinione comune degli uomini.
Questa volontà di combattere potrebbe, forse, venire meno oggi, quando un numero sempre crescente di chiese si conforma al mondo.
E’ prassi comune, fra i principali gruppi Evangelici, quella di prendere a prestito dal mondo la psicologia e la metodologia.
Alcuni credono che sia sufficiente condire la Scrittura con considerazioni di ordine umano, per poter ribattezzare la sapienza mondana come sapienza “cristiana”. Paolo, al contrario, non aveva alcuna intenzione di mescolare la verità con la sapienza umana. Invece, l’attaccò frontalmente, come fosse un nemico odiato: “Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare; non con. sapienza di parola, perché la croce di Cristo non sia resa vana” (1 Corinzi 1:17).
Il compito di Paolo, dunque, era quello di predicare la Parola di Dio !
Potrebbe essere opportuno, a questo punto, domandare se richiamarsi alla sapienza umana sia sempre sbagliato, anche nel contesto di un’evangelizzazione.
Se il nostro dovere è quello di raggiungere il mondo con il messaggio del Vangelo, perché non tentare di comunicarlo in modo tale da accattivare l’intelletto?
Paolo risponde a questa domanda sostenendo che un approccio del genere rende vana la
croce di Cristo.
Per due ragioni.
Prima di tutto, il messaggio della croce “è pazzia per quelli che periscono” (1 Corinzi 1:18). Non è possibile prescindere dal messaggio rimanendo fedeli al messaggio!
In secondo luogo, è impossibile esaltare la sapienza umana senza abbassare, allo stesso tempo, la verità di Dio.
La sapienza umana alimenta la superbia intellettuale e sociale, le concupiscenze carnali e il desiderio d’indipendenza da Dio.
La sapienza umana e il Vangelo sono due realtà costituzionalmente inconciliabili!
Secondo Paolo, se proverete ad unirle, annullerete il Vangelo e lo renderete vano!
La vera ragione per cui la gente ama la religione sofisticata e la moralità di tipo cerebrale, è che queste cose deliziano l’ego umano!
Allo stesso tempo, la sapienza mondana deride il Vangelo proprio perché questo ultimo sfida la vanità umana. Il Vangelo esige che gli uomini riconoscano il proprio peccato e la propria impotenza spirituale; li umilia, li convince e li chiama peccatori! Inoltre, presenta la salvezza come un’opera esclusiva della grazia di Dio e non come qualcosa che l’uomo possa ottenere, in qualche modo, mediante l’ausilio totale o parziale delle proprie forze.
La croce schiaccia la testa dell’orgoglio umano!

Il trionfo della sapienza di Dio
La sapienza umana liquida la verità divina definendola “pazzia”.
Coloro che sono sapienti secondo il mondo, spesso descrivono il Vangelo ricorrendo ad espressioni come “semplicistico”, “irrilevante”, “ingenuo”, “rozzo” o anche “folle” ed è proprio così che appare ai loro occhi.
Il fatto che Cristo fu inchiodato ad un pezzo di legno su una collina lontana, in un’arida zona del mondo, duemila anni fa, come potrebbe avere una qualche rilevanza realistica per l’umanità oggi o per il nostro destino eterno?
E’ proprio vero che agli occhi di Dio la realizzazione personale, la bontà umana, la filantropia o i meriti religiosi non hanno valore?
Davvero Dio è così severo da punire i peccatori?
Siamo davvero dei peccatori così spregevoli?
Ecco come ragiona l’uomo decaduto.
Ecco perché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono.
Quando Paolo parla della “predicazione della croce”, sta certamente pensando al messaggio del Vangelo.
La croce è il centro di tutto ciò che noi crediamo e proclamiamo!
Ricordiamoci di come, prima che la gente iniziasse a fare della croce un oggetto di gioielleria e ad indossarla come ornamento, essa non fosse altro che un infame strumento di morte!
Era un mezzo di tortura per i peggiori criminali!
Cosa poteva esserci di più spregevole?
Il discorso di Paolo, tuttavia, non si limita a quella parte del messaggio che riguarda la croce, ma abbraccia tutta la verità salvifica di Dio. La croce, essendo il cuore della rivelazione di Dio, è l’oggetto principale del disprezzo umano, ma è la verità nel suo insieme ad essere considerata “pazzia” dal mondo e ad essere disprezzata dalla sapienza carnale.
Paolo aveva sfidato la sapienza umana nell’ Areòpago di Atene, proprio prima di giungere a Corinto (Atti 17:18-21).
I filosofi di Atene si fecero beffe di lui a proposito della risurrezione (Atti 17:32).
Eppure, come ben sapeva, a Corinto, città nota per il suo attaccamento alla filosofia mondana, ai piaceri terreni e agli appetiti carnali, avrebbe dovuto affrontare maggiori opposizioni.
Un esperto di marketing avrebbe suggerito a Paolo di modificare il suo approccio, di adeguare il messaggio, di non calcare troppo la mano sui punti caldi che avrebbero indispettito la gente, di parlar loro di cose più attinenti alla loro vita e ai loro interessi.
Tuttavia, l’apostolo si propose “di non sapere altro fra [loro] fuorché Gesù Cristo e Lui crocifisso” (1 Corinzi 2:2).
Non avrebbe mai modificato il suo messaggio per accontentare i Corinzi!
Di opinioni umane e di filosofia terrena ne avevano già a sufficienza, senza bisogno che Paolo ne aggiungesse ancora!
Ciò di cui i Corinzi avevano veramente bisogno, era il messaggio della croce, profondamente semplice, ma anche semplicemente profondo!
Sebbene la mente naturale trovi la croce scandalosa, “per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio”.
La croce è il culmine della sapienza divina e la prova della sua superiorità.
La sapienza di Dio è infinitamente migliore della sapienza umana sotto molti punti di vista.

La sapienza umana è effimera, la sapienza divina è eterna
“lo farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti” è una citazione di Isaia 29:14.
In 1 Corinzi Paolo pone tutta una serie di domande allo scopo di ironizzare sulla sapienza umana: «Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza lai sapienza di questo mondo?» (1 Corinzi 1:20).
In sostanza, Paolo sta chiedendo: «Dove sono quelli che hanno raffinato tanto la sapienza umana da potersi ritenere superiori a Dio?».
La sapienza umana è forse riuscita ad eliminare le guerre, la fame, il crimine, la povertà o l’immoralità?
Dove sono riusciti a condurre l’umanità gli Illuministi e gli oratori virtuosi?
La gente è forse migliore, o semplicemente più soddisfatta di se stessa e più gratificata, grazie ad essi?
La sapienza umana non ha cambiato nulla!
La vita è ancora piena di tutti quei problemi e di tutti quei dilemmi che hanno sempre afflitto l’uomo!
Le opinioni umane sono spesso contraddittorie, sempre mutevoli e, a volte, passano di moda per poi ricomparire nella generazione successiva. Avendo rigettato l’autorità divina, la sapienza “riciclata” di questo mondo non ha più alcuno scoglio al quale aggrapparsi saldamente.

La sapienza umana è debole, la sapienza divina è potente
Nei versetti 21-25, l’apostolo mette in evidenza come la sapienza mondana sia spiritualmente impotente. Essa non è in grado di migliorare la natura umana, ne di avvicinare gli uomini a Dio.
La chiesa di oggi ha un disperato bisogno di comprendere questa verità.
Tutti i filosofi, gli intellettuali, i sociologi, gli antropologi, gli psicologi, i politici e tutti gli altri sapienti messi insieme, non sono mai riusciti a trovare una soluzione al problema del peccato, né hanno mai portato l’umanità più vicina a Dio anche di un passo!
La nostra “razza”, infatti, è spiritualmente peggiore oggi di quanto non sia mai stata!
I tassi dei suicidi sono più elevati, la minaccia di una guerra nucleare, di epidemie, il livello di frustrazione, confusione, depressione e dissolutezza hanno raggiunto una vetta spaventosa.
La sapienza umana, ai nostri giorni, è fallita, proprio come tutte le filosofie dell’antica Corinto e, forse, ancor peggio!
La verità è che la sapienza e la filosofia umana peggiorano lo stato dell’uomo e non lo migliorano.
Problemi attuali come la guerra, il razzismo, l’alcolismo, il crimine, il divorzio, la tossicodipendenza e la povertà lo attestano. Tali realtà, universalmente considerate “mali”, continuano a svilupparsi e a diffondersi sempre di più, in modo sempre più grave, senza che si riesca a trovare alcun rimedio. Anzi, più il mondo si affida alla sapienza umana, più questi problemi si accentuano.
Allora che soluzione c’è?
“E’ piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione”!
Questa parola enfatizza tanto il messaggio quanto il metodo che Dio ha scelto per essere lo strumento fondamentale nel salvare il peccatore: il semplice annuncio del Vangelo.
Lo strumento stabilito da Dio per la salvezza è, letteralmente, una pazzia agli occhi della sapienza umana. Eppure, è l’unico modo che abbiamo a disposizione.
«Per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio».
Coloro che rifiuteranno la sapienza umana in favore della pazzia di Dio, otterranno vita eterna.
Questa “pazzia” è la nostra sola speranza.
Il semplice Vangelo, in questo modo, provvede tutto ciò che la contorta sapienza umana ha sempre ricercato: «Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio» (1 Corinzi 3:18).
Notate come Dio non supponga nemmeno che gli uomini giungano ad una comprensione salvifica della verità, mediante il loro ingegno. No, è Lui a scegliere la pazzia della predicazione!
Questo è il Suo piano, stabilito secondo la “sapienza di Dio”.
Gli uomini non possono giungere a Dio percorrendo la via che a loro sembra migliore.
Paolo certo non incoraggiava una predicazione folle. Stava semplicemente mettendo in evidenza che la predicazione del Vangelo è pazzia per la sapienza del mondo.
Chi promuove i principi del marketing nel ministero pastorale, suggerisce che, se la gente non vuole la predicazione, allora dovremmo dare loro ciò che vogliono.
Qual era l’opinione di Paolo in proposito?
Inequivocabilmente: «I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia».
I Giudei vogliono un miracolo, perché non darglielo?
I Greci amano la filosofia, perché non presentare il Vangelo sotto forma
dialettica filosofica? Dopo tutto, non fu lo stesso apostolo a dire: «Mi sono fatto ogni cosa a tutti»? Ma qui vediamo ancora una volta che, sebbene Paolo desiderasse diventare servo di tutti, non era disposto a modificare il Vangelo o ad alterare il piano stabilito da Dio per la sua predicazione. Egli non avrebbe mai appagato le preferenze della sapienza umana compiendo, platealmente, prodigi e miracoli per accontentare coloro che cercavano qualcosa di sensazionale, oppure presentando il messaggio sotto forma di confronto filosofico per piacere a coloro che avevano gusti più intellettuali!
Paolo, invece, predicò Cristo crocifisso, pietra d’inciampo per i Giudei increduli, pazzia per i Greci filosofi.
I Giudei volevano vedere la potenza, i Greci volevano ascoltare la sapienza, ma solo coloro che risposero alla pazzia della predicazione trovarono entrambe le cose: «Per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio».
Paradossalmente e tragicamente, ciò che la sapienza umana considera pazza e debole è proprio l’espressione più chiara possibile della potenza e della sapienza di Dio: «La [cosiddetta] pazzia di Dio è più saggia degli uomini, e la [presunta] debolezza di Dio è più forte degli uomini».

