STUDI SU: « IL DIALOGO CRISTIANO-EBRAICO » – « È LA RADICE CHE PORTA TE » (RM 11,18)
dal sito:
http://198.62.75.1/www1/ofm/sbf/dialogue/CristianoEbraico.html
IL DIALOGO CRISTIANO-EBRAICO
Contributo pubblicato in: Studi Ecumenici, n. 2, 2002.
Appunti su 50 anni di storia
‘E’ la radice che porta te’
(Rm 11,18)
Giorgio Vigna
Docente di Esegesi del Nuovo Testamento – Commissario di Terra Santa
1. Alcune tappe del dialogo dal 1945
2. Il dialogo cristiano-ebraico
3. Il dialogo: donazione e accoglienza
Uno dei tratti più tragici della storia del XX secolo è stato la persecuzione antiebraica. iniziata pretestuosamente la « notte dei cristalli » del 9 novembre 1938, e messa a punto dalla Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942) « per preparare la soluzione finale della questione ebraica ».1 Consumata con la sistematicità e i mezzi che sappiamo, segnerà per sempre la coscienza umana e religiosa delle future generazioni. Davanti alla shoah, grida e silenzi rimarranno nella memoria degli Ebrei e dei Cristiani, una memoria che non potrà mai essere identica per i due popoli. Ma Ebrei e Cristiani si ritrovano uniti davanti alla domanda: « Dio dove era? ». Le risposte non sono e non saranno che balbettii…
La shoah è una forza provocante e inquietante. Perciò non può allontanarsi dalla memoria di chiunque ami il coraggio dell’utopia di un mondo mai sufficientemente umano. Per noi Cristiani si tratta anche di una vera e propria teshuvah per imparare a leggere il passato, amare e pensare il presente sociale, politico, religioso e teologico occhi e cuore purificati.
« La storia delle relazioni tra Ebrei e Cristiani è una storia tormentata. Lo ha riconosciuto anche il santo padre Giovanni Paolo II nei suoi ripetuti appelli ai Cattolici a considerare il nostro atteggiamento nei confronti delle relazioni con il popolo ebraico »2.
Il dialogo cristiano-ebraico è un dovere urgente, affascinante e spinoso ad un tempo. Queste pagine raccolgono appunti radunati sotto tre titoli. Innanzitutto si percorrono rapidamente alcune tappe del dialogo cristiano-ebraico dal dopoguerra ad oggi. Il lettore troverà a piè di pagina una piccola quantità di riferimenti bibliografici; senza alcuna pretesa di completezza, sono una semplice indicazione per quanti vorranno riprendere i testi emanati dai vari organismi in questi ultimi sessant’anni. La seconda parte, Il dialogo cristiano-ebraico, accenna ad alcuni temi, e alle loro conseguenti problematiche, che possono costituire l’oggetto del dialogo tra le due fedi e sui quali già sono state avviate discussioni. Infine, Il dialogo: donazione e accoglienza offre una breve descrizione delle condizioni e delle finalità dell’incontro di due interlocutori che intendono raggiungere una conoscenza e un riconoscimento reciproci.
1. Alcune tappe del dialogo dal 1945
Dopo la Grande Guerra nascono Consigli e Associazioni di amicizia ebraico-cristiana che avviano un tempo assolutamente nuovo di riavvicinamento reciproco e cercano faticosamente vie di mutua conoscenza, trovandosi spesso insieme nella lotta contro l’antisemitismo.3 Molti documenti testimoniano la volontà cristiana di guardare all’Ebraismo con occhi nuovi.4
Ricordo innanzitutto l’appello consegnato alle Chiese dall’International Council of Christians and Jews nei Dieci punti di Seelisberg (Ginevra, 1947).5 Questo documento è il punto di partenza del cammino di dialogo cristiano-ebraico ormai senza ritorno ed è anche il riferimento ispirazionale di successive dichiarazioni comuni e di varie confessioni cristiane.
Infatti non pochi tratti si ritroveranno nel n. 4 della Dichiarazione Nostra aetate (28 ottobre 1965) del Concilio Ecumenico Vaticano II.6 Finalmente, e in termini inequivocabili, vi viene espresso il desiderio di apertura accogliente all’Ebraismo, dopo secoli di condanne, incomprensioni e azioni repressive:
« Questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro [Cristiani ed Ebrei] la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo ».
E’ stata la grande svolta della Chiesa cattolica.
Sulla base dei Dieci punti, il Consiglio Ecumenico delle Chiese interverrà più volte denunciando l’antisemitismo nelle Assemblee generali di Amsterdam (1948), di Evanston (1954) e di New Delhi (1961).7
Per quanto concerne la Chiesa cattolica, dopo la Dichiarazione Nostra aetate sono stati emessi pochi ma significativi documenti e discorsi ufficiali: Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate (1° dicembre 1974), della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo8; Un fraterno dialogo fra Cristiani ed Ebrei a vantaggio dell’umanità (12 marzo 1979)9 e Una catechesi oggettiva sugli Ebrei e sull’Ebraismo (6 marzo 1982)10, di Giovanni Paolo II; Ebrei ed Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione (24 giugno 1985), della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo11; Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (16 marzo 1998), della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo.12
Data la sua rilevanza ai fini della riflessione teologica, è opportuno segnalare qui il discorso che Giovanni Paolo II rivolse ad esponenti della comunità ebraica a Magonza (17 novembre 1980).13 Nell’occasione, il papa richiama due dimensioni del dialogo.
