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ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO B) (13/05/2018)

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Gesù è asceso al cielo e siede alla destra del Padre

padre Antonio Rungi

ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO B) (13/05/2018)

Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, che abbiamo contemplato in questi quaranta giorni del tempo pasquale come il Risorto in mezzo ai suoi discepoli, con i quali dialoga, mangia e si intrattiene, ma anche invia ed indica la strada della risurrezione nella logica della Pasqua sua e nostra. Oggi, infatti, si completa il cammino nel tempo del Redentore, morto e risorto, in quanto con la sua ascensione al cielo, Egli siede definitivamente alla destra del Padre, per poi, un giorno ritornare per giudicare i vivi e i morti, nel giudizio finale e nel secondo e definitivo avvento sulla terra. Nella preghiera inziale di questa solennità, la colletta, preghiamo con queste significative parole, che hanno attinenza al mistero della gloria: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”. La chiesa pellegrina è in cammino verso l’eternità e tra il già e il non ancora continua a svolgere la sua missione nel nome del Signore su mandato esplicito del Cristo che ascende glorioso e vittorioso al cielo, come ci ricorda il brano del Vangelo di Marco che si proclama in questa solennità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». E di fatto gli apostoli partirono e fecero esattamente quello che Gesù aveva loro ordinato di fare. Infatti “predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.
Nel brano degli Atti degli apostoli che riguarda proprio il momento in cui Gesù ascende al cielo è tratteggiata la storia della vita di Cristo, in modo sintetico, ma efficace, per capire esattamente chi era Cristo per i discepoli e per la chiesa delle origini e chi deve essere Cristo, per noi credenti del XXI secolo dell’era cristiana. Allora Gesù “si mostro vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Poi, “mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Gesù torna in cielo e manda dal cielo il suo Spirito Paraclito, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Tra Ascensione e Pentecoste si gioia la vita umana e spirituale del gruppo degli apostoli invitati da Gesù a restare in attesa del Paraclito e poi inviati nel mondo ad evangelizzare. Ed essi me saranno testimoni di Cristo a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra. La promessa di Cristo si è realizzata, se oggi, la Chiesa, il Vangelo e la conoscenza dell’unico salvatore del mondo hanno raggiunto gli estremi confini del mondo terrestre per oltrepassare la stessa terra e collocarsi come annuncio di vita e speranza nell’intero universo, sempre più alla portata della conoscenza dell’uomo, mediante la tecnologia di oggi.
Oltre il predicare e l’annunciare il vangelo in tutto il mondo ed invitare a conversione chi è lontano dalla fede e non conosce affatto Dio, c’è per ogni cristiano il diritto-dovere di testimoniare Cristo con una degna condotta di vita, come ci ricorda il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini: comportarsi in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore e avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.
Curare l’unità nella diversità dei carismi è un altro importante compito che spetta ad ogni credente e cattolico vero: Noi dobbiamo essere “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.
La pluralità dei doni e dei carismi non ci deve spaventare, ma arricchirci e stimolarci a fare sempre di più e meglio a gloria di Dio: “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.
Un cammino difficile quella dell’unità, ma tutti dobbiamo lavorare per raggiungerla ovunque siamo e qualsiasi cosa facciamo. Nulla ci deve portare lontano da Dio e dagli altri, ma tutti dobbiamo convergere verso un’unità vera e sostanziale che si fonda, si struttura nel tempo e organizzativamente come docilità allo Spirito Paraclito, che è accoglienza dei vari carismi che Egli suscita nella chiesa e per la chiesa.
Con il salmista eleviamo al Signore il nostro inno di lode e di ringraziamento per tutto quello che ci ha donato da sempre: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo”.
A questo trono rivolgiamo oggi il nostro sguardo nella liturgia solenne dell’Ascensione al cielo di nostro Signore, perché con lo sguardo fisso sulle cose di lassù, ma operando con sapienza su questa terra, possiamo meritare anche noi di essere accolti tra i beati del cielo, dove Gesù è asceso e ci attende, perché è andato a preparare per ognuno di noi un posto in prima fila per tutti i suoi figli.

