Archive pour la catégorie 'CATECHESI DEL MERCOLEDÌ'

OGGI È IL COMPLEANNO DI PAPA BENEDETTO – 91 ANNI – UN PENSIERO AFFETTUOSO E DEFERENTE : BENEDETTO XVI – LO SPIRITO E L’«ABBÀ» DEI CREDENTI (GAL 4, 6-7; RM 8, 14-17)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120523.html

OGGI È IL COMPLEANNO DI PAPA BENEDETTO – 91 ANNI – UN PENSIERO AFFETTUOSO E DEFERENTE :
BENEDETTO XVI – LO SPIRITO E L’«ABBÀ» DEI CREDENTI (GAL 4, 6-7; RM 8, 14-17)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 23 maggio 2012

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso ho mostrato come san Paolo dice che lo Spirito Santo è il grande maestro della preghiera e ci insegna a rivolgerci a Dio con i termini affettuosi dei figli, chiamandolo «Abbà, Padre». Così ha fatto Gesù; anche nel momento più drammatico della sua vita terrena, Egli non ha mai perso la fiducia nel Padre e lo ha sempre invocato con l’intimità del Figlio amato. Al Getsemani, quando sente l’angoscia della morte, la sua preghiera è: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sin dai primi passi del suo cammino, la Chiesa ha accolto questa invocazione e l’ha fatta propria, soprattutto nella preghiera del Padre nostro, in cui diciamo quotidianamente: «Padre… sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6,9-10). Nelle Lettere di san Paolo la ritroviamo due volte. L’Apostolo, lo abbiamo sentito ora, si rivolge ai Galati con queste parole: «E che voi siete figli lo prova che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida in noi: Abbà! Padre!» (Gal 4,6). E al centro di quel canto allo Spirito che è il capitolo ottavo della Lettera ai Romani, san Paolo afferma: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,15). Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell’amore al Padre che ci ama. Queste due dense affermazioni ci parlano dell’invio e dell’accoglienza dello Spirito Santo, il dono del Risorto, che ci rende figli in Cristo, il Figlio Unigenito, e ci colloca in una relazione filiale con Dio, relazione di profonda fiducia, come quella dei bambini; una relazione filiale analoga a quella di Gesù, anche se diversa è l’origine e diverso è lo spessore: Gesù è il Figlio eterno di Dio che si è fatto carne, noi invece diventiamo figli in Lui, nel tempo, mediante la fede e i Sacramenti del Battesimo e della Cresima; grazie a questi due sacramenti siamo immersi nel Mistero pasquale di Cristo. Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri umani perché, come precisa la benedizione divina della Lettera agli Efesini, Dio, in Cristo, «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,4).
Forse l’uomo d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola «padre» con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana. L’assenza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi. Da Gesù stesso, dal suo rapporto filiale con Dio, possiamo imparare che cosa significhi propriamente «padre», quale sia la vera natura del Padre che è nei cieli. Critici della religione hanno detto che parlare del «Padre», di Dio, sarebbe una proiezione dei nostri padri al cielo. Ma è vero il contrario: nel Vangelo, Cristo ci mostra chi è padre e come è un vero padre, così che possiamo intuire la vera paternità, imparare anche la vera paternità. Pensiamo alla parola di Gesù nel sermone della montagna dove dice: «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). È proprio l’amore di Gesù, il Figlio Unigenito – che giunge al dono di se stesso sulla croce – che ci rivela la vera natura del Padre: Egli è l’Amore, e anche noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore di Dio che purifica i nostri desideri, i nostri atteggiamenti segnati dalla chiusura, dall’autosufficienza, dall’egoismo tipici dell’uomo vecchio.
Potremmo quindi dire che in Dio l’essere Padre ha due dimensioni. Anzitutto, Dio è nostro Padre, perché è nostro Creatore. Ognuno di noi, ogni uomo e ogni donna è un miracolo di Dio, è voluto da Lui ed è conosciuto personalmente da Lui. Quando nel Libro della Genesi si dice che l’essere umano è creato a immagine di Dio (cfr 1,27), si vuole esprimere proprio questa realtà: Dio è il nostro padre, per Lui non siamo esseri anonimi, impersonali, ma abbiamo un nome. E una parola nei Salmi mi tocca sempre quando la prego: «Le tue mani mi hanno plasmato», dice il salmista (Sal 119,73). Ognuno di noi può dire, in questa bella immagine, la relazione personale con Dio: «Le tue mani mi hanno plasmato. Tu mi hai pensato e creato e voluto». Ma questo non basta ancora. Lo Spirito di Cristo ci apre ad una seconda dimensione della paternità di Dio, oltre la creazione, poiché Gesù è il «Figlio» in senso pieno, «della stessa sostanza del Padre», come professiamo nel Credo. Diventando un essere umano come noi, con l’Incarnazione, la Morte e la Risurrezione, Gesù a sua volta ci accoglie nella sua umanità e nel suo stesso essere Figlio, così anche noi possiamo entrare nella sua specifica appartenenza a Dio. Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù: noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra vita. E’ questa realtà fondamentale che ci viene dischiusa quando ci apriamo allo Spirito Santo ed Egli ci fa rivolgere a Dio dicendogli «Abbà!», Padre. Siamo realmente entrati oltre la creazione nella adozione con Gesù; uniti, siamo realmente in Dio e figli in un nuovo modo, in una dimensione nuova.
Ma vorrei adesso ritornare ai due brani di san Paolo che stiamo considerando circa questa azione dello Spirito Santo nella nostra preghiera; anche qui sono due passi che si corrispondono, ma contengono una diversa sfumatura. Nella Lettera ai Galati, infatti, l’Apostolo afferma che lo Spirito grida in noi «Abbà! Padre!»; nella Lettera ai Romani dice che siamo noi a gridare «Abbà! Padre!». E San Paolo vuole farci comprendere che la preghiera cristiana non è mai, non avviene mai in senso unico da noi a Dio, non è solo un «agire nostro», ma è espressione di una relazione reciproca in cui Dio agisce per primo: è lo Spirito Santo che grida in noi, e noi possiamo gridare perché l’impulso viene dallo Spirito Santo. Noi non potremmo pregare se non fosse iscritto nella profondità del nostro cuore il desiderio di Dio, l’essere figli di Dio. Da quando esiste, l’homo sapiens è sempre in ricerca di Dio, cerca di parlare con Dio, perché Dio ha iscritto se stesso nei nostri cuori. Quindi la prima iniziativa viene da Dio, e con il Battesimo, di nuovo Dio agisce in noi, lo Spirito Santo agisce in noi; è il primo iniziatore della preghiera perché possiamo poi realmente parlare con Dio e dire “Abbà” a Dio. Quindi la sua presenza apre la nostra preghiera e la nostra vita, apre agli orizzonti della Trinità e della Chiesa.
Inoltre comprendiamo, questo è il secondo punto, che la preghiera dello Spirito di Cristo in noi e la nostra in Lui, non è solo un atto individuale, ma un atto dell’intera Chiesa. Nel pregare si apre il nostro cuore, entriamo in comunione non solo con Dio, ma proprio con tutti i figli di Dio, perché siamo una cosa sola. Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore, nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo. Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio; certo i musicisti e gli strumenti sono diversi – e questo è un elemento di ricchezza -, ma la melodia di lode è unica e in armonia. Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: «Abbà! Padre!» è la Chiesa, tutta la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra invocazione è invocazione della Chiesa. Questo si riflette anche nella ricchezza dei carismi, dei ministeri, dei compiti, che svolgiamo nella comunità. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «Ci sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; ci sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; ci sono diverse attività, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6). La preghiera guidata dallo Spirito Santo, che ci fa dire «Abbà! Padre!» con Cristo e in Cristo, ci inserisce nell’unico grande mosaico della famiglia di Dio in cui ognuno ha un posto e un ruolo importante, in profonda unità con il tutto.
Un’ultima annotazione: noi impariamo a gridare «Abba!, Padre!» anche con Maria, la Madre del Figlio di Dio. Il compimento della pienezza del tempo, del quale parla san Paolo nella Lettera ai Galati (cfr 4,4), avviene al momento del «sì» di Maria, della sua adesione piena alla volontà di Dio: «ecco, sono la serva del Signore» (Lc 1,38).
Cari fratelli e sorelle, impariamo a gustare nella nostra preghiera la bellezza di essere amici, anzi figli di Dio, di poterlo invocare con la confidenza e la fiducia che ha un bambino verso i genitori che lo amano. Apriamo la nostra preghiera all’azione dello Spirito Santo perché in noi gridi a Dio «Abbà! Padre!» e perché la nostra preghiera cambi, converta costantemente il nostro pensare, il nostro agire per renderlo sempre più conforme a quello del Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Grazie.