« La prima dimensione di questo dialogo, cioè dell’incontro tra il popolo di Dio dell’Antico Testamento, da Dio mai denunziato (cfr. Rm 11,29) e quello del Nuovo Testamento, è allo stesso tempo un dialogo all’interno della nostra Chiesa. (…) Una seconda dimensione del nostro dialogo — la vera e la centrale — è l’incontro tra le odierne Chiese cristiane e l’odierno popolo dell’alleanza conclusa con Mosè« .
E’ facile rendersi conto che riconoscere l’attuale permanenza del popolo dell’alleanza sinaitica è intanto « un atto dovuto » dalla correttezza teologica, date le premesse paoline (Rm 11). Non solo: lo stesso « atto dovuto » costituisce un’apertura su di una serie di conseguenze enormi nel ripensare l’Ebraismo, conseguenze sinceramente impegnative, che esigono un onesto impegno intellettuale da parte cristiana.
Nel frattempo l’International Catholic-Jewish Liaison Commitee (ILC)14 inizia i suoi lavori con l’Assemblea di Parigi (1971); rilascerà poi la Dichiarazione sull’Antisemitismo nell’Assemblea di Praga (1990)15 seguita dalla Raccomandazione sulla educazione nei seminari e nelle scuole di teologia cattolici ed ebraici (New York, 2001).16
Numerosi sono stati, particolarmente in questi ultimi anni, gli interventi di vari episcopati cattolici regionali e di vari organismi protestanti.17
Un fenomeno interessante si è verificato lo scorso anno negli Stati Uniti: di propria iniziativa, un gruppo di intellettuali ebrei ha firmato una dichiarazione che intende « offrire otto brevi affermazioni sulle modalità con cui Ebrei e Cristiani potrebbero intessere il loro rapporto ».18 La risposta dell’episcopato americano non si è fatta attendere. Oltre ad esprimere vivo apprezzamento per l’iniziativa, i vescovi invitano i Cattolici degli Stati Uniti « a leggere il documento con attenzione, rispetto e amore » nella « speranza che esso venga adottato come base per colloqui in corso fra parrocchie e sinagoghe in tutto il Paese ».19
Non si possono poi tacere due avvenimenti che in se stessi sono più eloquenti delle parole pronunciate: le visite del papa Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma (13 aprile 1986) e in Israele (2000). L’abbraccio del papa con il rabbino capo Elio Toaff e la sua presenza in Terra di Israele sono simboli di un desiderio di riconciliazione e di una volontà di teshuvah che non saranno dimenticati né dai Cattolici né dagli Ebrei. A Roma, il papa ha affermato il privilegiato rapporto intrinseco ed unico esistente tra il Cristianesimo e l’Ebraismo:
« La religione ebraica non ci è « estrinseca », ma in un certo qual modo, è intrinseca alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori ».20
L’affermazione è chiara. Eppure stupisce che ancora si faccia fatica, nel parlare comune e nei documenti, a considerare i rapporti dei Cristiani con l’Ebraismo in maniera diversa dai rapporti con tutte le religioni non cristiane… Per la verità, dobbiamo notare che la Congregazione per il Clero nel Direttorio generale per la catechesi dedica un paragrafo alla « Catechesi in relazione all’Ebraismo » ed un altro alla « Catechesi nel contesto di altre religioni ».21
Quanto alla visita del papa in Israele, basti citare il significativo commento del rabbino Michael Melchior:
« [Quando il papa ha toccato il Muro occidentale] è stato come se una porta, chiusa per così tanti secoli, cominciasse ad aprirsi alla riconciliazione e alla pace tra Cristiani ed Ebrei ».22
Il breve excursus storico può terminare con uno sguardo ecumenico. La versione definitiva della Charta oecumenica — approvata lo scorso 22 aprile dall’Assemblea generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee e della Conferenza delle Chiese Europee a Strasburgo — dedica il n. 10 alla « comunione con l’Ebraismo ». Vale la pena rileggere il testo, che offre un sintetico richiamo dei punti nodali circa le prese di posizione nella storia e dell’impegno di lavoro:
« Una speciale comunione ci lega al popolo di Israele, con il quale Dio ha stipulato un’eterna alleanza. Sappiamo nella fede che le nostre sorelle e i nostri fratelli ebrei ´sono amati (da Dio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!ª (Rm 11,28-29). Essi posseggono ´l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne…ª (Rm 9,4-5). Noi deploriamo e condanniamo tutte le manifestazioni di antisemitismo, i ´pogromª, le persecuzioni. Per l’antigiudaismo in ambito cristiano chiediamo a Dio il perdono e alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ebrei il dono della riconciliazione. E’ urgente e necessario far prendere coscienza, nell’annuncio e nell’insegnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, del profondo legame esistente tra la fede cristiana e l’Ebraismo, e sostenere la collaborazione tra Cristiani ed Ebrei »23.
