BENEDETTO XVI CI SPIEGA PERCHÉ LA TRADIZIONE HA “INSERITO” L’ASINO E IL BUE NELLA STALLA DI BETLEMME
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BENEDETTO XVI CI SPIEGA PERCHÉ LA TRADIZIONE HA “INSERITO” L’ASINO E IL BUE NELLA STALLA DI BETLEMME.
“Il bue e l’asino del presepe non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento.
n Isaia leggiamo: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.
Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino.
Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.
Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”? Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è cieca? Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale.
Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò? Orbene, il primo a non riconoscere fu Erode.
Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione(Mt 2,3).
A non riconoscere fu poi “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).
A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” – se paragonati con queste persone rinomate – i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è Lui, non abitano le persone raffinate, quelle che si sentono sapienti, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.
E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo?
Non ci perdiamo anche noi, troppo spesso, in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di Lui?
Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare il Bambino?
In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda: il mio popolo non comprende: comprendi tu la voce del tuo Signore?
Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta San Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di San Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla Messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia.”
(Joseph Ratzinger, “Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa”)