QUARTA DOMENICA DI PASQUA OMELIA

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QUARTA DOMENICA DI PASQUA

At 4, 8-12; Sal 117; 1Gv 3, 1-2; Gv 10, 11-18

È la domenica del pastore buono o bello (il significato principale della parola greca “kalós” è infatti “bello”); al centro di questa domenica c’è questo pastore bello di quella bellezza che è armonia, assoluto rifiuto di doppiezza, assoluto rifiuto di ogni ricerca di interesse personale … questo pastore è solo Gesù!
Con questo tratto dell’evangelo di Giovanni oggi ci viene data una chiave interpretativa ulteriore per leggere la Pasqua di Gesù; perché quella croce? perché quella tomba vuota? perché quelle ferite che vanno a cercare gli uomini nelle loro fragilità e paure? Il “perché” è in questa “identità” di Gesù; infatti il protagonista di quella storia pasquale è pastore bello-buono … il suo “segreto” sta tutto nel dare la vita . E’ un pastore che si può seguire, di Lui ci si può fidare perché non è mercenario , non vuole, cioè, salvare se stesso e non fugge dinanzi ai lupi!
La passione di Gesù ce l’ha confermato: non solo non è fuggito ma, nel Getsemani, ha chiesto esplicitamente a quelli che erano venuti a catturarlo di prendere lui e di lasciar andare i suoi (cfr Gv 18, 8); non li ha abbandonati nelle mani dei lupi anche se le pecore lo hanno abbandonato e si son lasciate disperdere ha continuato ad amarle e a dare per loro la vita.
Così Gesù si presenta come colui che, a “caro prezzo”, conduce chi gli appartiene ad un’unica meta; l’“ovile” di questo pastore bello è l’intimità con il Padre, la sua stessa intimità, quella che Egli vive eternamente; il pastore bello non è geloso di quell’intimità e della conoscenza che ne deriva, non la ritiene un tesoro da custodire con gelosia (cfr Fil 2, 6), ma una “casa” da aprire a tutti e senza limitazioni di alcun tipo: ci sono altre pecore che non sono di questo ovile, pure quelle devo condurre …
La conoscenza che il pastore ha delle sue pecore è una conoscenza personale, penetrativa, compromettente; questa conoscenza non è né superficiale, né utilitaristica, è una conoscenza amorosa tanto che è modellata nientemeno che sulla conoscenza che Gesù ha del Padre suo! Straordinario! Lui riversa su di noi quella stessa conoscenza e intimità , stende su di noi quella stessa logica di amore scevra di possesso soffocante che egli vive nell’eterno con il Padre. La sua relazione con le “pecore” è relazione di possesso, infatti ripete più volte “le mie pecore”, ma di un possesso che non le soffoca, non le schiavizza, non le rende numero senza volto. Infatti per le sue pecore egli depone la sua vita! Notiamo che qui Giovanni usa lo stesso verbo che, nella scena della lavanda dei piedi , userà per dire che Gesù “depone le sue vesti” (cfr Gv 13,4), vesti che significano lì, in quella vigilia della Pasqua, proprio la vita deposta per amare fino all’estremo !
Gesù che, liberamente, depone la sua vita ci apre dinanzi una prospettiva di libertà grande e totale, della libertà più grande e totale … ci mostra una via su cui ci invita a seguirlo. A noi che spesso siamo portati a subire un “destino” o a lottare per schivare i cosiddetti “colpi della sorte”, Gesù mostra un’altra possibilità: vivere la vita in pienezza di libertà dandole sempre il sapore del libero dono; dalle piccole morti quotidiane alla morte finale è possibile trasformare tutto in atto libero nell’amore!
Il pastore bello-buono è tale perché fa della sua vita un dono; e questo non in modo ideale o intenzionale ma in modo concreto, giorno dopo giorno … e lo farà fino alla croce! La garanzia dell’autenticità del pastore buono è tutta lì: dà la vita! In questo le sue pecore lo riconoscono ed imparano a fidarsi di Lui.
Questa vita deposta è il comando del Padre, dice Gesù; è lì, cioè, la volontà del Padre. Lui è venuto per questo. Certamente non è venuto per morire ma certo è venuto per fare della sua vita un dono senza remore e senza risparmi. La Pasqua di Gesù è questo!
Essere uomini pasquali significa allora ascoltare la voce di questo pastore e seguirlo. Dove? Sulla via del dono, sulla via dell’unità: Ascolteranno la mia voce e diverranno un sol gregge e un solo pastore ! Pensiamoci: l’ unità è possibile solo nell’ottica del dono ! Infatti per essere uno con i fratelli devo essere disposto a donare, a deporre, tutto ciò che proclama il mio io a discapito dell’altro, tutto ciò che “grida” me e le mie idee e visioni tanto da diventare diaframma con l’altro … devo deporre quella terribile volontà di salvare me stesso (ricordiamo che fu l’estrema tentazione di Gesù che si senti gridare, stando in croce, “salva te stesso”… cfr Mc 15,30), di salvare i miei interessi. Solo chi è capace di deporre così la sua vita sarà discepolo del pastore bello-buono ! Solo così si brilla della sua bellezza .
Un giorno Dostoevskij, nel suo romanzo “L’idiota” scrisse: “La bellezza salverà il mondo” e questa espressione, che è stata detta e ridetta, si è letta sempre in chiave estetico-artistico (che sarà pure vero!) ma mi piace leggervi un di più!
Quale la bellezza che davvero “salverà il mondo”? E’ la bellezza di questo pastore che è tutto per l’altro, per gli altri , che non si preoccupa di salvare se stesso ma di salvare gli altri! C’è una bellezza incommensurabile in questo vivere così la propria vita; Gesù è stato capace di questa bellezza e perciò ha salvato il mondo, questo mondo afflitto dalla “bruttezza”, dalla bruttezza del profitto, del calcolo, del contraccambio, del “salvare se stessi” crocifiggendo di continuo gli altri e soprattutto i deboli! Questa bruttezza ogni giorno uccide il mondo e lo inonda di lacrime e sangue! La bellezza che davvero salverà il mondo è quella del Cristo crocefisso, luce di speranza che accende il fuoco dell’amore sulla terra resa fredda da ogni ripiegamento su se stessi, da ogni scelta egoistica ed escludente, da ogni scelta di morte al servizio del profitto ad ogni costo!
E’ la bellezza di quell’evangelo che Pietro proclama dinanzi al Sinedrio nel passo di Atti che oggi si ascolta: In nessun altro – se non in Gesù! – c’è salvezza! E’ vero! E’ così perché Lui è bellezza assoluta perché Lui è dono assoluto!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