Alcune osservazioni finali.
I dieci punti di Seelisberg sono nati con l’intento di attirare l’attenzione sul pericolo della sopravvivenza dell’antisemitismo. Tuttavia le quattro « insistenze » positive (« Ricordare… ») e le sei negative (« Evitare… »), insieme ai tre « suggerimenti » finali indirizzate alle Chiese, avviano indubbiamente le ricerche, le iniziative e le mentalità che hanno già dato i frutti della stagione nuova. Le Chiese e l’Ebraismo oggi non presentano più le stesse rigidità comportamentali e di pensiero che hanno tormentato secoli di storia. Alle Chiese rimane però ancora un lungo cammino di teshuvah nel quale dobbiamo avventurarci con coraggio e speranza. I motivi per avere coraggio e per sperare non poggiano solo sui confortanti dati della storia recente del dialogo, ma anche, ed in primo luogo, sul « Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe », che è un « Dio della vita » (Es 3,6 e Mc 12,26).
La Charta oecumenica non è stata firmata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese24, né dalla Santa Sede. Pur non essendo l’espressione di tutte le Chiese di tutto il mondo, il documento manifesta l’opinione e la volontà d’impegno di 34 Conferenze Episcopali e di circa 120 Chiese d’Europa, perciò la sua portata è tutt’altro che trascurabile. Ai fini del dialogo cristiano-ebraico, non si può ignorare quanto detto nel già citato n. 10. E’ probabile che sia maturo il tempo di compiere uno studio sistematico dei documenti che sono stati emanati dal 1947 al 2001, così da ottenere una prima puntualizzazione del cammino compiuto dai Cristiani e dalle diverse Chiese cristiane.
2. Il dialogo cristiano-ebraico
Prima di entrare nel merito, solleviamo una questione di fondo: il dialogo tra le due fedi può svolgersi su piani di parità, così come si svolge tra Chiese diverse? La domanda può essere rilanciata in forma più radicale, come ebbe occasione di sostenere Paolo De Benedetti: il dialogo può essere paritario, o non piuttosto sarà sempre sbilanciato, dal momento che i Cristiani hanno bisogno degli Ebrei, mentre gli Ebrei non hanno bisogno dei Cristiani?
Si impone subito un distinguo: se gli Ebrei non hanno bisogno dei Cristiani per comprendersi, questo può essere vero solo sul piano teologico e limitatamente ai fini della comprensione dell’Ebraismo biblico. Non pare ozioso tuttavia chiedersi se il Cristianesimo sia del tutto inutile per la comprensione dell’Ebraismo post-biblico; mi sia perciò concesso il dubbio in proposito. In altri termini, la domanda è la seguente: è possibile che l’Ebraismo nella sua storia post-biblica sia stato in qualche modo influenzato dal Cristianesimo?
Sul piano storico, invece, se si riconosce che Gesù e il movimento da lui originato sono nati nell’Ebraismo e da esso non intendevano staccarsi, allora gli Ebrei non possono trascurare questo « fenomeno giudaico » messianico e apocalittico che l’Ebraismo del I secolo e.v. ha espresso, con cui ha vissuto, ha discusso e non sempre polemicamente né per puro antagonismo.25
Per quanto concerne i Cristiani, sono le loro origini a rendere quantomeno necessario il dialogo. Tuttavia riconoscere l’origine ebraica del Cristianesimo comporta sia una rilettura della storia delle sue origini sia una revisione del contenuto della sua teologia.26 Le conseguenze dunque sono molteplici e irte di difficoltà. Il lavoro è iniziato da poco ma deve essere proseguito dagli storici, dai biblisti e dai teologi.
Gli studi della storia del Cristianesimo del I sec. e.v. non sono ancora giunti ad una sintesi. Infatti siamo ancora nel pieno del dibattito sul problema del legame tra il giudeo-cristianesimo e i « giudaismi » contemporanei.27 Per quanto la teologia cristiana abbia poco rivisitato la cristologia, l’ecclesiologia, la soteriologia ecc., non sono pochi i risultati messi a disposizione dei lettori. Indico solo alcuni esempi.