La sapienza umana è nei pochi, la sapienza divina è nei tutti
Paolo conosceva molto bene i membri della chiesa di Corinto. Per questo ricordò loro, che erano in pochi quelli che avevano raggiunto una buona posizione nel mondo: «Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti». Insistendo sul contrasto fra sapiente e pazzo e fra debole e forte, Paolo mette in evidenza che c’erano davvero pochi cristiani a Corinto ad essere colti, potenti, ricchi o famosi.
Di certo, quelli che lo erano, dovevano aver perso gran parte del loro prestigio sociale nel momento stesso in cui si erano convertiti.
La potenza di Dio si dimostra perfetta nella debolezza dell’ uomo (2 Corinzi 12:9).
Noi tendiamo a pensare che Dio debba usare gli intellettuali per conquistare altri intellettuali!
Il fatto è che nessuno si converte a causa dell’abilità o della profondità intellettuale!
Al contrario, quelli che hanno sondato le profondità della sapienza mondana e le hanno trovate vuote, non hanno bisogno di grandi ragionamenti per essere convinti del Vangelo.
Conosco degli accademici e dei docenti universitari che sono stati salvati dai bidelli e dalle donne delle pulizie.
Il Signore ha voluto che il Vangelo fosse tale “perché nessuno si vanti di fronte a Dio”.

La sapienza umana esalta l’uomo, la sapienza divina glorifica Dio
«Ed è grazie a Lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia. santificazione e redenzione; affinché com’è scritto: “Chi si vanta, si vanti nel Signore”. La salvezza è interamente opera di Dio: “In fatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio: Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera Sua”».
La sapienza umana vorrebbe escogitare una via di salvezza che dipenda, in qualche modo, dai meriti umani.
Se proprio non possono avere tutto il merito, ne potranno accumulare almeno un pò!
…ma secondo il piano di Dio nessuno di coloro che saranno salvati, potrà vantarsi!
Il motivo è che Dio compie tutto ciò di cui c’è bisogno affinché il peccatore sia salvato!
E il Signore che li sceglie, li chiama, lì attira e li rende capaci di credere!
Tutto è “opera sua”!
«Cristo Gesù…da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione»!
Dio, nella Sua volontà sovrana, ci unisce a Cristo, in modo tale che tutto ciò che Egli è diventa nostro!
Considerate la perfezione dell’opera salvifica di Dio.
Ogni tentativo di aumentare ciò che Dio ha fatto per noi, non fa altro che annullare la Sua grazia (Galati 2:21).
Ogni sforzo di aggiungere qualcosa al Suo dono perfetto, non fa altro che sminuirlo (Giacomo 1:17).
Ogni tendenza ad amplificare la sapienza divina con ragionamenti terreni, non fa altro che deturpare la sua armoniosa bellezza.
Come potremmo mai migliorare Cristo e la Sua Parola?
A differenza della sapienza umana, che esalta il peccatore, la sapienza divina glorifica Dio, Paolo scrive: «Non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la qua1e il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6:14).
Non fa meraviglia il fatto che Paolo si propose di non sapere altro, fuorché Gesù Cristo crocifisso.
Perché avrebbe dovuto discutere di filosofia o di altri argomenti umani?
Tutte queste cose non hanno nulla da offrire!
Gesù Cristo, invece, il Salvatore crocifisso, risorto e redentore, offre la sola vera speranza per il mondo!
Il predicatore fedele, anzi, ogni vero discepolo, deve presentare ad un mondo incredulo Gesù Cristo come l’unica via, l’unica verità e l’unica vera vita (Giovanni 14:6).
Se cercheremo di conquistare i peccatori con l’intrattenimento, con ragionamenti brillanti, con le nostre credenziali accademiche o con la sapienza mondana, falliremo miseramente e finiremo con il perderli!
Paolo disse ai Corinzi: «La mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».
Ricordate che Paolo era giunto a Corinto dopo essere stato picchiato ed incarcerato a Filippi, dopo aver dovuto fuggire da Tessalonica e da Berea e dopo esser stato schernito ad Atene (Atti 16:22-24; 17:10,13,14,32).
Sapeva che Corinto era una città moralmente corrotta, un centro di dissolutezza e di prostituzione. La città era la “quintessenza” dello stile di vita pagano. Paolo, forse, fu tentato di attenuare i suoi toni, di svolgere diversamente il suo ministero, di alleviare lo scandalo della croce. Tuttavia, egli afferma esplicitamene di aver determinato fermamente in se stesso di non fare niente di tutto ciò. La sua “parola e la [sua] predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana”.
A lui non interessava cambiare il pensiero delle persone.
Voleva che Dio trasformasse la loro vita.
Non aveva alcun messaggio proprio da predicare.
Era stato chiamato a predicare il Vangelo e ciò rese potente il suo ministero!
Nella storia, Dio ha ripetutamente reso pazza la sapienza del mondo.
Tuttavia, la chiesa è stata più volte ammaliata dall’idea che la sapienza mondana abbia un certo valore, una sua utilità peculiare che dovremmo conoscere a fondo per avere un ministero efficace.
Paolo la pensava diversamente!
Gli uomini di Dio, nel corso dei secoli, l’hanno sempre pensata diversamente!
La nostra fede non può fondarsi sulla sapienza umana, ma solo sulla potenza di Dio (1 Corinzi 2:5).

Questo articolo è stato tratto dal libro di John Mac Arthur “Io…mi vergogno del Vangelo”, edito da Alfa & Omega.

SENTIMENTI DI AMORE E DI TRISTEZZA VERSO ISRAELE (commento a Rm 9, 1-5)

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SENTIMENTI DI AMORE E DI TRISTEZZA VERSO ISRAELE

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“1 Dico la verità in Cristo, non mento – poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo – 2 ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore; 3 perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; 5 ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!” (Romani 9:1-5).
In questo capitolo l’apostolo Paolo parla degli Israeliti (che egli chiama “miei parenti secondo la carne”) e del particolare ruolo che essi hanno avuto nei propositi di salvezza di Dio. Egli esprime qui la sua grande tristezza per il fatto che la maggioranza degli Israeliti non abbiano accolto Gesù di Nazareth come il Messia atteso e del quale tutte le Scritture antiche rendono testimonianza. Il suo amore per il popolo ebraico è così grande che egli qui afferma: “Se solo si potesse fare uno scambio! Io mi offrirei ben volentieri ad essere io stesso maledetto, separato da Cristo e perduto e tutti loro salvati!”.
Per quanto vi sia chi afferma il contrario e con indignazione alcuni considerino scandaloso il solo menzionarlo, Paolo, all’unisono con tutto il Nuovo Testamento, dice chiaramente che “non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore [Gesù] sarà salvato” (Romani 10:12). Sì, “in nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati » (Atti 4:12): Gesù di Nazareth. “Egli è « la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare » (Atti 4:11). È un atto d’amore per Paolo e pure per noi, dire agli Israeliti, e a chiunque altro: “Non vi sarà per voi salvezza alcuna davanti a Dio se non vi affidate di tutto cuore a Gesù di Nazareth come vostro Signore e Salvatore, confessandolo come il Messia atteso”. Non esiste altra alternativa se si prende sul serio il messaggio del Nuovo Testamento come ispirata Parola di Dio, e questo senza tanti “sì”, “ma” e “però”…
Che molti Israeliti respingano Gesù di Nazareth e neghino che Egli sia il Messia, è indubbiamente triste e tragico, perché così svuotano di significato l’intera loro storia ed identità. Essa, infatti, era finalizzata proprio per portare alla luce e presentare al mondo Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5).
Agli Israeliti Dio ha concesso, infatti, onori e privilegi stupefacenti: (1) sono stati i primi ad essere chiamati ad essere figli adottivi di Dio; (2) Dio si era compiaciuto di manifestare la Sua gloria in modo unico proprio in mezzo a loro, nell’arca e nel tempio; (3) Dio aveva stabilito con loro uno speciale patto d’alleanza, più volte confermato; (4) Dio ha rivelato in modo altrettanto unico a Mosè le Sue leggi (la legislazione); (5) Dio ha rivelato loro il modo con il quale Egli vuole che Gli si renda culto (il servizio sacro); (6) Dio ha fatto e mantenuto verso di loro stupefacenti promesse. La cosa, però, più grande di tutte, (7) Dio ha fatto nascere fra di loro, come ebreo, Gesù, il Cristo, il Messia, il Salvatore del mondo, Dio stesso con noi! Quali indicibili privilegi! Ciononostante, come afferma Giovanni: “È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto” (Giovanni 1:11).
Grazie a Dio, però, anche se non la maggioranza, molti Israeliti nel corso della storia ed ancora oggi, hanno riconosciuto Gesù di Nazareth come il vero ed unico atteso Messia, L’hanno seguito e Lo seguono fedelmente. Ammiriamo il loro coraggio ed anticonformismo ed onoriamo la loro identità storica. La chiesa cristiana, come annunciavano già gli antichi profeti d’Israele, ora include nella stessa grazia e privilegi, gente d’ogni nazione. La nostra storia è stata innestata nella loro. I propositi di Dio non sono e non saranno mai frustrati da niente e da nessuno, nemmeno dalle nostre infedeltà. Amiamo gli Israeliti e, con umiltà e delicatezza, con la parola e con il buon esempio, li accompagniamo a riporre la loro fiducia in Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5).