DAI « DISCORSI » DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (SERM. 231, 5)

https://www.augustinus.it/varie/pasqua/pasqua.htm

TEMPO PASQUALE CON SANT’AGOSTINO

« Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
Io vado a prepararvi un posto;
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto,
ritornerò e vi prenderò con me,
perché siate anche voi dove sono io ».
(Gv 14, 1-3)

INTRODUZIONE

Il segreto della felicità è in un semplice gesto: alzare lo sguardo e fissarlo in Cristo, nella sua risurrezione vittoriosa che passa attraverso il vilipendio della croce. « Con occhi interiori mirate le piaghe del crocifisso, le cicatrici del risorto… Pensate al valore di queste cose e ponetelo sulla bilancia dell’amore ». (De s. virg. 54.55ss) Chi aderisce a Cristo si stacca da ogni dipendenza terrena, da ogni ricerca di una felicità materiale. La felicità ha una sua regione, che non è però sulla terra: qui neppure Cristo l’ha trovata! La vera beatitudine, che non avrà fine perché eterna, è altrove, là dove può condurci Cristo stesso: il Regno del Padre. Il premio della vita eterna sarà Dio stesso: « Lui stesso possederai; Egli si dona in premio a coloro che lo onorano ». (Sermo 19, 5)

DAI « DISCORSI » DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (SERM. 231, 5)

La garanzia della vita futura
Vuoi essere felice? Se lo vuoi, ti mostrerò la via per esserlo. Dice [il Salmo]: Fino a quando avrete il cuore intorpidito? Perché amate la vanità e andate in cerca di ciò che è falso? e poi continua: Sappiate. Cosa dobbiamo sapere? Che il Signore ha glorificato il suo Santo (Ps 4, 4). Incontro alle nostre miserie è venuto Cristo; il quale ha voluto aver fame e sete, stancarsi e dormire. Egli, pur avendo compiuto miracoli, si sottopose al dolore: fu flagellato, coronato di spine, sputacchiato, schiaffeggiato, sospeso ad una croce, trafitto da una lancia e deposto in un sepolcro. Da lì però risorse il terzo giorno, ponendo fine alla sofferenza, uccidendo la morte. Lì pertanto, cioè nella sua resurrezione, fissate lo sguardo, poiché Dio ha tanto glorificato il suo Santo da risuscitarlo da morte e da accordargli il privilegio di sedere alla sua destra nel cielo. Ti ha mostrato le cose a cui devi aspirare se desideri essere beato, essendo scontato che quaggiù non puoi esserlo. Nella vita presente infatti non potrai certo raggiungere la felicità: nessuno ha questo potere. Tu cerchi, è vero, una cosa buona, ma questa terra non è il luogo dove alligni la cosa da te cercata. Cosa cerchi? La vita felice. Purtroppo non è di quaggiù. Fa’ conto che ti metta a cercare l’oro in un posto dove non c’è. Se arriva uno che sa non essere quello il posto dove si trova l’oro non ti direbbe forse: Ma che stai scavando? perché smuovi la terra? Fai una buca dove potresti cadere, non dove si trovano le cose che cerchi. Cosa replicheresti a chi ti dà questi suggerimenti? Sto cercando l’oro. E l’altro: Non ti dico che sia cosa da nulla quello che cerchi; tu cerchi una cosa buona, ma non è dove la cerchi. Così quando tu dici: Voglio la felicità. Cerchi una cosa buona, ma non è cosa di questo mondo. Se in questo mondo fu felice Cristo, lo sarai anche tu. Venendo nella regione dove tu giaci morto, cosa vi trovò Cristo? Notalo bene! Egli proveniva da una regione diversa: ebbene, quando venne quaggiù, cosa vi trovò se non quelle cose che quaggiù abbondano? Tribolazioni, dolori, morte: ecco quello che si trova quaggiú, che quaggiú abbonda. Mangiò insieme con te i cibi che in abbondanza erano riposti nella dispensa della tua miseria. Bevve l’aceto, gli fu dato il fiele. Ecco cosa trovò nella tua dispensa. In cambio, egli ti invitò alla sua grande tavola imbandita, alla mensa celeste, alla mensa degli angeli dove pane è lui stesso. Scese dunque e nella tua dispensa trovò le cose ributtanti sopra accennate; eppure non ricusò di sedersi a una tal mensa qual era la tua, promettendo la sua. E cosa ci dice? Abbiate fede, abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com’è vero che io non ho ricusato d’assaporare i mali della mensa vostra. Ha preso su di sé il tuo male, e ti darà il suo bene? Ma certo che te lo darà! Ci ha promesso la sua vita, anzi ha fatto una cosa ancora piú inaudita: come anticipo ci ha elargito la sua morte, quasi volesse dirci: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita. È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vinvito, ecco, è la regione degli angeli, è l’amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me. Di piú: vi invito a [godere di] me stesso, a partecipare della mia vita. Stentate a credere che io vi darò la mia vita? Ebbene, ve ne sia pegno la mia morte, che già è in vostro possesso. Se quindi al presente ci tocca vivere nella carne soggetta a corruzione, moriamo con Cristo cambiando condotta, e viviamo con Cristo amando la santità. Ricordiamoci che non conseguiremo la vita beata se non quando saremo giunti là dove è colui che è disceso in mezzo a noi e quando cominceremo a vivere totalmente uniti a colui che è morto per noi

