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LA METANOIA COME CONDIZIONE DI BASE PER ACCEDERE A DIO (anche Paolo)

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LA METANOIA COME CONDIZIONE DI BASE PER ACCEDERE A DIO (anche Paolo)

Bernard Häring

(1969-03-37)

Tutta la vita cristiana è una grande conversione che ha come condizione di base la svolta più importante nella storia umana: il fatto che Dio stesso va incontro all’uomo per convertirlo a se stesso, in un’Alleanza di amore. L’uomo può accedere a Dio solo perché Dio si volge all’uomo.
La metanoia si inserisce nella linea profetica del Vecchio Testamento (Ezechiele, Geremia, ecc.), nell’annuncio che verrà il tempo in cui Dio toglierà il cuore di pietra dell’uomo e gli darà un nuovo cuore, un nuovo modo di pensare, di desiderare, un nuovo modo di integrazione, di totalità. La parola metanoia è una parola profetica, una promessa: dalla promessa viene all’uomo il dono e col dono il compito. È quindi importante che nella visione teologica e nella pratica catechetica e pastorale si metta l’accento sull’azione divina: Dio volge il suo volto all’uomo; dal fatto che Dio volge il suo volto all’uomo, nel Figlio Unigenito per mezzo dello Spirito Santo, proviene il richiamo, l’invito, l’onore, l’obbligo urgente di volgere il nostro volto, la nostra persona, tutta la nostra intelligenza, la volontà, il cuore a Dio.
Al centro della metanoia, secondo le profezie, sta il fatto della Nuova Alleanza: Dio stesso trasforma il significato della storia. La venuta di Cristo è la grande trasformazione.
Nel senso biblico quindi, nella parola metanoia non troviamo qualcosa che precede l’iniziativa di Dio, come uno sforzo dell’uomo, uno sforzo di ordine morale. Tutte le forme di pelagianesimo fanno della conversione morale e del progresso morale la condizione di base per accedere a Dio. Invece la visione biblica propone tutto come una unica trasformazione, per mezzo della grazia. La base è la fede che porterà frutto nella carità. Questo dobbiamo sottolinearlo con tutta la nostra energia: la metanoia è un fatto religioso, non soltanto un fatto morale. Uno dei grandi pericoli della nostra morale e della prassi pastorale è il pericolo del ritorno al pelagianesimo.

METANOIA COME RISPOSTA ALLA LIETA NOVELLA
La condizione di base della metanoia, del ritorno a Dio è la venuta di Cristo, ossia la lieta novella venuta da Dio in Cristo. In Cristo succede la «transubstantiatio», la trasformazione totale, la conversione della storia umana. Lui è il messaggero e il messaggio della lieta novella. Nel Vangelo di Marco (1, 14) troviamo una brevissima sintesi di tutta la predicazione di Gesù che risulta come una predicazione della metanoia: «In quel tempo Gesù incominciò a proclamare la lieta novella venutaci da Dio: il tempo propizio è venuto. Il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete alla lieta novella». Il senso non è: «Fate la vostra conversione morale e poi credete anche alla lieta novella», ma piuttosto: «Accettate la buona novella con fede viva; e così tutto il vostro modo di pensare, di volere, di agire sarà cambiato». vicino il tempo propizio: non «i tempi cattivi» di cui tanti educatori (cattivissimi educatori) predicano. Sono i non credenti che predicano sempre sui tempi cattivi. I credenti predicano sul tempo propizio, sul tempo favorevole, sul «kairos», come dice la Bibbia. Dio vuol guidare per mezzo del suo amore visibile, in Cristo; l’imperativo, l’invito risulta da questa grazia, da questa lieta novella. E anche l’invito è lieta novella, il tempo propizio in cui Dio ci dà un cuore nuovo. L’imperativo è urgente proprio perché Dio ci dà un cuore nuovo. Questa intima relazione tra metanoia e lieta novella la troviamo in tutte le catechesi bibliche.
- Nel discorso della montagna (probabilmente una catechesi fatta ai neofiti dopo i sacramenti della iniziazione) l’appello alla metanoia è comunicato proprio nelle nove beatitudini, nelle nove «congratulazioni». La pienezza della lieta novella, la gioia della fede viva, porta in sé non soltanto un richiamo a convertirsi, ma soprattutto il dinamismo, la forza che conduce alla novità della vita.
- Luca, nella redazione breve del discorso della montagna, comincia con quattro «congratulazioni-beatitudini» (nel mondo greco il numero quattro era il simbolo della pienezza). Alle quattro beatitudini sono aggiunti quattro «guai». La lieta novella porta in sé la forza della conversione e della separazione. Soltanto in vista della lieta novella «si svelano i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 35).
- Anche la catechesi di San Giovanni introduce il comandamento della conversione totale (amare il prossimo come Cristo ci ha amato) con la forza della lieta novella: «Tutto questo vi ho detto perché in voi dimori la mia gioia e la gioia vostra sia piena: questo è il mio comandamento: che vi amiate » (Giov 15, 11-12).
Non dobbiamo separare le prescrizioni morali da questo comandamento: potremmo soltanto scoraggiarci; se vediamo soltanto il comandamento come possiamo noi amare come Cristo? Se abbiamo capito che Cristo è la nostra vita, che vive in noi e ci invita a dimorare in Lui per far dimorare la sua lieta novella in noi, possiamo comprendere il significato del comandamento: è una comunicazione di amore, non una imposizione. Non possiamo provare una vera conversione se non confrontiamo l’uomo, con la bellezza, l’altezza, l’urgenza della lieta novella.
Guai all’educatore che vuole raccogliere il frutto della conversione senza aver seminato la gioia della fede!
Giorni fa, lungo la strada, mi è capitato di osservare il volto di un sacerdote. Ho pensato: che guaio se un fotoreporter riprendesse questo volto, segnato dai caratteri dell’infelicità! Può essere frutto di una malattia, non voglio giudicare. Ma mi è venuta spontanea questa riflessione: non abbiamo portato frutto abbondante nel mondo, perché non abbiamo dato alla parola di Dio il permesso di dimorare nel nostro cuore. Ci manca spesso l’ora di contemplazione, di canto, di gioia come usava la beatissima Vergine che «ha conservato tutte queste parole, sorgenti di letizia, nel suo cuore». La primissima condizione per coloro che vogliono lavorare per la conversione propria e altrui è la presenza della lieta novella nel proprio cuore, l’arte di comunicare questa lieta novella in termini concreti e vitali (non nell’astrattismo di molta teologia dogmatica attuale).

