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GIOVANNI PAOLO II – SUBIACO 1980 (PER LA FESTA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA)

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GIOVANNI PAOLO II – SUBIACO 1980 (PER LA FESTA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA)

VISITA PASTORALE A SUBIACO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II DURANTE LA VISITA AL SACRO SPECO

28 settembre 1980

Venerabili e carissimi fratelli.

1. Oggi il grande giubileo di san Benedetto ci ha fatto venire a Subiaco. Vi ha già dato l’occasione di presiedere, nelle vostre patrie, nelle vostre diocesi, a importanti celebrazioni, non solo per i monaci e le monache, ma per tutto il Popolo di Dio affidato alle vostre cure, come ho fatto io stesso a Norcia e a Montecassino. Ma oggi, la scelta del luogo santificato da san Benedetto – il Sacro Speco – e la composizione della vostra assemblea dà un rilievo eccezionale a questa celebrazione.
Un millennio e mezzo è trascorso dalla nascita di questo grande uomo, che ha meritato nel passato il titolo di “patriarca dell’occidente”, e che e stato chiamato ai nostri giorni, da Papa Paolo VI, il “patrono dell’Europa”. Già questi titoli testimoniano che la luce della sua persona e della sua opera ha superato le frontiere del suo paese e non si è limitata solamente alla sua famiglia benedettina: questa ha del resto conosciuto una magnifica espansione ed è provenendo da numerosi paesi e continenti, che i suoi figli e le sue figlie si sono riuniti, una settimana fa, a Montecassino, per venerare la memoria del loro padre comune e fondatore del monachesimo occidentale.
Oggi, a Subiaco, ci sono i rappresentanti degli episcopati d’Europa che si ritrovano per testimoniare, in presenza dei Vescovi del mondo intero riuniti in Sinodo, a quale punto san Benedetto da Norcia sia inserito profondamente e organicamente nella storia d’Europa, e in particolare quanto gli sono debitori le società e le Chiese, del nostro continente, e come, nella nostra epoca critica, esse volgono i loro sguardi verso colui che è stato designato dalla Chiesa come loro patrono comune.
Consacrando l’abbazia di Montecassino risorta dalle rovine della guerra, il 2 ottobre 1964, Paolo VI segnalava le due ragioni che fanno sempre desiderare l’austera e dolce presenza di san Benedetto tra noi: “La fede cristiana che lui e il suo ordine hanno predicato, specialmente nella famiglia d’Europa…, e l’unità attraverso la quale il grande monaco solitario e sociale ci ha insegnato ad essere fratelli e attraverso la quale l’Europa divenne cristiana”. “È perché questo ideale spirituale dell’Europa fosse ormai sacro e intangibile” che il mio venerato predecessore proclamava quel giorno san Benedetto “patrono e protettore dell’Europa”. E il breve e solenne “pacis nuntius” che consacrava questa decisione, ricordando i meriti del grande abate, “messaggero di pace, artigiano dell’unità, maestro di civilizzazione, araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in occidente”, riaffermava che lui e i suoi figli, “con la croce, il libro e l’aratro”, portarono “il progresso cristiano alle popolazioni che si stendevano dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure di Polonia”.
2. San Benedetto fu prima di tutto un uomo di Dio. Egli lo è diventato seguendo, in modo costante, la via delle virtù indicate nel Vangelo. Fu un vero pellegrino del regno di Dio. Un vero “homo viator”. E questo pellegrinaggio è stato accompagnato da una lotta che è durata tutta la sua vita: una battaglia innanzitutto contro se stesso, per combattere “l’uomo vecchio” e fare sempre più posto in sé all’“uomo nuovo”. Il Signore ha permesso che, grazie al santo Spirito, questa trasformazione non rimanesse un avvenimento per lui solo, ma che divenisse una sorgente di luce, penetrando la storia degli uomini, penetrando soprattutto la storia d’Europa.
Subiaco fu e rimane una tappa importante di questo percorso. Da un parte, fu luogo di ritiro per san Benedetto da Norcia, egli vi si ritirò dall’età di quindici anni per essere più vicino a Dio. E nello stesso tempo un luogo che ben manifesta ciò che egli è. Tutta la sua storia resterà segnata da questa esperienza di Subiaco: la solitudine con Dio, l’austerità di vita, e la separazione di questa vita molto semplice con qualche discepolo, perché e là che è cominciata una prima organizzazione della vita cenobitica.
E per questo che vengo anch’io in questo alto luogo del Sacro Speco e del primo monastero.
3. Uomo di Dio, Benedetto lo fu realizzando continuamente il Vangelo, non solamente allo scopo di conoscerlo, ma anche di tradurlo interamente in tutta la sua vita. Si potrebbe dire che l’ha riletto in profondità – con la profondità della sua anima -, e che l’ha riletto nella sua ampiezza, secondo la dimensione dell’orizzonte che aveva sotto gli occhi. Questo orizzonte fu quello del mondo antico che era sul punto di morire e quello del mondo nuovo che era sul punto di nascere. Tanto nella profondità della sua anima che nell’orizzonte di questo mondo, egli ha affermato tutto il Vangelo: l’insieme di ciò che costituisce il Vangelo e nello stesso tempo ciascuna delle sue parti, ciascuno dei passi che la Chiesa rilegge nella sua liturgia, e anche ciascuna frase.
Sì, l’uomo di Dio – “benedictus”, il benedetto, Benedetto – si compenetra in tutta la semplicità della verità che vi è contenuta. Ed egli vive questo Vangelo. E vivendolo, egli evangelizza.
Paolo VI ci ha lasciato in eredità san Benedetto da Norcia come patrono d’Europa. Cosa voleva dirci con questo? Prima di tutto può essere che noi dobbiamo innalzarci senza posa alla traduzione del Vangelo, che deve essere tradotto interamente e in tutta la nostra vita. Che noi dobbiamo rileggerlo con tutta la profondità della nostra anima e in tutta la sua ampiezza, secondo la dimensione dell’orizzonte del mondo che noi abbiamo davanti al mondo. Il Concilio Vaticano II ha posto fermamente la realtà della Chiesa e della sua missione sull’orizzonte del mondo che giorno dopo giorno le diviene contemporaneo.
L’Europa costituisce una parte essenziale di questo orizzonte. In quanto continente nel quale si trovano le nostre patrie, essa è per noi un dono della provvidenza, che ce l’ha affidata allo stesso tempo come un’opera da realizzare. Noi, in quanto Chiesa, e in quanto pastori della Chiesa, dobbiamo rileggere il Vangelo e annunciarlo nella misura dei compiti che sono inerenti alla nostra epoca. Noi dobbiamo rileggerlo e predicarlo nella misura delle attese che non smettono di manifestarsi nella vita degli uomini e delle società, e nello stesso tempo nella misura delle contestazioni che noi incontriamo nella loro vita. Cristo non smette mai di essere “l’attesa dei popoli” e nello stesso tempo egli non smette di essere il “segno di contraddizione”.
Sì, sulle tracce di san Benedetto, il compito dei Vescovi d’Europa è d’intraprendere l’opera di evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Così facendo, essi si rifanno a ciò che è stato elaborato e costruito quindici secoli fa, allo spirito che l’ha ispirato, al dinamismo spirituale e alla speranza che ha segnato questa iniziativa; ma è un’opera da intraprendere in modo rinnovato, a prezzo di nuovi sforzi, in funzione dell’attuale contesto.
4. È in questa cornice dell’evangelizzazione che assume tutto il suo senso la dichiarazione dei Vescovi d’Europa che abbiamo appena letto: “Responsabilità dei cristiani di fronte all’Europa d’oggi e di domani”. Questo documento, elaborato in comune, è un apprezzabile frutto della responsabilità collegiale dei Vescovi di tutto il continente europeo. È senza dubbio la prima volta che l’iniziativa assume una tale ampiezza. Si tratta di un documento, in qualche modo, della Chiesa cattolica in Europa, che è rappresentata, in modo particolare, dai Vescovi come pastori e maestri di fede. Saluto con gioia questo incoraggiante segno di una responsabilità collegiale che progredisce in Europa, di una unità meglio consolidata tra gli episcopati. Questi episcopati si trovano infatti in paesi dalle situazioni molto diverse, che si tratti dei loro sistemi sociali o economici, dell’ideologia dei loro stati o della posizione della Chiesa cattolica, che forma a volte una maggioranza indiscutibile, altre volte una piccola minoranza al fianco di altre Chiese, o in rapporto a una società molto secolarizzata. Confidando nel carattere benefico, stimolante, degli scambi e della cooperazione, come ho già molte volte detto, io incoraggio con tutto il cuore il proseguimento di una tale collaborazione, che ben si iscrive nella linea del Concilio Vaticano II. Essa non è d’altra parte estranea alla pratica benedettina e cistercense di una interdipendenza e di una cooperazione tra i differenti monasteri dispersi attraverso l’Europa.
Nella dichiarazione resa pubblica oggi e in questo alto luogo, vi esprimo a giusto titolo la preoccupazione di una unità ecclesiale estesa. L’Europa è infatti il continente in cui le separazioni ecclesiali hanno avuto la loro origine e si sono manifestate con forza. Vale a dire che le Chiese in Europa – quelle sorte dalla Riforma, l’ortodossa e la Chiesa cattolica, che rimangono legate in modo speciale all’Europa – hanno una responsabilità particolare sul cammino dell’unità, sul piano della comprensione reciproca, dei lavori teologici e della preghiera.
Ugualmente, di fronte alle comunità cattoliche degli altri continenti, qui rappresentate, la Chiesa d’Europa deve caratterizzarsi per l’accoglienza, il servizio e lo scambio reciproco, per aiutare queste Chiese sorelle a trovare la loro propria identità, nell’unità della fede, dei sacramenti e della gerarchia.
Insomma è una testimonianza comune della vostra cura pastorale che voi date oggi, cari fratelli, che noi diamo oggi, in funzione dei bisogni e delle attese. Io non ho ripreso qui ciò che è stato abbondantemente esposto in questo documento comune. Si tratta di tracciare un cammino di evangelizzazione per l’Europa, e di seguirlo, con i nostri fedeli. È un’opera da continuare e da riprendere senza posa. Il prossimo “symposium” dei Vescovi d’Europa non ha per tema “l’autoevangelizzazione dell’Europa?” E questo ci riporta al grande progetto, all’iniziativa senza pari di san Benedetto, di cui certe caratteristiche specifiche hanno enormi conseguenze umane, sociali e spirituali.
5. San Benedetto da Norcia è divenuto patrono spirituale dell’Europa perché, come il profeta, egli ha fatto del Vangelo il suo nutrimento, e ne ha gustato in una volta la dolcezza e l’amarezza. Il Vangelo costituisce infatti la totalità della verità sull’uomo: è insieme la gioiosa novella e nello stesso tempo la parola della croce. Attraverso esso vediamo rivivere, in maniere diverse, il problema del ricco e del povero Lazzaro – con il quale la liturgia di questo giorno ci ha resi familiari – in quanto dramma della storia, in quanto problema umano e sociale. L’Europa ha inscritto questo problema nella sua storia; essa l’ha portato ben al di là delle frontiere del suo continente. Con esso ha seminato l’inquietudine nel mondo intero. Dalla metà del nostro secolo, questo problema è ritornato, in un certo senso, in Europa; esso si pone anche nella vita delle sue società. Non manca di essere l’origine delle tensioni. Non smette di essere l’origine delle minacce.
Di queste minacce, io ho già parlato il primo giorno dell’anno, facendo allusione a questo grande anniversario di san Benedetto; ricordavo, di fronte ai pericoli della guerra nucleare che minacciano l’esistenza stessa del mondo, che “lo spirito benedettino è uno spirito di salvataggio e di promozione, nato dalla coscienza del piano divino della salvezza ed educato nell’unione quotidiana della preghiera e del lavoro”. Esso “è agli antipodi di ogni programma di distruzione”.
Il pellegrinaggio che noi compiamo oggi è dunque ancora un grande grido e una nuova supplica per la pace in Europa e nel mondo intero. Noi preghiamo affinché le minacce di autodistruzione che le ultime generazioni hanno fatto sorgere all’orizzonte della loro vita si allontanino da tutti i popoli del nostro continente e di tutti gli altri continenti. Noi preghiamo affinché si allontanino le minacce d’oppressione degli uni da parte degli altri: la minaccia della distruzione degli uomini e dei popoli che, nel corso delle loro lotte storiche e a prezzo di tante vittime, hanno acquisito il diritto morale di essere se stessi e di decidere da se stessi.
6. Che si trattasse del mondo che ai tempi di san Benedetto si limitava all’antica Europa, o del mondo che, nello stesso tempo, stava per sorgere, il loro orizzonte passava attraverso la parabola del ricco e del povero Lazzaro. Al momento in cui il Vangelo, la buona novella del Cristo, entrava nell’antichità, sopportava i pesi dell’istituzione della schiavitù. Benedetto da Norcia trovò nell’orizzonte del suo tempo le tradizioni della schiavitù, e nello stesso tempo rileggeva nel Vangelo una verità sconcertante sulla riconciliazione definitiva della sorte del ricco e del povero Lazzaro.
Leggeva anche la gioiosa verità sulla fraternità di tutti gli uomini. Dagli inizi il Vangelo costituirà dunque un richiamo a superare la schiavitù nel nome dell’eguaglianza degli uomini agli occhi del Creatore e Padre. Nel nome della croce e della redenzione.
Questa verità, questa buona novella dell’eguaglianza e della fraternità, non è stato san Benedetto che l’ha tradotta in regola di vita? Egli l’ha tradotta non solamente in regola di vita per le sue comunità monastiche, ma più ancora, in sistema di vita per gli uomini e per i popoli. “Ora et labora”. Il lavoro, nell’antichità, era la sorte degli schiavi, il segno dell’avvilimento. Essere libero significava non lavorare, e dunque vivere del lavoro degli altri. La rivoluzione benedettina mette il lavoro al cuore stesso della dignità dell’uomo. L’uguaglianza degli uomini intorno al lavoro diviene, attraverso il lavoro stesso, come un fondamento della libertà dei figli di Dio, della libertà grazie al clima di preghiera in cui si vive il lavoro. Ecco qui una regola e un programma. Un programma che comporta degli elementi. La dignità del lavoro non può infatti essere tratta unicamente da criteri materiali, economici. Essa deve maturare nel cuore dell’uomo. E essa non può maturare nel profondo che mediante la preghiera. Perché è la preghiera che dice in definitiva all’umanità ciò che è l’uomo del lavoro, colui che lavora con il sudore della sua fronte e anche con la fatica del suo spirito e delle sue mani. Essa ci dice che egli non può essere schiavo, ma che egli è libero. Come afferma san Paolo: “lo schiavo che è stato chiamato dal Signore, è un libero affrancato dal Signore” (1Cor 7,22). E Paolo, che non ha creduto indegno di un apostolo di “affaticarsi lavorando con le proprie mani” (1Cor 4,12) non ha paura di mostrare agli anziani di Efeso le sue proprie mani che hanno provveduto ai propri bisogni e a quelli dei suoi compagni (cf. At 20,34). È nella fede di Cristo e nella preghiera che il lavoratore scopre la sua dignità. È ancora san Paolo che precisa: “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: “Abbà, Padre!”. Dunque non sei più schiavo, ma figlio” (Gal 4,6-7).
Non abbiamo visto recentemente uomini che, di fronte a tutta l’Europa e al mondo intero, univano la proclamazione della dignità del loro lavoro alla preghiera?
7. Benedetto da Norcia, che per la sua azione profetica ha cercato di far uscire l’Europa dalle tristi tradizioni della schiavitù, sembra dunque parlare, dopo quindici secoli, a numerosi uomini e a molteplici società che bisogna liberare dalle diverse forme contemporanee di oppressione dell’uomo. La schiavitù pesa su colui che è oppresso, ma anche sull’oppressore. Non abbiamo conosciuto, nel corso della storia, delle potenze, degli imperi che hanno oppresso nazioni e popoli in nome della schiavitù ancora più forte della società degli oppressori? La parola d’ordine “ora et labora” è un messaggio di libertà.
Di più, questo messaggio benedettino non è oggi all’orizzonte del nostro mondo, un richiamo a liberarsi dalla schiavitù del consumismo d’un modo di pensare e di giudicare, di stabilire i nostri programmi e di condurre il nostro stile di vita unicamente in funzione dell’economia?
In questi programmi scompaiono i valori umani fondamentali. La dignità della vita è sistematicamente minacciata. La famiglia è minacciata, vale a dire questo legame essenziale reciproco fondato sulla confidenza delle generazioni, che trova la sua origine nel mistero della vita e della pienezza di tutta l’opera dell’educazione. È anche tutto il patrimonio spirituale delle nazioni e delle patrie che è minacciato.
Siamo in grado noi di frenare tutto questo? Di ricostruire? Siamo in grado di allontanare dagli oppressi il peso della costrizione? Siamo capaci di convincere il mondo che l’abuso della libertà è un’altra forma di costrizione?
8. San Benedetto ci è stato donato come patrono dell’Europa dei nostri tempi, del nostro secolo, per testimoniare che siamo capaci di fare tutto questo.
Noi dobbiamo solamente assimilare di nuovo il Vangelo nel più profondo della nostra anima, nella cornice della nostra attuale epoca. Dobbiamo accettarlo come un nutrimento. Si riscoprirà allora un po’ alla volta il cammino della salvezza e della pace come in quei tempi lontani in cui il Signore dei signori ha posto Benedetto da Norcia, quale lampada sul candelabro, quale faro sulla strada della storia.
È lui infatti che è il Signore di tutta la storia del mondo, Gesù Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi, al fine di arricchirci con la sua povertà (cf. 2Cor 8,9).
A lui onore e gloria per i secoli!