In breve…
Se tanto ci esaltano questi giorni che se ne vanno, nei quali con devota solennità ricordiamo la passione e la resurrezione di Cristo, come ci renderà beati quello eterno, in cui vedremo Lui e rimarremo con Lui, del quale il solo desiderio e la speranza ci rendono fin da adesso beati? (Serm. 229/D, 2)

Inizio settimana

SANTA MARIA MADDALENA, TESTIMONE DELLA MORTE E RESURREZIONE DI CRISTO:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/07-Luglio/Santa_Maria_Maddalena.html

SANTA MARIA MADDALENA, TESTIMONE DELLA MORTE E RESURREZIONE DI CRISTO:

IO HO VISTO IL SIGNORE

Narra una leggenda che Maria di Magdala, forte del privilegio di essere stata testimone della morte e della Risurrezione di Gesù, chiese e ottenne un invito ad un banchetto dato dall’imperatore Tiberio. Quando lo incontrò, teneva un uovo nelle sue mani ed esclamò forte “Cristo è risorto”. Tiberio rise, e disse che la resurrezione dalla morte di Gesù Cristo era probabile quanto l’uovo nella sua mano diventasse rosso mentre lo teneva. Prima che finisse di parlare, l’uovo diventò rosso… e così lei continuò a proclamare il Vangelo senza essere ostacolata. Ecco la spiegazione della tradizione delle uova dipinte (ma non quelle di cioccolato!): risalirebbe proprio a Maria di Magdala.
Strano destino il suo. È una delle più belle e significative figure del Vangelo, una vera, totale, appassionata e costante discepola di Cristo, che ha avuto ed ha ancora adesso un culto molto vasto nella Chiesa, eppure il suo nome è stato associato a tradizioni e leggende, a fantasie strane e perfino a movimenti stregoneschi. È legato ancora oggi ed è presente in teorie gnostiche e antropologiche quali il matriarcato, oppure viene citata parlando di esoterismo.
Come se non bastasse la Maddalena è diventata anche icona del femminismo moderno e post moderno. Di tutto e di più. Su di lei una teoria ne tira un’altra, fino alle ultime strampalate, senza serio fondamento storico e biblico, contenute nel romanzo fanta-storico-teologico “Il Codice Da Vinci”. Gli ingredienti del suo successo sono evidenti: approfittare del “trend” nella letteratura e nel cinema, condito con buone dosi di anti-cristianesimo (in omaggio al post-moderno), con una spruzzata di esoterismo e soprattutto di erotismo (ingrediente ormai onnipresente in ogni tipo di pubblicità) unito ad una super organizzata macchina pubblicitaria. Il successo? Assicurato e moltiplicato. Puro business non certo ricerca storica.
Ha scritto Ernest Renan, razionalista e poco cristiano: “La verità è triste”. Certo che (per chi non è credente cristiano) limitarsi alle sole notizie, riguardanti la vita ed il messaggio di Maria di Magdala, contenute nei Vangeli non si solletica la fantasia dei lettori, non si scatena la curiosità o il “gossip” televisivo e mediatico in generale. C’è il rischio di “lasciarli tristi”. Meglio lavorare di fantasia!

La Maria dei “sette demoni”
Ma chi era Maria? L’ultima teoria è quella della bibliologa australiana Elisabeth Fletcher. Questa sostiene che Maria era in realtà una imprenditrice ebrea, attiva nel centro commerciale di Magdala nel settore ittico, del pesce secco (tant’è vero che Magdala era chiamata in greco Tarichea, cioè pesce salato), e dei coloranti per la lana, produzioni molto fiorenti allora. Quindi era in grado, come appunto faceva, di offrire supporto finanziario e logistico a quel rabbi della Galilea e ai suoi discepoli itineranti. Storicamente è vero che Magdala aveva uno statuto di città che la vicina Cafarnao non aveva, e che era una delle più importanti città commerciali. Diventò anche il quartier generale della resistenza anti romana, essendo in posizione strategica nelle vie di comunicazione.
Di Maria di Magdala sappiamo poche cose (ma importanti), e altre si possono intuire. Non è menzionata molte volte nei Vangeli, anche perché il contesto socio-culturale e religioso ebraico di allora (e in cui nacquero i Vangeli stessi) poneva ai margini la donna ed il suo ruolo in generale. Il Vangelo di Luca (8,2-3) scrive semplicemente che Maria di Magdala era stata guarita da Gesù e che da lei erano usciti “sette demoni”. Che significa? Il “demonio” nel linguaggio evangelico non è solo radice di un male morale ma anche fisico che può “occupare” e sottomettere l’intera persona. Nella simbologia biblica poi il numero sette significa pienezza. Quindi Maria aveva avuto una qualche malattia morale o fisica molto grave dalla quale Gesù la liberò. Ecco la ragione da dove scaturì l’aiuto e l’assistenza durante la predicazione (fatta con i propri beni, insieme ad altre donne) fino ai piedi della croce. Si trattava insomma di un debito di gratitudine: lei seguiva Gesù per riconoscenza o “per grazia ricevuta”. Maria viene mostrata quindi come una vera discepola di Gesù, viene indicata come un modello di persona guarita, riconciliata con se stessa, con gli altri e con Dio.