Riguardo alla persona di Gesù di Nazaret: è stato riconosciuto ciò che per secoli è stato dimenticato, la sua ebraicità.28 Ma questa non è che una sorta di premessa, dalla quale devono essere tratte le conseguenze. E’ necessario mostrare non solo come Gesù si relazioni con i « Giudaismi » del tempo, ma anche come la sua predicazione, i suoi gesti, le sue chiamate siano o non siano in continuità con la Tradizione.29
Se è relativamente facile « rileggere » Gesù nel contesto giudaico del tempo, l’impresa si fa assai più problematica nel caso di Paolo di Tarso.30 Intanto non sarebbe male se si evitasse di parlare della sua « conversione », parola che, applicata a Paolo, continua ad essere quantomeno ambigua. E’ vero che nel NT la « conversione » ha spesso come soggetto i Giudei (Mt 3,2; 12,41; Lc 1,16; At 2,38; 3,19 ecc.); ma è anche vero che Paolo, riferendosi all’evento di Damasco, usa un vocabolario differenziato (Gal 1,16; 1Cor 9,1; 15,8; Fil 3,12), riservando il concetto di conversione a soggetti di origine gentile (1Ts 1,9; 2Cor 12,21; Gal 4,9). Mantenere la distinzione paolina nell’uso delle parole aiuterebbe a superare l’equivoco latente, secondo il quale il Dio dei Cristiani è « altro » dal Dio dei Giudei, non è il comune Dio dei patriarchi e delle promesse. Pertanto è bene ricordare che Paolo si è convertito solo nel senso che — a seguito della « rivelazione di Gesù Cristo » (cfr. Gal 1,16) — ha operato il passaggio da un movimento giudaico ad un altro.31 Mi piace riportare le osservazioni di A. Chouraqui:
« Paolo è un polemista nato, sia che si batta nel campo dei farisei, sia che, dopo la sua conversione, porti la parola del Messia Jeshua’ fino alle estremità del mondo. Il suo conflitto personale trova una soluzione soltanto nella fede assoluta in Jeshua’ il messia, questo Gesù Cristo che egli annunzia alle nazioni. In lui, non c’è più giudeo né greco, né uomo né donna, né libero né schiavo, né ricco né povero. Tutto in lui, è uno, per il miracolo dell’amore crocifisso di cui Jeshua’ rappresenta la perfetta incarnazione. Questa certezza, follia agli occhi del mondo, gli fa scoprire la sorgente di ogni pace e di ogni gioia in una illuminazione che è quella del messia, salvatore attuale e potenziale dell’intera umanità. Questa certezza è liberatrice: ´Tutto posso in colui che mi dà forzaª (Fil 4,13) ».
E ancora:
« Seguire Jeshua’ ben Josef proclamandolo messia non implica per Paolo una rottura con l’Ebraismo. (…) Ogni partito, ogni setta, ogni capo politico o religioso, sospinto dalla tragica situazione, è convinto di essere il solo a detenere le chiavi della sopravvivenza della nazione. Da qui l’accanimento dei conflitti intestini che non oppongono gli « Ebrei » ai « Cristiani », ma, all’interno della casa di Israele, i Cristiani ai Farisei o ai Sadducei o agli Erodiani, e questi tra di loro, in uno scontro generazionale che non risparmia nessuno ».32
Venendo a questioni di sostanza, il primo grande nodo — tra i tanti — da sciogliere è costituito dalle argomentazioni davvero complesse e dure di Paolo relative alla Torah. Secondo la lettura tradizionale delle lettere ai Galati e ai Romani e soprattutto secondo una certa interpretazione di Rm 10,4 (« il termine [sic!] della legge è Cristo », nella traduzione della C.E.I.33) Paolo avrebbe pronunciato il « giudizio finale » negativo della Torah. Proprio per questa ragione anche da parte ebraica i giudizi negativi su Paolo non mancano.34 Pertanto il senso comune conserva tuttora, nonostante le nuove prospettive indicate in particolare da E.P. Sanders35, H. Räisänen36 e J.D.G. Dunn37, l’idea sommaria secondo la quale « il tempo della legge » è definitivamente chiuso e con esso il tempo della religione legalistica. Non essendo questo il momento di esaminare i passi controversi,38 mi limito a ricordare che è a partire dalla cristologia con le sue implicanze soteriologiche e missiologiche che Paolo muove uno sguardo retrospettivo alla Tradizione dei Padri e non viceversa:
« Il momento rivelatore, grazie al quale Paolo legge la storia, è costituito dalla sua stessa missione di apostolo dei Gentili, dal momento in cui Dio gli aveva rivelato il proprio Figlio (Gal, 1,16) ».39
Un secondo nodo non meno facile da affrontare è il ruolo che Paolo attribuisce a Israele nei cc. 9-11 della lettera ai Romani, una sezione che — come ha fatto giustamente rilevare J.N. Aletti40 — mette in causa non solo Israele, ma Dio stesso, e la cui interpretazione errata è stata alle origini della « teoria della sostituzione » di Israele.
Vi sono altre tematiche di studio su cui in primo luogo i Cristiani devono impegnarsi. Ne accenniamo alcune.