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA RELIGIOSA, FONDATRICE 23 LUGLIO

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SANTA BRIGIDA DI SVEZIA RELIGIOSA, FONDATRICE

23 LUGLIO

Finsta, Uppsala (Svezia), giugno 1303 – Roma, 23 luglio 1373

Compatrona d’Europa, venerata dai fedeli per le sue «Rivelazioni», nacque nel 1303 nel castello di Finsta, nell’Upplandi (Svezia), dove visse con i genitori fino all’età di 12 anni. Sposò Ulf Gudmarson, governatore dell’Östergötland, dal quale ebbe otto figli.Secondo la tradizione devozionale, nel corso delle prime rivelazioni, Cristo le avrebbe affidato il compito di fondare un nuovo ordine monastico. Nel 1349 Brigida lasciò la Svezia per recarsi a Roma, per ottenere un anno giubilare e l’approvazione per il suo ordine, che avrebbe avuto come prima sede il castello reale di Vastena, donatole dal re Magnus Erikson. Salvo alcuni pellegrinaggi, rimase a Roma fino alla sua morte avvenuta il 23 luglio 1373. La sua canonizzazione avvenne nel 1391 ad opera di Papa Bonifacio IX. (Avvenire)

Patronato: Svezia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)
Etimologia: Brigida (come Brigitta) = alta, forte, potente, dall’irlandese

Martirologio Romano: Santa Brigida, religiosa, che, data in nozze al legislatore Ulfo in Svezia, educò nella pietà cristiana i suoi otto figli, esortando lo stesso coniuge con la parola e con l’esempio a una profonda vita di fede. Alla morte del marito, compì numerosi pellegrinaggi ai luoghi santi e, dopo aver lasciato degli scritti sul rinnovamento mistico della Chiesa dal capo fino alle sue membra e aver fondato l’Ordine del Santissimo Salvatore, a Roma passò al cielo.
Nel tardo Medioevo, sia in campo civile che in quello ecclesiastico, gli uomini si dilaniavano in lotte intestine, provocando guerre tra gli Stati e scismi nella Chiesa e mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della civiltà cristiana, davanti al pericolo sempre incombente dei musulmani.
Dio allora suscitò donne come santa Brigida di Svezia e santa Caterina da Siena, contemporanee, che con il loro carisma cercarono di pacificare gli animi e di ricostruire l’unità della Chiesa, dando un contributo, sotto certi aspetti determinante, alla civiltà europea.
E giustamente sia s. Brigida patrona della Svezia (1303-1373), sia s. Caterina da Siena compatrona d’Italia (1347-1380), sono state proclamate compatrone dell’Europa, insieme a s. Benedetto da Norcia (470-547).