La Maria dei molti equivoci
Veramente possiamo dire che quella di Maria è una storia di equivoci, antichi e recenti, volontari e involontari.
Il primo: l’identificazione della Maddalena con una prostituta, con quella donna peccatrice pubblica, descritta da Luca (7,36-50), in casa del notabile fariseo, Simone. Questi rimase enormemente scandalizzato dal comportamento non scandalizzato anzi comprensivo e addirittura perdonante del giovane rabbi di Nazaret. Il perché dell’errore forse nel fatto che subito dopo si parli di Maria di Magdala e dei suoi “sette demoni”.
Un secondo equivoco, dovuto al gioco di sovraimpressioni: Maria di Magdala identificata con la Maria di Betania (sorella di Marta e Lazzaro). Anche lei compì lo stesso gesto (Gv 12,1-8) della peccatrice anonima: “cospargere i piedi di Gesù con olio profumato di vero nardo e di asciugarli con i propri capelli”. Era questo un segno di squisita ospitalità e di esaltazione per l’ospite Gesù da parte di Maria.
Ma non basta. Qualcuno l’ha fatta diventare non solo una vera leader delle prime comunità cristiane (edè anche possibile, date le credenziali di testimone della morte e Risurrezione di Cristo) ma anche l’autrice del quarto vangelo: Maria di Magdala al posto di Giovanni, insomma l’apostolo prediletto… è lei stessa (così, secondo una interpretazione fantasiosa, sarebbe anche nel celebre dipinto di Leonardo Da Vinci!).
Altri equivoci e distorsioni sono arrivate dai vangeli apocrifi, come il vangelo di Maria Maddalena e il vangelo di Filippo. Quest’ultimo (rinvenuto a Nag Hammadi nel 1945) ma già noto in alcuni frammenti fin dall’antichità, è di almeno 200 anni posteriore a quelli canonici. Contiene palesi influenze eretiche (gnostiche) e affermazioni senza nessuna traccia anzi in aperta contraddizione con quelli canonici approvati dalla tradizione. È in sostanza un vangelo che disprezza la corporeità, il matrimonio e quindi anche la donna. Nel Vangelo non è così, per niente. Anzi il contrario. Si pensi solamente al primo miracolo operato da Gesù, a Cana (Gv 2,1-11), quasi per sigillare cioè benedire da parte di Dio (perché i miracoli li fa solo Dio) l’amore di due giovani sposi all’inizio del loro matrimonio.
Maria di Magdala è citata due volte nei brevi detti che compongono il vangelo di Filippo. Una volta per affermare che Maria la madre di Gesù, Maria la sorella di lei (sic!) e Maria di Magdala sono solo manifestazioni apparenti dell’unica Maria spirituale. Così dice infatti il versetto 32: “Tre donne camminavano sempre con il Signore: Maria sua madre, Maria la sorella di lei e la Maddalena, la quale è detta sua compagna: Maria, in realtà, è sorella, madre e coniuge di lui” (G. Ravasi). Maria Maddalena che è tutto, insomma. È stato specialmente questo il versetto apocrifo, che ha dato forza alla leggenda della Maddalena “compagna” (come si intende oggi) di Gesù, ripreso abbondantemente da romanzi fanta-teologici e da codici vari (e dai film susseguenti, imposti dalla legge del business) apparsi recentemente e letti anche da cristiani non si sa con quanto spirito critico.