PREGHIERA
Signore Iddio, che in noi non manchi mai la nostra stima ed il nostro rispetto per gli Israeliti. Ti chiediamo perdono per tutti quei cristiani che, nel corso della storia, hanno mancato loro di rispetto e li hanno in vario modo osteggiati e persino soppressi. Fa’ sì che con la parola e l’esempio noi si possa rendere buona testimonianza al Cristo, affinché molti di loro lo riconoscano come quello che è, cioè il Messia, Salvatore nostro e loro. Amen.

TUTTO PER GRAZIA (Sermone 1915)

http://camcris.altervista.org/spurgeon5.html

TUTTO PER GRAZIA

di C. H. Spurgeon

SERMONE PUBBLICATO GIOVEDÌ, 7 OTTOBRE 1915 CONSEGNATO DA C. H SPURGEON,

AL METROPOLITAN TABERNACLE, NEWINGTON.

(Chiesa Battista Riformata, credo)

    « Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perché nessuno si glori » (Efesini 2:8-9).

    Delle cose su cui ho predicato a voi per molti anni questa ne è la somma. Nell’assortimento delle mie argomentazioni ho mantenuto la mia teologia, principalmente intorno alla salvezza degli uomini. Sono felice di ricordare che anche quelli che della mia famiglia erano ministri di Cristo, prima di me e in mia presenza hanno predicato questa dottrina e nient’altro. Mio padre che ancora può dare la sua testimonianza personale per il suo Signore, non conosce altra dottrina e anche suo padre lo ha fatto prima di lui.
Sono condotto a ricordare questo per il fatto che una circostanza abbastanza singolare, registrata nella mia memoria ha stabilito una connessione di questo testo tra me e mio nonno. Ora sono passati tanti anni. Fui incaricato di predicare in una città di un certo paese nelle Contee Orientali. Non mi accade spesso di essere in ritardo, perché sento che la puntualità è una di quelle piccole virtù che possono prevenire grandi peccati. Tuttavia non abbiamo colpa se il treno fa ritardo o che si guasti e fu così che accadde che arrivai notevolmente in ritardo al luogo su nominato.
Come tutte le persone assennate, loro avevano già cominciato la loro adorazione e avevano già cominciato con il sermone. Come mi avvicinavo alla chiesa, percepivo che qualcuno era salito sul pulpito a predicare e chi avrebbe immaginato che il predicatore era il mio caro e venerabile nonno! Appena però lui mi vide entrare dalla porta anteriore e camminare per tutto il percorso del corridoio centrale, subito esclamò: « Adesso continuerà mio nipote! Lui sa predicare l’Evangelo meglio di me, anche se lui non può predicare un Evangelo migliore; lo puoi Charles? » Dopo aver fatto il mio viaggio tra la folla, risposi: « Tu puoi predicare meglio di me. Prega ancora. » Ma lui non l’avrebbe accettato. Dovevo continuare il sermone e così andando sullo stesso soggetto, ritornai dove lui aveva interrotto.
« Ebbene » disse lui, « stavo predicando su: « Voi, infatti, siete stati salvati per Grazia ». Stavo mettendo tutti avanti alla fonte e alla sorgente della salvezza; e ora sto loro mostrando il canale di essa, attraverso la fede. Ora tu riprendi da qui e va avanti ».
    Io giocavo in casa con queste verità gloriose, perché non avrei potuto provare alcuna difficoltà nel riprendere dal filo della dissertazione di mio nonno e congiungendo il mio filo al suo, potetti continuare senza alcuna interruzione logica. Il nostro accordo nelle cose di Dio ci fece facilmente essere un solo predicatore dello stesso discorso. Andai sul punto in cui dice: « Mediante la fede » e poi procedetti al punto successivo: « Ciò non viene da voi ». Su quest’argomento stavo spiegando la debolezza e l’impossibilità della natura umana e la certezza che la salvezza non potesse venire da noi, quando mi sentii tirare la coda del mio frac e il mio benamato gran signore prese di nuovo a dire: « Quando ho parlato della nostra depravata natura umana » proseguì il vecchio buon uomo, « so molto su questo, cari amici »; e così lui prese a parlare di una parabola e nei successivi cinque minuti fece una solenne e umiliante descrizione della nostra perduta fortuna, la depravazione della nostra natura e la morte spirituale nella quale noi fummo trovati.
    Quando lui aveva esposto le sue argomentazioni in una maniera molto graziosa, il suo nipote si permise continuare, con grande gioia del caro vecchio uomo; perché ora e allora lui direbbe, in tono gentile, « Bene! Bene! » Una volta lui disse: « Diglielo di nuovo, Charles » ed io ovviamente glielo ripetei. Era per me un gradito esercizio portare la mia azione in testimonianza ad una verità di così vitale importanza, che è così profondamente impressa nel mio cuore. Mentre sto annunciando questo messaggio, mi sembra di sentire ancora quella cara voce che mi dice: « Diglielo di nuovo ». Non sto contraddicendo la testimonianza degli antenati che ora sono con Dio. Se mio nonno potesse ritornare sulla terra, mi troverebbe dove mi ha lasciato, costante nella fede e attaccato a quella forma di dottrina che fu consegnata una volta per sempre ai santi.
Maneggerò brevemente il testo, in modo da ricavare alcune asserzioni. La prima asserzione è contenuta chiaramente nel testo:

LA SALVEZZA È ATTUALE
    L’apostolo dice: « Voi siete salvati ». Non « voi sarete », o « voi potete essere »; ma « voi siete salvati ». Lui non dice: « Voi siete salvati in parte » e neppure « pieni della speranza di salvezza »; ma « per Grazia voi siete salvati ». Permetteteci di essere chiari su questo punto così com’è e permetteteci di non scordare che noi sappiamo che noi siamo salvati. In questo momento noi o siamo o non siamo salvati. Questo sia chiaro. A che categoria apparteniamo? Spero che, mediante la testimonianza dello Spirito Santo, noi possiamo essere così rassicurati della nostra salvezza da poter cantare: « Il Signore è la mia forza e la mia canzone; lui è divenuto anche la mia salvezza. » Su questo non mi dilungherò, ma passerò a fare attenzione al prossimo punto.