Sue origini e formazione
Brigida o Brigitta o Birgitta, nacque nel giugno 1303 nel castello di Finsta presso Uppsala in Svezia; suo padre Birgen Persson era ‘lagman’, cioè giudice e governatore della regione dell’Upplan, la madre Ingeborga era anch’essa di nobile stirpe.
In effetti Brigida apparteneva alla nobile stirpe dei Folkunghi e discendeva dal pio re cristiano Sverker I; ebbe altri sei fratelli e sorelle e le fu imposto il nome di Brigida, in onore di santa Brigida Cell Dara († 525), monaca irlandese, della quale i genitori erano devoti.
Dopo la morte della madre, a 12 anni fu mandata presso la zia Caterina Bengtsdotter, a completare la propria formazione; ancora fanciulla, Brigida dopo aver ascoltato una predica sulla Passione di Gesù, ebbe con Lui un profondo colloquio che le rimase impresso per sempre nella memoria.
Alla domanda: “O mio caro Signore, chi ti ha ridotto così?”, si sentì rispondere: “Tutti coloro che mi dimenticano e disprezzano il mio amore!”. La bambina decise allora di amare Gesù con tutto il cuore e per sempre.
Presso la zia, Brigida trascorse due anni, dove apprese le buone maniere delle famiglie nobili, la scrittura e l’arte del ricamo; durante questi anni non mancarono nella sua vita alcuni fenomeni mistici, come la visione del demonio sotto forma di mostro dai cento piedi e dalle cento mani.

Sposa e madre cristiana
A 14 anni, secondo le consuetudini dell’epoca, il padre la destinò in sposa del giovane Ulf Gudmarsson figlio del governatore del Västergötland; in verità Brigida avrebbe voluto consacrarsi a Dio, ma vide nella disposizione paterna la volontà di Dio e serenamente accettò.
Le nozze furono celebrate nel settembre 1316 e la sua nuova casa fu il castello di Ulfasa, presso le sponde del lago Boren; il giovane sposo, nonostante il suo nome, che significava ‘lupo’, si dimostrò invece uomo mite e desideroso di condurre una vita conforme agli insegnamenti evangelici.
Secondo quanto scrisse e raccontò poi la figlia s. Caterina di Svezia, al processo di canonizzazione, i due sposi vissero per un biennio come fratello e sorella nella preghiera e nella mortificazione; soltanto tre anni dopo nacque la prima figlia e in venti anni Brigida diede al marito ben otto figli, quattro maschi (Karl, Birger, Bengt e Gudmar) e quattro femmine (Marta, Karin, Ingeborga e Cecilia).
Nel 1330 il marito Ulf Gudmarsson fu nominato “lagman” di Närke e successivamente i due coniugi divennero anche Terziari Francescani; dietro questa nomina, c’era tutto l’impegno di Brigida, che gli aveva insegnato a leggere e scrivere e Ulf approfittando della spinta culturale della moglie, aveva approfondito anche lo studio del diritto, meritando tale carica.
Per venti anni Ulfasa fu il centro della vita di Brigida e tutta la provincia dell’Ostergötland divenne il suo mondo, il suo ruolo non fu solo quello di principessa di Närke, ma senza ostentare alcuna vanagloria, fu una ottima massaia, dirigeva il personale alle sue dipendenze, mescolata ad esso svolgeva le varie attività domestiche, instaurando un benefico clima di famiglia.
Si dedicava particolarmente ai poveri e alle ragazze, procurando a quest’ultime una onesta sistemazione per non cadere nella prostituzione; inoltre fece costruire un piccolo ospedale, dove ogni giorno si recava ad assistere gli ammalati, lavandoli e rammendando i loro vestiti.
In questo intenso periodo, conobbe il maestro Matthias, uomo esperto in Sacra Scrittura, di vasta cultura e zelante sacerdote; ben presto divenne il suo confessore e si fece tradurre da lui in svedese, buona parte della Bibbia per poterla leggere e meditare meglio; la sua presenza apportò a Brigida la conoscenza delle correnti di pensiero di tutta l’Europa, giacché don Matthias aveva studiato a Parigi, e tutto ciò si rivelerà utile per la conoscenza delle problematiche del tempo, preparandola alla sua futura missione.

Alla corte reale di Svezia
Quando però nel 1335, il re di Svezia Magnus II sposò Bianca di Dampierre, Brigida che era lontana cugina del sovrano, fi invitata a stabilirsi a corte, per ricevere ed assistere la giovane regina, figlia di Giovanni I, conte di Namur.
L’invito non si poteva respingere e quindi Brigida affidati due figlie e un figlio a monasteri cistercensi, lasciò temporaneamente la sua casa di Ulfasa e si trasferì a Stoccolma, portando con sé il figlio più piccolo, bisognoso ancora delle cure materne.
Ebbe grande influenza sui giovani sovrani e finché fu ascoltata, la Svezia ebbe buone leggi e furono abolite ingiuste ed inumane consuetudini, come il diritto regio di rapina su tutti i beni dei naufraghi, inoltre furono mitigate le tasse che opprimevano il popolo.
Poi man mano, mentre la regina cresceva, manifestando una eccessiva frivolezza favorita dalla debolezza del marito, Brigida si trovò messa da parte e la vita di corte divenne molto mondana.
A questo punto, senza rompere i rapporti con i sovrani, approfittando di momenti propizi e del lutto che l’aveva colpita con la morte nel 1338 del figlio Gudmar, Brigida lasciò la corte e se ne ritornò a casa sua, ritrovando nel castello di Ulfasa nella Nericia, la gioia della famiglia e della convivenza e con il marito si recò in pellegrinaggio a Nidaros per venerare le reliquie di sant’Olav Haraldsson (995-1030) patrono della Scandinavia.

Dalla vita coniugale allo stato religioso – L’esperienza mistica
Quando nel 1341 i due coniugi festeggiarono le nozze d’argento, vollero recarsi in pellegrinaggio a Santiago di Compostella; quest’evento segnò una svolta decisiva nella vita dei due coniugi, che già da tempo vivevano vita fraterna e casta.
Nel viaggio di ritorno, Ulf fu miracolosamente salvato da sicura morte grazie ad un prodigio e i due coniugi presero la decisione di abbracciare la vita religiosa, era una cosa possibile in quei tempi e parecchi santi e sante provengono da questa scelta condivisa.
Al ritorno, Ulf fu accolto nel monastero cistercense di Alvastra, dove poi morì il 12 febbraio 1344 assistito dalla moglie; Brigida a sua volta, avendo esaurito la sua missione di sposa e di madre, decise di trasferirsi in un edificio annesso al monastero di Alvastra, dove restò quasi tre anni fino al 1346.
Fu l’inizio del periodo più straordinario della sua vita; dopo un periodo di austerità e di meditazione sui divini misteri della Passione del Signore e dei dolori e glorie della Vergine, cominciò ad avere le visioni di Cristo, che in una di queste la elesse “sua sposa” e “messaggera del gran Signore”; iniziò così quello straordinario periodo mistico che durerà fino alla sua morte.
Ai suoi direttori spirituali come il padre Matthias, Brigida dettò le sue celebri “Rivelazioni”, sublimi intuizioni e soprannaturali illuminazioni, che ella conobbe per tutta la vita e che furono poi raccolte in otto bellissimi volumi.

Stimolatrice di riforme e di pace in Europa
Durante le visioni, Cristo la spingeva ad operare per il bene del Paese, dell’Europa e della Chiesa; non solo tornò a Stoccolma per portare personalmente al re e alla regina “gli ammonimenti del Signore”, ma inviò lettere e messaggi ai sovrani di Francia e Inghilterra, perché terminassero l’interminabile ‘Guerra dei Cent’anni’ (1339-1453).
Suoi messaggeri furono mons. Hemming, vescovo di Abo in Finlandia e il monaco Pietro Olavo di Alvastra; un altro monaco omonimo divenne suo segretario.
Esortò anche papa Clemente VI a correggersi da alcuni gravi difetti e di indire il Giubileo del 1350, inoltre di riportare la Sede pontificia da Avignone a Roma.