BENEDETTO XVI, UDIENZA GENERALE: L’IDENTITÀ DEI CRISTIANI CONTRASSEGNATA DALLO SPIRITO SANTO

http://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/BENEDETTO-XVI-UDIENZA-GENERALE-L-IDENTITA-DEI-CRISTIANI-CONTRASSEGNATA-DALLO-SPIRITO-SANTO

BENEDETTO XVI, UDIENZA GENERALE: L’IDENTITÀ DEI CRISTIANI CONTRASSEGNATA DALLO SPIRITO SANTO

15/11/2006 di Archivio Notizie

La meditazione di oggi sarà sullo Spirito Santo e sulla sua presenza in noi?, seguendo l’insegnamento di San Paolo apostolo, un ?gigante non solo nell’apostolato, ma anche nella dottrina teologica, profondamente stimolante?: lo ha detto, stamattina, il Papa, nella sua catechesi all’udienza generale in piazza San Pietro. Ricordando quanto scrive san Luca negli Atti degli apostoli, Benedetto XVI ha evidenziato come ?lo Spirito pentecostale porti una spinta all’impegno missionario e a testimoniare il Vangelo nel mondo?. Gli Atti degli apostoli, infatti, ?raccontano delle missioni compiute dagli apostoli nel mondo e soprattutto i tre viaggi missionari compiuti da san Paolo?. L’apostolo delle genti nella Lettera ai Romani, ha sottolineato il Papa, ?ci parla dello Spirito Santo sotto un’altra angolatura: non si ferma alla dimensione dinamica e operativa della Terza persona della Santissima Trinità, ma parla della sua presenza nella vita dei cristiani?, la cui ?identità? ne risulta, perciò, ?contrassegnata?.
In altre parole, ha aggiunto Benedetto XVI, ?Paolo riflette sullo Spirito Santo esponendo il suo influsso non solo sull’agire del cristiano, ma anche sul nostro essere. Infatti, Paolo dice che lo Spirito di Dio abita in noi e Dio ha inviato lo Spirito del Suo Figlio nei nostri cuori. Dunque, lo Spirito ci connota fin nelle nostre più intime profondità personali?. Il cristiano, ?ancor prima di agire?, ha proseguito il Santo Padre, ?possiede già un’interiorità ricca e feconda donataci dai sacramenti del Battesimo e della Cresima, un’interiorità che ci stabilisce in oggettivo e originale rapporto di filiazione nei confronti di Dio?. Questa, per il Papa, ?è la nostra grande dignità di non essere soltanto immagine, ma figli di Dio? e ?essere sempre più consapevoli di essere figli adottivi nella grande famiglia di Dio?. Di qui viene l’invito ?a trasformare questo dono oggettivo anche in una realtà soggettiva, determinante per il nostro pensare, agire, essere?. San Paolo ci insegna anche che ?non esiste una preghiera senza la presenza dello Spirito in noi?. ?Com’è vero ? ha commentato il Papa ? che non sappiamo parlare con Dio?, ma ?lo Spirito Santo intercede per noi, prega per noi?, secondo i disegni di Dio.
Lo Spirito Santo è, ha spiegato il Papa nell’Udienza generale, ?come l’anima della nostra anima, la parte più segreta del nostro essere; è ?sempre desto? in noi e ?supplisce alle nostre carenze. Naturalmente ciò richiede ?una grande comunione vitale con lo Spirito? e un invito a essere sempre più attenti alla sua ?presenza silenziosa?. Un altro insegnamento di san Paolo è ?la connessione dello Spirito Santo con l’amore?. Lo Spirito è, dunque, ?una potenza interiore che armonizza il nostro cuore con il cuore di Cristo e ci muove ad amare i fratelli come li ha amati Lui?. Tra i frutti dello Spirito Santo, al primo posto, ha ricordato Benedetto XVI, ?Paolo pone l’amore, gioia, pace? e poiché ?per definizione l’amore unisce, lo Spirito innanzitutto è creatore di comunione all’interno della comunità cristiana?. È anche vero, ha aggiunto, ?che lo Spirito ci stimola ad intrecciare rapporti di carità con tutti gli uomini, sicché quando noi andiamo, diamo spazio allo Spirito, gli permettiamo di esprimersi in pienezza?. Da Paolo, ha concluso il Papa, ?sappiamo che l’azione dello Spirito orienta la nostra vita verso i grandi valori dell’amore, la gioia, la comunione e la speranza. Spetta a noi far ogni giorno questa esperienza, assecondando gli interiori suggerimenti dello Spirito?.
Sir

UDIENZA GENERALE – 8. Liturgia della Parola: I. Dialogo tra Dio e il suo popolo

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2018/documents/papa-francesco_20180131_udienza-generale.html