La Maria di “Io ho visto il Signore”
In un’altra leggenda, di stampo medievale (Jacopo da Varagine) afferma che “San Pietro affidò Maria Maddalena a San Massimino, uno dei 72 discepoli del Signore. E così Massimino, Maria Maddalena, Lazzaro, Marta (…) furono allontanati in mezzo al mare dagli infedeli” per arrivare nel sud della Francia, in Provenza… Intrecciato con questo viaggio la storia del Santo Graal, della dinastia dei Merovingi, e del “segreto” portato dalla Maddalena, e del Codice ultimo di Da Vinci. Un fiume di pura fantasia. In Francia c’è comunque stato un forte culto alla santa di Magdala (anche con santuari diventati famosi). Tuttavia “è certo, comunque, che risalgono a falsi documenti medievali le pretese di luoghi francesi come Veselay e Saint-Maximin di custodire il corpo della santa” (Vittorio Messori).
Invece secondo un’antichissima (e seria) tradizione Maria di Magdala morì e fu sepolta nella città di Efeso o dintorni, dove visse anche Maria di Nazaret, la Madre di Gesù.
Maria Maddalena a noi cristiani del terzo millennio dà una lezione di autentica fede. La fede è sì un dono di Dio ma è anche ricerca, sforzo, meditazione, confronto, studio, dubbio, fiducia, è, insomma, anche opera di tanto lavoro della ragione. E questa ricerca non deve essere superficiale, circoscritta a pochi momenti e a qualche circostanza (momenti esistenziali forti e significativi), ma se è autentica sarà appassionata, fatta “con tutta la mente e con tutto il cuore”, insomma con tutto se stessi.
Si dice che chi ama cerca. Ma anche chi cerca ama. E in questa ricerca si trova in proporzione all’amore che si ha, e al sacrificio che si è disposti ad affrontare per perseverare in questa ricerca. E questo perseverare onesto e fiducioso nella ricerca di Dio è già in un certo senso averlo trovato. “Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato” (Sant’Agostino). E in questa ricerca non è escluso che possiamo rimanere soli, o peggio ancora, possiamo essere insieme ad altri che ostacolano, con parole e opere, la nostra ricerca di fede. Maria di Magdala non si è scoraggiata quando Gesù fu condannato e abbandonato dai suoi stessi discepoli, quando lo vide morire in croce tra il sarcasmo e lo scetticismo generale. Attorno a sé percepiva molto odio, ma il suo amore è stato più forte, tanta indifferenza e ostilità ma non da farla arrendere in questo suo proposito di seguire Gesù, di dirgli il proprio grazie anche compiendo quell’ultimo atto di amore. Fino a quel mattino benedetto quando si sentì chiamare “Maria” da Gesù stesso, non più il morto che lei cercava ma il Risorto da morte.
Strano destino quello della Maddalena con tutti questi equivoci, sovrimpressioni, leggende, teorie varie, fantasie per rendere più stuzzicante la storia su di lei… così per non rimanere tristi.
Eppure i Vangeli ci dicono poche cose, ma estremamente importanti perché riguardano lei in quanto donna. E gli apostoli ed evangelisti, figli di una cultura e di una tradizione ebraica, che in genere non erano ben disposte verso la donna, forse a denti stretti avranno ammesso in seguito che la prima a vedere il Gesù Risorto (a parte Maria di Nazaret) era stata proprio una donna, lei, Maria di Magdala, e che ancora lei, Maria, era presente alla crocifissione di Gesù, quando gli altri, loro stessi, cominciando da Pietro, erano fuggiti, pieni di paura.
Perché tutto questo? Sant’Agostino scrisse che quando Pietro e Giovanni se ne tornarono a casa dopo la visita al sepolcro vuoto, Maria rimase là perché non voleva arrendersi di aver perso il suo Rabbunì, il suo “Maestro buono”, voleva cercare ancora, scoprire dove era stato posto, perché aveva un “amore più forte” degli altri discepoli (Omelia 121,1). Tanto che Gesù stesso la premiò non solo facendola la prima testimone della Risurrezione ma anche inviandola ad annunciare agli altri quello che aveva visto, rendendola cioè “Apostola degli Apostoli”. E non è poco.

MARIO SCUDU

Publié dans:LITURGIA: TEMPO DI PASQUA |on 2 avril, 2018 |Pas de commentaires »