La fondazione del nuovo Ordine religioso
Nella solitudine di Alvastra, concepì anche l’idea di dare alla Chiesa un nuovo Ordine religioso che sarà detto del Santo Salvatore, composto da monasteri ‘doppi’, cioè da religiosi e suore, rigorosamente divisi e il cui unico punto d’incontro era nella chiesa per la preghiera in comune; ma tutti sotto la guida di un’unica badessa, rappresentante la Santa Vergine e con un confessore generale.
Ottenuto dal re, il 1° maggio 1346, il castello di Vadstena, con annesse terre e donazioni, Brigida ne iniziò i lavori di ristrutturazione, che durarono molti anni, anche perché papa Clemente VI non concesse la richiesta autorizzazione per il nuovo Ordine, in ottemperanza al decreto del Concilio Ecumenico Lateranense del 1215, che proibiva il sorgere di nuovi Ordini religiosi.
Per questo già nell’autunno del 1349, Brigida si recò a Roma, non solo per l’Anno Santo del 1350, ma anche per sollecitare il papa, quando sarebbe ritornato a Roma, a concedere l’approvazione, che fu poi concessa solo nel 1370 da papa Urbano V.
L’Ordine del Ss. Salvatore, era costituito ispirandosi alla Chiesa primitiva raccolta nel Cenacolo attorno a Maria; la parte femminile era formata da 60 religiose e quella maschile da 25 religiosi, di cui 13 sacerdoti a ricordo dei 12 Apostoli con s. Paolo e 2 diaconi e 2 suddiaconi rappresentanti i primi 4 Padri della Chiesa e otto frati.
Riassumendo, ogni comunità doppia era composta da 85 membri, dei quali 60 suore che con i 12 monaci non sacerdoti rappresentavano i 72 discepoli, più i 13 sacerdoti come sopra detto.
Il gioco di numeri, rientrava nel gusto del tempo per il simbolismo, rappresentare gli apostoli e i discepoli, spingeva ad un richiamo concreto a vivere come loro erano vissuti; senza dimenticare che in quell’epoca non esisteva crisi vocazionale e ciò permetteva di raggiungere senza difficoltà il numero di monache e religiosi prescritto per ogni doppio monastero.

Roma sua seconda patria
Arrivata a Roma insieme al confessore, al segretario Pietro Magnus e al sacerdote Gudmaro di Federico, alloggiò brevemente nell’ospizio dei pellegrini presso Castel Sant’Angelo, e poi nel palazzo del cardinale Ugo Roger di Beaufort, fratello del papa, che vivendo ad Avignone, aveva deciso di metterlo a disposizione di Brigida, la cui fama era giunta anche alla Curia avignonese.
Roma non fece una buona impressione a Brigida, ne migliorò in seguito; nei suoi scritti la descriveva popolata di rospi e vipere, le strade piene di fango ed erbacce, il clero avido, immorale e trascurato.
Si avvertiva fortemente la lontananza da tanto tempo del papa, al quale descriveva nelle sue lettere la decadente situazione della città, spronandolo a ritornare nella sua sede, ma senza riuscirci.
Vedere l’Europa unita e in pace, governata dall’imperatore e guidata spiritualmente dal papa, era il sogno di Brigida e dei grandi spiriti del suo tempo.
Dopo quattro anni, si trasferì poi nella casa offertale nel suo palazzo, dalla nobildonna romana Francesca Papazzurri, nelle vicinanze di Campo de’ Fiori; Roma divenne così per Brigida la sua seconda patria.
Trascorreva le giornate studiando il latino, dedicandosi alla preghiera e alle pratiche di pietà, trascrivendo in gotico le visioni e le rivelazioni del Signore, che poi passava subito al suo segretario Pietro Olavo perché le traducesse in latino.
Dalla dimora di Campo de’ Fiori, che abiterà fino alla morte, inviava lettere al papa, ai reali di Svezia, alle regine di Napoli e di Cipro e naturalmente ai suoi figli e figlie rimasti a Vadstena.

Apostola riformatrice in Italia
Si spostò in pellegrinaggio a vari santuari del Centro e Sud d’Italia, Assisi, Ortona, Benevento, Salerno, Amalfi, Gargano, Bari; nel 1365 Brigida andò a Napoli dove fu artefice e ispiratrice di una missione di risanamento morale, ben accolta dal vescovo e dalla regina Giovanna che seguendo i suoi consigli, operò una radicale conversione nei suoi costumi e in quelli della corte.
Napoli ha sempre ricordato con venerazione la santa del Nord Europa, e a lei ha dedicato un bella chiesa e la strada ove è situata nel centro cittadino; recentemente le sue suore si sono stabilite nell’antico e prestigioso Eremo dei Camaldoli che sovrasta Napoli.
Brigida, si occupò anche della famosa abbazia imperiale di Farfa nella Sabina, vicino Roma, dove l’abate con i monaci “amava più le armi che il claustro”, ma il suo messaggio di riforma non fu ascoltato da essi.
Mentre era ancora a Farfa, fu raggiunta dalla figlia Caterina (Karin), che nel 1350 era rimasta vedova e che rimarrà al suo fianco per sempre, condividendo in pieno l’ideale della madre.
Ritornata a Roma, Brigida continuò a lanciare richiami a persone altolocate e allo stesso popolo romano, per una vita più cristiana, si attirò per questo pesanti accuse, fino ad essere chiamata “la strega del Nord” e a ridursi in estrema povertà, e lei la principessa di Nericia, per poter sostenere sé stessa e chi l’accompagnava, fu costretta a chiedere l’elemosina alla porta delle chiese.

Il ritorno temporaneo del papa – Pellegrina in Terra Santa
Nel 1367 sembrò che le sue preghiere si avverassero, il papa Urbano V tornò da Avignone, ma la sua permanenza a Roma fu breve, perché nel 1370 ripartì per la Francia, nonostante che Brigida gli avesse predetto una morte precoce se l’avesse fatto; infatti appena giunto ad Avignone, il 24 settembre 1370 il papa morì.
Durante il breve periodo romano, Urbano V concesse la sospirata approvazione dell’Ordine del Ss. Salvatore e Caterina di Svezia ne diventò la prima Superiora Generale.
Brigida continuò la sua pressione epistolare, a volte molto infuocata, anche con il nuovo pontefice Gregorio XI, che già la conosceva, affinché tornasse il papato a Roma, ma anche lui pur rimanendo impressionato dalle sue parole, non ebbe il coraggio di farlo.
Ma anche Brigida, ormai settantenne, si avviava verso la fine; ottenuto il via per il suo Ordine religioso, volle intraprendere il suo ultimo e più desiderato pellegrinaggio, quello in Terra Santa.
L’accompagnavano il vescovo eremita Alfonso di Jaén custode delle sue ‘Rivelazioni’ messe per iscritto, di cui molte rimaste segrete, poi i due sacerdoti Olavo, Pietro Magnus e i figli Caterina, Birger e Karl e altre quattro persone, in totale dodici pellegrini.
Verso la fine del 1371, la comitiva partì da Roma diretta a Napoli, dove trascorse l’inverno; in prossimità della partenza, nel marzo 1372 Brigida vide morire di peste il figlio Karl, ma non volle annullare il viaggio e dopo aver pregato per lui e provveduto alla sepoltura, s’imbarcò per Cipro, dove fu accolta dalla regina Eleonora d’Aragona, che approfittò del suo passaggio per attuare una benefica riforma nel suo regno.
A maggio 1372 arrivò a Gerusalemme, dove in quattro mesi poté visitare e meditare nei luoghi della vita terrena di Gesù, poi ritornò a Roma col cuore pieno di ricordi ed emozioni e subito inviò ad Avignone il vescovo Alfonso di Jaén, con un’ulteriore messaggio per il papa, per sollecitarne il ritorno a Roma.

Morte, eredità spirituale, culto
A Gerusalemme, Brigida contrasse una malattia, che in fasi alterne si aggravò sempre più e in breve tempo dal suo ritorno a Roma, il 23 luglio 1373, la santa terminò la sua vita terrena, con accanto la figlia Caterina alla quale aveva affidato l’Ordine del Ss. Salvatore; nella sua stanza da letto si celebrava l’Eucaristia ogni giorno e prima di morire ricevette il velo di monaca dell’Ordine fa lei fondato.
Unico suo rimpianto era di non aver visto il papa tornare a Roma definitivamente, cosa che avverrà poco più di tre anni dopo, il 17 gennaio 1377, per mezzo di un’altra donna s. Caterina da Siena, che continuando la sua opera di persuasione, con molta fermezza, riuscì nell’intento.
Fu sepolta in un sarcofago romano di marmo, collocato dietro la cancellata di ferro nella Chiesa di S. Lorenzo in Damaso; ma già il 2 dicembre 1373, i figli Birger e Caterina, partirono da Roma per Vadstena, portando con loro la cassa con il corpo, che fu sepolto nell’originario monastero svedese il 4 luglio 1374.
A Roma rimasero alcune reliquie, conservate tuttora nella Chiesa di San Lorenzo in Panisperna e dalle Clarisse di San Martino ai Monti.
La figlia Caterina e i suoi discepoli, curarono il suo culto e la causa di canonizzazione; Brigida di Svezia fu proclamata santa il 7 ottobre 1391, da papa Bonifacio IX.
Del suo misticismo rimangono le “Rivelazioni”, raccolte in otto volumi e uno supplementare, ad opera dei suoi discepoli. A questi scritti la Chiesa dà il valore che hanno le rivelazioni private; sono credibili per la santità della persona che le propone, tenendo sempre conto dei condizionamenti del tempo e della persona stessa.
Come tante spiritualità del tardo medioevo, Brigida ebbe il merito di mettere le verità della fede alla portata del popolo, con un linguaggio visivo che colpiva la fantasia, toccava il cuore e spingeva alla conversione; per questo le “Rivelazioni” ebbero il loro influsso per lungo tempo nella vita cristiana, non solo dei popoli scandinavi, ma anche dei latini.
Papa Giovanni Paolo II la proclamò compatrona d’Europa il 1° ottobre 1999; santa Brigida è inoltre patrona della Svezia dal 1° ottobre 1891.