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 31 gennaio 2018

La Santa Messa – 8. Liturgia della Parola: I. Dialogo tra Dio e il suo popolo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo oggi le catechesi sulla Santa Messa. Dopo esserci soffermati sui riti d’introduzione, consideriamo ora la Liturgia della Parola, che è una parte costitutiva perché ci raduniamo proprio per ascoltare quello che Dio ha fatto e intende ancora fare per noi. E’ un’esperienza che avviene “in diretta” e non per sentito dire, perché «quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella parola, annunzia il Vangelo» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 29; cfr Cost. Sacrosanctum Concilium, 7; 33). E quante volte, mentre viene letta la Parola di Dio, si commenta: “Guarda quello…, guarda quella…, guarda il cappello che ha portato quella: è ridicolo…”. E si cominciano a fare dei commenti. Non è vero? Si devono fare dei commenti mentre si legge la Parola di Dio? [rispondono: “No!”]. No, perché se tu fai delle chiacchiere con la gente non ascolti la Parola di Dio. Quando si legge la Parola di Dio nella Bibbia – la prima Lettura, la seconda, il Salmo responsoriale e il Vangelo – dobbiamo ascoltare, aprire il cuore, perché è Dio stesso che ci parla e non pensare ad altre cose o parlare di altre cose. Capito?… Vi spiegherò che cosa succede in questa Liturgia della Parola.
Le pagine della Bibbia cessano di essere uno scritto per diventare parola viva, pronunciata da Dio. È Dio che, tramite la persona che legge, ci parla e interpella noi che ascoltiamo con fede. Lo Spirito «che ha parlato per mezzo dei profeti» (Credo) e ha ispirato gli autori sacri, fa sì che «la parola di Dio operi davvero nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi» (Lezionario, Introd., 9). Ma per ascoltare la Parola di Dio bisogna avere anche il cuore aperto per ricevere le parole nel cuore. Dio parla e noi gli porgiamo ascolto, per poi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato. È molto importante ascoltare. Alcune volte forse non capiamo bene perché ci sono alcune letture un po’ difficili. Ma Dio ci parla lo stesso in un altro modo. [Bisogna stare] in silenzio e ascoltare la Parola di Dio. Non dimenticatevi di questo. Alla Messa, quando incominciano le letture, ascoltiamo la Parola di Dio.
Abbiamo bisogno di ascoltarlo! E’ infatti una questione di vita, come ben ricorda l’incisiva espressione che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). La vita che ci dà la Parola di Dio. In questo senso, parliamo della Liturgia della Parola come della “mensa” che il Signore imbandisce per alimentare la nostra vita spirituale. E’ una mensa abbondante quella della liturgia, che attinge largamente ai tesori della Bibbia (cfr SC, 51), sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, perché in essi è annunciato dalla Chiesa l’unico e identico mistero di Cristo (cfr Lezionario, Introd., 5). Pensiamo alla ricchezza delle letture bibliche offerte dai tre cicli domenicali che, alla luce dei Vangeli Sinottici, ci accompagnano nel corso dell’anno liturgico: una grande ricchezza. Desidero qui ricordare anche l’importanza del Salmo responsoriale, la cui funzione è di favorire la meditazione di quanto ascoltato nella lettura che lo precede. E’ bene che il Salmo sia valorizzato con il canto, almeno nel ritornello (cfr OGMR, 61; Lezionario, Introd., 19-22).
La proclamazione liturgica delle medesime letture, con i canti desunti dalla Sacra Scrittura, esprime e favorisce la comunione ecclesiale, accompagnando il cammino di tutti e di ciascuno. Si capisce pertanto perché alcune scelte soggettive, come l’omissione di letture o la loro sostituzione con testi non biblici, siano proibite. Ho sentito che qualcuno, se c’è una notizia, legge il giornale, perché è la notizia del giorno. No! La Parola di Dio è la Parola di Dio! Il giornale lo possiamo leggere dopo. Ma lì si legge la Parola di Dio. È il Signore che ci parla. Sostituire quella Parola con altre cose impoverisce e compromette il dialogo tra Dio e il suo popolo in preghiera. Al contrario, [si richiede] la dignità dell’ambone e l’uso del Lezionario, la disponibilità di buoni lettori e salmisti. Ma bisogna cercare dei buoni lettori!, quelli che sappiano leggere, non quelli che leggono [storpiando le parole] e non si capisce nulla. E’ così. Buoni lettori. Si devono preparare e fare la prova prima della Messa per leggere bene. E questo crea un clima di silenzio ricettivo[1].
Sappiamo che la parola del Signore è un aiuto indispensabile per non smarrirci, come ben riconosce il Salmista che, rivolto al Signore, confessa: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Come potremmo affrontare il nostro pellegrinaggio terreno, con le sue fatiche e le sue prove, senza essere regolarmente nutriti e illuminati dalla Parola di Dio che risuona nella liturgia?
Certo non basta udire con gli orecchi, senza accogliere nel cuore il seme della divina Parola, permettendole di portare frutto. Ricordiamoci della parabola del seminatore e dei diversi risultati a seconda dei diversi tipi di terreno (cfr Mc 4,14-20). L’azione dello Spirito, che rende efficace la risposta, ha bisogno di cuori che si lascino lavorare e coltivare, in modo che quanto ascoltato a Messa passi nella vita quotidiana, secondo l’ammonimento dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Parola di Dio fa un cammino dentro di noi. La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani. Impariamo queste cose. Grazie!

 

BENEDETTO XVI – LA SANTITÀ (2011)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20110413.html

