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IL TABOR NELLA LETTERATURA RABBINICA (SBF JERUSALEM)

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CUSTODIA TERRAE SANCTAE

IL TABOR NELLA LETTERATURA RABBINICA

(Teresa Petrozzi)

Il Tabor del rabbini si presenta sotto aspetti diversi.

In due trattati del Talmud di Babilonia, Zebaim e Baba Bathra, il monte è preso a misura di grandezza: “Esisteva un animale tanto grande che non entrava nell’arca; quanto era grande? era grande quanto il Tabor; e quanto è grande il Tabor? Quaranta parasanghe.”
Secondo un’altra scuola esso è un monte santo. La Midrash Yalkut, riferendosi ai sacrifici di giustizia di Dt 33,19, sostiene che il Tabor e il monte sul quale il Tempio doveva essere costruito, di diritto [ ... ] se non fosse stato per una espressa rivelazione che ordinava di erigere il santuario sul Monte Moria. L’autore del trattato Tehillim annuncia: Nel tempo a venire Dio farà scendere la Gerusalemme celeste su questi quattro monti: Tabor, Hermon, Carmelo e Sinai.
Una terza scuola presenta il Tabor come un simbolo di orgoglio e di presunzione. Nel commento al versetto del Cantico di Debora, i monti rabbrividirono innanzi a Iahve, innanzi a Iahve Dio di Israele (Gdc 5,5), il Targum di Gerusalemme fa dire al Tabor: “Su di me si libra la presenza divina, a me essa appartiene di diritto. Quando all’inizio, ai giorni di Noè, le acque del diluvio coprivano tutte le montagne, i flutti non arrivarono né alla mia testa né alle mie spalle. Io sono dunque più elevato di tutte le montagne ed è mio privilegio legittimo che Dio dimori su di me.”
La Midrash su Genesi racconta che, mentre le nazioni ed i popoli si rifiutavano di accettare la Legge, i monti disputavano fra di loro contendendosi l’onore di essere prescelti come luogo della rivelazione. Il Tabor si vantava di essere il più alto, appunto perché aveva torreggiato sulle acque del diluvio; l’Hermon accampava diritti perché, al momento dell’Esodo, si era steso fra le due sponde del Mar Rosso permettendo agli Israeliti di passare; il Carmelo, sicuro della sua posizione, taceva e pensava: Se la presenza di Dio, la Shekinah, deve sostare sul mare, sosterà su di me, e se deve sostare sulla terra ferma, sosterà su di me. Ma una voce risuonò dall’alto e dichiarò: la presenza divina non si fermerà su questi alti monti, che sono così superbi, bensi sul Sinai, che è il più piccolo ed il più insignificante di tutti. La stessa Midrash precisa che il Sinai fu preferito anche perché su di esso non erano stati adorati idoli.
Secondo la tradizione, peraltro, il Tabor ed il Carmelo fecero spontaneamente atto di sottomissione: essi, o i loro angeli degli elementi, andarono al Sinai quando venne data la Legge. Il Tehillim aggiunge che il Signore fu commosso dalle buone intenzioni dei due monti e dichiarò: Poiché vi affannate in mio onore vi ricompenserò. Guardate, al tempo di Debora libererò i figli di Israele sul Monte Tabor, come e detto: e sali verso il Monte Tabor (Gdc 4,6); e anche libererò Elia sul Monte Carmelo, come è detto: Acab [ ... ] riunì i profeti sul Monte Carmelo (1 Re 18,20). L’Hermon non è ricordato.
Le stesse considerazioni sulle pretese orgogliose del Tabor e del Carmelo sono ripetute nel Targum, nella Midrash su Numeri e sul Salmo 68 e nella Pesikta Rabbati.
L’Antico Testamento non lascia luogo a dubbi circa il fatto che la Legge fu data sul Sinai. L’insistenza con la quale i Rabbini sostenevano questo punto, proclamando che il Tabor ed il Carmelo erano stati scartati per il loro presuntuoso comportamento, ed il silenzio che sopravviene nei riguardi dell’Hermon, possono essere il riflesso di una polemica. I Rabbini compilarono i loro trattati nei primi secoli della nostra èra, mentre il Cristianesimo si stava espandendo. Il Carmelo, sul quale vivevano monaci ed eremiti cristiani, ed il Tabor, ritenuto particolarmente santo dai Giudeo-Cristiani, dovevano essere umiliati e accontentarsi di un premio di consolazione. Dell’Hermon era inutile parlare in quanto non era connesso al culto cristiano.
Comunque. il Tabor restò impresso nell’animo degli Israeliti. Ancora oggi, tra le preghiere recitate alla fine dello Shabbath, essi ripetono un inno, Havdalah, attribuito a Isaac ibn Chayyat (1030-1089), nel quale si dice che la giustizia misericordiosa di Dio è simile al Monte Tabor.