Le Suore Brigidine
Il suo Ordine del SS. Salvatore, le cui religiose sono dette comunemente “Suore Brigidine”, ebbe per due secoli un grande influsso sulla vita religiosa dei Paesi Scandinavi e nel periodo di maggiore fioritura, contava 78 monasteri ‘doppi’, nonostante le rigide regole numeriche, diffusi particolarmente nei Paesi nordici. Declinò e fu sciolto prima con la Riforma Protestante luterana, poi con la Rivoluzione Francese; in Italia le due prime Case si ebbero a Firenze e a Roma.
L’antico Ordine è rifiorito nel ramo femminile, grazie alla Beata Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957), che ne fondò un nuovo ramo all’inizio del Novecento; ora è diffuso in vari luoghi d’Europa, fra cui Vadstena, primo Centro dell’Ordine; le Suore Brigidine si riconoscono per il tipico copricapo, due bande formano sul capo una croce, i cui bracci sono uniti da una fascia circolare e con cinque fiamme, una al centro e quattro sul bordo, che ricordano le piaghe di Cristo.

Autore: Antonio Borrelli

Publié dans:SANTI PATRONI |on 23 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

L’APOSTOLO PAOLO E SANTA CATERINA (festa oggi 29 aprile)

http://www.caterinati.org/orazioni.htm

L’APOSTOLO PAOLO E SANTA CATERINA (festa oggi 29 aprile)

(da. Il Ponte, sett-ott.2008)

Il Santo Padre Benedetto XVI, il 28 giugno scorso, a San Paolo fuori le mura a Roma, con una toccante cerimonia ha inaugurato solennemente » l’anno paolino « . Alla cerimonia, hanno partecipato il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo l° e un rappresentante dell’arcive­scovo di Canterbury.
Conoscere e far conoscere sempre più San Paolo e aprirsi sul suo esempio, alla dimensione ecu­menica. (..) “ Paolo servo di Cristo Gesù ,Apostolo per vocazione. Così Paolo inizia la lettera indirizzata a quanti sono in Roma.
« lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo ». Così Caterina si presenta nelle sue epistole. (..)
Ma adesso diamo uno sguardo sul rapporto tra Caterina da Siena e l’Apostolo delle genti.
Una sera del 1353 Caterina da Siena, tornando a casa col fratellino Stefano, dopo aver fatto una visita alla visita alla torre di Sant’Ansano verso Fonte Branda, ebbe una dolcis­sima visione che la segnerà per tutta la vita. Di colpo vide la monumentale Chiesa di San Dome­nico avvolta da un serafico tramonto e su, su, in alto in una luce purissima Gesù, maestoso sedu­to in trono. Vestiva abiti pontificali, in testa poggiava un’ aurea tiara, e ai suoi lati si trovavano Pietro, Paolo e Giovanni. Giovanni.
Gesù la guardava e le sorrideva. Caterina era afferrata dal suo dolce sguardo e Gesù compiaciuto, la benediceva in un incendio d’amore infinito. Caterina non aveva che sei anni. La visione di Cristo coi paramenti pontificali le dice lo stretto rapporto col suo vicario, Pietro infatti è colui che lo rappresenta qui, sulla terra. Pertanto, per lei il Papa sarà il dolce Cristo in terra. San Gio­vanni il Teologo dell’amore, l’aiuterà a penetrare il mistero di Dio – amore e l’impegno costante della carità. Paolo, l’apostolo delle genti, il grande San Paolo il Dottore, sarà il suo Maestro e sarà amato dalla nostra santa in modo singolare per via che è stato crocifisso con Cristo. Paolo le diverrà tanto familiare da meritarsi il termine confidenziale di  » Paoluccio « . La nostra Santa il 25 gennaio del 1377 durante la Messa della festa della conversione di San Paolo, in estasi pro­nunciò una bellissima preghiera, della cui trascrizione siamo debitori al Beato Raimondo da Capua.
 » Tu, o Paolo ottimo, ( … ) da poi che per esso Verbo sei stato convertito dall’ errore alla verità e dopo che hai ricevuto il dono di essere rapito dove vedesti la divina Essenza in tre Persone, spogliato di quella visione, ritornando al corpo ovvero ai sensi, rimanesti vestito solo della visio­ne del verbo incarnato. Nella quale, considerando con attenzione che lo stesso Verbo incarnato sostenendo continue pene ha operato cl’ onore del Padre e la salute nostra, tu per questo sei fatto sitibondo e desideroso di sostenere p~ne acciò che, dimentico di tutte quante le altre cose, cpn­fessassi di non sapere altro che Iesu Cristo, e questo crocifisso. ( Orazione XXIII)
Struggente e determinata come sempre, nell’0razione VIII, invoca la luce che salva a Dio, cui sono proprie misericordia e pietà, dicendo “Tu ci desti al tempo del bisogno la luce degli apo­stoli: ora in questo tempo che maggiormente aviamo bisogno del lume risuscita un Paulo che illumini tutto el mondo ». Questo ci dice ulteriormente, l’amore, l’ammirazione e la devozione che la senese nutriva verso San Paolo.
San Giovanni Crisostomo definì San Paolo  » Voce di Dio », « Gran vascello dello Spirito Santo « , lo definì invece, Dante Alighieli. Sant’Agostino lo presentò come: » Vaso d’elezione e Maestro del mondo » mentre Santa Caterina lo chiama » Paolo ottimo « . Ma cerchiamo ancora negli scritti della nostra Mistica.
La lettera 226 indirizzata al Beato Raimondo da Capua per spronarlo ulteriormente verso l’ a­more di Dio e del prossimo, esprime tutta l’ammirazione versata in lirica nei confronti dell’ Apostolo « Così fece il dolce banditore di Paolo, che si vestì di Cristo crocifisso, e spogliato fu del diletto della divina essenza. Vestesi di Cristo uomo, cioè delle pene, obbrobri di Cristo crocifisso; e in altro modo non si vuole dilettare; anzi dice:  » lo fuggo di gloriarmi se non nella Croce di Cristo crocifisso ». E tanto gli piacque che, come disse una volta esso Apostolo a una serva sua: « Dolce figliola mia, tanto me l’ho stretto ‘l detto piacere col legame dell’affetto e dell’amore, che mai da me non si partì, né punto allentò, se non quando mi fu tolta la vita ». ( … ) Ed è fatto vasello di dilezione; pieno di fuoco, a portare, e a predicare la parola di Dio. Adunque non più negligenza, né dormire nell’ignoranzia, ma con acceso e ardito cuore distendere i dolci e amoro­si desideri ad andare a dare l’onore a Dio e la fadiga al prossimo; non partendovi mai dall’obiet­to nostro, Cristo crocifisso.
Chiunque si accosti agli scritti della nostra Mistica,anche semplicemente sfogliando il Dialogo, si accorge come a partire dal capitolo tre, citi l’Apostolo, per evidenziare in modo eloquente, la centralità di Cristo Crocifisso nella sua dottrina. Il Papa Benedetto XIV elevò tali lodi della mirabile dottrina di Caterina, ricca di sapienza, da fargli dire che, a somiglianza di San Paolo, tale dottrina è « accesa del fuoco della carità « . (Cfr. S. Caterina nei documenti papali P.Alfredo Scarciglia). A Benedetto XIV, nel 1995, fa eco Giovanni Paolo II, quando nella Lettera Aposto­lica, all’ Arcivescovo di Siena dice: « Infiammata dallo stesso ardore di San Paolo, Caterina non sa che predicare Cristo e Cristo crocifisso, nel cui sangue si sente a lui sposa e nel cui sangue scrive, da madre e sorella, il suo epistolario « Per Caterina il Cristo Crocifisso stà in su la croce beato e doloroso, perché è amante dell’umanità ed è il redentore nostro. Per Caterina il Cristo Crocifisso è altresì l’Agnello svenato e consumato d’amore, ed è dato a noi in cibo nell’Eucari­stia. Anche nelle sue lettere mette bene in evidenza la centralità di Cristo Crocifisso tant’ è, che le sue lettere iniziano » nel nome di Cristo Crocifisso » e terminano nel nome di Gesù dolce, Ge­sù amore.
È fuor d’ogni dubbio, che Caterina ami d’amore singolare  » l’ottimo Paolo » soprattutto per la sua scelta preferenziale che è quella di amare Cristo Crocifisso, che è scelta di sofferenza per amore, fino a con­fonnarsi a Lui. « Sono stato croci­fisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. (Galati 2,19 -20)
(P.Alfredo Scarciglia o.p.)