Il concetto di alleanza è denso di implicanze, puntualmente sintetizzate da Norbert Lohfink in un suo importante contributo:
« La questione non è tanto che cosa significhino precisamente le parole ebraiche o greche che noi traduciamo con ‘alleanza’, ma come la storia della rivelazione e della salvezza, designata da tale parola, si sia svolta e con quale gruppo concreto sia ora da identificare il ‘popolo’ attraverso cui Dio muove la storia. Poiché quindi il Cristianesimo e l’Ebraismo costituiscono di fatto due diverse pretese di essere il luogo dell »alleanza’, tutto il problema si concretizza nella questione di come queste due pretese debbano essere giudicate e di come si rapportino l’una all’altra ».41
Queste poche parole sono sufficienti per mostrare che l’ »alleanza » è un ‘luogo teologico’ nel quale sono messi in gioco i ripensamenti della soteriologia e dell’ecclesiologia o, in altri termini, il concetto stesso di « popolo di Dio ». Quando il papa a Magonza ha parlato dell’ »incontro tra il popolo di Dio dell’antica, ma mai revocata alleanza, e quello della nuova alleanza », ha implicitamente affermato che il popolo ebraico di oggi è popolo di Dio. Infatti, i Sussidi scrivono chiaramente: « esso [Israele] resta il popolo prescelto ».42 Tuttavia anche la Chiesa si autodefinisce popolo (di Dio) (cfr. At 15,14; 18,10; Rm 9,24; 1Pt 2,9-10): ne consegue per la Chiesa la necessità di ripensare la propria identità di popolo di Dio, identità che non può annullare quella del popolo ebraico.43 A questo proposito, si deve notare che il Catechismo della Chiesa Cattolica44 non presenta mai una chiara teologia sostituzionista. Tuttavia « il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico » è collocato all’inizio del capitoletto dedicato a « La Chiesa e i non cristiani » e introdotto con la breve frase « Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio » (citazione di Lumen gentium 16). Il contenuto dei due paragrafi (nn. 839-840) sembra piuttosto incerto: nonostante il richiamo ai passi decisivi di Rm 9,4-5 e 11,29 sulla permanenza delle prerogative di Israele, si parla senza specificazioni del ‘legame con gli Ebrei’, ‘popolo di Dio dell’Antica Alleanza’, con la Chiesa ‘popolo di Dio della Nuova Alleanza’. Pare più esplicito il Catechismo degli adulti per le Chiese in Italia45, che afferma l’inesistenza della « sostituzione »:
« L’idea di un « nuovo » popolo di Dio non ha alcun rilievo negli scritti del Nuovo Testamento. Non c’è la sostituzione di Israele, ma il suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, va avanti » (n. 435).
Si riconosce poi la permanenza di Israele in quanto popolo di Dio e il suo ruolo nella storia di oggi:
« Gli Ebrei, intimamente solidali con la comunità cristiana, rimangono il popolo di Dio. Congiunti pertanto al mistero della Chiesa, che ha la pienezza dei mezzi della salvezza, cooperano anch’essi all’edificazione del regno di Dio; svolgono ‘un servizio all’umanità intera’. Non si può parlare di due vie parallele di salvezza neppure di sostituzione di una con l’altra » (n. 443).
Insomma, non si può ignorare che la ridefinizione della propria identità porta a riconsiderare il significato soteriologico di Gesù, Cristo e Signore, e della Chiesa stessa.
Infine la questione del rapporto tra i due Testamenti. Come scrive provocatoriamente E. Zenger, devono « cambiare i paradigmi nell’approccio all’Antico Testamento ». Il biblista cattolico domanda:
« Che cosa significa per la Chiesa che, in questa componente della Bibbia, gli Ebrei incontrano il Dio dell’alleanza in modo pienamente valido e indipendentemente dalla confessione di fede in Gesù, il Cristo? Che cosa significa che Ebrei e Cristiani condividono queste ‘Sacre Scritture’? Ma leggono propriamente le stesse ‘Scritture’? E’ davvero possibile un approccio genuinamente cristiano al cosiddetto Antico testamento, un modo di accostarvisi che lo rispetti nel suo carattere di ‘Bibbia ebraica’ ed al tempo stesso ponga la Sacra Scrittura cristiana al centro della propria vita? ».46
Le linee di risposta alle domande conducono al riconoscimento pieno e autonomo della portata teologica dell’Antico Testamento47, senza negare l’unità di contenuti tra i due Testamenti. Appare allora inevitabile abbandonare la tradizionale concezione cristiana che affida all’Antico Testamento la funzione semplicemente « preparatoria » al Nuovo48, e che impone al primo solo e sempre un’interpretazione tipologica o cristologica.49
Scrive ancora E. Zenger:
« Se il Primo e il Secondo Testamento hanno un ‘centro’ questo non potrà essere che JHWH, il Dio che salva e giudica in ‘contesti di vita’ sempre nuovi. In ultima analisi, anche il Nuovo Testamento, nella sua complessità, non è ‘cristocentrico’ ma ‘teocentrico’ ».50
Concludendo questa terza tappa di riflessione, desidero far notare che i grandi nodi teologici, almeno quelli che abbiamo considerato, sono stati sollevati in un tempo abbastanza recente. Molto rimane da studiare e pregare, e tanta polvere deve scendere, in attesa che si faccia chiarezza dell’immagine e del patrimonio cristiani. Lo svolgimento di tanto lavoro non può che avvenire all’interno del dialogo, in quanto donazione e accoglienza, con coloro che sono la nostra radice (cfr. Rm 11,18).