LA SALVEZZA ATTUALE DEVE ESSERE RICEVUTA PER GRAZIA
    Se possiamo dire di qualsiasi uomo, o di qualsiasi genere di persone: « Voi siete salvati », noi dobbiamo farlo ma premettendo le parole « per Grazia ». Non c’è altra salvezza attuale a meno che cominci e finisca « per Grazia ». Non penso che qualcuno in questo grande mondo pretenda di predicare o di possedere una salvezza attuale e poi ometta di dire che quelli che credono di essere salvati lo siano solamente per Grazia. Nessuno nella Chiesa di Roma proclama di essere salvato subito, completamente e per l’eternità. Tale professione di fede sarebbe giudicata eretica. Pochi cattolici possono sperare di entrare nel cielo quando muoiono, ma la maggior parte di loro ha, davanti agli occhi, la misera prospettiva del purgatorio. Noi vediamo le continue richieste di preghiere per le anime trapassate e questo non avverrebbe se quelle anime fossero salvate e glorificate col loro Salvatore. Messe in suffragio per il riposo dell’anima, indicano l’incompletezza della salvezza che Roma ha da offrire. Per buono che possa essere, da quando la salvezza Papale è mediante le opere e anche se la salvezza per le buone opere fosse possibile, mai nessun uomo potrebbe essere sicuro di aver compiuto abbastanza per assicurarsi la sua salvezza.
Fra quelli che indugiano in mezzo a noi, troviamo molti che sono nello stesso tempo estranei alla dottrina della Grazia e questi non sognano mai di possedere una salvezza attuale. Probabilmente loro hanno fiducia di poter essere salvati quando muoiono; hanno una mezza speranza, dopo anni d’attenta santità, loro possono, forse, infine essere salvati; ma, per essere salvati ora e per sapere che sono salvati, la salvezza è completamente lontana da loro e anzi pensano che ciò sia una presunzione.
Non ci può essere salvezza attuale a meno che non si fondi su punta base: « Per Grazia voi siete salvati ». È una cosa molto singolare che a nessuno sia venuta in mente di predicare una salvezza « attuale » mediante le opere. Suppongo che sarebbe stato troppo assurdo. Essendo le opere non ancora terminate, la salvezza sarebbe incompleta; oppure, essendo completa la salvezza, il motivo principale del legalista, assertore della salvezza per opere, sarebbe concluso.
La salvezza deve essere per Grazia. Se un uomo si è perso per il peccato, come può essere salvato se non attraverso la Grazia di Dio? Se lui ha peccato, lui è condannato; e come può lui, da se stesso, invertire quella condanna? Supponi che lui si attenesse alla legge per tutto il resto della sua vita, lui avrà fatto solo allora quello che avrebbe dovuto fare prima e lui sarà ancora un servitore inutile. Che ci deve fare del suo passato? Come potrà cancellare i vecchi peccati? Come potrà essere ritrattata la vecchia rovina? Secondo le Sacre Scritture e secondo il senso comune, la salvezza potrà essere solamente concessa mediante il libero favore di Dio.
La salvezza nel tempo presente deve venire dal favore gratuito di Dio. Le persone possono contendere per la salvezza per opere, ma tu non sentirai che chiunque sostenga il suo proprio argomento dicendo: « Sono salvato per quello che ho fatto ». Quella sarebbe una vanità di bricconeria alla quale pochi uomini andrebbero. L’orgoglio potrebbe afferrarlo non appena lui si vanta in modo così stravagante. No, se siamo salvati, deve essere per la libera Grazia di Dio. Nessun uomo professa di essere un esempio di salvezza da un punto di vista contrario a quello offerto dalla salvezza per Grazia. La salvezza, per essere completa deve essere mediante la Grazia gratuita. I santi, quando sopraggiunge la morte, non concludono mai le loro vite sperando nelle loro buone opere. Quelli che invariabilmente hanno maggiormente vissuto vite sante e utili, guardano alla libera Grazia nei loro momenti conclusivi. Non sono mai stato al capezzale del letto di un uomo devoto che riposasse una qualsiasi fiducia nelle sue proprie preghiere, o nel pentimento, o nella religiosità. Ho sentito uomini molto santi che citano in morte le parole: « Gesù Cristo entrò nel mondo per salvare i peccatori. » Infatti, gli uomini che si avvicinano maggiormente al cielo e i più preparati a ciò, i più semplici mettono la loro fiducia nei meriti del Signore Gesù e più intensamente aborriscono ogni fiducia in loro stessi. Se ciò accade nei nostri ultimi momenti, quando il conflitto è quasi al di sopra di noi, molto più dobbiamo sentirlo essere così mentre noi siamo nel mezzo della lotta, cioè durante la vita. Se un uomo è completamente salvato in questo tempo di guerra, come può essere se non per Grazia. Mentre lui deve piangere sul peccato che sovrabbonda in lui, mentre lui deve confessare innumerevoli deficienze e trasgressioni, mentre il peccato è presente in tutto ciò che fa, come può credere di essere completamente salvato se non la gratuita Grazia di Dio?
Paolo parla di questa salvezza come se appartenesse agli Efesini: « Per Grazia voi siete salvati. » Gli Efesini si erano dati ad arti esoteriche curiose e ad opere di divinazione. Avevano fatto in pratica un’alleanza coi poteri delle tenebre. Ora se proprio questi furono salvati, ciò deve essere solo per Grazia. Così è anche con noi: la nostra condizione originale e il carattere rende certo il fatto che, se salvò tutti, noi lo dobbiamo attribuire alla libera Grazia di Dio. So che è così proprio nel mio caso; e credo che la stessa regola regga bene anche per il resto dei credenti. Chiarito sufficientemente quest’argomento, passiamo ad un’altra osservazione:

L’ATTUALE SALVEZZA PER GRAZIA DEVE AVVENIRE MEDIANTE LA FEDE.
    Una salvezza attuale deve avvenire mediante la Grazia e la salvezza per Grazia deve avvenire attraverso la fede. Tu non ti puoi impadronire della salvezza per Grazia, mediante altri mezzi se non per fede. Hai bisogno delle auree pinze della fede per portare via questo carbone vivente posto sull’altare. Suppongo che sarebbe stato possibile, se Dio l’avesse voluto, che quella salvezza potesse essere concessa per opere, invece che per Grazia; perché se Adamo avesse rispettato perfettamente la legge di Dio, lui avrebbe ancora fatto quello che a lui fu concesso di fare; ma anche così, se Dio l’avesse ricompensato, la ricompensa stessa sarebbe dovuta essere secondo la Grazia, in quando il Creatore non deve nulla alla creatura. Questo sarebbe stato un sistema molto difficile per lavorare, mentre l’oggetto di ciò era perfetto; ma nel nostro caso non funzionerebbe per tutti. La salvezza nel nostro caso vuole dire liberazione dalla colpa e dalla rovina e questo non poteva fondarsi sopra una misura di buone opere, in quando noi non siamo nella condizione di compierne alcuna. Supponi che io ti predichi che tu come peccatore devi fare certi lavori e che poi tu saresti salvato; e supponi che tu potessi compierli; tale salvezza non potrebbe essere considerata come una Grazia, ma come un debito. Appreso in tale maniera, ciò ti sarebbe ricompensato come la ricompensa di un’opera fatta e tutto il suo aspetto sarebbe stato cambiato. La salvezza per Grazia può solo essere afferrata dalla mano di fede: il tentativo di sovrapporre su di essa il fare certi atti di legge causerebbe l’evaporazione alla Grazia: « Perciò, è mediante la fede che interviene la Grazia. » « Se è per Grazia, allora non è più per opere: altrimenti la Grazia non è più la Grazia. Ma se è per opere, allora non c’è più la Grazia: altrimenti le opere non sono più opere. »
Alcuni tentano di sovrapporre alla salvezza per Grazia, l’uso di cerimonie; ma non è così. Tu sei battezzato da bambino, confermato e spinto a ricevere « il santo sacramento » da mani sacerdotali, oppure Tu sei battezzato da adulto, iscritto ad una chiesa e partecipi alla cena del Signore: questo ti porta la salvezza? Ti chiedo: « Ce l’hai la salvezza? » « Come osi chiedermelo? » Se tu proclamassi un tal genere di salvezza, allora io sono sicuro che non ci sarebbe nella tua mente la salvezza per Grazia.
Di nuovo, tu non può basare la salvezza per Grazia attraverso i tuoi sentimenti. La mano di fede è costruita per afferrare una salvezza attuale per Grazia. Ma le sensazioni non sono adatte per quello scopo. Se tu vai dicendo: « Devo sentire che sono salvato. Devo sentire prima molto dolore e poi molta gioia oppure non ammetterò che sono salvato », tu troverai che questo metodo non risponderà. Come tu non puoi sperare di vedere col tuo orecchio, o assaggiare col tuo occhio, o sentire col tuo naso, così non puoi credere sentendo: è l’organo sbagliato. Dopo che tu hai creduto, tu puoi godere la salvezza sentendo le sue influenze paradisiache; ma sognare di afferrarla con i tuoi propri sentimenti è così sciocco come tentare di afferrare la luce del sole col palmo della mano, oppure il vento del cielo tra le ciglia dei tuoi occhi. C’è un’assurdità essenziale in tutto questo discorso.
Inoltre, l’evidenza prodotta per le sensazioni è diversa da persona a persona. Quando i tuoi sentimenti sono pacati e deliziosi, essi sono subito sconvolti e sopraggiungono agitazione e tristezza. Il più incostante degli elementi, le più deboli creature, le circostanze più spregevoli possono affondare o possono elevare il tuo spirito: uomini esperti vengono a pensare sempre meno delle loro attuali emozioni, man mano che loro riflettono sullo scarso affidamento che si può avere tramite di esse. La fede riceve la legge di Dio concernente il Suo modo di perdono gratuito e così porta salvezza all’uomo credente; ma sentendo, riscaldandosi in seguito ad appassionati appelli, conducendosi ai limiti del delirio verso una speranza che sfida ma non esamina, si conducono in giro in un genere di ballo del mendicante arabo « derviscio » fatto di eccitamento e tutto è in agitazione, come il mare agitato che non può rimanere. Dalle sue ebollizioni e dalle sue furie tempestose, le sensazioni sono adatte per lasciarsi andare a tiepidezza, abbattimento, disperazione e a tutti i mali simili. Le sensazioni sono una sorta di oscuri e tempestosi fenomeni, nei quali non può fondarsi alcuna fiducia circa le verità eterne di Dio.
Ora facciamo un passo che ci porterà ancora più lontano:

LA SALVEZZA PER GRAZIA, ATTRAVERSO LA FEDE, NON VIENE DA NOI.
    La salvezza e la fede e tutte le opere della Grazia, non vengono da noi. Innanzi tutto loro non sono dovuti a nostri antichi meriti: loro non sono la ricompensa di antichi buoni tentativi. Nessuna persona non « nata di nuovo » ha vissuto così bene che Dio è costretto a dargli un’ulteriore Grazia e dargli la vita eterna; in altre parole non è più lontano dalla Grazia, ma dal debito. La Salvezza c’è data, non guadagnata da noi. La nostra prima vita è sempre come un vagabondaggio lontano da Dio e la nostra nuova vita di ritorno a Dio è sempre un’opera di misericordia immeritata, riversata su quelli che grandemente ne hanno bisogno, ma che non lo meritavano mai. Non viene da noi, nel più ancestrale significato, cioè che non proviene dalla nostra bravura dimostrata in origine. La salvezza viene dall’Alto; non è mai prodotta in mezzo a noi. Può la Vita eterna essere prodotta dalle costole nude della morte?
Alcuni ci sfidano a dire che la fede in Cristo e la nascita nuova, sono solamente la conseguenza di buone opere, che si producono segretamente in noi per natura; ma in questo, come il loro padre, parlano di se stessi.
Signori, se un erede di collera produce buone opere, diventerà sempre più buono per andare… nel luogo preparato per il diavolo e i suoi angeli! Tu puoi prendere un uomo non nato di nuovo e lo istruisci nel modo migliore, ma lui rimane e deve rimanere per sempre, morto nel peccato, a meno che un potere più alto entrerà in lui e lo salverà da lui stesso. La Grazia apporta dentro il cuore un elemento completamente estraneo. Non migliora e non perpetua; uccide e vivifica. Non c’è continuità tra lo stato di natura e lo stato di Grazia: l’uno è oscurità e l’altro è luce; l’uno è morte e l’altro è vita. La Grazia, quando viene a noi, è come un tizzone lasciato cadere nel mare, dove si sarebbe certamente spento, non era esso di una certa qualità miracolosa che impedisce le inondazioni e sovrappone il suo regno di fuoco e di luce nelle profondità.
    La salvezza per Grazia, attraverso la fede non viene da noi nel senso che essa è il risultato del nostro potere. Noi siamo obbligati a vedere la salvezza come un atto divino, cioè come una creazione, o una provvidenza, o una risurrezione. Ad ogni punto del processo della salvezza questa frase è adatta: « Non viene da voi ». Dal primo desiderio di salvezza al pieno ricevimento di essa mediante la fede, ciò è sempre e solo da Dio e non da noi. L’uomo crede, ma quella fede è solamente un risultato di un più forte impianto di vita divina in mezzo all’anima dell’uomo ad opera di Dio Stesso. Anche la maggiore volontà di essere salvati per Grazia non viene da noi, ma è il dono di Dio. Qui sta il nocciolo della questione. Prendiamo un uomo che non crede per niente in Gesù: sarebbe un suo dovere ricevere Gesù, che sarebbe Colui che Dio ha mandato come propiziazione per peccati del mondo. Ma quell’uomo non crederà mai in Gesù; lui preferisce qualsiasi cosa alla fede nel suo Redentore. Quell’uomo non ha il cuore per credere in Gesù a vita eterna, a meno che lo Spirito di Dio non lo convinca di giudizio e costringa la sua volontà. Chiedo che qualche persona salvata guardi indietro alla sua conversione e spieghi come avvenne. Tu ti rivolgesti a Cristo e credesti nel Suo Nome: questi erano i tuoi atti e le tue azioni. Ma che cosa ti causò questa conversione? Quale forza sacra ti convertì dal peccato alla rettitudine? Attribuisci a te questo rinnovamento singolare, oppure all’esistenza di un qualche cosa migliore di te che non è ancora stato scoperto nel tuo prossimo inconvertito? No. Confessa, che tu saresti stato quello che lui ora è, se non ci fosse stato qualche cosa di potente che ti comunicò la primavera della Sua volontà, illuminò la tua comprensione e ti guidò ai piedi della croce. Con gratitudine noi confessiamo l’episodio; è stato così. La salvezza per Grazia, attraverso la fede non è da noi e nessuno di noi si sognerebbe di portare qualsiasi gloria a noi in seguito alla nostra conversione, o a qualsiasi altro effetto della Grazia che è fluito dalla prima causa divina. Ultima considerazione:

« PER GRAZIA VOI SIETE SALVATI MEDIANTE LA FEDE; E CIÒ NON VIENE DA VOI: È IL DONO DI DIO »
    La salvezza può essere chiamata « Theodora » o « dono di Dio »: e qualche anima salvata può essere soprannominata Dorotea, che è un’altra forma della stessa espressione. Moltiplica le tue frasi e chiamala come vuoi, ma la vera salvezza ha tracciato in te la sua benedizione che è tutta contenuta nel dono ineffabile, che è costituito dalla gratuita e smisurata benedizione di amore divino.
La salvezza è il dono di Dio, in opposizione a una retribuzione. Quando un uomo paga a un altro il suo salario, lui fa quello che è giusto; e a nessuno viene in mente di lodarlo eccessivamente per questo. Ma noi lodiamo il nostro Dio Gesù Cristo per la salvezza che ci ha donato, perché essa non è il pagamento di un debito, ma il dono della Grazia. Nessun uomo può entrare a vita eterna sulla terra, o in cielo, come un debito di Dio, ma come un dono. Noi diciamo: « Nulla è più gratuito di un dono ». La salvezza è anche così, semplicemente e completamente un dono di Dio, tanto che nulla potrà mai essere più gratuito. Dio la concede perché lui sceglie di darla, secondo quel grande passo biblico: « Io avrò misericordia di chi avrò misericordia, avrò compassione di chi avrò compassione. » Tu sei del tutto colpevole e condannato e il grande Re perdona colui che vuole fra di voi. Questa è una sua prerogativa reale. Lui salva nella Sua infinita sovranità della Grazia. E Lui vuole che tutti voi siate salvati. La salvezza è il dono di Dio: ciò è da dire completamente così, in opposizione alla teoria della crescita spirituale. La salvezza non è una naturale produzione fra di noi: è portata da una terra straniera e piantata nel nostro cuore da mani paradisiache. Salvezza è nella sua interezza un dono proveniente da Dio. Se tu desideri di averla, essa è là, completamente. Desideri averla come un dono perfetto? Tu risponderai: « No; la produrrò nella mia officina. » Tu non puoi contraffare un’opera così rara e costosa per la quale proprio Gesù spese il Sangue della Sua Vita.
Qui c’è un indumento senza linea di giunzione, tessuta da cima a fondo: la tunica. Ti coprirà e ti renderà glorioso. Desideri averla? Tu risponderai ancora: « No; sederò al telaio e mi confezionerò una veste da solo! » Sciocco e orgoglioso che non sei altro! Tu filatore di ragnatele! Tu tessitore di sogni! Oh! Che tu possa prendere liberamente quello che Cristo sulla croce dichiarò essere compiuto! È il dono di Dio: ovvero, è eternamente sicuro in opposizione ai doni degli uomini che passano presto via. « Non come il mondo dà, io ti do », dice il nostro Signore Gesù.
Se il mio Signore Gesù del Dio ti dà la salvezza in questo momento, Tu ce l’hai e ce l’hai per sempre. Lui non se la riprenderà mai indietro; e se lui non la prende da Te, chi potrà togliertela? Se lui ora ti salva attraverso la fede, tu sei salvato e tanto salvato che Tu non perirai mai, né qualcuno potrà strapparti dalla Sua mano. Possa essere così di ognuno di noi!

Publié dans:CHIESE DELLA RIFORMA |on 2 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

Giovanni Calvino (1509–1564): La Parola Nostra Sola Regola

http://www.cprf.co.uk/languages/italian_calvinsermontitus1v15.htm

Giovanni Calvino (1509–1564): La Parola Nostra Sola Regola

Sermone su Tito 1:15-16

(da Protestant Reformed Church,  la traduzione in italiano è del sito)