La tomba di Maria a Gerusalemme (SBF Jerusalem)

dal sito:

http://198.62.75.1/www1/ofm/san/TSmary11.html

La tomba di Maria a Gerusalemme

G.Claudio Bottini, ofm

E’ proprio vero–come ripete la saggezza popolare–che ‘non tutti i mali vengono per nuocere’. Una violenta alluvione il 7 febbraio 1972 allagò completamente la chiesa che racchiude il sepolcro vuoto della Madonna presso il Getsemani, a pochi passi dal celebre Orto degli Ulivi. Fu un allagamento provvidenziale, perché costrinse i greci ortodossi e gli armeni ortodossi, attuali custodi del santuario, a smantellare le sovrastrutture, che nascondevano la tomba di Maria, e a intraprendere lavori di restauro.
Grazie all’ecumenismo fatto di gesti piccoli e silenziosi – a Gerusalemme è forse l’unico tipo di ecumenismo che non rischia di aggravare le divisioni già esistenti – l’abuna (= padre) greco Macarios e il sacrestano armeno Hagop invitarono padre Bellarmino Bagatti, il decano degli archeologi francescani in Terra Santa, a visitare e a studiare la tomba e il complesso sepolcrale e architettonico che la circondano. P. Bagatti, fedele al metodo, cui si è sempre ispirato, di accostare reperti archeologici e fonti letterarie, non si limitò ad esaminare il monumento, ma rilesse con attenzione la letteratura antica sulla morte e la sepoltura della Madonna.
Si sa che il Nuovo Testamento parla di Maria per l’ultima volta dopo l’Ascensione di Gesù presentandola circondata dagli apostoli e dalla primitiva comunità cristiana (Atti 1, 14). Nessun testo canonico ci dice come Maria trascorse gli ultimi anni e come lasciò la terra. Invece non pochi libri apocrifi, che vanno sotto il nome di ciclo sulla Dormizione della Madonna, molto diffusi nel mondo cristiano, tramandano tutta una serie di informazioni che, passate al vaglio della critica storica e teologica, si rivelano di primissima importanza. I diversi testi sugli ultimi giorni e sulla morte di Maria sembrano tutti riconducibili a un documento originario, ad un prototipo giudeocristiano redatto intorno al II secolo nell’ambito della Chiesa Madre di Gerusalemme, per la commemorazione liturgica annuale presso la tomba della Vergine. Nella redazione della Dormizione attribuita a Giovanni il teologo si legge:
‘…gli apostoli trasportarono la lettiga e deposero il suo corpo santo e prezioso in una tomba nuova del Getsemani’.
In un altro testo conservato in siriaco si trovano indicazioni topografiche ancora più precise:
‘Stamattina prendete la Signora Maria e andate fuori di Gerusalemme nella via che conduce al capo valle oltre il Monte degli Ulivi, ecco, vi sono tre grotte: una larga esterna, poi un’altra dentro e una piccola camera interna con un banco alzato di argilla nella parte di est. Andate e mettete la Benedetta su quel banco e mettetela lì e servitela finché io non ve lo dica’.
Con la verifica dei fatti Padre Bagatti ha dimostrato che l’accordo tra documento e monumento non poteva risultare maggiore.
Effettivamente la tomba di Maria al Getsemani è situata in una zona cimiteriale in uso nel I secolo. Essa corrisponde molto bene sia al tipo di tombe usate in Palestina in quel tempo, sia ai dati topografici indicati nelle differenti redazioni della Dormizione della Vergine, specialmente per ciò che riguarda la camera sepolcrale nuova e la sua posizione rispetto alle altre. Il fatto che si trovi accanto all’Orto degli Ulivi e alla Grotta dove Gesù era solito passare la notte (Giovanni 18, 2), fa pensare che l’anonimo discepolo proprietario della zona vi abbia accolto anche la sepoltura di Maria. La tomba, custodita e venerata dai giudeo-cristiani fin verso la fine del IV secolo, quando passò nelle