BENEDETTO XVI – LA SANTITÀ

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 13 aprile 2011

Cari fratelli e sorelle,

nelle Udienze generali di questi ultimi due anni ci hanno accompagnato le figure di tanti Santi e Sante: abbiamo imparato a conoscerli più da vicino e a capire che tutta la storia della Chiesa è segnata da questi uomini e donne che con la loro fede, con la loro carità, con la loro vita sono stati dei fari per tante generazioni, e lo sono anche per noi. I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50). Al termine di questo ciclo di catechesi, vorrei allora offrire qualche pensiero su che cosa sia la santità.
Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla del grande disegno di Dio e afferma: “In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). E parla di noi tutti. Al centro del disegno divino c’è Cristo, nel quale Dio mostra il suo Volto: il Mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto carne. E Paolo poi dice: “E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza” (Col 1,19). In Cristo il Dio vivente si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile affinché ognuno possa attingere dalla sua pienezza di grazia e di verità (cfr Gv 1,14-16). Perciò, tutta l’esistenza cristiana conosce un’unica suprema legge, quella che san Paolo esprime in una formula che ricorre in tutti i suoi scritti: in Cristo Gesù. La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. E’ l’essere conformi a Gesù, come afferma san Paolo: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). E sant’Agostino esclama: “Viva sarà la mia vita tutta piena di Te” (Confessioni, 10,28). Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso: “Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e … seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (n. 41).
Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma. Per dirlo ancora una volta con il Concilio Vaticano II: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta” (ibid., 40). La santità ha dunque la sua radice ultima nella grazia battesimale, nell’essere innestati nel Mistero pasquale di Cristo, con cui ci viene comunicato il suo Spirito, la sua vita di Risorto. San Paolo sottolinea in modo molto forte la trasformazione che opera nell’uomo la grazia battesimale e arriva a coniare una terminologia nuova, forgiata con la preposizione “con”: con-morti, con-sepolti, con-risucitati, con-vivificati con Cristo; il nostro destino è legato indissolubilmente al suo. “Per mezzo del battesimo – scrive – siamo stati sepolti insieme con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Ma Dio rispetta sempre la nostra libertà e chiede che accettiamo questo dono e viviamo le esigenze che esso comporta, chiede che ci lasciamo trasformare dall’azione dello Spirito Santo, conformando la nostra volontà alla volontà di Dio.
Come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l’agire con Cristo e di Cristo? Qual è l’anima della santità? Di nuovo il Concilio Vaticano II precisa; ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. “«Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché la carità, come un buon seme, cresca nell’anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l’aiuto della grazia, compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’Eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all’esercizio di ogni virtù. La carità infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Forse anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po’ troppo solenne, forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l’esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo” (Lumen gentium, 42). Questa è la vera semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell’essere santi.
Ecco perché sant’Agostino, commentando il capitolo quarto della Prima Lettera di san Giovanni, può affermare una cosa coraggiosa: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”. E continua: “Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; vi sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene” (7,8: PL 35). Chi è guidato dall’amore, chi vive la carità pienamente è guidato da Dio, perché Dio è amore. Così vale questa parola grande: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”.
Forse potremmo chiederci: possiamo noi, con i nostri limiti, con la nostra debolezza, tendere così in alto? La Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. In realtà devo dire che anche per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle nel firmamento della storia. E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità.
Nella comunione dei Santi, canonizzati e non canonizzati, che la Chiesa vive grazie a Cristo in tutti i suoi membri, noi godiamo della loro presenza e della loro compagnia e coltiviamo la ferma speranza di poter imitare il loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna.
Cari amici, come è grande e bella, e anche semplice, la vocazione cristiana vista in questa luce! Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana. Ancora una volta san Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13). Vorrei invitare tutti ad aprirsi all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua Parola, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore. Grazie.

PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 24. LO SPIRITO SANTO CI FA ABBONDARE NELLA SPERANZA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2017/documents/papa-francesco_20170531_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 24. LO SPIRITO SANTO CI FA ABBONDARE NELLA SPERANZA

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 31 maggio 2017

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nell’imminenza della solennità di Pentecoste non possiamo non parlare del rapporto che c’è tra la speranza cristiana e lo Spirito Santo. Lo Spirito è il vento che ci spinge in avanti, che ci mantiene in cammino, ci fa sentire pellegrini e forestieri, e non ci permette di adagiarci e di diventare un popolo “sedentario”.
La lettera agli Ebrei paragona la speranza a un’àncora (cfr 6,18-19); e a questa immagine possiamo aggiungere quella della vela. Se l’àncora è ciò che dà alla barca la sicurezza e la tiene “ancorata” tra l’ondeggiare del mare, la vela è invece ciò che la fa camminare e avanzare sulle acque. La speranza è davvero come una vela; essa raccoglie il vento dello Spirito Santo e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva.
L’apostolo Paolo conclude la sua Lettera ai Romani con questo augurio: sentite bene, ascoltate bene che bell’augurio: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (15,13). Riflettiamo un po’ sul contenuto di questa bellissima parola.
L’espressione “Dio della speranza” non vuol dire soltanto che Dio è l’oggetto della nostra speranza, cioè Colui che speriamo di raggiungere un giorno nella vita eterna; vuol dire anche che Dio è Colui che già ora ci fa sperare, anzi ci rende «lieti nella speranza» (Rm 12,12): lieti ora di sperare, e non solo sperare di essere lieti. E’ la gioia di sperare e non sperare di avere gioia, già oggi. “Finché c’è vita, c’è speranza”, dice un detto popolare; ed è vero anche il contrario: finché c’è speranza, c’è vita. Gli uomini hanno bisogno di speranza per vivere e hanno bisogno dello Spirito Santo per sperare.
San Paolo – abbiamo sentito – attribuisce allo Spirito Santo la capacità di farci addirittura “abbondare nella speranza”. Abbondare nella speranza significa non scoraggiarsi mai; significa sperare «contro ogni speranza» (Rm 4,18), cioè sperare anche quando viene meno ogni motivo umano di sperare, come fu per Abramo quando Dio gli chiese di sacrificargli l’unico figlio, Isacco, e come fu, ancora di più, per la Vergine Maria sotto la croce di Gesù.
Lo Spirito Santo rende possibile questa speranza invincibile dandoci la testimonianza interiore che siamo figli di Dio e suoi eredi (cfr Rm 8,16). Come potrebbe Colui che ci ha dato il proprio unico Figlio non darci ogni altra cosa insieme con Lui? (cfr Rm 8,32) «La speranza – fratelli e sorelle – non delude: la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Perciò non delude, perché c’è lo Spirito Santo dentro di noi che ci spinge ad andare avanti, sempre! E per questo la speranza non delude.
C’è di più: lo Spirito Santo non ci rende solo capaci di sperare, ma anche di essere seminatori di speranza, di essere anche noi – come Lui e grazie a Lui – dei “paracliti”, cioè consolatori e difensori dei fratelli, seminatori di speranza. Un cristiano può seminare amarezze, può seminare perplessità, e questo non è cristiano, e chi fa questo non è un buon cristiano. Semina speranza: semina olio di speranza, semina profumo di speranza e non aceto di amarezza e di dis-speranza. Il Beato cardinale Newman, in un suo discorso, diceva ai fedeli: «Istruiti dalla nostra stessa sofferenza, dal nostro stesso dolore, anzi, dai nostri stessi peccati, avremo la mente e il cuore esercitati ad ogni opera d’amore verso coloro che ne hanno bisogno. Saremo, a misura della nostra capacità, consolatori ad immagine del Paraclito – cioè dello Spirito Santo –, e in tutti i sensi che questa parola comporta: avvocati, assistenti, apportatori di conforto. Le nostre parole e i nostri consigli, il nostro modo di fare, la nostra voce, il nostro sguardo, saranno gentili e tranquillizzanti» (Parochial and plain Sermons, vol. V, Londra 1870, pp. 300s.). E sono soprattutto i poveri, gli esclusi, i non amati ad avere bisogno di qualcuno che si faccia per loro “paraclito”, cioè consolatore e difensore, come lo Spirito Santo fa con ognuno di noi, che stiamo qui in Piazza, consolatore e difensore. Noi dobbiamo fare lo stesso con i più bisognosi, con i più scartati, con quelli che hanno più bisogno, quelli che soffrono di più. Difensori e consolatori!
Lo Spirito Santo alimenta la speranza non solo nel cuore degli uomini, ma anche nell’intero creato. Dice l’Apostolo Paolo – questo sembra un po’ strano, ma è vero: che anche la creazione “è protesa con ardente attesa” verso la liberazione e “geme e soffre” come le doglie di un parto (cfr Rm 8,20-22). «L’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello Spirito di Dio che “aleggiava sulle acque” (Gen1,2) all’inizio della creazione» (Benedetto XVI, Omelia, 31 maggio 2009). Anche questo ci spinge a rispettare il creato: non si può imbrattare un quadro senza offendere l’artista che lo ha creato.
Fratelli e sorelle, la prossima festa di Pentecoste – che è il compleanno della Chiesa – ci trovi concordi in preghiera, con Maria, la Madre di Gesù e nostra. E il dono dello Spirito Santo ci faccia abbondare nella speranza. Vi dirò di più: ci faccia sprecare speranza con tutti quelli che sono più bisognosi, più scartati e per tutti quelli che hanno necessità. Grazie.