L’INCONTRO CON CRISTO
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che la metanoia non è una nuova reazione a un nuovo imperativo e nemmeno soltanto una nuova relazione a nuove idee: è una nuova relazione ad una persona, alla persona che si chiama il Santo di Dio, la Via, la Vita, la Verità, Cristo. In tutte le catechesi bibliche sulla conversione il centro del quadro è una persona: Cristo, in cui il Padre rende visibile tutto il suo amore.
- Nel Vangelo di Marco la predica della lieta novella che conduce alla conversione, è introdotta dall’immagine viva di Cristo che con il Battesimo della Penitenza prende su di sé il fardello di tutti i suoi fratelli.
Lo Spirito Santo scende visibilmente sopra di Lui, mentre dal cielo viene una voce: «Tu sei il mio figlio diletto, in Te mi sono compiaciuto» (Mc 1, 11 ).
- Nel discorso della montagna si accostano a Cristo i discepoli: il Vangelo parla infatti di tutta la moltitudine. Sette volte risuona la voce dell’amore e dell’autorità: «Ma io vi dico». La via della salvezza consiste nel sentire e mettere in pratica la sua parola. Tutti riconoscono «che Egli ammaestrava come colui che ha autorità» (Mt 7, 29).
- Nella catechesi di conversione di San Luca, Cristo sta di nuovo al centro del quadro. Cristo è circondato dalla folla e dagli apostoli: tutta la folla cerca di toccarlo perché «da Lui usciva una forza» (Lc 6, 19).
La risposta fondamentale – ossia l’opzione fondamentale – della folla, è una relazione nuova, personale, a Cristo: «La folla lo seguiva» (Lc 7, 9). La metanoia non è soltanto una nuova relazione ad un imperativo o a nuove idee, è una relazione personalissima, è una nuova amicizia, un’accoglienza festosa, umile, riconoscente, della verità salvifica, accoglienza di Cristo, messaggio e messaggero del Padre; è un dono totale di se stesso.
- Nella catechesi di San Giovanni (i cosiddetti discorsi di addio) sta di nuovo visibilmente al centro Cristo. I discepoli sono seduti al tavolo; attorno a Lui. Egli, il Maestro Signore, lava i loro piedi; poi proclama il grande mistero: «Io in voi e voi in Me».
Il comandamento fondamentale della conversione risuona come un invito d’intima amicizia: «Dimorate in Me». Se la lieta novella di Cristo dimora in noi e se noi rimaniamo in Cristo, siamo convertiti, abbiamo ricevuto e accolto la grazia della metanoia.
- Lo stesso vale per San Paolo: tutti i richiami alla novità della vita hanno il loro fondamento nella lieta novella, considerata come una realtà dinamica: «Essere e rimanere in Cristo». Nelle lettere di San Paolo questo appello che è presentato come base della morale ritorna centosessantaquattro volte.
L’opzione fondamentale, nel senso religioso, è la fede; una fede però che è molto più che un assenso dell’intelletto: la fede include fondamentalmente una vita vissuta secondo le esigenze della fede, secondo le esigenze della vita di Cristo e con Cristo.
La fede viva porterà frutto nella carità, per la vita del mondo (Cf Optatam Totius, n. 16). Si può accedere a Cristo anche se c’è una debolezza della volontà e una parziale mancanza di libertà morale, in un campo o in un altro. Ma non si può aderire a Cristo senza la decisione fondamentale – opzione fondamentale – di accogliere Cristo come la vita e la via: cioè di vivere secondo le esigenze dell’amicizia con Cristo. L’uomo della strada, di cultura certamente non molto alta, originario da un ambiente in cui non c’è un forte spirito cristiano, porta molte cicatrici, molte piaghe, proprio per la sua vita passata, per una tradizione di superficialità in cui è vissuto; non può evidentemente comprendere subito tutte le esigenze della fede. Ma se ha capito la nuova amicizia, il dono che Cristo gli fa di Se stesso, la nuova vita, gradualmente la fede porterà frutto: non soltanto in un senso individualistico, ma frutto per la vita del mondo, nella carità.
Al centro della fede sta il fatto che Dio rivela se stesso, che Dio, che è amore, rivela il suo amore, un amore senza limiti. E così accoglienza della fede dice già accoglienza di tutta la fecondità dell’amore, in tensione di crescita. Dobbiamo credere come regola fondamentale che Cristo accoglie tutti coloro che accolgono Lui, anche se hanno tutte le piaghe, anche se sono pieni di lebbra. Chiunque ha accolto Cristo e sa che Cristo accoglie l’uomo nella sua potenza e nella sua miseria, si sente spinto da una dinamica urgenza di riconoscenza, di crescita nell’amore, di conversione continua.

