GIOIA E UMORISMO PER UNA SANA SPIRITUALITÀ (I)
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GIOIA E UMORISMO PER UNA SANA SPIRITUALITÀ (I)
(Teologo Borèl) Luglio 2006 – autore: padre Jesús Castellano Cervera OCD
A pensarci bene dobbiamo ammettere che la gioia è una parola chiave del lessico cristiano. Gioia di Dio per la sua creazione, fino al punto che vedendo la bellezza del mondo e specialmente della creatura umana la pupilla di Dio, dico i rabbini, si è dilatata, fino a far fluire una lacrima di estrema gioia…
Introduzione
Sono rimasto sorpreso per l’insistenza con cui ricorre nei Vangeli dell’ultima cena l’invito alla gioia (Gv 15, 11; 16, 20-21; 22.24; 17, 13). E’ uno dei temi più presenti nei discorsi di addio dell’ultimo incontro conviviale di Gesù con i discepoli, quasi una preparazione psicologica e una pedagogia amorevole per quanto sta per accadere, e che, tuttavia, non è una fine tragica ma un passaggio doveroso. La tristezza dei discepoli, assicura Gesù, si muterà in gaudio. Nelle sue confidenze intime Gesù ci parla della sua gioia e ci assicura la nostra. E’ promessa ed è dono. E’ invito ed è superamento. E’ un invito alla pienezza. “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (1). Vale la pena riferirsi ad un maestro che parla così di sé, e promette tanto a noi.
A pensarci bene dobbiamo ammettere che la gioia è una parola chiave del lessico cristiano. Dall’Antico Testamento, con la gioia di Dio e dell’uomo nella creazione, all’Apocalisse con la promessa della gioia senza ombre, un fiume pieno di letizia percorre tutta la Bibbia, con momenti di notte e di buio, ma con la vittoria finale che tutto mette a posto e anticipa le ragioni della speranza in ogni momento. Tutto è detto nelle pagine della Bibbia. Gioia di Dio per la sua creazione, fino al punto che vedendo la bellezza del mondo e specialmente della creatura umana la pupilla di Dio, dico i rabbini, si è dilatata, fino a far fluire una lacrima di estrema gioia divina e di piacere divino per la sua creazione. La gioia quindi è insieme realtà interiore e manifestazione esteriore. Con mille ragioni per essere felici. E mille inviti a vivere così, e a manifestare questo modo di essere e di relazionarsi dei credenti dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Tutto il Vangelo di Luca è un inno alla gioia con una intonazione da inno gioioso come accade nel saluto dell’Angelo a Maria (“Rallegrati”) e nel Magnificat, nella buona novella annunziata ai Pastori: “Vi annunzio una grande gioia”, nell’annuncio di Gesù alla Sinagoga di Nazaret, nell’esultanza di Gesù nella sua preghiera, mosso dallo Spirito Santo. Possiamo dire che tutta la vita e la predicazione di Gesù sono un vero e proprio “Evangelion”, una Buona e gioiosa notizia del Regno, dall’inizio fino alla fine (2).
Ragioni non mancano per essere felici. Sono settanta o centomila, quante ne vogliamo. Come tante sorgenti, ma con un’unica acqua. Forse alle volte i cristiani non se ne accorgono e non danno testimonianza di una realtà così semplice. Spesso i non credenti rimproverano ai cristiani il volto triste, come se non fosse vero che hanno una fede che è sorgente di felicità. In realtà, anche le ragioni per essere tristi, ci sono; ma sono sempre relative e non definitive, perché vi è una speranza cristiana che ha già sconfitto in precedenza le ragioni di una tristezza definitiva.