Ben è ogni cosa pura a’ puri; ma a’ contaminati ed infedeli, niente è puro; anzi e la mente e la coscienza loro è contaminata. Fanno professione di conoscere Iddio, ma lo rinnegano con le opere, essendo abbominevoli e ribelli, e riprovati ad ogni buona opera (Tito 1:15-16—Versione Diodati).
S. Paolo ci ha mostrato che dobbiamo essere governati dalla Parola di Dio, e considerare i comandamenti degli uomini come vani e sciocchi; perché la santità e la perfezione della vita non appartiene a loro. Egli ha condannato alcuni loro comandamenti, come quando essi proibivano certe carni, e non tolleravano che noi usassimo quella libertà che Dio dà ai fedeli. Quelli che turbavano la chiesa all’epoca di S. Paolo, stabilendo certe tradizioni, usavano i comandamenti della legge come scudo. Queste non erano che invenzioni d’uomini: perché il tempio doveva essere abolito alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo. Quelli nella chiesa di Cristo che mantengono questa superstizione di considerare proibite alcune carni, non hanno l’autorità di Dio, perché era contro la Sua intenzione e proposito che i Cristiani dovessero essere soggetti a tali cerimonie.
Per farla breve, S. Paolo ci informa in questo passo che in questi giorni noi abbiamo la libertà di mangiare ogni genere di carne senza eccezione. Per quanto riguarda la salute del corpo, qui non se ne parla; ma la questione qui esposta è che gli uomini non dovranno proporsi come padroni, per fare leggi per noi contrarie alla Parola di Dio. Visto che è così, che Dio non ha posto alcuna differenza tra le carni, usiamole pure; e non investighiamo mai cosa gradiscono gli uomini, o cosa ritengono bene. Ciò nonostante, dobbiamo usare i benefici che Dio ci ha concesso con sobrietà e moderazione. Dobbiamo ricordare che Dio ha creato le carni per noi, non perché noi ci saziassimo come maiali, ma perché le usassimo per il nostro sostentamento: quindi, accontentiamoci di questa misura che Dio ci ha mostrato nella Sua Parola.
Se non abbiamo il nutrimento che desidereremmo, sopportiamo con pazienza la nostra povertà e pratichiamo la dottrina di S. Paolo; e sapremo come sostenere tanto la povertà quanto le ricchezze. Se nostro Signore ci dà più di quanto avremmo desiderato, nondimeno dobbiamo moderare i nostri appetiti. D’altra parte, se Egli si compiace di toglierci il nostro boccone, e di non nutrirci che miseramente, dobbiamo esserne contenti, e pregarlo di darci la pazienza quando non abbiamo ciò che i nostri appetiti desiderano. In breve, dobbiamo fare riferimento a quanto viene detto in Romani 13: « siate rivestiti del Signor Gesù Cristo, e non abbiate cura della carne a concupiscenze. » Accontentiamoci di avere ciò di cui abbiamo bisogno, e che Dio sa essere appropriato a noi; in questo modo ogni cosa sarà pura per noi, se noi siamo in quel modo purificati.
Tuttavia è vero che sebbene noi siamo così impuri, le carni che Dio ha creato sono buone; ma la questione che dobbiamo considerarne è il loro uso. Quando S. Paolo dice che tutte le cose sono pure, egli non intende che esse lo sono di per sé, ma in relazione a chi le riceve; come abbiamo notato prima, dove egli dice a Timoteo, tutte le cose sono da noi santificate per fede e rendimento di grazie. Dio ha colmato il mondo di tale abbondanza che possiamo meravigliarci di vedere quale cura paterna Egli abbia per noi: perché quale fine o proposito hanno tutte le ricchezze sulla terra, se non per mostrare quanto liberale Egli sia verso l’uomo?
Se non sappiamo che Egli è nostro Padre, e che agisce come un genitore verso di noi, se noi non riceviamo dalla Sua mano ciò che Egli ci dà, tanto che quando mangiamo, non siamo convinti che è Dio a nutrirci, Egli non può essere glorificato come merita; nè possiamo mangiare un solo pezzo di pane senza commettere un sacrilegio di cui dobbiamo rendere conto. Affinché possiamo godere legittimamente di questi benefici, che ci sono stati concessi, dobbiamo essere risoluti su questo punto (come ho detto prima), che è Dio che ci nutre e ci sostenta.
Questa è la purezza di cui qui parla l’apostolo, quando dice, tutte le cose sono pure, specialmente quando abbiamo in noi una tale onestà da non disprezzare i benefici concessi agli altri, ma desideriamo il nostro pane quotidiano dalla mano di Dio, essendo persuasi di non averne diritto, ma di riceverlo solo come la misericordia di Dio. Ora, vediamo da dove proviene questa purezza. Non la troveremo in noi stessi, perché ci è data per fede. S. Pietro dice, il cuore degli antichi padri fu purificato in questo modo, ovvero, quando Dio diede loro la fede (Atti 15).
È vero che qui egli si riferiva alla salvezza eterna, perché noi eravamo completamente impuri finché Dio non si fece conoscere da noi nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, il quale, essendo stato reso nostro Redentore, recò il prezzo e il riscatto delle nostre anime. Ma questa dottrina può, e dovrebbe essere applicata a ciò che concerne questa vita presente; perché finché non conosciamo che, essendo adottati in Gesù Cristo, siamo figli di Dio, e che di conseguenza l’eredità di questo mondo è nostra, se tocchiamo anche un solo boccone di carne noi non siamo che dei ladri; perché a causa del peccato di Adamo siamo privati e banditi da tutte le benedizioni che Dio ha fatto, finché non le possediamo nel nostro Signore Gesù Cristo.
Dunque, è la fede che deve purificarci. Allora tutte le carni saranno pure per noi: ovvero, potremo usarle liberamente senza esitazione. Se gli uomini ci prescrivono leggi spirituali, non dobbiamo osservarle, sicuri che tale obbedienza non può piacere a Dio, perché così facendo noi stabiliamo dei governanti per dominarci, rendendoli uguali a Dio, il quale riserva tutto il potere per sé. Così, il governo dell’anima deve essere mantenuto sicuro e saldo nelle mani di Dio. Dunque, se consentiamo tanta superiorità agli uomini da tollerare che le nostre anime siano imbrigliate dalle loro stesse mani, altrettanto riduciamo e sminuiamo il potere e il dominio che Dio ha sopra di noi.
E quindi l’umiltà che noi potremmo avere nell’obbedire alle tradizioni degli uomini sarebbe peggiore di tutta la ribellione del mondo; perché significherebbe derubare Dio del Suo onore, e consegnarlo, come spoglie, a uomini mortali. S. Paolo parla della superstizione di alcuni dei Giudei, i quali volevano che gli uomini osservassero ancora le ombre e le figure della legge; ma lo Spirito Santo ha pronunciato una sentenza che deve essere osservata fino alla fine del mondo: che Dio oggi non ci ha vincolati a quel fardello che fu sostenuto dagli antichi padri; ma ha tagliato via quella parte che aveva comandato, relativa all’astensione dalle carni; perché essa fu legge solo per un’epoca.
Visto che Iddio ci ha così liberati, quale sconsideratezza è per dei vermi della terra il fare nuove leggi; come se Dio non fosse stato abbastanza saggio. Quando accusiamo di questo i papisti, essi rispondono che S. Paolo parlava dei Giudei, e delle carni che erano vietate dalla legge. Questo è vero, ma vediamo se questa risposta ha una qualche ragione, o se sia degna di essere accettata. S. Paolo non ha detto solamente che ci è lecito usare ciò che era vietato, ma ha parlato in termini generali, dicendo, tutte le cose sono pure. Così, vediamo che Dio ci ha qui dato la libertà riguardo all’uso delle carni, in modo tale da non tenerci in soggezione, com’erano gli antichi padri.
Dunque, poiché Dio ha abrogato quella legge che era stata da Lui stabilita, e non la impone più, che cosa penseremo quando vediamo che gli uomini inventano proprie tradizioni e non si accontentano di ciò che Dio ha mostrato loro? In primo luogo, essi cercano di mantenere ancora la chiesa di Cristo sotto le restrizioni dell’Antico Testamento. Ma Dio vuole che noi siamo governati come uomini adulti e dotati di discernimento, che non hanno alcun bisogno di istruzioni adatte ai bambini. Essi stabiliscono norme umane, e dicono che dobbiamo osservarle dietro la pena del peccato mortale; mentre invece Dio non vuole che la Sua stessa legge, relativamente ai tipi e alle figure, sia osservata da noi fino ad oggi, perché tutto ebbe fine alla venuta di nostro Signore Gesù Cristo.
Sarà quindi lecito osservare ciò che gli uomini hanno concepito nella loro sapienza? Non vediamo che è una questione che va direttamente contro Dio? S. Paolo si contrappone a questi mistificatori: contro quelli che volevano vincolare i Cristiani ad astenersi dalle carni come Dio aveva comandato nella Sua legge. Se qualcuno dice che non è che una piccola questione l’astenersi dalle carni il Venerdì, o in Quaresima, consideriamo se sia una piccola questione il corrompere e l’imbastardire il servizio di Dio! Perché sicuramente, coloro che si danno tanto da fare a promulgare e stabilire le tradizioni degli uomini, pongono sé stessi contro ciò che Dio ha ordinato nella Sua Parola, e quindi commettono sacrilegio.
Poiché Dio vuole essere servito con obbedienza, facciamo attenzione e manteniamoci entro quei confini che Dio ha posto, e non consentiamo che gli uomini vi aggiungano alcuna cosa di loro invenzione. In questo vi è qualcosa di peggiore di tutto il resto: perché essi pensano che astenersi dal mangiare le carni sia un servizio che merita qualcosa da Dio. Pensano che sia una grande santità; e quindi il servizio di Dio, che dovrebbe essere spirituale, viene bandito, come dire, mentre gli uomini si occupano di sciocche inezie. Come nel detto comune, lasciano la mela per la buccia.
Dobbiamo essere fedeli, e rimanere saldi nella nostra libertà; dobbiamo seguire la regola che ci è data nella Parola di Dio, e non consentire alla nostra anima di essere condotta in schiavitù da nuove leggi, forgiate dagli uomini. Perché è una tirannia infernale quella che abbassa l’autorità di Dio e confonde la verità del vangelo con le figure della legge; e perverte e corrompe il vero servizio di Dio, che dovrebbe essere spirituale. Quindi, consideriamo quale prezioso privilegio sia il rendere grazie a Dio con la quiete della coscienza, essendo rassicurati che è la Sua volontà e beneplacito che noi godiamo delle Sue benedizioni: e affinché possiamo farlo, non imprigioniamoci nelle superstizioni degli uomini, ma siamo appagati di ciò che è contenuto nella pura semplicità del vangelo. Allora, come abbiamo mostrato riguardo alla prima parte del testo, ogni cosa sarà pura, per coloro che sono puri.
Quando accogliamo il Signore Gesù Cristo, noi sappiamo di essere purificati dalla nostre lordure e falli, perché per la Sua grazia noi siamo resi partecipi dei benefici di Dio, e considerati come Suoi figli, sebbene in noi non vi sia altro che vanità. « Ma ai contaminati e agli infedeli, niente è puro ». Con questo S. Paolo intende che tutto ciò che procede da coloro che sono contaminati e non credenti non è gradito a Dio, ma è pieno di corruzione. Finché sono non credenti, essi sono ripugnanti e impuri; e finché hanno in loro tale lordura, tutto ciò che toccano diviene contaminato dalla loro infamia.
Quindi, tutte le regole e le leggi che possono produrre non saranno altro che vanità: perché Iddio non gradisce nulla di ciò che essi fanno, anzi, lo aborrisce completamente. Anche se gli uomini possono tormentarsi con cerimonie e pratiche esteriori, tuttavia tutte queste cose sono vane finché essi non divengono retti nel cuore: perché in questo ha inizio il vero servizio di Dio. Finché dunque noi non abbiamo fede, siamo immondi innanzi a Dio. Queste cose dovrebbero essere evidenti per noi; ma l’ipocrisia è così radicata in noi che siamo inclini a trascurarle. Sarà prontamente confessato che noi non possiamo compiacere Dio servendolo finché il nostro cuore non è spogliato della malvagità.
