Archive pour la catégorie 'PAPA BENEDETTO – ENCICLICHE – COMMENTI'

Papa Benedetto XVI, Spe Salvi: « A causa della loro incredulità »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090731

Venerdì della XVII settimana del Tempo Ordinario : Mt 13,54-58
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Enciclica « Spe Salvi », 47 (© Libreria Editrice Vaticana)

« A causa della loro incredulità »

Alcuni teologi recenti sono dell’avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa « come attraverso il fuoco ». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio.

Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia.

Papa Benedetto XVI, Spe Salvi 45-46: « A riva »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090730

Giovedì della XVII settimana del Tempo Ordinario : Mt 13,47-53
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Enciclica « Spe Salvi », 45-46

« A riva »

Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell’intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno.

Dall’altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d’ora l’intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono.

Secondo le nostre esperienze, tuttavia, né l’uno né l’altro è il caso normale dell’esistenza umana. Nella gran parte degli uomini – così possiamo supporre – rimane presente nel più profondo della loro essenza un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amore, per Dio. Nelle concrete scelte di vita, però, essa è ricoperta da sempre nuovi compromessi col male… Che cosa avviene di simili individui quando compaiono davanti al Giudice? Tutte le cose sporche che hanno accumulate nella loro vita diverranno forse di colpo irrilevanti?… San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, ci dà un’idea del differente impatto del giudizio di Dio sull’uomo a seconda delle sue condizioni… « Se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco » (3,12-15).

Papa Bendetto XVI; « Spe salvi »: « Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090526

Martedì della VII settimana di Pasqua : Jn 17,1-11
Meditazione del giorno
Papa Bendetto XVI
Enciclica « Spe Salvi » § 41,43 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato  »

Nel grande Credo della Chiesa la parte centrale, che tratta del mistero di Cristo a partire dalla nascita eterna dal Padre e dalla nascita temporale dalla Vergine Maria per giungere attraverso la croce e la risurrezione fino al suo ritorno, si conclude con le parole: « …di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ». La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l’alto, ma sempre anche in avanti verso l’ora della giustizia che il Signore aveva ripetutamente preannunciato.

In Lui, il Crocifisso, la negazione di immagini sbagliate di Dio è portata all’estremo. Ora Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la « revoca » della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto.

Per questo la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza – quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli. Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna. Il bisogno soltanto individuale di un appagamento che in questa vita ci è negato, dell’immortalità dell’amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l’uomo sia fatto per l’eternità; ma solo in collegamento con l’impossibilità che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita.

Papa Benedetto XVI, dalla « Spe salvi »: « Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090515

Venerdì della I settimana di Pasqua : Jn 15,12-17
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Enciclica « Spe salvi », § 38-39 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi »

La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana… La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell’umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna…

Soffrire con l’altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell’amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l’abbandono dei quali distruggerebbe l’uomo stesso. Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci?… Alla fede cristiana, nella storia dell’umanità, spetta proprio questo merito di aver suscitato nell’uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la Verità e l’Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi.

un bel commento alla « Spe Salvi », Paolo è presente…come sempre

dal sito:

http://digilander.libero.it/fiudacs/documenti/enciclica%20Spes%20salvi.pdf

«Spe salvi facti sumus» – nella speranza siamo stati salvati. Dopo la celebrazione dell’amore nella “Deus caritas est”, adesso tocca alla speranza. Questo il tema della seconda enciclica di papa Benedetto XVI nel terzo anno del suo pontificato. Ancora un approfondimento su una virtù teologale che l’articolo 2090 del Catechismo della Chiesa Cattolica definisce come « l’attesa fiduciosa della benedizione divina e della beata visione di Dio ». Una virtù, la speranza, che si proietta verso una futura realtà ultraterrena, che riguarda, in una prospettiva di fede, il nostro destino post mortem. Ma anche una “dote” necessaria per affrontare il presente il quale “può essere vissuto e accettato – si legge nell’introduzione all’enciclica – se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. L’enciclica parte da una considerazione: la speranza suggerisce la redenzione, la annuncia, la prevede, la rende certa. La speranza è una caratteristica distintiva dei cristiani. L’avvento di Gesù, la sua morte in croce e, sopra ogni cosa la sua resurrezione, hanno spalancato la porta oscura del futuro. Benedetto XVI porta l’esempio della santa africana Giuseppina Bakhita, della sua traumatica esperienza di schiava testimoniata “sulla sua pelle” da 144 cicatrici, di come la conoscenza di Cristo l’avesse fortificata nella consapevolezza di essere definitivamente amata e attesa “alla destra di Dio Padre”. Bakhita, diventata poi suora Canossiana, sentiva come la speranza in Cristo fosse più forte delle sofferenze della schiavitù, avvertiva come il cielo non fosse vuoto, che la morte non fosse il capolinea della vita, che “la vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c’è una volontà personale, c’è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore”. Nel determinare come non campata in aria la nostra speranza Benedetto XVI mette sotto osservazione una frase tratta dal capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei dove si dice che la fede è sostanza delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono. Ciò significa che la fede non è da intendere come la tensione del credente verso un futuro di cui non si hanno riscontri nel presente bensì scrive il papa “la fede attira dentro il presente il futuro”. L’eternità non è un “poi” che si spalanca un attimo dopo il nostro funerale, ma è qui, ora, adesso. «E’ attesa delle cose future a partire da un presente già donato… E’ attesa alla presenza di Cristo, col Cristo presente…». Ma, si domanda il papa: «La fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita?». Oppure è solo un insieme di informazioni che si aggiungono e si sovrappongono alle altre senza che si maturi una consapevole e fattiva adesione? Se così fosse il Battesimo non è più il placet sacramentale alla vita eterna bensì un’occasione per socializzare, per rispettare il cliché comunitario del perfetto cristiano. Quante volte la liturgia che guida i sacramenti si rimpalla sui nostri visi senza che ci “perfori” nell’intimo”. Quelle parole intrise dell’amore di Dio che fluttuano a mezz’aria in chiese vecchie e nuove di cui nessuno sembra impossessarsi. Papa Ratzinger in un passaggio tra i più significativi dell’enciclica – come se fosse sceso tra le borgate di Roma a sentire il polso della gente – si chiede chi di noi voglia ancora vivere eternamente. «Forse oggi – scrive il papa – molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno – senza fine – appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine – questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile». Una sorta di Paradisofobia. Meglio non pensarci. Più saggio vivere il presente, aggredirlo come si fa con un melograno maturo. Che beatitudine impiastricciarsi la bocca, godendosi l’attimo fin che dura. Discutere “sul sempre” chiude lo stomaco. Parlare di “eternità” contorce le viscere. Benedetto XVI tenta di recuperare quella tensione verso un’eternità che non si conosce nei dettagli, nelle “rifiniture”, ma della quale, se schiudiamo le dighe del cuore, avvertiamo l’attrazione. E’ quella che Sant’Agostino chiama “docta ignorantia”. Non conosciamo come l’eternità sia “arredata”, ma sappiamo che qualcosa da arredare c’è. Anche se Benedetto XVI ammette che la parola “vita eterna” – la quale cerca di dare un nome a questo sconosciuto aldilà – necessariamente è un termine insufficiente che crea confusione. Scrive il Papa: «Eterno, infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; vita ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e che non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia». L’Illuminismo, il Comunismo hanno cercato di declinare sulla terra la pretesa cristiana nel Paradiso. Sistemi filosofici che proponevano una ricetta per la felicità da imporre a tutti gli uomini dimenticando il primato della loro libertà. Fossimo marionette, il Marxismo avrebbe funzionato. Fossimo fantocci, con  l’espropriazione della classe dominante, il crollo politico e la socializzazione dei mezzi di produzione probabilmente avremmo realizzato la Nuova Gerusalemme. Ma il Paradiso non è solo una questione di economia da ritoccare o semmai rivoluzionare. Dal Rinascimento il pericolo che maggiormente mina la speranza cristiana è l’arroganza della tecnica, la tirannia di chi vuole svuotare il cielo per creare un Paradiso in terra. Così come una ragione che si specchia narcisisticamente in se stessa, che non si integra al discernimento tra bene e male, non può veicolare la speranza cristiana all’eternità. La scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. La scienza è utile, ma non redime l’uomo. «L’uomo – dice il papa – viene redento mediante l’amore».Un amore incondizionato, certo, dal quale “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura” possa mai separarci. Quali sono oggi le isole felici della speranza cristiana, luoghi in cui la speranza si può apprendere ed esercitare? Il Papa indica in prima istanza la preghiera. «Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi », Dio può farlo. E qui viene citata l’esperienza del cardinale vietnamita Van Thuan, 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento. Preghiera come esercizio del desiderio per dirla alla Sant’Agostino. Un allargamento e una preparazione del cuore umano a  contenere l’amore infinito di Dio. Una preghiera altruista, non banale. Una preghiera che non si sofferma sulla superficialità di beni effimeri. Una preghiera che non trascuri il bene della comunità. In secondo luogo papa Benedetto XVI focalizza l’attenzione sull’agire serio e retto dell’uomo definito come speranza in atto. «Lo è innanzitutto – scrive il Papa – nel senso che cerchiamo così di portare avanti le nostre speranze, più piccole o più grandi: risolvere questo o quell’altro compito che per l’ulteriore cammino della nostra vita è importante; col nostro impegno dare un contributo affinché il mondo diventi più luminoso e umano». Ma anche la sofferenza è un luogo di apprendimento della speranza, come insegna il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin, morto nel 1857. Infine Benedetto XVI cita il Giudizio di Dio, ribadendo la dottrina sull’esistenza del purgatorio e dell’inferno. Non va da sé che il carnefice possa “banchettare” con la vittima. Anche se il Giudizio non è solo pura giustizia – in questo caso «potrebbe essere per tutti noi solo motivo di paura». Invece è anche grazia e questo «consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro ‘avvocato’».  

Bruno Silini, Segretario nazionale  

FIUDACS associa Unioni diocesane di Addetti al Culto/Sacristi dislocate in tutt’Italia.

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