Noi Cristiani, mentre riconosciamo con onestà e umiltà che abbiamo bisogno degli Ebrei, chiediamo a loro di essere aperti e disponibili ad accompagnarci nella fatica, poiché
« Davanti a Dio entrambi, Ebreo e Cristiano, sono operai impegnati nella stessa opera. Egli non può rinunciare a nessuno dei due. In tutti i tempi egli ha creato ostilità fra i due, stringendoli però sempre con vincoli strettissimi ».51
Le parole del cardinale E. Cassidy bene riassumono lo scopo del dialogo cristiano-ebraico e ci portano al termine del nostro percorso:
« Quando noi Cattolici parliamo di dialogo teologico con gli Ebrei o con altre religioni, assolutamente non pensiamo a questo dialogo in termini di conduzione alla conversione o alla rinuncia. (…) Quando parlo di dialogo teologico con rappresentanti ebrei non parlo di unità della fede ma di un dialogo che permette ai dialoganti di comprendersi e accettarsi reciprocamente come sono, così che possano essere ciò che Dio vuole che siano nella società di oggi, nonostante le fondamentali differenze ».52
3. Il dialogo: donazione e accoglienza
Dialogare è un’arte ed una virtù. Richiede una sorta di sensibilità naturale, ma anche un lavoro su di sé. Quando poi il dialogo è un’attività di credenti, allora il lavoro su di sé presuppone il rimando a ciò che lo precede e lo accompagna: la domanda della sapienza amorosa, perché la ricerca del vero e del bello non sia mai disgiunto dall’amore illuminante. Non si nasce dialoganti: al dialogo ci educhiamo, lasciandoci anche istruire da Dio (theodidaktoi; cfr. 1Ts 4,9). Se « traffichiamo » i doni intellettuali e dell’esperienza, ci teniamo lontani dall’illusione di aver imparato abbastanza.
Siccome per dialogare bisogna essere almeno in due, si impone la considerazione dell’altro. Questi non sempre è disponibile o capace o interessato o educato a dialogare. Perciò altre virtù devono intervenire nel dialogante affinché l’altro non sia squalificato né si senta giudicato agli occhi nostri per la sua diversità di opinioni o di sentimenti.
Il dialogo dunque si costruisce: ciascuno porta la propria arte, le proprie virtù e la coscienza dei propri limiti; ciascuna parte mette a disposizione il proprio patrimonio e si apre per accogliere l’altra.
Poste queste premesse di ordine generale e di principio, riprendiamo alcune caratteristiche del dialogo.53
La curiosità o filom£qeia. Così intesa è una forza che spinge a cercare. In quanto desiderio amoroso, dispone gli occhi della mente a cercare con limpidità intellettuale e morale l’oggetto nella sua luminosità, purificandolo dalle impurità che lo rendono opaco e brutto. Cercare significa porre domande e lasciarsi interrogare, ben sapendo che ogni domanda rimanda ad un’altra. In quanto amore desiderante, non rende mai sazio colui che cerca, anzi mantiene vivo il desiderio, impedisce l’appropriazione dell’oggetto e suscita ammirazione per l’orizzonte che via via si va allargando.
La coscienza riflessa della propria identità. Il dialogo, particolarmente quando tocca dimensioni interiori ed esistenziali, mette in gioco tutta la persona. Se l’interlocutore non conosce se stesso e non ha fatto chiarezza del proprio patrimonio e della propria esperienza il dialogo non avviene. La confusione del suo pensiero e del suo vissuto si estende fino a regnare sovrana. Invece la diversità resa possibile dalla propria identità e dalla fedeltà ad essa, trasforma i dialoganti in « alterità », una dimensione da cui partire per avventurarsi nella ricerca. L’identità ovviamente richiede la verifica costante e il radicamento solido delle convinzioni, dei fondamenti storici, filosofici, teologici ai quali si è consegnata la propria vita.
La verità che ha permesso la descrizione della propria identità è la stessa che conduce alla confessione della propria fede. La confessione è un atto di rispetto della propria fede, ma presuppone l’accoglienza altrettanto rispettosa della fede dell’altro. Quando la confessione è libera e rispettosa, l’oggetto del dialogo si fa luminoso ed illuminante: i dialoganti « vedono » i valori, i nodi e i limiti del patrimonio in causa e da essi sono guidati.