IL SENSO DEL PECCATO
Pio XII disse che il peccato più grande del mondo di oggi è forse la perdita del senso del peccato. Lo stesso è stato detto anche da teologi come Reinhold Niebuhr e Karl Barth.
Che cosa significa «senso del peccato»?
- L’uomo moderno ha spesso una coscienza sociale più sviluppata che non il cristiano pio e devoto dei secoli passati, che usava confessarsi almeno una volta al mese, con profondo senso di pietà. L’uomo moderno ha una coscienza dell’unità del genere umano e della solidarietà internazionale molto più chiara degli uomini religiosi di altri tempi. L’uomo moderno condanna «la guerra sacra», tanto apprezzata da generazioni di uomini devoti. Una cosa, dunque, è la coscienza morale, o coscienza dei valori morali, ed un’altra cosa è il senso del peccato, la cui base è il senso di Dio.
Senza fede in un Dio che ci chiama, l’uomo non vede la dimensione religiosa del male morale. Nel senso più profondo e più vero, il peccato è rifiuto di Cristo, dell’amicizia con Dio, rottura e disprezzo dell’aderenza alla lieta novella. Per comprendere quindi il senso del peccato si deve necessariamente mettere l’accento sulla lieta novella, sull’offerta dell’amicizia in Dio: senza il senso dell’amore in Dio non ci può essere vero senso di peccato.
Nella storia delle religioni vediamo due estremi. Da una parte un senso del sacro un po’ vago, non legato ad un senso morale di misericordia, giustizia, sincerità. Il peccato viene considerato come la trasgressione di un tabù. Si sviluppa evidentemente una separazione tra la religione con il suo cerchio ristretto e la vita morale degli uomini.
Dall’altra parte, stanno le diverse forme di moralità che non hanno la religione per base.
L’uomo moderno preferisce una morale umanistica efficace (per es. efficace contro la segregazione razziale o capace di curare lo sviluppo delle classi sociali e dei popoli più bisognosi) ad una religione che non produce effetti morali a favore del genere umano. L’uomo moderno giudica più severamente colui che trascura la misericordia e la giustizia di colui che trascura la preghiera e l’approfondimento intellettuale della propria fede.
Anche se si tratta di cosa certamente necessaria, non basta insistere sull’obbligo di amare e di onorare Dio, per ovviare a queste tendenze dell’uomo moderno. La cosa più urgente è di superare l’abisso tra religione e vita. L’educatore è chiamato a dimostrare vitalmente l’unità esistente fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, tra la religione e la morale. Si deve soprattutto insistere sulla fecondità della fede per la vita del mondo.
- Non si può amare Dio Padre, senza amare Cristo suo Figlio; non si può amare Cristo, senza amare tutti coloro che Egli ha amato fino alla morte. Non si può trovare il vero amore verso il prossimo, senza un’accoglienza sincera e riconoscente dell’amore redentivo di Cristo. Non si può dire sinceramente «Padre Nostro – che sei nei cieli» senza onorare Dio mediante un vero amore fraterno nei confronti degli altri. Odiare o disprezzare il prossimo o non aiutare il bisognoso quando se ne ha la possibilità, è veramente un affronto contro la paternità di Dio, Padre del nostro Signore e fratello Gesù Cristo. In questo senso, i grandi profeti del Vecchio Testamento hanno liberato il senso del peccato da un falso sacralismo; ma hanno contemporaneamente approfondito il senso del peccato proprio predicando la santità di Dio, la sua misericordia, la sua