Dio contese con il popolo dei tempi antichi per la stessa dottrina, come vediamo specialmente nel secondo capitolo del profeta Aggeo: in esso egli chiese ai sacerdoti se un uomo che tocca una cosa santa sia reso santo oppure no, e i sacerdoti risposero di no. Al contrario, se un uomo impuro tocca una cosa, questa diviene impura oppure no, e i sacerdoti risposero dicendo, essa sarà impura; così è questa nazione, dice il Signore, e così sono le opere delle loro mani. Notiamo ora che cosa contengono le figure e le ombre della legge. Se un uomo impuro toccava qualcosa, questa diveniva impura, e doveva quindi essere purificata. Nostro Signore dice, considerate cosa siete, perché non avete altro che impurità e lordura; e tuttavia, voi potete appagarmi con i vostri sacrifici, offerte e simile cose. Ma Egli ha detto, finché le vostre menti sono prigioniere di malvagia concupiscenza, finché alcuni di voi sono libertini, adulteri, blasfemi e spergiuri, finché siete pieni di inganno, crudeltà, malignità, le vostre vite saranno completamente illecite, e piene di ogni impurità, io non posso tollerarlo, per quanto possa sembrare giusto davanti agli uomini.
Vediamo dunque che tutti i servizi che possiamo compiere, finché non siamo veramente riformati nel nostro cuore, non sono che parodie, che Iddio condanna e respinge completamente. Ma chi crede che queste cose siano così? Quando i malvagi, che sono presi nella loro malvagità, sentono un qualche rimorso di coscienza, si impegnano con qualche mezzo o altro a legarsi a Dio compiendo alcune cerimonie: ritengono questo sufficiente per soddisfare la mente degli uomini, credendo che Dio allo stesso modo debba esserne soddisfatto. Questa è un’abitudine che è prevalsa in ogni epoca.
Non è solo in questo testo del profeta Aggeo che Dio rimprovera gli uomini per la loro ipocrisia, e perché pensano di poter ottenere il Suo favore con sciocchezze, ma è stata una continua contesa quella che tutti i profeti hanno avuto con i Giudei. Viene detto in Isa. 1:13-15: « Non continuate più a portare offerte da nulla; i profumi mi son cosa abbominevole; quant’è alle calendi, a’ sabati, al bandir raunanze, io non posso portare iniquità, e festa solenne insieme. L’anima mio odia le vostre calendi, e le vostre solennità; mi son di gravezza; io sono stanco di portarle. Perciò, quando voi spiegherete le palme delle mani, io nasconderò gli occhi miei da voi; eziandio, quando moltiplicherete le orazioni, io non le esaudirò; le vostre mani son piene di sangue. »
E ancora viene detto, « Che se mi offerite olocausti, e le vostre offerte, io non le gradirò; e non riguarderò a’ sacrificii da render grazie, fatti delle vostre bestie grasse » (Amos 5:22). Dio qui ci mostra che le cose che Egli Stesso aveva comandato erano lorde e immonde quando venivano osservate e abusate da ipocriti. Quindi, impariamo che quando gli uomini servono Dio secondo le loro maniere, essi illudono e ingannano loro stessi. Viene detto in un altro testo di Isaia, « chi ha richiesto questo di man vostra? » (Isa. 1:12). In cui è evidenziato che se vogliamo che Iddio approvi le nostre opere, queste devono essere secondo la Sua divina Parola.
Vediamo così cosa intende S. Paolo quando dice che non vi è nulla di puro per coloro che sono impuri. E perché? Perché anche la loro mente e coscienza sono contaminate. Con questo egli mostra (come ho osservato prima) che fin quando non avremo imparato a servire Dio correttamente, nella maniera appropriata, noi non faremo alcun bene con le nostre opere; sebbene possiamo lusingare noi stessi ritenendo che esse siano di grande importanza, e in questo modo cullarci nel sonno.
Vediamo ora quali sono le tradizione del papismo. Il loro primo fine è di fare un accordo con Dio, mediante le opere di supererogazione, come le denominano; ovvero, le loro opere in eccesso, che sono tali quando essi compiono più di quanto Dio abbia loro comandato. Secondo le loro concezioni, essi assolvono al loro dovere verso Lui e Lo soddisfano con il pagamento reso dalle loro opere, e con il quale essi saldano il loro conto. Quando hanno digiunato nei loro giorni santi, quando si sono astenuti dal mangiare carne il Venerdì, quando hanno frequentato devotamente la messa, quando hanno preso l’acqua santa, essi pensano che Dio non debba esigere più nulla da loro e che non manchi nulla in loro.
Ma allo stesso tempo, essi non cessano di indulgere nella fornicazione, nell’indecenza, nello spergiuro, nella blasfemia, ecc.: ognuno di loro si abbandona a quei vizi; e tuttavia essi pensano che nonostante questo Dio debba ritenersi ben pagato dalle opere che loro Gli offrono; come, per esempio, quando hanno preso l’acqua santa, venerato immagini, vagato di altare in altare, e fatto cose simili, essi immaginano di aver reso sufficiente pagamento e retribuzione per i loro peccati. Ma noi ascoltiamo la dottrina dello Spirito Santo riguardante coloro che sono corrotti, la quale è che non vi è nulla di puro nè di mondo in tutte le loro azioni.
Ma mettiamo il caso, e supponiamo che tutte le abominazioni dei papisti non siano malvagie per loro propria natura; tuttavia, secondo questa dottrina di S. Paolo, non può esservi null’altro che impurità in esse, perché loro stessi sono peccatori e impuri. La santità di questi uomini consiste in sciocchezze e inezie. Essi si affaticano a servire Dio nelle cose che Egli non richiede, e allo stesso tempo lasciano non realizzate le cose che Egli ha comandato nella Sua legge.
È accaduto in ogni epoca che gli uomini abbiano disprezzato la legge di Dio in favore delle loro tradizioni. Nostro Signore Gesù Cristo condannò i Farisei quando disse, « E voi, perchè trasgredite il comandamento di Dio per la vostra tradizione? » (Matteo 15:3). Così fu nei tempi passati, nei giorni dei profeti. Isaia gridava, « Perciocché questo popolo, accostandosi, mi onora con la sua bocca, e con le sue labbra, e il suo cuore è lungi da me; e il timore, del quale egli mi teme, è un comandamento degli uomini, che è stato loro insegnato; perciò, ecco, io continuerò a fare inverso questo popolo maraviglie grandi, e stupende; e la sapienza de’ suoi savi perirà, e l’intendimento de’ suoi intendenti si nasconderà » (Isa. 29:13-14). Mentre gli uomini si occupano delle loro tradizioni, essi tralasciano le cose che Dio ha comandato nella Sua Parola.
Questo è ciò che indusse Isaia a protestare contro coloro che affermavano le tradizioni degli uomini, dicendo loro chiaramente che Dio minacciava di accecare i più saggi tra loro, perché essi si erano allontanati dalla pura regola della Sua Parola per seguire le loro stolte invenzioni. Parimenti S. Paolo allude alla medesima cosa, quando dice che essi non hanno timor di Dio nei loro occhi. Non inganniamoci, perché noi sappiamo che Dio esige che l’uomo viva rettamente, e si astenga da ogni violenza, crudeltà, malizia e falsità; che nessuna di queste cose compaia nella nostra vita. Ma coloro che non hanno timore di Dio davanti ai loro occhi, è evidente che sono in errore e che non vi è che corruzione in tutta la loro vita.
Se vogliamo sapere come dovrebbe essere regolata la nostra vita, esaminiamo il contenuto della Parola di Dio; perché non possiamo essere santificati dall’esibizione e dalla pomposità, sebbene queste siano così stimate tra gli uomini. Dobbiamo rivolgerci a Dio con sincerità, e riporre tutta la nostra fiducia in Lui; dobbiamo abbandonare l’orgoglio e la presunzione, e confidare in Lui con vera umiltà di pensieri affinché non siamo dominati dai sentimenti carnali. Dobbiamo sforzarci di mantenerci in riverenza, nella soggezione di Dio, e di fuggire la golosità, la lussuria, gli eccessi, il furto, la blasfemia, e gli altri mali. Così vediamo che Iddio vorrebbe che facessimo, affinché abbiamo la nostra vita ben regolata.
Quando gli uomini vogliono giustificarsi mediante le opere esteriori, è come coprire un cumulo di lordume con un telo di lino puro. Quindi, mettiamo da parte la lordura che è nascosta nei nostri cuori; io dico, allontaniamo il male da noi, e allora il Signore accetterà la nostra vita; così possiamo vedere in cosa consiste la vera conoscenza di Dio! Comprendere correttamente questo ci condurrà a vivere in obbedienza alla Sua volontà. Gli uomini non si sono così abbrutiti da non comprendere che esiste un Dio che li ha creati. Ma questa conoscenza, se essi non si sottomettono alle Sue richieste, serve come condanna per loro, perché i loro occhi sono accecati da Satana, tanto che sebbene il vangelo sia loro predicato, essi non lo comprendono; al giorno d’oggi vediamo molti in questa situazione. Quanti sono nel mondo quelli a cui è stata insegnata la dottrina del vangelo, e tuttavia continuano nella brutale ignoranza!
Questo è avvenuto perché Satana ha così posseduto la mente degli uomini con malvagi sentimenti che sebbene la luce possa splendere luminosa quanto mai, essi rimangono ciechi, e non vedono nulla. Impariamo, quindi, che la vera conoscenza di Dio ha una tale natura da mostrarsi da sé, e produrre frutti per tutta la nostra vita. Quindi, per conoscere Dio, come S. Paolo dice ai Corinzi, noi dobbiamo essere trasformati nella Sua immagine. Perché se fingiamo di conoscerlo, e allo stesso tempo la nostra vita è disordinata e malvagia, non servono testimoni per dimostrarci dei bugiardi; la nostra stessa vita produce sufficienti prove del fatto che siamo ipocriti e falsi, e che abusiamo del nome di Dio.
S. Paolo dice in un altro passo, se conoscete Gesù Cristo, dovete disfarvi dell’uomo vecchio; come se dicesse, non possiamo dichiarare di conoscere Gesù Cristo, solo riconoscendolo come nostro capo, e perché Egli ci accoglie come Suoi membri; questo non può avvenire se non ci disfiamo dell’uomo vecchio e diveniamo nuove creature. Il mondo ha in ogni epoca abusato scelleratamente del nome di Dio, come fa ancora oggi; quindi, riconosciamo la vera conoscenza della Parola di Dio, di cui parla S. Paolo.
In conclusione, non posiamo le nostre opere sulla bilancia, dicendo che sono buone e che ne abbiamo una buona opinione; ma comprendiamo che le buone opere sono quelle che Dio ha comandato nella Sua legge e che tutto ciò che possiamo fare oltre a quelle è nulla. Quindi, impariamo a plasmare la nostra vita secondo ciò che Iddio ha comandato; a confidare in Lui, ad invocarlo, a rendergli grazie, e ad accettare con pazienza qualunque cosa Gli piaccia di mandarci; a comportarci correttamente con il nostro prossimo, e a vivere onestamente davanti a tutti gli uomini. Queste sono le opere che Dio richiede dalle nostre mani.
Se non fossimo così perversi per natura, non ci sarebbe nessuno di noi che non saprebbe discernere queste cose: anche i bambini saprebbero discernerle. Le opere che Dio non ha comandato non sono che stoltezza e abominio, con le quali il puro servizio di Dio viene deturpato. Se desideriamo conoscere che cosa costituisce le buone opere di cui parla S. Paolo, dobbiamo mettere da parte tutte le invenzioni degli uomini, e semplicemente seguire le istruzioni contenute nella Parola di Dio, perché non abbiamo alcun’altra regola che quella data da Lui; che è quella che Egli accetterà quando ne renderemo conto nell’ultimo giorno, quando Egli soltanto sarà il giudice di tutta l’umanità.
Inginocchiamoci ora innanzi al volto del nostro buon Dio, riconoscendo i nostri falli, pregandolo di farceli percepire più distintamente, e di donarci un fiducia nel nome del nostro Signore Gesù Cristo tale che possiamo accostarci a Lui ed essere rassicurati che i nostri peccati sono perdonati e che Egli ci rende partecipi di una fede salda, con la quale ogni lordura possa essere eliminata.

