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SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO B)

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Una famiglia unita intorno a Gesù Cristo

padre Antonio Rungi

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO B) 

A leggere i pochi brani del Vangelo che parlano della santa famiglia di Nazaret, si resta meravigliati di quel clima di pace e serenità che si respira in essa. Certo è una famiglia del tutto speciale quella che noi consideriamo in questa domenica, all’indomani della solennità del Natale: è la famiglia terrena di Gesù, dove c’è una Madre, tutta speciale, preservata dal peccato originale, e c’è un padre adottivo tutto speciale, con un cuore grande ed una giustizia costante, a portata di mano. Il perno principale, il pilastro dove si poggia questa famiglia, il punto cardine è proprio Lui, Gesù bambino. Intorno a Lui ruotano, non come pupazzi Maria e Giuseppe, che stanno al gioco delle parti, ma due persone sagge, comprensive e pienamente inserite nel progetto di Dio, che con il loro rispettivo sì, a diverso titolo e collaborazione, hanno permesso al Signore di entrare nella storia di questo mondo. Dio che chiede aiuto a due persone per entrare in questo mondo, nascendo in una famiglia storicamente individuata in quella coppia di giovani sposi che sono Maria e Giuseppe. La nascita straordinaria e prodigiosa di Gesù nel grembo verginale di Maria, per opera dello Spirito Santo, non esautora Giuseppe, lo sposo castissimo di Maria e il padre putativo di Gesù dai suoi obblighi giuridici e religiosi nei confronti del loro figlio. Tanto è vero che oggi, nella liturgia della parola di Dio di questa domenica successiva al solennità del Natale, dedicata alla santa famiglia, troviamo Maria e Giuseppe che presentano il loro Figlio, primogenito ed unigenito, a tempio di Gerusalemme per consacrarlo a Dio, come ci attesta l’evangelista Luca nel brano che ascoltiamo.
Prima icona di questa famiglia: l’unità. Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme. Né la madre delega il padre, né il padre delega la madre a questo rito. Entrambi vanno verso Gerusalemme con il Bambino. Una famiglia quindi che si attiene alla legge, non contravviene alle norme religiose. E qui c’è l’altro aspetto importante di questa icona della santa famiglia che vale la pena sottolineare. Rispettare le leggi religiose e civili è un dovere di tutte le famiglie. Potremmo dire, oggi, educare alla legalità, rispettare quelle leggi che rendono libero il cuore e la vita di ogni uomo, di ogni popolo e di ogni culturale. Maria e Giuseppe sono su questa scia ed osservano le prescrizioni della legge ebraica. Quante famiglie che si dicono cristiane sono in linea e sono osservanti e praticanti della legge del Vangelo?
Cosa avvenne in quel momento, quando Maria e Giuseppe si presentarono al tempio, lo sappiamo dal racconto che di questo evento ne fa l’evangelista Luca. Qui entra in gioco un’altra straordinaria figura e persona che il santo vecchio Simeone. Seguiamo il racconto del Vangelo per gustare la bellezza di questo momento, di questo incontro tra un santo sacerdote e il Salvatore. Immaginiamo solo per un attimo cosa ha provato questo uomo pio sapendo di trovarsi al cospetto di Dio, davanti al Messia atteso dai secoli. Il suo cuore e la sua lingua sono esplosi in un canto di gioia e di ringraziamento, al punto tale, che la gioia più grande della sua vita, ora arrivata, può mettere fine alla sua esistenza terrena. Non ha più nulla di positivo da attendere, nessun’altra speranza da coltivare, nessun’altra attesa da alimentare: tutta la sua vita sta in quel bambino che prende tra le braccia, ricevendolo dalle braccia di Maria, per elevare a Dio l’inno di lode e di ringraziamento per sempre. E’ il celebre canto del Nunc dimittis, del «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti, e gloria del tuo popolo, Israele ». La gioia e la felicità del vecchio Simeone sia la nostra gioia ogni volta che incontriamo Cristo nell’eucaristia, non prendendolo tra le braccia, ma ricevendolo nel nostro cuore, in corpo, sangue, anima e divinità. Noi più fortunati del vecchio Simeone, ma non so fino a che punto con la stessa gioia e con le stese aspettative di vera vita.
