IL DISCORSO DI ADDIO (di Paolo, Atti, 20, 17-35)
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IL DISCORSO DI ADDIO (di Paolo, Atti, 20, 17-35)
Siamo alla seconda opera di Luca: abbiamo considerato gli Atti dal cap. 9. Proseguiremo fino al cap. 28. Tre quarti degli Atti sono dedicati alla figura e missione di Paolo fino alla sua martyrìa, cioè alla sua testimonianza davanti ai tribunali ed alla sua prigionia a Roma. Quando Paolo arriva a Roma dopo tre anni di detenzione, Luca chiude la sua opera che non è una biografia, ma una storia e riflessione sulla nascita ed espansione della Chiesa. Paolo è protagonista della Parola che parte da Gerusalemme e che, con la forza dello Spirito, arriva ai confini della terra (che è il programma che Gesù risorto, prima di ascendere al cielo, affida ai suoi discepoli). Il compito di Paolo di portare il Vangelo fino ai confini della terra non è solo una dimensione geografica, ma culturale, storico-spirituale. Luca immagina che da Roma partano le strade per raggiungere le varie culture ed etnie nelle regioni dell’impero.
Il cap. 20 degli Atti è uno dei testi più elaborati di Luca, anche se non paragonabile al discorso di Paolo nell’aeròpago ad Atene: è certamente quello di maggiore intensità ecclesiale. Qui Luca collega per la prima ed unica volta la nascita della Chiesa con la morte di Gesù. La assemblea ecclesiale è consacrata mediante il sangue di Cristo (dove però sangue non è solo espressione di violenza e di morte, ma segno di consacrazione come atto di amore). Questo testo è conosciuto anche come il testamento spirituale di Paolo: è l’ultimo discorso che egli fa: non davanti ai Greci o ai Giudei (che sono i due destinatari della missione di Paolo), ma davanti ai rappresentanti delle Chiese dell’Asia (cioè di Efeso, la grande metropoli, sede del proconsole e dove Paolo ha trascorso tre anni – in nessun altro posto l’Apostolo ha speso tanta energia e così a lungo) ed ora parla della sua attività e dei suoi “co-operatori” dopo un viaggio a Laodicea, Colossi e Gerapoli. Successivamente Paolo invierà la lettera ai Colossesi. Luca ha conservato questo discorso ai presbiteri (termine ebraico per indicare gli anziani e responsabili) della Chiesa di Efeso. Paolo li convoca a Mileto (grande porto e città che si trova subito sotto Efeso, sulla costa egèa). Paolo sta viaggiando verso Gerusalemme in piccole tappe lungo la costa. Non ha il coraggio o non vuole creare problemi e ritornare a Efeso, perché ha dovuto sottrarsi al carcere dietro cauzione dei suoi amici romani Aquila e Prisca. Egli è risalito allora verso Filippi da dove ha scritto la seconda lettera ai Corinzi. E’ fuggito da Efeso dopo la sommossa dei costruttori di souvenirs di Artemide con tentativo di linciaggio. Quando rientra da Corinto via terra per arrivare a Gerusalemme, dà l’appuntamento ai presbiteri a Mileto, dove – in 16 versetti – egli fa un bilancio della sua missione, del suo metodo. Lo sguardo è dunque al passato; la situazione presente è il martire e il testimone; il futuro. Questa è l’impostazione di un discorso di addio. Nell’ultima icona non è il Paolo teologo o grande predicatore, ma il lavoratore, bracciante al servizio del Vangelo nel campo che appartiene a Dio. E il capitolo termina con l’immagine di Paolo operaio, libero dalle preoccupazioni ed interessi umani. Il testo è pensato da uno che sa come si fanno i discorsi!
(Lettura integrale del testo: At 20, 17-35)
I presbiteri di Efeso si inginocchiano sulla spiaggia, pregano, piangono e lo accompagnano fino alla nave. Paolo parte e non tornerà più in Asia (Non vedrete più il mio volto – At 20, 25).
E’ un testamento come quello di Gesù nel Vangelo di Giovanni.
Quello che colpisce subito in questo ritratto lucano di Paolo è il testimone, l’annunciatore della Parola, definita come Parola della Grazia per due volte (dove Grazia significa iniziativa amorosa, efficace, gratuita di Dio): ai versetti 20, 24 e 20, 32.