mani dei gentilocristiani fu isolata dalle altre e racchiusa in una chiesa. La venerazione e il culto a Maria in questo luogo non sono venuti mai meno, nonostante tutte le trasformazioni, ed è intorno a questa tomba vuota che è nata e si è alimentata la fede del popolo cristiano nell’Assunzione di Maria al cielo. Per citare un esempio, così è espressa questa fede nel testo già ricordato di Giovanni il teologo: ‘Per tre giorni si udirono voci di Angeli invisibili che glorificavano Cristo, Dio nostro, nato da Lei. Dopo il terzo giorno le voci non si udirono più: tutti allora compresero che il puro e prezioso corpo di lei era stato trasportato in Paradiso’.
Oggi delle diverse chiese erette lungo i secoli sul luogo santo resta la cripta che attraverso un’ampia scala di quarantotto gradini conduce alla tomba per un dislivello di circa quindici metri rispetto alla strada. L’edicola che racchiude la cameretta funeraria con il banco roccioso ancora visibile è appena rischiarata dalla luce che filtra dall’esterno e dalle lampade ad olio. Nell’interno si respira l’atmosfera tipica delle chiese orientali caratterizzate dall’odore forte dell’incenso, dalle numerose immagini e dalle tante candele e lampade ad olio. Il pellegrino che vi entra con fede riesce a percepire anche l’eco delle preghiere incessanti che vi effondono cristiani di tutte le denominazioni, visitatori di ogni parte del mondo e persino i musulmani.
E commovente e istruttivo sostare accanto alla tomba di Maria rileggendo i deliziosi racconti popolari della Dormizione o contemplando l’icona che li traduce in immagini. La figura di Maria è quella stessa del Nuovo Testamento e della Tradizione divino-apostolica. Maria è insieme la Madre di Cristo Signore e la creatura che vive immersa nella realtà quotidiana, la Vergine-Sposa-Madre scelta da Dio e la donna partecipe del comune destino di lotta e di dolore che giunge alla piena glorificazione dopo le prove della vitaterrena e passando per il sonno della morte. Sul piano umano, moralee spirituale lei appare dopo e con Gesù modello e guida di autentica vita cristiana. Come l’Ascensione non èstata una partenza di Gesù, ma l’inizio di una presenza nuova nella sua Chiesa, così Maria nella sua Assunzione non si allontana dai nuovi figli che le sono donati dal Figlio primogenito. Il discepolo amato la chia-ma: ‘Sorella mia Maria, divenuta madre dei dodici rami’ e gli apostoli la salutano: ‘Maria, sorella nostra,madre di tutti i salvati’. Negli apocrifi della Dormizione Maria è proclamata anche ‘tempio di Dio e porta del cielo’, ‘signora e regina’ che esplica la sua mediazione e intercessione sia prima che dopo l’Assunzione. Tutto ciò immerso in un mondo carico di immagini e di simboli: dalla palma dell’immortalità che Gesù le consegna preannunciandole il passaggio alla vita eterna ai sette cieli che Maria attraversa per giungere presso il Figlio, dalle nubi sulle quali giungono gli apostoli dalle quattro parti del mondo, alla ‘bambina luminosa’ simbolo dell’anima di Maria che Gesù prende fra le sue braccia, fino all’albero della vita, ai profumi, ai canti e alle luci del paradiso. Allora la preghiera che spontaneamente dal cuore affiora sulle labbra si confonde con quella dell’autore estasiato o del devoto traduttore dei manoscritti della Dormizione: ‘Celebrando misticamente la festa della sua gloriosa dormizione, troveremo misericordia e grazia in questo secolo e nel futuro, in virtù della bene-volenza e benignità del Signore nostro Gesù Cristo, al quale sia gloria e dominazione con il suo Padre, che è senza principio, e il santissimo e vi-vificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen’.