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (21/05/2017) OMELIA

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Non vi lascerò orfani

don Luciano Cantini

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (21/05/2017) OMELIA

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti
Amare Dio e osservare i suoi comandamenti è punto nodale di tutta l’Alleanza: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e la bontà per mille generazioni con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti (Deut 7,9). L’osservanza dei comandamenti non è disgiungibile dall’amore, il problema è capire cosa intendiamo per amore [la lingua italiana consegna alla parola amore significati assai diversi] troppo spesso confuso con una forma di sentimentalismo, tutto zucchero e cuoricini, molto egocentrico. Sono io che « mi sento bene con… », « mi piace stare con… », quello che conta è il mio sentire, la mia percezione. Nella Scrittura il termine amore è piuttosto legato all’agire, al fare ciò che Dio desidera: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama.
Amare Dio non significa stare bene la domenica mattina in chiesa, o sentirsi in pace durante la visita a quel santuario, neppure addormentarsi tranquilli dopo aver recitato le preghiere. Non dobbiamo considerare la fede e l’amore disposizioni dell’animo o nozioni teoriche separate dalle scelte quotidiane della vita. Giovanni è estremamente chiaro quando afferma: Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità (1Gv 3,18).
Il verbo tradotto con « osservare » è in greco Tereo che ha anche il significato di custodire (cfr Gv 17, 11-15), conservare (cfr Gv 12,7); dunque non siamo nella prospettiva di una mera ubbidienza o dello stare alle regole quanto nell’ottica della comunione col Padre, capaci di custodire la sua Parola come dono prezioso d’amore che ci « comanda » e orienta la nostra vita.
Io pregherò il Padre
Gesù ci chiede concretezza nell’amore che non può essere condizionata da precetti moralistici, né trasformata in adempimenti formali quanto dettata da una esigenza di comunione: lui stesso prega il Padre perché ci dia un altro Paràclito, la presenza di colui che è « chiamato accanto » (para-kaleo, in latino ad-vocatus); la preghiera del Signore ci immette nella dinamica trinitaria di Dio.
La tendenza dell’uomo è quella dell’autosufficienza, di bastare a se stesso mentre ha bisogno di comunione per vivere, ha bisogno di amare e di essere amato, di perdonare ed essere perdonato, ha bisogno di salvezza. Avere qualcuno « accanto » non risolve i problemi della vita, non ci deresponsabilizza, non si sostituisce alle nostre relazioni ma ci riempie del suo amore, ci sostiene, non ci fa sentire orfani. Non supplisce alle nostre fragilità, non colma le debolezze, rispetta i nostri errori, non ci ripara dai fulmini che si abbattono nella nostra storia, la sua è una presenza delicata, nascosta, tutta da scoprire, non balza immediatamente agli occhi, non travolge come un messaggio pubblicitario, né si lascia condizionare da una liturgia pomposa e solenne, semplicemente sta « accanto ».
Non vi lascerò orfani
Gesù sa bene che le prospettive, le speranze dei suoi discepoli dovranno attraversare un uragano di contrarietà, dal tradimento al passaggio attraverso la sua morte, dal rinnegamento alla persecuzione; allora come oggi ci rassicura: non vi lascerò orfani. Abbiamo surrogato le relazioni umane con ogni mezzo tecnologico, sostituito con un affetto spropositato per gli animali, curiamo il nostro benessere e il nostro aspetto, senza permettere a noi stessi e agli altri di entrare nel profondo. Tutto questo Giovanni lo chiama « mondo » che non può ricevere lo Spirito della verità, perché non lo vede e non lo conosce. Il mondo tende essenzialmente alla funzionalità, non ha prospettive se non quella di far girare la storia così come è, purché io ne rimanga al centro, per questo non c’è nulla da salvare.
Per chi crede e si lascia abitare dallo Spirito, scopre che il centro della vita è fuori di lui: voi saprete che Io-Sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Non è un gioco di parole, un ricorrersi di termini quanto scoprire che il senso della propria vita non è in se stessi ma nell’altro. La vita cristiana sta nel non rimanere orfani ma nella capacità di generare fraternità.

OMELIA V DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (14/05/2017)

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Vado a prepararvi un posto

don Luciano Cantini

OMELIA V DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (14/05/2017)

Non sia turbato il vostro cuore
Per tentare di capire la straordinarietà della affermazione di Gesù occorre entrare nell’esperienza dei suoi discepoli la cui vita era diventata un viaggio continuo dietro al Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo (Lc 9,58). Pietro aveva affermato «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc 10,28). Anche dopo la morte qualcuno dovrà imprestare a Gesù un sepolcro… il senso della provvisorietà era totale.
Gesù aveva appena affermato Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire (Gv 13,33).
Un cuore turbato non riesce a vivere il momento presente e tanto meno avere una speranza nel futuro, difronte al turbamento dei suoi, Gesù li rincuora, chiede loro di trovare in se stessi il modo di difendersi dalla paura: Abbiate fede in Dio. Non si tratta di non avere paura ma di avere la certezza che Dio continua ad operare nella storia degli uomini nonostante ci appaia il contrario: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? – afferma san Paolo – Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (Rm 8,35)
Nella casa del Padre mio
Siamo tentati di immaginare un luogo paradisiaco, lontano dalle difficoltà della storia, dalle brutture dell’umanità, immerso tra mille bellezze, forse neppure troppo lontano da noi, semplicemente nell’aldilà. Ci sarebbe da domandarci se ci troviamo davanti ad un mito o una illusione consolatoria, un futuribile che nulla ha a che fare con la quotidianità. Davvero immaginiamo un Dio che ci aspetta sulla soglia della sua casa mentre noi ci arrabattiamo tra mille difficoltà, soli e abbandonati?
Ma la casa di Dio è la Chiesa del Dio vivente (1Tim 3,15), chiunque ha fede in Dio si trova nella sua «casa», quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo (1 Pt 2,5).
Gesù promette molte dimore: ognuno di noi sente il bisogno di una casa sicura dove poter crescere in armonia, circondati di affetto… il dramma della casa non è quello dei muri ma della vita, non è il camper distrutto dal fuoco, né l’edificio crollato dal terremoto, neppure uno sfratto piuttosto la mancanza di vita, la precarietà degli affetti, l’insufficienza di relazioni, la carenza di dignità. La dimora è il luogo del riposo, dell’indugiare, luogo di relazioni e di affetti dove ognuno può essere se stesso; la dimora esprime il divenire della crescita e della storia, la ricchezza delle generazioni. Nella casa di Dio, là dove Dio sta operando ci sono molte dimore, così che ciascuno possa trovare il suo posto nella storia della salvezza. Per questo ci è chiesto di avere fede, di incamminarci nella stessa direzione del Signore.
Vado a prepararvi un posto
Si ha l’impressione, a volte, di trascinare la vita nella ricerca del nostro posto, non solo un posto di lavoro, nella società, tra gli amici; sogniamo un posto speciale nel cuore di qualcuno o proviamo ad arrampicarci per occupare qualche primo posto (cfr. Lc 14, 7-11): fatica sprecata, speranze malriposte.
Gesù ci precede, si fa carico dell’iniziativa per facilitarci il compito, compie quei passi necessari perché calcando le sue orme scopriamo che quella dimora promessa è già sotto i nostri piedi, è nella esperienza di comunione, è stile di vita, è sintonia dello spirito.
Comprendiamo bene la perplessità di Tommaso «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?» ma la risposta di Gesù «Io sono la via, la verità e la vita» diventa chiara a mano a mano che rispecchiamo la nostra vita nella sua, che facciamo nostra ogni sua parola e la traduciamo in esperienza di vita.