Nella prima parte il testo è una retrospettiva, dove Paolo passa in rassegna il metodo dell’annuncio, i destinatari, il contenuto e lo scopo della sua missione. L’annuncio della Parola non è solo un proclamare, un dire pubblicamente, ma è anche un esortare, consigliare e accompagnare.
La prospettiva futura del martirio (= testimonianza) è quella del versetto At 20,29 sulla Chiesa di Dio. La Chiesa appartiene a Dio: è Lui che l’ha raccolta, messa vicino. Non si tratta solo di convocare, ma anche di tenere unite le persone. E questo è compito dello Spirito di Dio.
Nel testo (At 20, 17-35) sono evidenziate le espressioni tipiche della prospettiva che Paolo presenta alla Chiesa dell’Asia (che è rappresentata da piccole comunità di cristiani che si raccolgono in casa). Si ricordi che egli nella Rm, ma anche in 1 Cor raccomanda: Salutate la Chiesa che è… o si riunisce nella “domus” di Aquila e Prisca, della coppia romana che egli ha incontrato a Corinto e gli ha dato ospitalità.
At 20, 18: Voi sapete – qui si evidenzia lo stile paolino. Luca non cita mai le lettere perché ignora completamente che Paolo sia scrittore. Ma l’Apostolo per es. in 1 Ts ripete Voi sapete, appellandosi all’esperienza dei cristiani, come mi sono comportato…in Asia. Si tratta della Piccola Asia, terra ricca di cultura, dove è nata la filosofia greca e poi europea (Pre-socratici). In quell’ambiente Paolo ha trascorso tre anni e dice Ho servito il Signore (At 20,19). Questo è un modo paolino per osservare il ministero: non è un servizio alla comunità, ma al Signore, annunciando la Sua Parola , in mezzo a tutte le lacrime e le prove! I Giudei, suoi persecutori, non vedono di buon occhio la sua attività missionaria, che sottrae aderenti alla sinagoga a favore del movimento carismatico, legato alla figura del Crocifisso risorto, di un ebreo ucciso dai Romani.
At 20, 20: Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile… Utile è ciò che serve alla salvezza delle persone. Una serie di verbi indicano l’attività missionaria e catechistica: predicare, istruire e scongiurare evidenziano il discorso caldo e affettuoso, proprio degli amici o delle persone che si vogliono bene. In 1 Ts dice come un padre verso un figlio, perché il compito dell’educazione religiosa e morale spettava al padre in Israele. Lo scopo di tutta questa attività della Parola è di convertirsi a Dio e di credere (At 20, 21). I Greci devono riconoscere che Dio è unico e i Giudei devono credere che Gesù è il Signore, il Messia.
Nella parte centrale del brano Paolo guarda al presente. Luca riporta l’immagine che Paolo ha lasciato nelle chiese dell’Asia e la rievoca riportando il discorso di Paolo predicatore. Paolo è in viaggio verso Gerusalemme: è la sua passione, come Gesù verso il Calvario. Luca ama, come Plutarco, scrivere le vite parallele: come Gesù – Paolo; Pietro – Paolo; Gesù – Stefano. Qui dunque Paolo percorre la strada di Gesù, costretto dallo Spirito. Non sono le catene che legano Paolo, ma lo Spirito, la potenza di Dio. Lo Spirito però offre a Paolo anche tribolazioni!
Luca mette in bocca a Paolo la dichiarazione programmatica che risente di 1 Cor in cui il Nostro è diventato schiavo di tutti.
At 20, 24: purchè conduca a termine la mia corsa, in riferimento alla Parola che corre. Qui Luca ha conservato questa immagine tradizionale: la diaconia affidata dal Signore Gesù è rendere testimonianza all’azione della Grazia, che è martyria cioè testimonianza.
Paolo si sta preparando al processo, davanti al tribunale (come Gesù nel Vangelo di Giovanni). Anche Paolo prima a Gerusalemme, poi a Cesarea e infine a Roma terminerà la sua martyria con la sua morte di fronte al mondo con il taglio della testa.