La gioia: un quarto trascendentale per l’uomo di oggi
Oggi si parla della riscoperta della bellezza come espressione di una necessaria integrazione con la verità e la bontà, due trascendentali classici. Io mi batto anche per l’introduzione di un altro trascendentale che è quello della gioia, della felicità, della beatitudine, se al pari della ricerca della verità e della bontà, oggi si afferma che la bellezza salverà il mondo. La gioia è anche desiderio intimo della persona, ricerca costante e mai appagata, promessa di qualcuno che veramente c’invita ad essere sempre nella gioia, anche in mezzo alle persecuzioni. Alla parola più recente della teologia, cioè “Dio è bellezza”, occorre aggiungere: Dio è gioia. Una giovane santa carmelitana, la cilena Teresa de los Andes, ha coniato la frase: “Dio è gioia infinita”.
Occorre quindi mettersi alla riscoperta delle sorgenti e del percorso della gioia di Dio e dell’uomo per un cristianesimo che porti il timbro di questo Dio che è gioia infinita vissuta e comunicata. Del resto, il grande predicatore Gesù, figlio di Dio, ha iniziato la propaganda del suo messaggio nuovo nel Vangelo di Matteo con un invito alla felicità e una promessa, quella delle beatitudini e della beatitudine. Beati, cioè, felici, gioiosi…Certo, non a poco prezzo, ma rovesciando i valori della vera gioia secondo il mondo, con un invito a tutti coloro che ad ascoltarlo sembravano piuttosto dei poveri e degli infelici del suo tempo e di tutti i tempi.
Il Regno di Dio che Gesù annunzia con divina pedagogia, porta sempre con sé, come frutto e come lievito, l’esperienza e la promessa di una santa letizia. Gesù ha vissuto una esperienza giubilare, gioiosa, nella libertà e nella condivisione di tutto con gli altri. Ha creato una Chiesa della gioia se dei primi cristiani si metteva in luce specialmente la letizia e la semplicità nel cuore….La gioia ha un’espressione che dal cuore fiorisce nel volto. La luminosità degli occhi, la lievità aperta del volto, la forza dell’amore che si esprime in parole e in sguardi, la dilatazione del sorriso, il battito del cuore che si manifesta nello stupore di un sentimento nuovo e gratificante che fa bene anche alle arterie e porta ad illuminare tutta la persona che a sua volta illumina gli altri, sono componenti della gioia.
Qualche riflessione antropologica
Talvolta il sorriso scoppia nella risata, procurata da un colpo di ingegno da una osservazione acuta, da una uscita imprevedibile, da un rovesciamento della logica, da una presa in giro, nel senso più esatto della parola, da un rigirare le cose e la logica amara, per scoprire un altro lato della realtà, configgere una certa visione pessimista, scoprire, il senso del ridicolo di certi atteggiamenti, contestare un modo tutto razionale e serio di vedere le cose che non è l’unico, ampliare gli orizzonti del pensiero e dell’esistenza. Ed ecco il sorriso e la risata che fanno buon sangue come si dice. Ecco come gioia, sorriso ed umorismo nascono dal cuore buono, mite e profondamente umano. Come una forza creativa che nel nostro cuore non si rassegna alla tristezza e ai limiti, come uno scoppiettio della speranza che cerca altre soluzioni ed altre ragioni, semina allegrezza, perché è della natura umana, ad immagine di Dio, comunicare, donare, condividere…Ma tutto questo nella verità, altrimenti la gioia è vuota ed effimera, ingannevole e pericolosa, lascia una tristezza ancor più grande. Il sorriso e la risata chiedono la verità e la schiettezza, ma anche una certa bontà ed una bellezza un po’ arlecchina, anche quella del clown che, consapevole dei limiti propri ed altrui, strappa sorrisi ai bambini e agli adulti.