SBF Taccuino – Paolo era un giudeo? Tra pregiudizi e revisionismo

metto questo « articolo »,  è interessante, dal sito:

http://www.custodia.org/SBF-Taccuino-Paolo-era-un-giudeo.html

SBF Taccuino – Paolo era un giudeo? Tra pregiudizi e revisionismo

Messo on line il venerdì 26/02/2010 a 14h10 da  Eugenio  

Una nuova generazione di studiosi sostiene che Paolo, considerato per molto tempo il progenitore dell’anti-semitismo, non lasciò mai la sua religione.
Agli ebrei non piace l’apostolo Paolo. Essi possono accettare Gesù; questi era un rabbi magnanimo le cui parole furono fraintese per fargli dire cose che non intendeva dire. Il travisatore fu Paolo, e non può essere perdonato. Come un convertito zelante che ha messo in relazione la Torah con la morte, Paolo è considerato il padre dell’anti-giudaismo (la critica teologica del giudaismo come religione), l’antenato dell’anti-semitismo (l’odio contro il popolo ebreo), e l’inventore della teologia della croce (una scusa per molti massacri di ebrei). Perfino Friedrich Nietzsche, che non era amico degli ebrei, disse che Paolo falsificò la storia di Israele in modo che apparisse come un prologo della sua (di Paolo) missione, definendolo “il genio dell’odio, dal punto di vista dell’odio, e dell’inflessibile logica dell’odio”.
Sembra che oggi si possa parlare di Paolo come giudeo. Proprio come gli storici che, studiando Gesù, ne hanno scoperto una versione più ebraica nel corso degli ultimi cinquant’anni, provando a immaginarlo come un individuo nel suo proprio spazio e tempo (la Palestina del primo secolo in preda alla febbre apocalittica), così una nuova generazione di revisionisti paolini ha scoperto un Paolo più ebreo, un prodotto dello stesso spazio e tempo. Paolo Non Era Un Cristiano è il titolo di un libro pubblicato lo scorso autunno; ciò che egli era – e mai smise di essere – secondo la studiosa Pamela Eisenbaum e i revisionisti del Nuovo Testamento, era un giudeo rispettoso della legge. Egli non si convertì mai al cristianesimo, perchè non esisteva tale religione a quel tempo. (Paolo ci arrivò in breve dopo la morte di Gesù). Ciò che Paolo fece fu mutare il suo legame da una confessione ebraica a un’altra, dal farisaismo al gesuismo (Vietato parlare di cristianesimo).
Paolo non annullò la legge ebraica, come più tardi Lutero avrebbe sostenuto, non mise la grazia al di sopra delle opere o la giustificazione attraverso la fede al di sopra della giustificazione attraverso la legge. Anche se Paolo fece queste cose, non intendeva comunque farle per il mondo intero. Egli attaccò la legge ebraica solo nel contesto di un dibattito molto ristretto che imperversava nei primi decenni in cui era attivo il movimento di Gesù. Alcuni attivisti ebrei del movimento di Gesù riferirono che i loro accoliti pagani dovettero convertirsi al giudaismo prima di potersi unire al movimento. Paolo non fu d’accordo per niente. Egli sostenne che questi pagani dovevano seguire solo l’equivalente prerabbinico delle leggi noadiche – i sette editti contro idolatria, adulterio, ecc. che tutti i non ebrei ci si aspettasse seguissero. Dopo aver ascoltato la chiamata di Gesù – il primo e ancora il più grande revisionista, Krister Stendahl, afferma che Paolo visse una chiamata, nel modo di un pastore protestante, non ebbe una conversione – Paolo l’accolse per vagare (to roam) in Asia Minore e predicare il Vangelo ai pagani. Egli era talmente contrario al fatto che i pagani diventassero ebrei della Torah, che consacrò le sue Lettere contro quelli che volevano proprio questo. Costoro, se ne può dedurre, lo seguirono di città in città, raccontando a membri della sua comunità che sbagliava riguardo al giudaismo, cosa che naturalmente lo adirava (non erano gli altri ad essere adirati con lui, ndr.).
Se tutto ciò è vero, ne segue che quando Paolo condanna gli ebrei, sta lanciando la sua invettiva ai suoi intriganti compagni missionari di Cristo ebrei, non agli ebrei, un popolo che respinge duramente (italic nel testo). Quando egli dice che il giudaismo è stato sostituito, egli intende il giudaismo come stile di vita cui i pagani aspiravano (? ndr.), non il giudaismo praticato dagli ebrei. (Negli Atti gli ebrei perseguitano Paolo per la predicazione del Vangelo. Gli Atti non sono considerati una fonte per Paolo (una novità per l’adattatore ndr.), dal momento che l’autore che probabilmente li scrisse, Luca, visse quasi mezzo secolo dopo di lui, da quel momento il movimento di Gesù stava sopprimendo con impegno le sue radici ebraiche).