La finalità del dialogo si trova — forse paradossalmente e primariamente — in continuità con quanto detto sopra: la rinnovata identità del dialogante affiora anche dallo specchiarsi nell’interlocutore che ne riflette l’immagine. L’identità allora rende possibile il dialogo e da questi è resa possibile. In questo circolo senza fine si raggiunge allora la conoscenza dell’altro che si manifesta e al quale ci si manifesta. Avviene una sorta di reciproca ri-conoscenza. Nell’interrogare e nell’interrogarsi si comprendono le ragioni della fede dell’altro, i percorsi della sua storia, le fatiche e le gioie, i fallimenti e le speranze che si rincorrono nel suo cuore e nella sua mente. Io finalmente posso comprendere l’altro a partire dall’altro, e non da ciò che penso che lui pensi, da ciò che so che lui sa.54
Incominciare dalla tolleranza? Si pensa, a ragione, che la tolleranza sia la condizione primaria di qualsiasi dialogo, poiché essa è riconoscere all’altro almeno il diritto di esistere e di esprimersi. Tuttavia dobbiamo ammettere che un simile riconoscimento è una meta decisamente minimalista e non offre una grande consolazione. Ritengo, dunque, che sia necessario andare oltre. E’ auspicabile e bello che il dialogo sia sostenuto e animato da valori più esigenti, quali il rispetto, la stima, l’ammirazione. Dobbiamo arrivare a dire apertamente all’altro: « Sono contento che tu ci sia, sei importante ed hai un significato per me, per noi ».
Riassumendo: spinti dalla curiosità, possiamo avvicinarci e rivolgerci all’altro disposti a dire e « fare » la verità. Se l’identità di ciascuno è manifestata nei suoi contorni veri, la conoscenza e la ri-conoscenza non potranno non trasformarsi in ricchezza. Solo nella reciprocità dei sentimenti e degli intenti — cercati nelle loro forme più alte — l’incontro sarà davvero tale, un dia-logo e non un mono-logo camuffato da dialogo.
NOTE
1. Il verbale della Conferenza è reperibile in traduzione italiana nel sito web di Olokaustos www.olokaustos.org/archivio/documenti/wannsee/.
2. Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, « Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah » (16 marzo 1998), III, in Il Regno 7(1998)202.
3. Si veda la conferenza di Lea Sestieri « Sviluppi nelle relazioni ebraico-cristiane (Dalla Nostra aetate n. 4 al Giubileo del 2000) », in Sestieri L., Ebraismo e Cristianesimo. Percorsi di mutua comprensione, Milano 2000, Paoline, pp. 201-224; cfr. Wahle H., Ebrei e cristiani in dialogo. Un patrimonio comune da vivere, Milano 2000, Paoline, pp. 171-182.
4. Croner H. (ed.), Stepping Stones to Further Jewish-Christian Relations: An Unabridged Collection of Christian Documents, London-New York 1977; Hoch M.T. – Dupuy B., Les Eglises devant le Judaïsme. Documents officiels 1948-1978, Paris 1980, Cerf ; Rendtorff R. – Henrix H.H., Die Kirchen und das Judentum. Dokumente von 1945 bis 1985, Paderborn-München 1989, II ed; Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo (1947-1982), Casale Monferrato 1983, Marietti (Radici 1); Croner H. (ed.), More Stepping Stones to Jewish-Christian Relations: An Unabridged Collection of Christian Documents, 1975-1983, New York 1985; International Catholic-Jewish Liaison Commitee, Fifteen Years of Catholic-Jewish Dialogue. 1970-1985, Città del Vaticano 1988, Libreria Editrice Vaticana; In dialogo con i « fratelli maggiori ». Documenti, Roma 1988, AVE.
5. Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 1-3. Documenti successivi dell’ICCJ (sito web: www.iccj.org) in International Council of Christians and Jews, The New Relationship between Christians and Jews. Documentation of Major Statements, Heppenheim 1999. Del Consiglio fanno parte attualmente 33 membri distribuiti in 30 Paesi.
6. Concilio Ecumenico Vaticano II, « Nostra aetate », in EV 1/861-868; Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 73-75.
7. Rispettivamente in EŒ V/58; V/168; V/306 (Risoluzione sull’antisemitismo).
8. EV 5/772-793; Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 196-203.
9. Discorso ad esponenti delle organizzazioni ebraiche, in Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 286-289.
10. Discorso ai Delegati delle Conferenze episcopali per i rapporti con l’Ebraismo, in Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 337-340.
11. EV 9/1651-1658.?
12. EV 17/520-550.
13. Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, pp. 331-334.
14. Lo schema delle attività nel sito web www.bc.edu/bc_org/research/cjl/news/ILC.htm. I testi delle prime dodici sessioni in International Catholic-Jewish Liaison Commitee, Fifteen Years of Catholic-Jewish Dialogue. 1970-1985, Città del Vaticano 1988, Libreria Editrice Vaticana.
15. Testo italiano nel sito web di Le nostre Radici www.nostreradici.it/Doc_Praga.htm.
16. Testo inglese nel sito web di Chrétiens et Juifs pour un enseignement de l’Estime www.chretiens-et-juifs.org/Documents_Dialogue/ICJLC_on_Education.htm.