 

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (07/05/2017) – OMELIA

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Il Signore è il buon pastore che assicura a tutti la felicità

padre Antonio Rungi

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) (07/05/2017) – OMELIA

La quarta domenica del tempo di Pasqua è detta del Buon Pastore, sia perché ci viene proposto il testo del Vangelo che ci parla di Gesù Cristo, buon pastore e sia perché nel contesto della Pasqua siamo tutti invitati a pregare il Buon pastore che mandi alla sua chiesa pastori buoni, generosi e santi, che vadano alla ricerca della pecorella smarrita e si assumano tutte le responsabilità in ordine al loro ministero a servizio delle anime, della comunità dei credenti e della stessa umanità.
Nella preghiera iniziale delle liturgia eucaristica, noi preghiamo oggi con queste significative parole, che sono la sintesi di quanto sentiremo ed ascolteremo dalla voce del buon Pastore, che è Cristo stesso, che parla a noi attraverso la Chiesa di oggi, a partire dalla figura autorevole di Papa Francesco: « Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore ».
Il testo degli Atti degli apostoli di questa quarta domenica ci fa ritornare al giorno della Pentecoste e ai discorsi di Pietro alla gente che si avvicina progressivamente alla nuova religione, quella cristiana, di cui il principe degli apostoli si fa interprete e annunziatore, focalizzando la sua attenzione che « Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso ». Le conseguenze immediate di questo discorso è la disponibilità delle persone a cambiare vita e strada. Ecco perché chiedono a Pietro e agli Apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?», dal momento che erano stati profondamente toccate nel cuore. Pietro replica invitando alla conversione tutti coloro che vogliono venire alla fede, partendo dal ricevere il battesimo « nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati », e dalla Cresima, dal momento che riceveranno « il dono dello Spirito Santo ».
L’ultimo caloroso appello che Pietro rivolge a presenti fu: «Salvatevi da questa generazione perversa!». I frutti di quella prima catechesi o predicazione di massa si videro subito, al punto tale che negli Atti si annota che « quel giorno furono aggiunte circa tremila persone ». Come è facile capire l’azione pastorale degli apostoli si fa sempre più evidente, attingendo lo stimolo ad ampliare gli spazi di comunicazione dalla sacra scrittura e dalla preghiera dei Salmi, come oggi è ricordato nel Salmo 22, nel quale si riconosce che « Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino. Con il Signore non temo alcun male, anche in una condizione di buio totale in tutti i sensi. Un pastore buono ed attento che dà sicurezza al gregge, che cammina sicuro su pascoli erbosi.
Anche nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera di san Pietro apostolo, troviamo un forte appello alla pastorale della pazienza, della sofferenza e della sopportazione. Infatti scrive San Pietro « se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. Gesù non commise peccato, fu una persona sincera, un soggetto di grande sopportazione, in quanto « insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Gesù si è caricato sulla sua persona i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti ».
Tutto cambia con la venuta di Gesù e con la sua morte e risurrezione, l’umanità ritrova le ragioni della sua speranza e del suo presente e futuro: « Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime ».
Nel Vangelo di San Giovanni troviamo il passo relativo alla figura del buon pastore, su cui si incentrato il tema e la liturgia di questa quarta domenica di Pasqua: « egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Di fronte alla scarsa comprensione del discorso di Gesù, nello stesso brano del Vangelo troviamo la replica e l’ulteriore spiegazione di quanto Gesù andava dicendo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo…io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Avere la vita in abbondanza in Gesù Cristo è incamminarsi sulla strada della santità che passa attraverso una convinta purificazione dei nostri peccati e con il desiderio, vivo e sincero, di iniziare un percorso nuovo di vita vera che non scende a compromesso con nessuno e soprattutto con la propria coscienza. Il modello a cui ispirarci è Gesù stesso e accanto a Lui poniamo in queste mese di maggio anche la sua dolcissima Madre, Maria Santissima, che il 13 maggio 1917, apparendo ai tre pastorelli, a Fatima, chiedeva la conversione del mondo al bene supremo della pace, della giustizia, della verità e della purezza dei sentimenti. Nell’imminenza di questa ricorrenza mariana, chiediamo alla Vergine Santa che ci confermi nel nostro proposito di raggiungere la santità, partendo da questa terra e vivendo da santi in questa misera valle di lacrime.

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