BENEDETTO XVI : SANTA BRIGIDA DI SVEZIA – 23 LUGLIO (f)

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20101027_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

PIAZZA SAN PIETRO

MERCOLEDÌ, 27 OTTOBRE 2010

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA – 23 LUGLIO (f)

Cari fratelli e sorelle,

nella fervida vigilia del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II proclamò santa Brigida di Svezia compatrona di tutta l’Europa. Questa mattina vorrei presentarne la figura, il messaggio, e le ragioni per cui questa santa donna ha molto da insegnare – ancor oggi – alla Chiesa e al mondo.
Conosciamo bene gli avvenimenti della vita di santa Brigida, perché i suoi padri spirituali ne redassero la biografia per promuoverne il processo di canonizzazione subito dopo la morte, avvenuta nel 1373. Brigida era nata settant’anni prima, nel 1303, a Finster, in Svezia, una nazione del Nord-Europa che da tre secoli aveva accolto la fede cristiana con il medesimo entusiasmo con cui la Santa l’aveva ricevuta dai suoi genitori, persone molto pie, appartenenti a nobili famiglie vicine alla Casa regnante.
Possiamo distinguere due periodi nella vita di questa Santa.
Il primo è caratterizzato dalla sua condizione di donna felicemente sposata. Il marito si chiamava Ulf ed era governatore di un importante distretto del regno di Svezia. Il matrimonio durò ventott’anni, fino alla morte di Ulf. Nacquero otto figli, di cui la secondogenita, Karin (Caterina), è venerata come santa. Ciò è un segno eloquente dell’impegno educativo di Brigida nei confronti dei propri figli. Del resto, la sua saggezza pedagogica fu apprezzata a tal punto che il re di Svezia, Magnus, la chiamò a corte per un certo periodo, con lo scopo di introdurre la sua giovane sposa, Bianca di Namur, nella cultura svedese.
Brigida, spiritualmente guidata da un dotto religioso che la iniziò allo studio delle Scritture, esercitò un influsso molto positivo sulla propria famiglia che, grazie alla sua presenza, divenne una vera “chiesa domestica”. Insieme con il marito, adottò la Regola dei Terziari francescani. Praticava con generosità opere di carità verso gli indigenti; fondò anche un ospedale. Accanto alla sua sposa, Ulf imparò a migliorare il suo carattere e a progredire nella vita cristiana. Al ritorno da un lungo pellegrinaggio a Santiago di Compostela, effettuato nel 1341 insieme ad altri membri della famiglia, gli sposi maturarono il progetto di vivere in continenza; ma poco tempo dopo, nella pace di un monastero in cui si era ritirato, Ulf concluse la sua vita terrena.
Questo primo periodo della vita di Brigida ci aiuta ad apprezzare quella che oggi potremmo definire un’autentica “spiritualità coniugale”: insieme, gli sposi cristiani possono percorrere un cammino di santità, sostenuti dalla grazia del Sacramento del Matrimonio. Non poche volte, proprio come è avvenuto nella vita di santa Brigida e di Ulf, è la donna che con la sua sensibilità religiosa, con la delicatezza e la dolcezza riesce a far percorrere al marito un cammino di fede. Penso con riconoscenza a tante donne che, giorno dopo giorno, ancor oggi illuminano le proprie famiglie con la loro testimonianza di vita cristiana. Possa lo Spirito del Signore suscitare anche oggi la santità degli sposi cristiani, per mostrare al mondo la bellezza del matrimonio vissuto secondo i valori del Vangelo: l’amore, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la fecondità nella generazione e nell’educazione dei figli, l’apertura e la solidarietà verso il mondo, la partecipazione alla vita della Chiesa.

Quando Brigida rimase vedova, iniziò il secondo periodo della sua vita. Rinunciò ad altre nozze per approfondire l’unione con il Signore attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di carità. Anche le vedove cristiane, dunque, possono trovare in questa Santa un modello da seguire. In effetti, Brigida, alla morte del marito, dopo aver distribuito i propri beni ai poveri, pur senza mai accedere alla consacrazione religiosa, si stabilì presso il monastero cistercense di Alvastra. Qui ebbero inizio le rivelazioni divine, che l’accompagnarono per tutto il resto della sua vita. Esse furono dettate da Brigida ai suoi segretari-confessori, che le tradussero dallo svedese in latino e le raccolsero in un’edizione di otto libri, intitolati Revelationes (Rivelazioni). A questi libri si aggiunge un supplemento, che ha per titolo appunto Revelationes extravagantes (Rivelazioni supplementari).
Le Rivelazioni di santa Brigida presentano un contenuto e uno stile molto vari. A volte la rivelazione si presenta sotto forma di dialoghi fra le Persone divine, la Vergine, i santi e anche i demoni; dialoghi nei quali anche Brigida interviene. Altre volte, invece, si tratta del racconto di una visione particolare; e in altre ancora viene narrato ciò che la Vergine Maria le rivela circa la vita e i misteri del Figlio. Il valore delle Rivelazioni di santa Brigida, talvolta oggetto di qualche dubbio, venne precisato dal Venerabile Giovanni Paolo II nella Lettera Spes Aedificandi: “Riconoscendo la santità di Brigida la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l’autenticità complessiva della sua esperienza interiore” (n. 5).
Di fatto, leggendo queste Rivelazioni siamo interpellati su molti temi importanti. Ad esempio, ritorna frequentemente la descrizione, con dettagli assai realistici, della Passione di Cristo, verso la quale Brigida ebbe sempre una devozione privilegiata, contemplando in essa l’amore infinito di Dio per gli uomini. Sulla bocca del Signore che le parla, ella pone con audacia queste commoventi parole: “O miei amici, Io amo così teneramente le mie pecore che, se fosse possibile, vorrei morire tante altre volte, per ciascuna di esse, di quella stessa morte che ho sofferto per la redenzione di tutte” (Revelationes, Libro I, c. 59). Anche la dolorosa maternità di Maria, che la rese Mediatrice e Madre di misericordia, è un argomento che ricorre spesso nelle Rivelazioni.
Ricevendo questi carismi, Brigida era consapevole di essere destinataria di un dono di grande predilezione da parte del Signore: “Figlia mia – leggiamo nel primo libro delle Rivelazioni –, Io ho scelto te per me, amami con tutto il tuo cuore … più di tutto ciò che esiste al mondo” (c. 1). Del resto, Brigida sapeva bene, e ne era fermamente convinta, che ogni carisma è destinato ad edificare la Chiesa. Proprio per questo motivo, non poche delle sue rivelazioni erano rivolte, in forma di ammonimenti anche severi, ai credenti del suo tempo, comprese le Autorità religiose e politiche, perché vivessero coerentemente la loro vita cristiana; ma faceva questo sempre con un atteggiamento di rispetto e di fedeltà piena al Magistero della Chiesa, in particolare al Successore dell’Apostolo Pietro.
Nel 1349 Brigida lasciò per sempre la Svezia e si recò in pellegrinaggio a Roma. Non solo intendeva prendere parte al Giubileo del 1350, ma desiderava anche ottenere dal Papa l’approvazione della Regola di un Ordine religioso che intendeva fondare, intitolato al Santo Salvatore, e composto da monaci e monache sotto l’autorità dell’abbadessa. Questo è un elemento che non deve stupirci: nel Medioevo esistevano fondazioni monastiche con un ramo maschile e un ramo femminile, ma con la pratica della stessa regola monastica, che prevedeva la direzione dell’Abbadessa. Di fatto, nella grande tradizione cristiana, alla donna è riconosciuta una dignità propria, e – sempre sull’esempio di Maria, Regina degli Apostoli – un proprio posto nella Chiesa, che, senza coincidere con il sacerdozio ordinato, è altrettanto importante per la crescita spirituale della Comunità. Inoltre, la collaborazione di consacrati e consacrate, sempre nel rispetto della loro specifica vocazione, riveste una grande importanza nel mondo d’oggi.
A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”.
Durante quegli anni, i Pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna.
Morì nel 1373, prima che il Papa Gregorio XI tornasse definitivamente a Roma. Fu sepolta provvisoriamente nella chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna, ma nel 1374 i suoi figli Birger e Karin la riportarono in patria, nel monastero di Vadstena, sede dell’Ordine religioso fondato da santa Brigida, che conobbe subito una notevole espansione. Nel 1391 il Papa Bonifacio IX la canonizzò solennemente.
La santità di Brigida, caratterizzata dalla molteplicità dei doni e delle esperienze che ho voluto ricordare in questo breve profilo biografico-spirituale, la rende una figura eminente nella storia dell’Europa. Proveniente dalla Scandinavia, santa Brigida testimonia come il cristianesimo abbia profondamente permeato la vita di tutti i popoli di questo Continente. Dichiarandola compatrona d’Europa, il Papa Giovanni Paolo II ha auspicato che santa Brigida – vissuta nel XIV secolo, quando la cristianità occidentale non era ancora ferita dalla divisione – possa intercedere efficacemente presso Dio, per ottenere la grazia tanto attesa della piena unità di tutti i cristiani. Per questa medesima intenzione, che ci sta tanto a cuore, e perché l’Europa sappia sempre alimentarsi dalle proprie radici cristiane, vogliamo pregare, cari fratelli e sorelle, invocando la potente intercessione di santa Brigida di Svezia, fedele discepola di Dio e compatrona d’Europa. Grazie per l’attenzione.