(Da: http://www.federiformata.it/biblioteca/vita_cristiana/calvino_laparolasolaregola.html)

The Birds and the Trees: Mark 4:26–34, Other Text

http://www.biible.info/biible-share.jsp?url=http%3A%2F%2F311at.blogspot.com%2F2009%2F06%2Fbirds-and-trees.html&title=three+eleven%3A+The+Birds+and+the+Trees

(questo commento mi è piaciuto, lo potevo tradurre, ma con Google, lo lascio in inglese, chi non lo legge può utilizzare il traduttore che preferisce)

Sermons from Faith Lutheran Church, Cambridge, Massachusetts, USA

The Birds and the Trees

Text: Mark 4:26–34

Other texts: Ezekiel 17:22–24, 1 Samuel 16:1, 6-12

We just heard two of what are called Jesus’ agricultural parables. It turns out that Jesus wasn’t much of a farmer—he was a city boy—and some of these parables show that. For example, the mustard seed is not the smallest of all seeds, as any gardener would know. But the parables are not instructions about gardening, fortunately. They are ways to help us think about a God who might not think in exactly the same way that we do.
Parables demand interpretation. They are supposed to shake us up, and after being shaken, we are supposed to put our pieces together in a new way. So parables are not about what they seem, which means we have to think about what they are about.
A common way to interpret the parables we heard today, especially the second one about the tiny mustard seed, is to conclude that a little faith goes a long way. See, we say to our evangelistic selves, faith starts small in people but it grows and grows. Or, a small faithful church grows and grows. Or, small faithful movement. And our job, being faithful Christians, is to plant the seeds, to sow them, to scatter them, as it says. And though things look hopeless at first, much will be accomplished in the end. We are the agents, in this view, and the parable charges us to go out and do something. Because we are responsible. We are in control.
This notion, that it is up to us, places a great burden on us. It puts us right in the middle of the chain of salvation. No sower, yields no harvest. But it is attractive because we do like to think of ourselves as controlling the universe. And we try hard to do so.
But in the end, this only leads to suffering. Both in others and in ourselves, as we forcefully and sometimes forcibly manipulate events and people. We want to align things through our clever wills so that things work out the right way.
Out of this comes sorrow. For we are too puny, too ignorant, too mean, too short-sighted, and too mortal to succeed at this for long. We are not in control, and life has a sometimes harsh way of reminding us of that.
God does not think as we do. (I think.) We are made in the image of God, and we therefore share some parts of God’s nature, but who knows what those parts are? God is not totally weird to us—that’s one of the great things about God—but God is constantly reminding us in scripture (and in life) that God has different ideas than we do.
In the passage from the first book of Samuel, God’s prophet Samuel is sent to the house of a man named Jesse. Samuel’s job is to pick out the next king of Israel. “It must be this tall, strong, oldest son,” thinks Samuel. Nope, not him, says God. “Then surely it is the second son,” thinks Samuel. Wrong again, says God. This goes on through five other men, seven sons in all. None are God’s choice. In the end, young David, just a boy, is called in from his job tending the sheep. David is the one. David is chosen, and in the end he becomes Israel’s greatest king. The Lord teaches Samuel that mortals—people, you and me—see things one way, God sees something else.
In Ezekiel, what we think to be high and mighty, God brings low. The poor and despised, God raises up. What prospers, God diminishes. What is impoverished, God nourishes. The things that people do, God undoes. The things people neglect, God provides for.
It is not, I think, that God is wiser than we are, or smarter, or knows more, or is more just, though all those things are no doubt true. It is that God is freer than we are. God is less burdened by all the things that not only cloud our vision but, even when we see what must be done, make us deny what we see. We bring to every situation a lot of baggage that God is evidently free of.
The parables in Mark tell us, they say, something about what the kingdom of God is like. If that is so, then the rule of God—which is what the kingdom means; the place in which God’s rule prevails—the kingdom is a place, first, of life and growth. These are about living, growing things. And it is a place, second, of provision and plenty. Ripe wheat comes from the harvest. Great shrubs are full with large branches. And it is place, third, of utility, of usefulness. The grain is harvested for nourishment. The branches provide homes for the birds.
And finally, it is a place in which God does the work, not us.
We are the beneficiaries, not the agents. We are not responsible for the useful bounty that comes out of these gardens. It is as if, it says in Mark, as if someone were to scatter seed on the ground and then sleep and rise day and night. How that works, the scatterer does not need to know. The earth produces of itself. And then, after all this happens, that “someone” gathers all the harvest. What these parables say—and they are not alone in the Gospel—is that God provides for us, God’s creatures.
Whenever we hear or read scripture, it is good to pay attention to how we feel. To our hearts. How we feel is a good clue—a better clue than what we think—it is a good clue to what’s going on in the text. And in these parables and in the words of Ezekiel, I suspect, we do not hear yet another burden that God has put on our shoulders. Instead, we hear them with thanksgiving. They comfort us rather than frighten us. That is because the burden is taken up by God. “I, the Lord, have spoken. I will accomplish it,” it says in Ezekiel. I will undo the injustices, I will give water to those who thirst. I will provide dwelling places for my creatures. I the Lord will do these things.
God is the source of all life. We are the living. God gives us life and sustains us. We are the birds. Without the bush, we have no place to nest. We are the tree. Without water we die. God provides the bush, God provides the water. Without God, there is nothing.
The parables are not stories about our power, about how powerful we are. Our power is a joke. A myth. The cause of our sadness. They are instead stories about our dependence, about our powerlessness.
We long for freedom and peace and fulfillment in our lives. Jesus teaches us in the parables that we will not find them in our power to control the world, but in God’s power to provide for us.

Thanks be to God.

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