Questo momento così intimo della santa famiglia, è poi contrassegnato da una considerazione molto bella che viene attribuita da Luca alla Vergine Maria e a Giuseppe: « Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui ». Lo stupore della bellezza. Il bello ci affascina e ci attrae, la notizia buona ci incoraggia e ci sostiene nella nostra vita quotidiana. Le cose brutte ci deprimono e ci scoraggiano, al punto tale che le evitiamo, per quanto è possibile in tutti i modi.
Non è stato possibile per Maria, in questo momento di gioia della presentazione di Gesù al tempio. Dalla bocca del saggio Simeone, che già ha capito tutto su quel Bambino che sta lì tra le sue braccia, escono parole profetiche che indicano chiaramente anche il dolore e la sofferenza, preannunciando, di fatto, la passione di Cristo, in quel bambino che sta lì e che è proprio Lui, l’atteso Messia, il Servo sofferente di Javhè: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
Un’altra bellissima figura che completa il quadro di una famiglia ben inserita nel contesto dei rapporti religiosi e sociali del tempo è la figura della profetessa Anna, vedova, 84 anni. Il testo del Vangelo ci dice con esattezza che era « figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme ». Una donna di preghiera quindi che nella preghiera attende il Messia. E nella preghiera che riconosce in Gesù il Salvatore. Come dire che la preghiera del cuore fa incontrare Cristo in ogni momento della nostra vita, all’inizio come alla fine della nostra esistenza terrena. Esempio di come alimentare nella famiglia un vero clima di amore e collaborazione: con la preghiera sentita e vera si superano tutte le difficoltà dell’esistenza personale e familiare.
Il resto del racconto della presentazione al tempio di Gesù Bambino, è fissato in poche parole conclusive, nelle quali l’evangelista della santa famiglia che « quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui ». Ritroviamo una famiglia in cammino, che ritorna alle sue origini, che si stabilizza nei luoghi della memoria storica delle loro origini: Giuseppe e Maria di Nazaret e Gesù il Nazareno. Un Gesù sottomesso ai suoi genitori. Un Dio che obbedisce alll’uomo, che segue le indicazioni dei suoi genitori terreni e che non si contrappone a loro, non li ostacola nella loro responsabilità educativa, tranne il caso del rimanere a Gerusalemme, a 12 anni, senza aver avvisato Maria e Giuseppe che sarebbe rimasto lì con uno scopo bene preciso: quello di formare alla esatta interpretazione delle sacre scritture i dottori della legge che pensavano di sapere tutto, quando in realtà non sapevano nulla o non lo sapevano nella giusta misura e nel giusto significato. Gesù è esempio di sottomissione ai genitori e come tale è esempio di obbedienza ai genitori per tutti i figli di tutto il mondo. Purché ci siano genitori che amino i figli e che non li uccidono, come spesso capita ai nostro giorni. I figli sono dono di Dio e quando arrivano vanno amati e protetti, con cuori di madri e padri, come ci ricorda il brano della prima lettura di oggi, tratto dal libro della Genesi, riguardante la figura di Abramo, il nostro padre nella fede. Dio darà una lunga e grande discendenza a questo uomo desideroso di essere padre e padre di un figlio che fosse il frutto dell’amore coniugale e non della trasgressione: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». E così è stato. Dio ha mantenuto la promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza. Questa straordinaria figura di padre, patriarca e uomo di fede, quale fu Abramo, viene richiamata anche nel testo della seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, a conferma di una linea interpretativa della figura del patriarca dei patriarchi, che Abramo e in Isacco suo figlio l’anticipazione e prefigurazione del grande mistero della salvezza del genere umano, che verrà portata a compimento da Gesù Cristo, nella sua Pasqua di morte e risurrezione. Il Figlio di Dio sacrificato sul monte Calvario. Il Figlio di Abramo risparmiato sul monte Oreb.
Sia questa la nostra preghiera nel giorno in cui al centro delle nostre orazioni c’è appunta la famiglia, che nella famiglia di Nazaret trova il modello più consono per realizzare il grande sogno dell’amore per tutta la vita e tra tutti i membri della famiglia:

Gesù Bambino, ancora una volta sei sceso tra noi,
nell’annuale ricorrenza della tua nascita,
per portare a tutti noi il tuo messaggio d’amore.
Ancora una volta, ai piedi della tua umile grotta,
ti chiediamo di vegliare sulle nostre famiglie
segnate da tante prove e situazioni dolorose,

assistite, come per Te, dalle amorevoli cure di Giuseppe e Maria.

Tu che hai parlato al cuore delle persone semplici,
come i pastori e da loro hai avuto una risposta
generosa di amore e di socializzazione,
fa’ che nelle nostre famiglie
si viva con semplicità ed accoglienza reciproca

l’avventura spirituale dell’amore coniugale e familiare.

Tu che hai accolto benevolmente i sapienti del tuo tempo
anch’essi alla ricerca di una stella e di un orientamento,
fa’ che le persone che governano i popoli e le nazioni,
e impegnate nella politica, nell’economia e nella cultura,
facciano l’opzione fondamentale per la famiglia,

fondata sul matrimonio, unico ed indissolubile, tra uomo e donna,

e aperta all’amore per tutta la vita.

Tu che sei sfuggito alla strage degli innocenti
decretata da un Erode assettato di sangue e di potere,
difendi le nostre famiglie dalle stragi quotidiane,
sempre più ricorrenti ed aberranti,
di piccoli, giovani, anziani, padri, madri,
conseguenza di una cultura violenta
che stenta ad essere debellata
in un mondo dominato dall’odio,

dalla superbia e dal risentimento.

Solo Tu dalla Grotta di Betlemme,
con la potente mano di Dio quale sei,
puoi fermare quanti usano le loro mani,
per offendere e distruggere la famiglia,
per ammazzare e rubare nelle case,
per imbrogliare e corrompere i nuclei familiari,
per delinquere e alimentare il malaffare

distruggendo le famiglie con condizionamenti di ogni tipo.

Poni nel cuore delle persone oneste,
che sono la maggior parte sulla terra,
la forza necessaria per lottare
contro i mali dell’era contemporanea,
e sostieni il cammino di pace e di giustizia sociale,
che sono i valori maggiormente in grado

di ridare dignità alla famiglia naturale ed umana.

L’intercessione di Maria, Tua e nostra dolcissima Madre,
e di San Giuseppe, custode attento e giusto di Te, Gesù,
Redentore dell’uomo, possano ottenere dal Padre Celeste,
con la salutare illuminazione dello Spirito Santo,

di ridonare alle nostre famiglie italiane e di tutto il mondo
la gioia di vivere unite in pace e in armonia con Dio,
con il creato e con tutti gli esseri umani. Amen.

OMELIA FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA – IL SOGNO CONTINUA