Ma attenzione! Il sorriso e la risata non devono diventare una smorfia infelice e vuota, e l’umore non deve caricare ancora le tinte per diventare quello che si chiama “humour nero”, che incenerisce subito al gioia e la seppellisce in una tristezza ancor più profonda; humour superficiale o morboso che scandalizza, seminando nel cuore e nella mente tossine di malizia e di cattiveria che sconvolgono l’equilibrio personale e il rapporto con gli altri. Basterebbe questa serie di osservazioni per capire quanto importante sia la gioia, il sorriso e l’umorismo, quanto si addicano alla vocazione umana e cristiana, quanto siano un dono di Dio ed una invidiabile qualità, quanto possano contribuire a cambiare il mondo, incominciando a cambiare il volto e il cuore delle persone, i rapporti, gli incontri. E tuttavia quanto fragile è l’equilibrio e sottile la demarcazione fra la vera gioia, piena di bontà e di bellezza, che si colora di umorismo e trasfigura i volti nel sorriso, e la falsa gioia che produce smorfie e non sorrisi. “Humour nero” e non bianco, che distilla amarezza e pessimismo e non bontà ed ottimismo cristiano.
Se poi si guarda questo mondo dove c’è tanta tristezza e tanta gioia superficiale, viene da pensare che i cristiani, uomini della gioia, del sorriso e del buon umore, devono diventare apostoli di un nuovo apostolato umanistico, quello del buon umore e dell’ottimismo cristiano. La Chiesa ha bisogno di diventare insieme una casa ed una scuola di comunione nella gioia vera, tanto più umana quanto divina.
Dalla teologia all’esperienza
Ma quale posto occupa la gioia e l’umorismo in una sana spiritualità? A dir vero non è difficile trovare a livello teorico in libri e Dizionari di vita spirituale, anche recenti pagine belle e suggestive sulla gioia. Certo non è facile parlare della gioia nell’ambito della spiritualità. La parola risuona centinaia di volte con una sinfonia di parole, come è stato ricordato, nelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento. Si può quindi proporre un vero e proprio trattato di teologia biblica della gioia, come è stato fatto di recente in due libri monografici del Dizionario di spiritualità biblica e patristica, uno dedicato alla Bibbia, AT e NT, un altro dedicato ai Padri della Chiesa di Oriente e di Occidente (3). Ma non vogliamo tediare con una serie infinita di citazioni bibliche sulla gioia, le sue cause, le sue fonti. Basta fare memoria, per il momento e sapere che esistono queste trattazioni sistematiche. Cerchiamo piuttosto di offrire alcuni spunti che ci permettono attraverso l’esperienza spirituale di entrare nel mondo della gioia di Dio e della gioia umana, come autentica esperienza di spiritualità
La gioia: una esperienza liturgica
Di gioia parlano tanti testi liturgici, oltre a quelli dei salmi e dei cantici, che mettono sulle labbra dei fedeli, più che parole, sentimenti che fanno commuovere il cuore nella esperienza ineffabile del canto, spesso accompagnato da felici melodie che sono chiamate “jubilus”, come l’alleluia del gregoriano, un modo di gioire e far gioire con il canto che si eleva e cade, si rialza e si slancia, quasi con un desiderio di non finire mai.
“Luce gioiosa”, “Phos ilaron” cioè “Ilare luce”, luce che procuri la gioia, il gaudio che generi il sorriso del cuore e della labbra, è l’inizio di uno degli inni più antichi della Chiesa, rivolto a Cristo, cantato ancora oggi tutti i giorni nel vespro nella liturgia bizantina, quando scende la sera. Bisogna ascoltare quell’antica melodia cantata dai nostri fratelli ortodossi della Grecia per sperimentare la vera gioia spirituale dell’invocazione a Cristo mentre il sole tramonta e il giorno volge al termine. Canti della Chiesa antica e moderna che hanno prodotto tanta gioia nei cuori nella celebrazione della santa liturgia, come quelli che ricorda Agostino nel momento della sua conversione o Paul Claudel, più vicino a noi, nel giorno del suo battesimo a Notre Dame de Paris.