Se Paolo pensava di essere un giudeo, perchè combattè la conversione dei pagani?

Fu proprio il fatto di non volere che greci e romani adottassero lo stile di vita ebraico a rendere più difficile la sua evangelizzazione, tuttavia lo fece.
Far si che greci e romani adottassero l’impegnativo stile di vita ebraico rese più difficile la sua evangelizzazione, ma lo fece.
Il fatto era che Paolo aveva una sola teoria riguardo a Gesù e sui pagani. Se si fosse chiesto al revisionista Paolo cosa pensasse, avrebbe risposto: Quando viene il Giudizio (e Paolo pensava che fosse alle porte), Dio redimerà ancora gli ebrei che hanno obbedito ai suoi comandamenti. Cosa Gesù ha cambiato nel piano di Dio è per i non ebrei. Essi non saranno più esclusi dal Regno per essere giudicati della loro sregolatezza e idolatria e così via. Dio ha mandato loro Gesù che è morto per i loro (non di tutti! ndr.) peccati e adesso anche loro possono essere salvati, nella misura in cui lo accettano e vivono una vita cristiana giusta e onesta.
Si ritiene che Paolo sia il genio che superò il particolarismo ebraico e ideò un universalismo religioso, ma il “nuovo” Paolo non fece questo. Egli non credeva che il Dio ebreo (Jewish God) smise di essere ebreo (Jewish). Non pensò che Gesù sostituì l’impegno di Dio con il suo popolo prescelto. Ciò che Gesù fece principalmente fu morire per il goyim (pagani). Eisenbaum ha scritto che ciò che la Torah fa per gli ebrei, Gesù lo fa per i pagani.
Paolo deve essersi considerato giudeo. Dà un’immagine distorta pensare che Paolo si converta da ebreo con una approfondita cultura greco-romana in un cristiano anti-ebreo, che inveisce contro la legge ebraica alla pari di qualcuno che la incontra per la prima volta. Bisogna considerarlo ancora coinvolto nell’antisemitismo? Fu un giudeo, il cui messaggio è stato forse travisato dagli autori del Vangelo e dai primi padri della chiesa, o fu un demagogo che si lasciò andare a insulti che potevano essere travisati?
Questa è una domanda a cui è difficile rispondere. Paolo fu uno scrittore difficile e un pensatore non sistematico, che buttò giù lettere in risposta alle crisi nelle sue comunità piuttosto che esporre le sue idee in una forma ordinata. Dipende molto dal tono, se si è visti come critici benevoli o freddi, e perfino i migliori esperti, studiosi del primo secolo greco, non sono d’accordo nel definire il tono di Paolo.
Una possibilità inaspettata per gli ebrei e con cui dovranno misurarsi è che quello di Paolo può essere stato un Vangelo ebraico. Ciò suggerisce, alla fine, che forse è proprio dell’ebreo predicare ai non ebrei. Lo studioso ebreo Michael Wyschogrod, in un saggio su cosa Paolo significa per gli ebrei, sostiene che da Paolo si apprende che Israle ha la responsabilità di rendere possibile ai pagani di obbedire al suo Dio e di vivere in armonia con lui.