11 LUGLIO: SAN BENEDETTO DA NORCIA: PADRE E PATRONO D’EUROPA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/07-Luglio/San_Benedetto_da_Norcia.html

SAN BENEDETTO DA NORCIA: PADRE E PATRONO D’EUROPA

1 gennaio 2002: una giornata storica per noi europei, vissuta con particolare emozione. Il neonato Euro cominciava a camminare. Una vera rivoluzione raggiunta attraverso il dialogo, la collaborazione e l’impegno costruttivo dei 12 paesi della cosiddetta “Eurolandia”. Già al tempo dei Romani circolava in tutta Europa (nell’impero) una moneta unica: ma questa era stata imposta “manu militari” cioè con la potenza degli eserciti. Il vecchio sogno riprese con Carlo Magno e la sua Lira carolingia. Purtroppo non durò molto.
E così siamo arrivati ai nostri giorni. Il sogno è realtà. L’euro c’è e lo usiamo da vari mesi. Ricordo un titolo di giornale nei giorni precedenti l’introduzione. Diceva: “L’euro è fatto. Facciamo gli euro-pei”. Anch’io, come insegnante, ho cercato di rendere i miei allievi (16-18 anni) un po’ più europei, facendoli riflettere sull’importanza storica dell’introduzione dell’Euro, in maniera pacifica, come moneta unica. Ho insistito sul cammino che l’idea di Europa come unità aveva avuto nella storia. Oggi infatti già parliamo di Unione Europea: non è ancora Europa Unita, ma siamo sulla strada.
Tra i costruttori di questa idea di Europa, unificata attorno ai valori cristiani, è certamente da annoverare il grande Benedetto da Norcia. Proprio per questo è stato proclamato dal papa Paolo VI nel 1964 Patrono di tutta l’Europa. Giovanni Paolo II ha aggiunto, nel 1980, i santi Cirillo e Metodio (apostoli degli Slavi). E siccome il contributo alla costruzione dell’Europa non è solo degli uomini, lo stesso papa saggiamente ha aggiunto nel 1999 tre sante come co-patrone dell’Europa: santa Caterina di Siena, santa Brigida di Svezia e santa Benedetta della Croce (al secolo Edith Stein).
Qualcuno, con reminiscenze storiche più approfondite, dirà che il contributo di Benedetto da Norcia all’unificazione dell’Europa attraverso gli stessi valori predicati e vissuti, non ha avuto successo, se solo pensiamo a tutte le guerre e stragi orribili capitate nel Medio Evo e nell’Età moderna. Risponde uno storico, Jacques Le Goff, uno del mestiere quindi: “Quando si pensa a tutta la violenza che ancora si scatenerà durante questo Medioevo selvaggio, può sembrare che la lezione di Benedetto non sia stata compresa. Ma dovremmo piuttosto domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se all’inizio di quei secoli non si fosse levata questa grande e dolce voce”.
Anche se la sua lezione non è stata sempre seguita durante i secoli seguenti, Benedetto rimane uno dei grandi uomini dell’umanità, un grande santo della Chiesa cristiana, un genio nel campo culturale-religioso. Un grande della Storia, insomma. Che merita ricordare anche a distanza di tanti secoli.

Un cammino non sempre facile
Benedetto nacque a Norcia, in Umbria, nel 480 circa, da famiglia nobile non certo povera, visto che lo mandò a Roma, per completare gli studi (che lui però non completerà mai). Un particolare importante su cui i genitori di oggi farebbero bene a riflettere. Benedetto fu mandato a Roma accompagnato dalla sua fedele nutrice. Il motivo era semplice: i genitori volevano che lui si perfezionasse negli studi… senza perdere la fede e il codice morale che gli avevano insegnato. Cosa non impossibile in quei tempi a Roma.
A loro non bastava trovare l’alloggio e un bel gruzzolo di soldi per il giovanotto studente. Ci voleva un accompagnamento di tipo formativo. Ecco allora la nutrice. Ma dopo un po’ di tempo lo spettacolo romano fatto di baruffe e lotte intestine tra gli abitanti e il re ostrogoto Teodorico, ed inoltre gli intrighi e le invidie nel mondo ecclesiastico gli fecero tagliare la corda lasciando la Città Eterna al suo destino. Con la sua fedele nutrice si ritirò in un paese, vicino a Subiaco, ma non vi restò molto. Poco dopo ecco il grande salto per realizzare la propria vocazione di monaco. All’insaputa della nutrice (ormai si sentiva maturo per tale decisione) si ritirò in una grotta nei boschi di Subiaco.
Furono tre anni di solitudine, di preghiera profonda, di meditazione, e di dura penitenza, involontaria (non era certo una grotta… a cinque stelle) e anche volontaria. L’esperienza non fu facile, per ogni genere di difficoltà. Non ultimo anche il diavolo, che non manca mai, ci mise la coda: questi infatti lo tormentava con le sue visite “formative-pastorali”, ma quel giovanotto faceva le cose troppo seriamente. A Benedetto, tuttavia, sembrava di perdere tempo. Unico aiuto gli veniva da un altro monaco, un certo Romano, che gli portava da mangiare.
L’esperienza del fallimento a Benedetto arrivò ad opera di un gruppo di “monaci”. Era morto il loro superiore, e, per farsi belli davanti al vescovo e dare un tocco di legalità ecclesiastica alla loro vita religiosa, chiamarono il giovane Benedetto a… dirigerli. Essi però di disciplina morale e religiosa non ne volevano sapere assolutamente. Sotto il vestito niente, diceva una recente pubblicità. Sotto la tonaca di questi pseudo monaci non c’era niente di religioso: scorreva invece sangue di autentici gaglioffi. Infatti quando Benedetto tentò di riformare il loro sistema di vita parlando di disciplina, di penitenza, di regole da osservare… questi come risposta, poco evangelica, tentarono di avvelenarlo. E Benedetto fuggì, tornando a Subiaco.
Qui trovò altri giovani ben diversi, volenterosi di diventare veri monaci. Come lui tendevano seriamente alla santità di vita, vivendo solo per Dio e lasciando la corruzione e vanità del mondo. Benedetto li organizzò in dodici piccoli monasteri. In ognuno pose una guida, cioè un abate. Lui invece curava la formazione dei novizi, tra i quali figuravano anche dei nobili romani.
Anche in questa fase Benedetto dovette superare un ostacolo, diciamo, clericale: un certo prete, Fiorenzo, una specie di parroco del luogo. Come i precedenti monaci-gaglioffi anche costui non correva sulla strada della santità. La presenza di quei giovani monaci, seri e impegnati religiosamente, gli dava un enorme fastidio: erano un continuo rimprovero al suo modo di vivere.
Quando gli capitava l’occasione volentieri sguinzagliava nelle vicinanze dei monasteri delle “ragazze di mestiere” con l’obiettivo non solo di testare la saldezza delle virtù dei giovani monaci ma anche di… allargare loro gli orizzonti. Perché pensare solo a Dio e all’anima? L’azione di disturbo del prete Fiorenzo non ebbe successo. Anzi fu la causa provvidenziale della svolta definitiva di Benedetto e del suo progetto di monachesimo. Se ne andò in direzione Montecassino. La storia dice anche che, in seguito, alcuni monaci lo pregarono di ritornare a Subiaco, perché la persecuzione di Fiorenzo era finita. Questi infatti era morto insieme alla sua allegra brigata di amici e amiche, sembra, per il crollo del tetto di una specie di mini discoteca che lui aveva organizzato per… la ricreazione dei sensi.

Padre del monachesimo occidentale
Benedetto non tornò indietro. Era l’anno 529. La trasformazione di Montecassino ebbe del miracoloso. Quell’abbazia diventò la madre di tutte le abbazie d’Europa che si rifaranno a Benedetto.
Ma il suo vero capolavoro rimane ancora oggi la sua Regola dei monaci, che lo consacra come il vero fondatore del monachesimo occidentale, anche se non tutto è frutto della sua creatività e genialità. Gli studiosi affermano che la famosa Regola è debitrice (cosa che Benedetto ha sempre affermato) delle intuizioni di san Basilio Magno, il padre del monachesimo orientale, di sant’Agostino, di Giovanni Cassiano. E aggiungono anche un’opera dal titolo Regula Magistri, databile tra il 520 il 630, il cui autore era un italiano, un autentico maestro di vita spirituale. Benedetto certamente conobbe questa opera.
Questo non diminuisce l’originalità dell’impostazione della vita nell’abbazia che lui creò. Benedetto non aveva inventato il monastero, perché ne esistevano numerosi in tutta Italia. Egli ha delineato e imposto un nuovo modo di essere monaci, basato su tre principi fondamentali che diventeranno autentici pilastri su cui poggeranno centinaia di abbazie in tutta Europa. Il primo: la “stabilità del luogo”. Significa che Benedetto mise al bando i cosiddetti “monaci vaganti” che spesso erano poco monaci e molto vaganti cioè vagabondi. Chi entrava liberamente in monastero doveva avere intenzione seria di volerci vivere stabilmente. Il cenobio diventava la sua famiglia per sempre, nel bene e nelle difficoltà. Il secondo: il tempo del monaco sarà fortemente strutturato da un orario.
Benedetto rivaluta il tempo come dono di Dio da non dissipare o disprezzare. Il tempo quindi veniva organizzato, con scadenze puntuali riguardanti la preghiera, il lavoro manuale, la lettura sacra della Bibbia ed il riposo. Ed infine, terzo elemento, l’uguaglianza. Tutti uguali, nei diritti e nei doveri. Una vera rivoluzione. “Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli «latini» e «barbari», ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi ed ex padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui finisce l’antichità, per mano di Benedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio ed il mondo, nella preghiera e nel lavoro” (D. Agasso). Con Benedetto finiva il concetto di monachesimo-rifugio e incominciava quello di monachesimo-azione. Vivere per Dio nella contemplazione certo, ma anche nell’azione.
C’è inoltre un altro aspetto importante che qualifica la trasformazione del monachesimo: il principio di autorità, rappresentato dall’abate. Ci deve essere, perché il monastero e i suoi abitanti non possono vivere in anarchia, anche se santa. Ma questa autorità deve essere accompagnata dalla fraternità e dalla dolcezza, virtù che renderanno l’obbedienza più leggera e lieta. Benedetto non ipotizza certo un abate dittatore. La virtù che dovrà distinguerlo sempre sarà la discrezione, senza voler fare subito dei monaci degli eroi.
Morto Benedetto, il suo monachesimo profondamente riformato andò avanti. La Regola da lui dettata non rimarrà un fenomeno solo italiano, ma sarà esportata in tutta Europa, perché si adattava a tutti. Sarà lo stesso Carlo Magno ad appoggiarla. E dopo di lui Ludovico il Pio incaricò Benedetto di Aniane (750-821) di uniformare alla regola benedettina tutti i monasteri dell’Europa. Per cui essere monaco equivaleva allora ad essere benedettino.
Furono inoltre numerosissimi i nuovi ordini religiosi, maschili e femminili, che sorsero in seguito e che si ispirarono alla Regola di San Benedetto. E così le intuizioni di Benedetto poterono plasmare migliaia di monaci in tutto il continente, il cui impatto sulle popolazioni e sul clero di allora e dei secoli successivi fu enorme. Per questo non ci meravigliamo che Paolo VI lo abbia proclamato Patrono d’Europa.