Gioia del cielo sulla terra, è il titolo di uno dei primi libri di Max Thurian, nei primi anni di monaco di Taizé, parlando della liturgia vissuta con la semplicità dei cuori puri. Una liturgia, come quella attuata dai monaci di Taizé che tanti giovani è riuscita ad attirare, dove bellezza, bontà e gioia si mescolano nei gesti e nelle luci, nelle icone e nei canti…Ma la gioia vissuta nella liturgia si porta in terra con la carità vissuta, affinché secondo la bella espressione del Crisostomo, facendo a Cristo quello che è fatto al più piccolo “la terra diventi cielo”. Un messaggio sempre attuale: portare la gioia, dono di Dio, dove c’è la tristezza per essere veicoli della gioia di Cristo nel mondo…Per questo la liturgia, specialmente la liturgia pasquale, che prende spunto dalla notte santa di Pasqua, è piena di inviti alla gioia, ad incominciare dal grane preconio pasquale, che dà il “la” di una tonalità gioiosa e pasquale alla vita cristiana: “Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste, sia in festa tutta la Chiesa…”. Un canto nel quale la gioia profonda e travolgente non manca dell’umorismo della sfida teologica di Agone, quando si arriva a riconoscere come “felice” la colpa di Adamo che ci ha procurato un tale Redentore. Il testo attuale dell’Exultet, canto e sfida del gaudio della Chiesa nella proclamazione della risurrezione del Signore, conserva ancora gli echi del cantico antico iniziale dell’Anonimo quartodecimano in una delle prime omelie pasquali.
Una ondata di letizia percorre i canti liturgici pasquali di Oriente e di Occidente, il saluto pasquale che si rivolgono i cristiani durante il tempo di Pasqua e con motivo della morte di un cristiano come sfida alle ragioni della tristezza e della morte: “Cristo è risorto”; “Sì è veramente risorto”. Gioia che si rinnova e si prolunga in ogni domenica. E’ nota la famosa frase della Didascalia degli apostoli: “Chi è triste nella domenica commette peccato”. Perché se l’enigma che fa piangere, ci fa essere tristi e talvolta porta a stravolgere la gioia in lutto, è paura della morte, la vittoria di Cristo rimane la ragione definitiva della gioia cristiana. Per i cristiani è emblematico il canto dell’Alleluia, che è sinonimo di gioia cantata al Signore; alleluia è il canto nuovo della Pasqua, il canto del cammino verso la patria, con quel “canta e cammina” dei pellegrini verso la patria, secondo la bella espressione di Agostino; pellegrini che condividono la stessa letizia traboccante della speranza e che si fanno coraggio nella stanchezza guardando in avanti prendendosi per mano, cantando camminando e camminando cantando (4).
Davvero un cammino gioioso è quello del cristiano. Un autore cristiano dei primi secoli, Eusebio di Seleucia, ha potuto scrivere una frase ad effetto che rivela un valore perenne della spiritualità cristiana, attinta alla gioia della pasqua: “La risurrezione di Gesù ha fatto della vita dei cristiani una festa senza fine” (5). Questa frase, letta da un monaco di Taizé afflitto da cancro e comunicata a Roger Schutz, ha dato origine a un libro che ha avuto molta risonanza presso i giovani pellegrini della comunità di Taizé: La tua festa non abbia fine (6). “Festa senza fine”, una “sacra celebrazione”, un giorno senza tramonto è stata definita la vita dei cristiani che credono nella Pasqua. Non è motivo di gioia e di realismo sentirsi dire dal serio “didascalo” di Alessandria, Origene, che il cristiano è il luogo della celebrazione e della festa con tutte le opere della sua vita quotidiana e che si deve ritenere sempre un tempio, abitato da Dio, anche se ti trovi nel teatro, perché sei il santuario di Dio? (7).