At 20, 25: Ora ecco, io so che non vedrete… : Inizia così la parte più densa di questo discorso in cui emerge tutta la verità lucana, di un grande scrittore e pensatore che ha fatto un ritratto grandioso di Paolo. Questi propone una specie di esame ai cristiani dell’Asia, attraverso i loro rappresentanti che sono i presbiteri. Sul suo ruolo di Apostolo, sentinella e profeta Paolo ha detto tutta la verità ( tutta la volontà di Dio), senza sconti. Per il progetto di vita e di salvezza egli ha fatto di tutto, così che se qualcuno non si salva non è colpa sua!
At 20, 28: Il compito dei presbiteri è quello di vigilare su voi e sul gregge (Dio pastore è un’immagine biblica: Egli è l’unico pastore). Il Messia rappresenta il ruolo di Dio che convoca, protegge, guida e alimenta il suo popolo.
Il ruolo dei presbiteri di vegliare su tutto il gregge viene dallo Spirito Santo. Qui è la sostanza del ministero ordinato secondo la Tradizione cristiana: il ministero non è dato dalla curia, ma viene dallo Spirito Santo. Il vescovo non è un prefetto o un governatore civile, ma un inviato dello Spirito Santo che governa attraverso i sacramenti. La Chiesa non è un ente internazionale, ma una convocazione per la quale i presbiteri sono delegati a vegliare sui credenti.
At 20, 28: come vescovi non è una espressione felice, perché fa credere che i presbiteri siano episcopoi!
At 20, 28: la Chiesa appartiene a Dio perché è preziosa e perché il prezzo del suo riscatto è la morte di Gesù. E’ l’unica volta in cui Luca mette in evidenza la morte di Gesù come redenzione, riscatto. Luca dice infatti che è la resurrezione (non la morte) che ci salva. Qui si tratta di un linguaggio tradizionale che Luca ha assunto per affermare che la Chiesa è sigillata, è fondata sul dono che Gesù ha fatto della sua vita.
At 20, 29: E’ un’oscura minaccia di quelli che vogliono disperdere il gregge (riferimenti devianti sono esistiti sempre nella Chiesa).At 20, 31: torna il tema di Paolo che parla in maniera molto emotiva con le lacrime (e che si ritrova in 1 Cor e nella lettera ai Filippesi. Noi non siamo abituati a vedere un vescovo o un papa che piange per esortare: è un coinvolgimento affettivo di Paolo che ha un animo molto materno, non duro, arcigno, come traspare dalle sue lettere. E Luca, accanto alla descrizione di tribolazioni di Paolo, ha conservato un uomo che esorta fra le lacrime, prima dell’abbraccio finale.
At 20, 32-33 : Ora vi affido a Dio… Come ogni buon discorso di addio, anche quello di Paolo termina con una preghiera: la Parola è una forza che ti protegge e ti conduce fino al compimento dell’eredità, cioè alla pienezza di adesione a Dio. Qui Luca cambia: non siamo noi a custodire la Parola, ma essa a custodire noi. Leggere e ascoltare la Parola è il mezzo per essere salvati, perché ha il potere di edificare e creare rapporti e concedere l’eredità (= momento finale).
At 20, 33 : Non ho desiderato né argento, né oro, né vestiti. La povera gente che non aveva monete d’oro o d’argento, ripagava in vestiti. Siamo all’immagine finale di Paolo, disinteressato come dovrebbe essere ogni Leader o capo del mondo antico ed anche moderno.
At 20, 34 : Voi sapete che alle necessità mie… Paolo era un costruttore di tende e si è mantenuto spesso col suo lavoro di abile tessitore. In 1 Ts, 1 e 2 Cor egli parla del suo lavoro con le sue mani, non solo per essere autonomo, ma anche per aiutare i deboli e chi non poteva mantenersi.
At 20, 35 : Vi ho dimostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così. Questo è un grande principio etico della comunità cristiana. Si pensi che i monaci in Egitto lavoravano per distribuire i beni ai poveri di Alessandria (per es. Antonio). E’ un pensiero che si ritrova anche in Efesini: lavorare per aiutare chi non ha il necessario.
At 20, 35 : Vi è più gioia nel dare che nel ricevere: è probabilmente un’espressione di Gesù che Luca ha messo in bocca a Paolo, ma non ha riportato nel suo Vangelo. Questa frase è come una perla in questo cammeo col ritratto di Paolo.