fedeltà e la sua giustizia. La disintegrazione tra religione e vita o la sottolineatura sulle vuote prescrizioni, di cui non si indica il significato, relative all’amore del prossimo e all’amore di Dio Padre, non solo distrugge il vero senso del peccato, ma peggio ancora distrugge il senso di Dio. L’astrattismo di formule, precetti e pratiche, distrugge il senso religioso. L’educazione al senso di Dio comincia con l’esempio, con una preghiera sincera, spontanea, con la testimonianza della fede mediante un amore autentico.
Nella storia della salvezza, vediamo una relazione intima fra il senso del peccato e la manifestazione della misericordia di Dio. Tutti noi siamo peccatori, ma questo non è motivo di disperazione: Dio è infinitamente misericordioso. Dio ci aiuterà, ci perdonerà, se anche noi sapremo essere misericordiosi. È questo il modo concreto di venerare il mistero della redenzione.
Il senso di Dio, il senso del sacro, dipende dalla «complexio oppositorum», dall’armonia dinamica tra il «mysterium tremendum» della giustizia di Dio e il «mysterium fascinosum» della sua immensa bontà misericordiosa. La religione si rompe se si accentua solo la giustizia e la santità di Dio o solo la sua misericordia.
Il peccato è offesa ingiusta di un Dio misericordioso e santo. L’uomo moderno giudica molto severamente l’uomo religioso che ha un senso del sacco fino allo scrupolo nel campo puramente rituale, nelle piccole prescrizioni, nei problemi di validità sacramentale e non ha un senso vivo per l’uomo. È necessario sottolineare anche l’urgenza di questa sintesi.
- Nel Vecchio e nel Nuovo Testamento Dio manifesta se stesso come Colui che ama l’uomo sua creatura: è la passione, la con-passione di Dio per l’uomo. Dio sta davanti a noi come nostro fratello, nel Figlio suo Unigenito. Il senso del peccato per non diventare un astrattismo, va convogliato in questa grande prospettiva di Dio che ama l’uomo. Si offende Dio nell’uomo; ma soltanto se si conosce Dio che ama l’uomo, se si vede l’uomo come immagine di Dio, l’uomo amato da Dio, l’uomo redento nel sangue di Cristo, si potrà capire che si commette peccato se non si serve all’uomo, alla sua dignità.
Uno dei motivi per cui l’uomo moderno ha perso il senso del peccato può essere il fatto che molti cristiani hanno perso un autentico senso dell’uomo. La scrupolosità nei puntigli religiosi, l’imputarsi su piccole cose, l’insistere troppo unilateralmente sui peccati della masturbazione e dell’onanismo, tutto questo ha creato nell’uomo moderno la sensazione di una tremenda alienazione, di un rifiuto dell’uomo. Se noi mettiamo l’accento soltanto su un punto parziale e non tocchiamo il vero centro (l’amore appassionato di Dio per l’uomo), tradiamo la presentazione genuina del senso del peccato. Soltanto così, indicando cioè il peccato come egoismo, rottura dell’amore, rifiuto dell’impegno di fraternità, di apertura, di rispetto, possiamo superare questa disintegrazione dell’uomo e tante attuali tentazioni di ateismo. L’uomo moderno non è in grado di capire nessun altro linguaggio, scandalizzato com’è di molta nostra religiosità meschina, se non una visione integrale di Dio, santo, giusto e misericordioso, di Dio che rivela se stesso «propter hominem».
Possiamo dire Padre nostro, celebrare le nostre feste, soltanto se diciamo anche «nostri fratelli»: dimostreremo la vera dimensione del peccato se lo presenteremo come peccato contro Dio e contro i nostri fratelli.