Forse dobbiamo ritornare alla Pasqua come ad un punto di riferimento essenziale per la gioia cristiana. La certezza della Risurrezione di Gesù è anche certezza della vittoria del bene sul male, dell’amore sulla morte, la vittoria del Padre del nostro Signore Gesù Cristo, cioè del Padre che ha risuscitato Gesù e lo ha costituito Signore. Egli è la garanzia della vittoria finale ma anche della presenza con noi e in noi di una sorgente di gioia infinita. Un autore spagnolo, J. Martin Descalzo, ha scritto un succoso libretto dal titolo Le ragioni della gioia. 70 motivi per trovare la serenità (8). Alla fine del libro sintetizza tutto il suo insegnamento con una considerazione sul tempo di Pasqua ed una serie di ragioni fondamentali che partono dalla risurrezione di Cristo come motivi essenziali e definitivi di letizia. La Pasqua è stata considerata un “laetissimum spatium”, uno spazio traboccante di gioia, come afferma Tertulliano da celebrare durante cinquanta giorni, e poi ogni settimana. Non dimentichiamo la profonda affermazione di Paolo VI: “Per essenza la gioia cristiana è partecipazione alla gioia insondabile, insieme divina ed umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato”. E’ Cristo che vive in noi e gioisce in noi con la stessa esaltazione dello Spirito.
“Gaudente in Domino”: Esortazione alla gioia
Ma ecco che dobbiamo parlare di Paolo VI, il Papa che ha scritto un bel documento sulla gioia cristiana (9). Sì, abbiamo anche fra i documenti recenti del Magistero un bel trattato sulla gioia cristiana. L’ha scritto un Papa che aveva piuttosto un volo mesto, lo chiamavano alcuni maliziosamente “Paolo mesto”, ma forse non avevano mai fissato gli occhi di quel Papa luminoso e non avevano mai ascoltato certe parole di fuoco dette in determinati momenti. Ecco cosa ha detto parlando dello Spirito Santo in un inno al Consolatore, in una pagina fra le più belle forse scritte sul Paraclito in tutta la storia della Chiesa: Egli è “animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna” (10). Un testo che fa gioire dal più profondo del cuore e dice che non solo la gioia è dono dello Spirito, ma che lo Spirito è la gioia e la sorgente perenne della letizia cristiana. Ecco quindi che Paolo VI, nel 1975, celebrando l’anno giubilare ha voluto donare alla Chiesa il manifesto della gioia cristiana con l’Esortazione Apostolica “Gaudente in Domino” del 9 maggio 1973. Tutto quanto si può dire a livello biblico e teologico della gioia cristiana si trova scritto lì come in una sintesi della gioia. Gioia come espressione caratteristica della natura umana; è, infatti, una delle “passioni” della persona umana, cioè di quei sentimenti ricchi di risonanza e di bellezza che sono il patrimonio antropologico più bello. Gioia non frenata e non offuscata dalle contraddizioni che la minacciano e la fanno venire meno, per i mille fenomeni che la mettono in difficoltà. Paolo VI annunzia le grandi verità della Bibbia, l’esempio dei Santi Martiri gioiosi che hanno dato testimonianza della gioia e perfino dell’umore davanti ai carnefici, come si racconta di san Lorenzo sulla graticola. Figure luminose di apologisti, testimoni e dottori della gioia come Agostino, testimoni come Francesco, Bernardo, Domenico, Ignazio, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce e Giovanni Bosco, Teresa de Lisieux e Massimiliano Kolbe. Anche se mancano all’appello Francesco di Sales e Filippo Neri.
Non manca quindi nella Chiesa cattolica una buona teologia della gioia radicata nella stessa psicologia umana, nelle ragioni più profonde della fede, della natura e della grazia, nelle certezze che ci vengono dalla paternità di Dio, della presenza di Cristo, della nostra vita destinata alla gloria, delle mille gioie della vita, seminate lungo le strade della nostro giornata. Gioie che fanno la storia del quotidiano.