Quando Paolo scrive nella Lettera ai Romani: “… io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge; perché io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire”, egli comprendeva che quanto è proibito resta acutamente vivo e riprende vita proprio quando non può essere ottenuto. Sarebbe passato un millennio prima che i rabbini si lasciassero andare a una rivelazione in prima persona come questa.
Secondo i revisionisti questo Paolo tormentato non è mai esistito. Se esistette, non fu che un’utile finzione per persone come Agostino, che avevano bisogno di qualcuno per giustificare la loro propria conversione e la guerra contro il peccato. Se Paolo non rinnegò la Legge, allora non avrebbe potuto parlare delle sue proprie difficoltà nei suoi confronti. In nessun altro scritto fuorchè nella Letterea ai Romani Paolo definisce se stesso un giudeo mancato. Difatti ci sono passi in cui egli si vanta della sua eccellenza come fariseo.
Quindi perchè parla in prima persona? I revisionisti sostengono che usa una figura della retorica greca chiamata prosopopea, che sarebbe stata familiare ai suoi contemporanei ma non intesa dai lettori non educati ai modi del discorso ellenici. Egli finge di non pretendere che la sua argomentazione possa essere persuasiva. Paolo immagina che quanto scrive stia nella testa di un pagano che, per la prima volta, prova ad osservare la Legge, e scopre grazie ad essa di essere un peccatore inguaribile.
I revisionisti possono aver ragione quando affermano che Paolo deve aver recitato una parte, ma non è escluso che l’apostolo volesse intendere proprio quello che scrisse. Se Paolo fu un attore o un convertito che ripudiava il suo passato di giudeo, le sue parole hanno il peso di verità strappate a un corpo ostinato: “ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra”. Cristiano o giudeo, Paolo capì che ciò che Dio ha richiesto al suo popolo era estremamente difficile, e in qualche modo impossibile da conseguire. Parlare di Paolo come giudeo può anche significare di ammettere che tale ambivalenza è parte dell’esperienza giudea.

Adattamento: R.P.

Fonte: Judith Shulevitz, Tablet (11 novembre 2009)

SBF Taccuino – La lingua di Gesù, l’aramaico, è ancora viva

dal sito:

http://www.custodia.fr/SBF-Taccuino-La-lingua-di-Gesu-l.html

SBF Taccuino – La lingua di Gesù, l’aramaico, è ancora viva

Messo on line il domenica 04/04/2010 a 10h31 da  Eugenio

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Sono quasi tutti concentrati in tre villaggi siriani e rappresentano gli ultimi avamposti in una regione in gran parte musulmana. Nel tentativo di conservare la sua antica eredità culturale, la Siria, nel 2007, ha promosso una serie di corsi di lingue per contrastare la scomparsa di una lingua che 3.000 anni fa dominava nel Medio Oriente.