PAPA FRANCESCO – 7. CARISMI: DIVERSITÀ E UNITÀ (2014)

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20141001_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – 7. CARISMI: DIVERSITÀ E UNITÀ (2014)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 1° ottobre 2014

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Fin dall’inizio, il Signore ha ricolmato la Chiesa dei doni del suo Spirito, rendendola così sempre viva e feconda con i doni dello Spirito Santo. Tra questi doni, se ne distinguono alcuni che risultano particolarmente preziosi per l’edificazione e il cammino della comunità cristiana: si tratta dei carismi. In questa catechesi vogliamo chiederci: che cos’è esattamente un carisma? Come possiamo riconoscerlo e accoglierlo? E soprattutto: il fatto che nella Chiesa ci sia una diversità e una molteplicità di carismi, va visto in senso positivo, come una cosa bella, oppure come un problema?
Nel linguaggio comune, quando si parla di “carisma”, si intende spesso un talento, un’abilità naturale. Si dice: “Questa persona ha uno speciale carisma per insegnare. E’ un talento che ha”. Così, di fronte a una persona particolarmente brillante e coinvolgente, si usa dire: “È una persona carismatica”. “Che cosa significa?”. “Non so, ma è carismatica”. E diciamo così. Non sappiamo quello che diciamo, ma diciamo: “E’ carismatica”. Nella prospettiva cristiana, però, il carisma è ben più di una qualità personale, di una predisposizione di cui si può essere dotati: il carisma è una grazia, un dono elargito da Dio Padre, attraverso l’azione dello Spirito Santo. Ed è un dono che viene dato a qualcuno non perché sia più bravo degli altri o perché se lo sia meritato: è un regalo che Dio gli fa, perché con la stessa gratuità e lo stesso amore lo possa mettere a servizio dell’intera comunità, per il bene di tutti. Parlando in modo un po’ umano, si dice così: “Dio dà questa qualità, questo carisma a questa persona, ma non per sé, perché sia al servizio di tutta la comunità”. Oggi prima di arrivare in piazza ho ricevuto tanti bambini disabili nell’aula Paolo VI. Ce n’erano tanti con un’Associazione che si dedica alla cura di questi bambini. Che cosa è? Quest’Associazione, queste persone, questi uomini e queste donne, hanno il carisma di curare i bambini disabili. Questo è un carisma!
Una cosa importante che va subito sottolineata è il fatto che uno non può capire da solo se ha un carisma, e quale. Tante volte noi abbiamo sentito persone che dicono: “Io ho questa qualità, io so cantare benissimo”. E nessuno ha il coraggio di dire: “È meglio che stai zitto, perché ci tormenti tutti quando canti!”. Nessuno può dire: “Io ho questo carisma”. È all’interno della comunità che sbocciano e fioriscono i doni di cui ci ricolma il Padre; ed è in seno alla comunità che si impara a riconoscerli come un segno del suo amore per tutti i suoi figli. Ognuno di noi, allora, è bene che si domandi: “C’è qualche carisma che il Signore ha fatto sorgere in me, nella grazia del suo Spirito, e che i miei fratelli, nella comunità cristiana, hanno riconosciuto e incoraggiato? E come mi comporto io riguardo a questo dono: lo vivo con generosità, mettendolo a servizio di tutti, oppure lo trascuro e finisco per dimenticarmene? O magari diventa in me motivo di orgoglio, tanto da lamentarmi sempre degli altri e da pretendere che nella comunità si faccia a modo mio?”. Sono domande che noi dobbiamo porci: se c’è un carisma in me, se questo carisma è riconosciuto dalla Chiesa, se sono contento con questo carisma o ho un po’ di gelosia dei carismi degli altri, se volevo, voglio avere quel carisma. Il carisma è un dono: soltanto Dio lo dà!
L’esperienza più bella, però, è scoprire di quanti carismi diversi e di quanti doni del suo Spirito il Padre ricolma la sua Chiesa! Questo non deve essere visto come un motivo di confusione, di disagio: sono tutti regali che Dio fa alla comunità cristiana, perché possa crescere armoniosa, nella fede e nel suo amore, come un corpo solo, il corpo di Cristo. Lo stesso Spirito che dà questa differenza di carismi, fa l’unità della Chiesa. È sempre lo stesso Spirito. Di fronte a questa molteplicità di carismi, quindi, il nostro cuore si deve aprire alla gioia e dobbiamo pensare: “Che bella cosa! Tanti doni diversi, perché siamo tutti figli di Dio, e tutti amati in modo unico”. Guai, allora, se questi doni diventano motivo di invidia, di divisione, di gelosia! Come ricorda l’apostolo Paolo nella sua Prima Lettera ai Corinzi, al capitolo 12, tutti i carismi sono importanti agli occhi di Dio e, allo stesso tempo, nessuno è insostituibile. Questo vuol dire che nella comunità cristiana abbiamo bisogno l’uno dell’altro, e ogni dono ricevuto si attua pienamente quando viene condiviso con i fratelli, per il bene di tutti. Questa è la Chiesa! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del sensus fidei, di quel senso soprannaturale della fede, che viene donato dallo Spirito Santo affinché, insieme, possiamo tutti entrare nel cuore del Vangelo e imparare a seguire Gesù nella nostra vita.
Oggi la Chiesa festeggia la ricorrenza di Santa Teresa di Gesù Bambino. Questa santa, che è morta a 24 anni e amava tanto la Chiesa, voleva essere missionaria, ma voleva avere tutti i carismi, e diceva: “Io vorrei fare questo, questo e questo”, tutti i carismi voleva. E’ andata in preghiera, ha sentito che il suo carisma era l’amore. E ha detto questa bella frase: “Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore”. E questo carisma lo abbiamo tutti: la capacità di amare. Chiediamo oggi a Santa Teresa di Gesù Bambino questa capacità di amare tanto la Chiesa, di amarla tanto, e accettare tutti quei carismi con questo amore di figli della Chiesa, della nostra santa madre Chiesa gerarchica.

 

PAPA FRANCESCO – CRISTIANI IN GRIGIO

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2014/documents/papa-francesco-cotidie_20141027_crisitiani-in-grigio.html

PAPA FRANCESCO – CRISTIANI IN GRIGIO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Lunedì, 27 ottobre 2014

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.246, Mart. 28/10/2014)