Spiritualità della gioia
Esiste una considerazione particolare della gioia nell’ambito della spiritualità? Ad essere sistematici nelle nostre considerazioni dobbiamo dire che non esiste una vita cristiana, cimentata sulle ragioni della fede, che non sia per forza piena della letizia che è uno dei frutti dello Spirito. Anche se spesso gli spirituali scientifici dimenticano di inserirla nelle loro considerazioni sistematiche, i veri spirituali la mettono al centro delle loro testimonianze. Oggi ritorna di moda il tema della gioia e della festa. In realtà è da tempo che è ritornato. Con estrema regolarità, in tempi in cui il rigorismo e la freddezza prevalgono nella vita della Chiesa, lo Spirito Santo suscita una ventata di teologia e spiritualità della gioia, un’ondata carismatica. E’ capitato anche nei decenni passati. Quando il vento di tramontana della secolarizzazione ha spazzato via tante cose nella Chiesa, lo Spirito Santo ha soffiato un po’ di scirocco di fervore e semplicità per ridare equilibrio alla sua Chiesa. Basti pensare a quanto è avvenuto nella Chiesa con le espressioni di gioia del rinnovamento carismatico. Quando, i seri teologi hanno inondato con volumi ponderosi ed interminabili la teologia, è ritornata di moda la saggezza degli apologhi, delle fiabe e dei racconti.
E’ la teologia della gioia che risplende nella spiritualità della liberazione, gioia dei poveri di Yahvè che si “abbeverano nel proprio pozzo”, è la saggezza della vita che porta a festeggiare in letizia la creaturalità, la fede in Dio Padre, la speranza, la dimestichezza tutta familiare con la Vergine Maria ed i Santi, come accade nei popoli del così detto terzo mondo, veri maestri della gioia e della semplicità cristiana. Certo la gioia è un dono ed un cammino, una responsabilità ed un compito. Alcuni potrebbero ricondurre tutto ad una certa superficialità che metterebbe in pericolo la serietà della croce e il superamento ontologico del dolore e della morte con la risurrezione del Signore. Per questo non possiamo dimenticare che la gioia vera, come la Risurrezione del Signore, sorge dall’abisso del suo abbandono sulla Croce, limite di ogni limite. Ancora oggi la gioia più vera ed autentica nasce da questo abbraccio generoso del Dio Crocifisso e Risorto.
Ci sono di esempio i santi, i quali sanno distinguere alcuni processi ed alcuni momenti di questo stato luminoso e radioso della vita e del cristiano autentico. Uomo della gioia vera, provata ma autentica, comunicatore di entusiasmo e di speranza. Uomini e donne delle notti oscure e delle giornate luminose della quotidiana esperienza cristiana. Se è vero come dice il noto documento del Vaticano II dal titolo Gaudium et spes (Le gioie e le speranze) al n. 1 che nulla di quanto è umano è alieno al cuore del discepolo di Cristo, come possiamo togliere la gioia, con i suoi sentimenti più veri e le sue ragioni più umane, dal vocabolario, dalla teologia e dalla spiritualità di Colui che ci ha parlato della gioia ed è lui stesso, come dicono gli antichi inni latini dell’Ascensione è “il nostro gaudio”?
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1) G. Ferraro, La gioia di Cristo, Libreria Editrice Vaticana, 2000.
2) Cfr. il mio breve contributo Jubilate, in “Unità e carismi” n.1, 2000, pp. 2-4.
3) Roma, Editrice Borla, 2000, vol. 26 e 27.
4) Discorso 256 1-3: PL 38, 1191-1193.
5) Omelia Pasquale: PG 28, 1081.
6) Brescia, Morcelliana, 1980.
7) Carlo Lorenzo Rossetti, “Sei diventato il tempio di Dio”. Il mistero del tempio e dell’abitazione divina negli scritti di Origine, Roma, Gregoriana, 1998, pp. 143-173.
8) Gribaudi, Torino, 1992.
9) Cfr. M. Mantovani, Paolo VI, maestro e testimone della gioia, in “Unità e carismi” n.1, gennaio-febbraio 2000, pp. 23-30. Tutto il numero monografico è dedicato alla gioia.
10) Tutto il discorso pronunciato nell’Udienza del mercoledì 29 novembre 1972, in Insegnamenti di Paolo VI, X, Città del Vaticano, 1973, pp. 1210-1211.