http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20161230.shtml

OMELIA – IL SOGNO CONTINUA

È passata solamente una settimana da quando abbiamo contemplato il sogno di Giuseppe: un sogno nel quale gli è toccato di comprendere che di fronte ai progetti di Dio non bisogna macchinare pensieri o preparare progetti alternativi. Bisogna solamente meravigliarsi, accettare con stupore che la sua Grazia trascenda, superi la nostra Natura e le nostre sia pur legittime aspirazioni, e attraverso questa capacità di stupirsi giungere a contemplare la salvezza di Dio. « I sogni ci salveranno », avevamo detto terminando la nostra riflessione di domenica scorsa: ed effettivamente, quanto sognato da Giuseppe, in questa settimana si è compiuto, lo stiamo ancora contemplando nel mistero del Natale.
Ecco ora un altro sogno di Giuseppe: anzi, tre diversi sogni nell’arco di pochi versetti, costruiti intorno a qualcosa che è l’esatta antitesi dei sogni, ovvero la ferocia inaudita e abominevole della cosiddetta « strage degli Innocenti », che nel Vangelo di oggi non ci viene narrata, forse per pudore, forse perché già in settimana abbiamo onorato la memoria di questi Santi, tanto martiri quanto ignari di esserlo. La cruda realtà della malvagità umana, dell’aberrazione di ogni forma di coscienza, sembra davvero quadrare ben poco con quella costante capacità di meraviglia e di stupore per il mistero che i sogni di Giuseppe portano con sé. Eppure, anche in mezzo al dramma di salvare il proprio figlio da una carneficina inutile ed esecrabile, Giuseppe sogna. Sogna una fuga, sogna un ritorno, sogna un cambio di prospettiva.
La fuga di Giuseppe in Egitto con Maria e il Bambino è il sogno di una libertà che esiste solo « oltre »: oltre la cattiveria umana che impedisce ogni anelito di vita. E per sognare la libertà, non è sufficiente « evadere » di poco, cambiare un po’ aria: per « evadere » con la mente, sono sufficienti altri modi, oggi molto diffusi, meno sani ma di certo più immediati di una fuga all’estero. Per sognare « oltre » occorre anche andare fisicamente « oltre »: oltre il deserto, oltre il Mar Rosso, oltre quella Babele delle genti che faceva di ebrei ed egiziani due popoli in continua contrapposizione. Giunti in Egitto, un altro sogno spinge Giuseppe a tornare, perché chi cercava di eliminare il Bambino, non c’è più, i potenti sono morti (che sogno…), e allora si può tornare a ricostruire una vita, là dove il Bambino era nato e aveva iniziato a muovere i primi passi verso la vita.
Invece no, i potenti non sono morti, ce n’è sempre uno, hanno sempre un figlio dopo l’altro, e allora il Figlio umile del Re più potente viene portato via, un’altra volta in sogno, là dove Giuseppe aveva iniziato a sognare, a Nazareth, là dove Maria aveva iniziato a credere. Non più Figlio di Davide, nato e vissuto a Betlemme ma « Nazareno », « Galileo », agitatore di folle, rivoluzionario, un po’ straniero, diverso, « extracomunitario », diremmo oggi.
Niente di più vero, perché oggi Giuseppe e Maria non sarebbero in perenne viaggio in sella a un asinello, come bucolicamente ce li ricordiamo, con gli angeli che allietano le loro pause suonando e cantando lodi celestiali (così l’iconografia rinascimentale). Giuseppe oggi per sé, per la sua sposa e per il suo bambino, sogna la libertà – ancora una volta – oltremare, oltre il deserto del nulla della propria terra, e oltre la malvagità dei signori della guerra che cercano di uccidere le speranze dei popoli. E vanno in cerca di questa speranza nelle terre d’oltremare, dove regnano altri signori (alleati economicamente con quei signori della guerra) che prima li attirano a sé, e poi cercheranno di espellerli, in ogni modo e in ogni forma, con la legge o senza la legge, incuranti del fatto che hanno attraversato un deserto ostile e un mare che è ancora, sì, « Mar Rosso », ma del sangue dei loro fratelli naufragati (una nuova strage degli Innocenti): e questo mare li beffa’, chiamandosi « Mare Nostrum ».
Ma il sogno non si ferma: la terra d’oltremare c’è, Giuseppe con Maria e il Bambino la raggiungono. Altre famiglie non ce la faranno mai. Un po’ di ospitalità la trovano, ad accoglierli trovano anche tante telecamere e obiettivi, qualche uomo in divisa un po’ burbero e un po’ angelo, qualche politico che li usa come passerella propagandistica, qualche operatore che li disinfetta dalla scabbia, e qualcuno che gli rinnova la speranza di trovare pane per i loro denti, casa e lavoro.
Un giorno terminerà anche la potenza dei signori della guerra, e allora Giuseppe con Maria e il Bambino torneranno, forse non più nel loro paese, forse là dove i signori della guerra sono spariti per davvero, forse dove il bambino crescerà in maniera diversa da come egli aveva pensato, ma perlomeno crescerà. E un giorno, forse, anche lui tornerà a sognare che c’è una terra oltremare dove poter sfuggire a quei signori della guerra che si rigenerano in continuazione.
Le molte famiglie di Nazareth che ancora oggi solcano deserti e mari per giungere qua, dove a loro pare che si stia meglio, non possono rimanerci indifferenti. Ci interpellano, ci chiedono una mano, la stessa mano che a noi è stata tesa anni fa – perché la storia, alla fine, ci restituisce tutto – quando abbiamo solcato mari e monti in cerca di un lavoro degno e di una terra da lavorare, quella terra e quel lavoro che anche a noi i signori della guerra, padri di quelli attuali, avevano tolto in nome di un grande sogno che non venne mai.
Maria, sposa di Giuseppe, lo sa bene: « Ha rovesciato i potenti dai torni, ha innalzato gli umili ». I sogni dei potenti sono stati frantumati dalla storia; il sogno degli umili continua.

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