Così è avvenuto che specialisti di lingua aramaica hanno raggiunto il complesso di costruzioni abbarbicate sulla dorsale rocciosa che costituiscono il villaggio di Malula, a circa 35 miglia nord-ovest di Damasco, dove gli abitanti parlano aramaico.

Il programma, però, di recente ha subito una battuta d’arresto, dopo che un giornale ha fatto notare che l’alfabeto adoperato per insegnare l’aramaico scritto rassomiglia ai caratteri ebraici usati in Israele. Preoccupati che un progetto di particolare rilievo potrebbe in qualche modo essere associato al paese nemico confinante, i responsabili del progetto dell’università di Damasco, che ha fondato l’istituto, sono intervenuti rapidamente a congelare l’iniziativa.

Per George Rezkallah, un anziano di Malula che dirige l’istituto, ci sono alcuni della stampa che tentano di sollevare difficoltà infondate. Rezkallah spera che i corsi riprendano la prossima estate.

Le origini dell’aramaico

Parlando dal suo appartamento che si affaccia sulle case del villaggio, il sig. Rezkallah dice che, anche se i due alfabeti hanno somiglianze, è l’aramaico che per primo ha adottato la scrittura quadrata intorno al dodicesimo secolo a. C. L’ebraico ora in uso in Israele, afferma, è stato ideato 700 anni più tardi, dopo la ricostruzione del regno ebraico nel quinto secolo a.C. (Rezkallah vuol dire che è l’ebraico a rassomigliare all’aramaico e non viceversa, perciò chi lo ha adottato per primo non ha ragione di farsi problemi, ndr.).

I persiani adottarono l’aramaico come pure i babilonesi, allo stesso modo fecero gli ebrei. La lingua dominò nel Medio Oriente fino al 700 d.C.

David Taylor, autore di La perla nascosta: Eredità aramaica della chiesa ortodossa siriana, aggiunge che gli ebrei adottarono l’alfabeto aramaico quadrato, che era diventata lingua franca dell’intero Medio Oriente dal 700 a.C., dopo essere stati esiliati a Babilonia nel 587 e prima dell’uso del paleo-ebraico.

Il fatto che l’aramaico sia sopravvissuto fino ad oggi a Malula è un miracolo, dice Gene Gragg, professore di lingue del vicino oriente all’Università di Chicago.

Un’ultima traccia della lingua di Gesù

I rami moderni della lingua aramaica sono ancora parlati nella Turchia sud-orientale, nell’Iraq del nord e nel nord-ovest dell’Iran. Il dialetto parlato dagli abitanti di Malula e da quelli di due villaggi vicini è però l’unico superstite della famiglia dell’aramaico occidentale, il discendente moderno più vicino alla lingua parlata da Gesù e i suoi discepoli.

Con tutta probabilità lo parlava anche la martire cristiana Tecla, discepola di San Paolo, la cui la tomba in Malula attira pellegrini da tutto il mondo.

Portare avanti il programma

Determinato a procedere con il progetto, Rezkallah prevede di avviare un nuovo corso di aramaico la prossima estate, nel quale sarà adottato un manuale aramaico-inglese in modo da aprire per la prima volta l’istituto ad allievi non-arabi.

Secondo Rezkallah, la disputa sulle somiglianze con la scrittura ebraica è ancora in corso, intanto l’istituto quest’anno ha preparato altri nove insegnanti proprio in previsione di un’estensione del programma.

Per il nuovo manuale, tuttavia, saranno usate le lettere dell’alfabeto siriaco del secondo secolo a.C. invece della scrittura aramaica quadrata.

Adattamento: R.P.

Publié dans:SBF JERUSALEM - (da) |on 28 juillet, 2010 |Pas de commentaires »

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