MARIO SCUDU SDB ***

Santi Cirillo e Metodio, 24 maggio, la festa del cirillico in Bulgaria

dal sito:

http://venezia-emilia.blogspot.com/2010/05/santi-cirillo-e-metodio-24-maggio-la.html

Santi Cirillo e Metodio, 24 maggio, la festa del cirillico in Bulgaria

Chi sono i santi Cirillo e Metodio?

Costantino, meglio noto con il nome monastico di Cirillo (greco: — , cirillico: —) nato nel 815 fu evangelizzatore di Pannonia e Moravia nel IX sec. ed inventore dell’alfabeto glagolitico detto poi al suo nome cirillico. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa assieme al fratello Metodio (greco: —, cirillico: —) nato nel 826 e morto nel 885 a Velehrad anch’egli evangelizzatore bizantino dei popoli Slavi.I due fratelli nacquero a Salonicco, seconda città dell’Impero bizantino nel IX secolo. Di nobile famiglia, erano figli di Leone, drungario della città e governatore militare del thema Thessalonike, la regione del antico Salonicco. La città a quell’epoca contava una forte presenza slava, dovuta alla massiccia invasione che poco tempo prima aveva investito le terre bizantine, provocando l’insediamento di numerose tribù nelle campagne e in numerosi centri e fortezze minori.

Anni di studio e di missioni diplomatiche

Già in giovane età Costantino sembrava desideroso di dedicarsi al conseguimento della completa sapienza e si trasferì presto, attorno all’842, a Costantinopoli per perfezionare gli studi di teologia e filosofia, sotto l’egida del potente eunuco di corte Teostisto, logoteta del gromo e reggente per il basileus Michele III. Nella capitale dell’impero Costantino venne consacrato sacerdote, entrando a far parte del clero della basilica di Santa Sofia. (Detta « basilica » sottolineando la sua importanza storico-religiosa nel tempo, non nel senso architettonico, ma nel senso d’importanza come si dice anche « basilica di San Marco », e basilica si deve leggere non letteralmente ma come un titolo onorifico.) A Costantinopoli conobbe anche Fozio, uomo di cultura e politico di spicco, che divenne suo precettore. Anastasio Bibliotecario ci informa dell’amicizia che intercorreva tra loro così come di una disputa dottrinaria. La curiosità di Costantino dimostrava il suo eclettismo: coltivò infatti nozioni di astronimia, geometria, retorica e musica. In ogni caso, fu nel campo della linguistica che Cirillo diede prova del suo genio: oltre alla lingua greca ed a quella slava, parlava correntemente anche il latino, il siriaco, l’arabo e l’ebraico. Assieme a Fozio viaggiò in Oriente per importanti incarichi diplomatici presso gli Arabi di Samarra e i Cazari. Proprio durante un viaggio in Crimea Costantino avrebbe rinvenuto le reliquie di papa Clemente I, lì esiliato e morto nell’anno 97. Divenuto Fozio patriarca di Costantinopoli nell’858 per volontà dell’imperatrice Teodora, la Chiesa bizantina cercò di contrastare l’espansionismo della Chiesa latina e dei Franchi presso gli Slavi. Cirillo venne dunque inviato, assieme al fratello Metodio ad evangelizzare la Pannonia. Quando il re della Grande Moravia, Rastislav, chiese all’imperatore di Bizanzio di inviare missionari, la scelta ricadde ancora una volta su di loro. In realtà la richiesta celava un motivo politico perché Rastislav trovava preoccupante la presenza tedesca sul suo territorio. Infatti la Pannonia era già stata evangelizzata dalla precedente missione di Salisburgo. Cirillo dunque si recò nel regno di Rastislav e incominciò a tradurre brani dal Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolico (da ?????? glagol’ che significa parola e nel bulgaro moderno verbo). Probabilmente già da anni stava elaborando un alfabeto per la lingua slava.

Costantino (Cirillo) e Metodio a Venezia e a Roma

Nel regno di Rastislav entrarono in contrasto con il clero tedesco che rivendicava quel dominio, essendo stato evangelizzato dalla missione di Salisburgo. Sull’onda del crescente scontro tra Chiesa d’Oriente e d’Occidente per il controllo dei nuovi fedeli moravi, nell’867 i due vennero convocati a Roma per discutere con papa Niccolò I dell’uso cultuale della lingua slava. Lungo il viaggio sostarono a Venezia dove si scontrarono con il clero locale, che rivendicava come lecite tre sole lingue sacre: latino, greco ed ebraico: le lingue parlate in Palestina all’epoca di Gesù. Costantino e Metodio opposero invece a queste argomentazioni il consolidato uso che si faceva in oriente di altre lingue liturgiche. A Roma, invece, i due trovarono una buona accoglienza. Portarono al pontefice in dono le reliquie di papa Clemente I, morto in Crimea nel 97 e venerato come santo, proprio quelle reliquie che Costantino (poi Cirillo) aveva trovato in uno dei suoi viaggi anni fa. Niccolò I consacrò prete Metodio e approvò la traduzione della Bibbia in slavo, a patto che la lettura dei brani fosse preceduta dagli stessi passi espressi in Latino. La basilica San Pietro fuori le mure, dove fu stata una delle prime messe in lungua slava, in un’incisione del XVII sec. A Roma Costantino si ammalò e assunse l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo. Venne inumato presso la basilica di San Clemente. Ecco perché oggi ogni 24 maggio una delegazione bulgara va a Roma per un’audienza dal papa e in pelligrinaggio alla tomba di Costantino (Cirillo) nella cripta della basilica San Clemente a Roma.

La cacciata dei discepoli di Cirillo e Metodio dalla Moravia e il loro rifuggio in Bulgaria

Metodio ritornò in Moravia. In un altro viaggio a Roma venne nominato vescovo e assegnato alla sede di Sirmiun (oggi Sremska Mitrovica). Intanto in Pannonia a Rastislav successe il nipote, favorevole alla presenza tedesca che circondava il regno. Iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un’eresia. Metodio stesso fu incarcerato per due anni in Baviera. Nel 885 anche Metodio morì; i suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia. Una parte di essi riuscì a fuggire in Bulgaria e in Dalmazia. In Bulgaria i discepoli Clemente, Naum, Sava, Grosdad e Angelario furono ben accettati e misero l’inizio della letteratura liturgica in antico bulgaro. Intanto nel sec. IX c’era la diffusione del cristianesimo tra la popolazione, slava soprattutto. La conversione ufficiale della Bulgaria ha luogo con Boris I, che riceve il battesimo nell’864; il riconoscimento di una Chiesa autocefala bulgara da parte del patriarcato bizantino avviene nell’870. Però il sogno del sovrano bulgaro Boris I di fondare una cultura letteraria e una Chiesa indipendente di lingua slava riceve grande impulso nell’886, quando giungono nella prima capitale bulgara, Pliska, i discepoli di Cirillo e Metodio, cacciati dalla Moravia.

Il bulgaro e i Bulgari

Il bulgaro (con sloveno, serbo, croato e macedone) appartiene al gruppo meridionale delle lingue slave. I Bulgari, da cui prendono nome lo Stato e la lingua, sono invece una popolazione turannica che si sovrappone agli Slavi nella penisola balcanica, che nel sec. IX è già completamente slavizzata: l’idioma di quegli protobulgari ha lasciato nella lingua bulgara moderna una decina di parole ed io non ne conosco nessuna.

Diverse letture storiche

Nella stessa missione nella quale Costantino trovò le relique di papa Clemente I morto in Crimea nel 97, trovò anche un Vangelo e un salterio, come ci informa la Vita Methodii . Un passo del racconto, fino agli anni ’50 del XX sec. è stato interpretato come se il vangelo fosse scritto in lettere russe: nel clima nazionalistico instaurato da Stalin, si giunse alla conclusione che l’alfabeto cirillico – le lettere russe del testo – sia nato proprio in Russia. In realtà, oggi questa tesi è stata smentita da una nuova teoria: molto più probabilmente, infatti, c’è stata un’inversione tra le lettere R e S, per cui il termine russe, in slavo diventa siriache, forse perché a quel tempo i Siriaci erano già cristiani e avevano già un Vangelo tradotto.

Cirillo e Metodio, Santi patroni

I santi Cirillo e Metodio sono considerati patroni di tutti i popoli slavi; sono molto amati in Bulgaria, Macedonia e Russia ed anche nell’ambito della Chiesa catolica sono venerati in Slovenia, Slovacchia, in Croazia e nella Repubblica Ceca. Nel 1980 Giovanni Paolo II con la lettera apostolica del 31 dicembre 1980 Egregiae virtutis li elevò a compatroni dell’Europa, assieme a San Benedetto da Norcia. Nell’Enciclica Slavorum Apostoli Giovanni Paolo II afferma che « Cirillo e Metodio sono come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale tra la tradizione occidentale e quella orientale, che confluiscono entrambe nell’unica grande Tradizione della Chiesa Universale. Essi sono per noi i campioni ed insieme i patroni dello sforzo ecumenico delle Chiese sorelle d’Oriente e d’Occidente, per ritrovare mediante il dialogo e la preghiera l’unità visibile nella comunione perfetta e totale ».

Publié dans:SANTI PATRONI |on 13 février, 2011 |Pas de commentaires »

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