LA LEGGE DELLA CRESCITA E IL PECCATO VENIALE
Il peccato grave o peccato mortale è la decisione fondamentale di voltare le spalle a Dio. Questo può succedere con un peccato contro la fede, contro la speranza e contro l’amore di Dio (peccato nel senso religioso più forte) e anche con un comportamento che non porta in sé direttamente l’opposizione contro Dio ma che la persona avverte profondamente non componibile con l’amore di Dio.
Un bambino, creato secondo l’immagine di Dio ed educato in un ambiente più o meno cristiano, ha insita nella sua esperienza e nel più profondo del suo essere una orientazione fondamentale verso Dio. Questa orientazione profonda si personalizza sempre più, fino alla maturità della fede e della carità Tutto quello che la persona non ancora matura fa, partecipa al valore dell’orientazione buona. Ma dove un’attitudine statica autosufficiente interrompe lo sviluppo, là emerge il pericolo della perdita dell’orientazione buona. Non credo che un bambino di dieci anni possa commettere un peccato mortale, ossia possa cambiare la sua opzione fondamentale: da questo non consegue che le decisioni del bambino non siano importanti. Tutta la vita deve essere considerata in una prospettiva dinamica: di crescita o di mettere in pericolo la vita stessa.
La crescita della vita di fede e della vita morale assieme alla vita di fede riveste sempre il carattere di purificazione, di lotta, di conversione continua. Senza una grazia totalmente straordinaria è impossibile evitare tutti i peccati veniali.
Peccato veniale è la mancanza nella crescita, il non accogliere la grazia offerta, il non usare le possibilità offerte di fare bene in tutti i casi in cui questa mancanza non viene come una decisione dalla profondità della persona, ma come una presa di posizione in vista dell’amore di Dio o del prossimo, con libertà e deliberazione sufficiente.
La morale tradizionale insiste sulla «materia gravis». Questa non è definibile con un oggettivismo astratto. La gravità dell’offesa obiettiva sta in una relazione stretta con la maturità della persona, con lo sviluppo del senso morale e religioso.
Si può tenere come norma pratica generale la seguente affermazione: l’uomo che si mette sulla via della conversione continua, se cade e ben presto fa un atto di dolore con proponimento rinnovato, probabilissimamente non avrà commesso peccato grave (se avesse commesso un peccato grave, non sarebbe disposto a fare subito un atto di dolore).
È però molto importante considerare che fra peccato veniale e peccato veniale può esserci una differenza enorme, come fra un mal di testa e la lebbra o il cancro. Normalmente, il peccato mortale (l’opzione fondamentale con cui l’uomo volge le spalle a Dio) si prepara in un processo lungo di mancanze più o meno gravi, nel non voler progredire, nella mancanza di pentimento dopo il peccato, ecc. Tutte le decisioni grandi, nel bene e nel male, si preparano gradualmente.
La formazione della coscienza sarà organica se ci rendiamo chiaramente conto come il progresso morale in genere e in alcuni punti difficili, sia condizionato dalla crescita della fede, speranza, carità. D’altra parte è vero che ogni progresso nell’amore autentico del prossimo può essere una parte del progresso di una fede più viva. Ma dobbiamo anche sapere che spesso, ostacoli di ordine sociologico o psicologico, impediscono lo sviluppo normale sia della morale, sia del senso di Dio, impediscono cioè alla fede in Dio di portare i frutti abbondanti di cui è capace.

CONVERSIONE COMUNE
La nostra salvezza è causata dalla solidarietà di Cristo con tutto il genere umano. Convertirsi significa quindi inserirsi nella solidarietà di Cristo e in Cristo nella solidarietà di salvezza con la comunità in cui viviamo. Soltanto secondo la misura della nostra inserzione nella comunità di salvezza, possiamo essere liberati dalla solidarietà negativa e deleteria del peccato.
La conversione continua di ciascuno è sostenuta dallo sforzo comune, dalla vitalità di fede, speranza, carità dell’ambiente in cui egli è inserito; come questa conversione rimane minacciata dall’ambiente corrotto o tiepido.
Se tutto il popolo di Dio si mette sulla strada della conversione continua, trasformando anche le strutture che la impediscono, sarà molto più facile ad ogni singola persona di entrare nel dinamismo della vita cristiana, di approfondire il senso di solidarietà a tutti i livelli, di costruirsi un’autentica gerarchia di valori, di collaborare efficacemente e con impegno per la vita del mondo.

Publié dans:CONVERSIONE (LA) |on 24 septembre, 2015 |Pas de commentaires »

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