L’esame di coscienza sulle nostre parole, così come lo propone san Paolo, ci aiuterà a rispondere a una domanda cruciale su noi stessi: siamo cristiani della luce, delle tenebre o, peggio, del grigio? È questo l’interrogativo che Papa Francesco ha posto nella messa celebrata lunedì mattina, 27 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta.
Per proporre questo essenziale esame di coscienza Francesco ha preso spunto dal passo della Lettera agli efesini (4, 32-5, 8): «San Paolo dice ai cristiani che dobbiamo comportarci come figli della luce e non come figli delle tenebre, come eravamo un tempo». E «per spiegare questo — sia lui e anche nel Vangelo (Luca 13, 10-17) — fa una catechesi sulla parola: com’è la parola di un figlio della luce e com’è la parola di un figlio delle tenebre».
Dunque, ha spiegato il Papa rilanciando la catechesi paolina, «la parola di un figlio che non è della luce può essere una parola oscena, una parola volgare». Dice infatti l’apostolo: «Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia, neppure si parli fra voi».
E così, ha fatto notare Francesco, «un figlio della luce non ha questo linguaggio volgare, questo linguaggio sporco».
C’è, però, «una seconda parola, la parola mondana». Tanto che Paolo suggerisce di non parlare neppure «di volgarità, insulsaggini, trivialità». E «la mondanità è volgare e triviale» ha rimarcato. Da parte sua, «un figlio della luce non è mondano e non deve parlare di mondanità, di volgarità».
Ma san Paolo va oltre e dice: «State attenti, che nessuno vi inganni con parole vuote». Un messaggio che non perde di attualità, tanto che il Pontefice ha subito aggiunto che di parole vuote oggi «ne sentiamo tante». E alcune sono anche «belle, ben dette, ma vuote, senza niente dentro». Perciò «neppure questa è la parola del figlio della luce».
E, ancora, ha affermato Francesco «c’è un’altra parola nel Vangelo» ed è precisamente «quella che Gesù dice ai dottori della legge: “Ipocriti”». Sì, è proprio «la parola “ipocrita”». E così, ha suggerito, anche noi «possiamo pensare com’è la nostra parola: è ipocrita? È un po’ di qua e un po’ di là, per stare bene con tutti? È una parola vacua, senza sostanza, piena di vacuità? È una parola volgare, triviale, cioè mondana? È una parola sporca, oscena?». San Paolo ci dice chiaramente, ha spiegato il vescovo di Roma, che «queste quattro parole non sono dei figli della luce, non vengono dallo Spirito Santo, non vengono da Gesù, non sono parole evangeliche». Dunque non è proprio dei figli della luce «questo modo di parlare, parlare sempre di cose sporche o di mondanità o di vacuità o parlare ipocritamente».
Invece «qual è la parola dei santi, cioè la parola del figlio della luce?». È sempre Paolo che dà la risposta: «Fatevi imitatori di Dio: camminate nella carità; camminate nella bontà; camminate nella mitezza». Chi cammina così è, appunto, un figlio della luce. E ancora: «Siate misericordiosi — dice Paolo — perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato voi in Cristo. Fatevi, dunque, imitatori di Dio e camminate nella carità». Un’esortazione che, in sostanza, ci invita a camminare «nella misericordia, nel perdono, nella carità». Proprio «questa è la parola di un figlio della luce» ha affermato Francesco sulla scia della lettera agli efesini.
«Oggi la Chiesa ci fa riflettere sul modo di parlare e da questo ci aiuterà a capire se noi siamo figli della luce o figli delle tenebre» ha precisato il Papa. E ha proposto concreti punti di riferimento per orientarsi dicendo: «Ricordatevi: parole oscene, niente! Parole volgari e mondane, niente! Parole vacue, niente! Parole ipocrite, niente!». Queste parole, infatti, «non sono di Dio, non sono del Signore, ma sono del maligno».
È vero, ha convenuto il Pontefice, che si possono capire bene e riconoscere le differenze tra i figli della luce e i figli delle tenebre. «I figli della luce risplendono» come Gesù dice ai suoi discepoli: «Risplendano le vostre opere e diano gloria al Padre». È un fatto evidente che «la luce risplende e illumina gli altri nel cammino». E «ci sono cristiani luminosi, pieni di luce, che cercano di servire il Signore con questa luce». Così come, d’altra parte, «ci sono cristiani tenebrosi, che non vogliono niente dal Signore e portano avanti una vita di peccato, una vita lontana dal Signore». E questi cristiani «usano queste quattro parole» indicate da Paolo.
Non tutto però è sempre così netto e riconoscibile: da una parte i figli delle tenebre e dall’altra i figli della luce. «C’è un terzo gruppo di cristiani — ha spiegato — che è il più difficile e complesso di tutti: i cristiani né luminosi né bui». E questi «sono i cristiani del grigio» che «una volta stanno da questa parte, un’altra da quella». Tanto che «la gente di questi dice “ma questa persona sta bene con Dio o col diavolo?”». E lo dice perché sono cristiani «sempre nel grigio: sono i tiepidi» e «non sono né luminosi né oscuri».
Ma «questi Dio non li ama». Lo si legge nell’Apocalisse quando «il Signore a questi cristiani del grigio dice “ma no, tu non sei né caldo né freddo! Magari fossi caldo o freddo! Ma perché sei tiepido — grigio — sto per vomitarti dalla mia bocca!”». Dunque, ha detto il Papa, «il Signore è forte con i cristiani del grigio». E a nulla vale giustificarsi per autodifesa «io sono cristiano, ma senza esagerare».
Difatti queste persone grigie «fanno tanto male, perché la loro testimonianza cristiana è una testimonianza che, alla fine, semina confusione, semina una testimonianza negativa». E in proposito Paolo è particolarmente chiaro: «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce». Paolo dice «figli della luce» e «non figli delle tenebre, non figli del grigio».
Il passo di san Paolo, ha concluso Francesco, è un buon termometro per riconsiderare bene «il nostro linguaggio». E può tornare utile rispondere a queste domande: «Come parliamo noi? Con quale di queste quattro parole parliamo? Parole oscene, parole mondane, volgari, parole vacue, parole ipocrite?». E la risposta a questi interrogativi, ha aggiunto il Papa, deve suggerirci un’altra domanda: «Sono cristiano della luce? Sono cristiano del buio? Sono cristiano del grigio?». Questo concreto esame di coscienza ci aiuterà a «fare un passo avanti, per incontrare il Signore».

 

12345

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01