17. Ad esempio: per parte italiana: « Sui rapporti ebraico-cristiani oggi (1 aprile 1988) », in ECEI 4/1010-1013; per parte francese, la dichiarazione dell’episcopato L’attitude des chrétiens à l’égard du judaïsme (1973) e il recente contributo Comité Épiscopal Français pour les Relations avec le Judaïme, Lire l’Ancien Testament. Contribution à une lecture catholique de l’Ancien Testament pour permettre le dialogue entre juifs et chrétiens, Paris 1997; per parte americana: Guidelines for Catholic-Jewish Relations (1967 e 1985, Revision). Molti documenti sono reperibili nel sito web di Jewish-Christian Relation www.jcrelations.net/statemt.htm.
18. « Dabru emet. Dichiarazione di intellettuali ebrei sui cristiani e il cristianesimo » (2000), in Il Regno 21(2000)695-696. Volume di accompagnamento: Aa.Vv., Christianity in Jewish Terms, Boulder 2000; commenti in Sidic 3(2000) e 1(2001).
19. Comitato Episcopale per gli Affari Ecumenici e Interreligiosi, « Il potere delle parole. Risposta cattolica a Dabru emet » (18 ottobre 2000), in Il Regno 17(2001)588.
20. Il discorso alla Sinagoga in Il Regno 9(1986)279-280. Lo stesso concetto (« connessi e vicini sul piano della rispettiva identità religiosa ») fu espresso con altre parole nei Discorsi ad esponenti delle organizzazioni ebraiche (p. 287, nota ) e ai Delegati delle Conferenze episcopali (p. 338, v. nota ), e sarà ripreso dai Sussidi (n. 2, 9/1618, v. nota ).
21. Congregazione per il Clero, « Direttorio generale per la catechesi » (15 agosto 1997), 199 e 200, in EV 16/1027 e 1028-1029; cfr. Sinodo dei Vescovi, « Elenco finale delle proposte del Sinodo per l’America » (11 dicembre 1997), Proposte 62 e 63, in EV 16/1784 e 1785.
22. Osservatore Romano del 22 marzo 2000.
23. KEK-CCEE, « Charta oecumenica. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa » (22 aprile 2001), in Il Regno 9(2001)315-318. E’ interessante notare che la bozza della Charta (luglio 1999) [Il Regno 19(1999)656] dedicava il n. 9 alle « Relazioni con le altre religioni »; quindi, dopo due brevi e poco incisivi paragrafi dedicati all’Ebraismo, veniva prestata attenzione ai musulmani e ai membri delle altre religioni. Le proteste e le osservazioni in merito che da molte parti inviammo sono state accolte…
24. Attualmente, appartengono al Consiglio 342 Chiese sparse in 120 Paesi. Come sappiamo, la Chiesa Cattolica Romana non ne è membro ufficiale, anche se vi partecipa attivamente ai lavori.
25. Cfr. Boccaccini G., Il medio giudaismo. Per una storia del pensiero giudaico tra il terzo secolo a.e.v. e il secondo secolo e.v., Genova 1993, Marietti.
26. Se uso l’espressione « cristiano-ebraico » in luogo di quella più comune « ebraico cristiano » è proprio per sottolineare la necessità per il Cristianesimo in primo luogo a dialogare con l’Ebraismo. Quindi non è semplicemente perché considero il dialogo dall’angolazione che mi appartiene, quella cristiana, né tantomeno per una svista dell’ordine storico con cui le due fedi sono apparse.
27. Si vedano per es. i contributi di Flusser D., Il Giudaismo e le origini del cristianesimo, Genova 1995, Marietti (Radici 15) [or. 1988] ; Vouga F., Les premiers pas du christianisme, Genève 1997; Manns F., Le judéo-christianisme, mémoire ou prophétie?, Paris 2000.
28. « Gesù è ebreo e lo è per sempre »: Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, « Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione » (24 giugno 1985), III,1, in EV 9/1636.
29. Si vedano, per es. i contributi del protestante Young B.H., Jesus the Jewish Theologian, Peabody 1995; e del cattolico Meier J.P., A marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, vol. I: The Roots of the Problem and the Person, New York 1991; vol. II: Mentor, Message and Miracles, New York 1994; vol. III: Companions and Competitors, New York 2001.
30. La storia della ricezione di Paolo mostra come molto presto nel secolo XX l’interesse per l’ebraicità di Paolo da parte cristiana e da parte ebraica si è fatto sempre più intenso e con risultati d’indagine spesso opposti. Si vedano per es. Hübner H., « Paulusforschung seit 1945. Ein kritischer Literaturbericht », in ANRW, vol. II,25.4 (1987), pp. 2649-2840; Merk O., « Paulus-Forschung 1936-1985″, in ThR 53(1988)1-81; anche i brevi articoli di Stegner W.R.,, « Jew, Paul the », e di Hafemann S.J., « Paul and His Interpreters », in Hawthorne G.F. – Martin R.P. – Reid D.G. (a cura di), Dictionary of Paul and His Letters, Downes Grove – Leicester 1993, rispettivamente alle pp. 503-511 e 666-679. Attualmente le « biografie » di Paolo e i commenti alle sue lettere hanno quasi del tutto abbandonato la tendenza inaugurata da A. Deissmann (1911) a spiegare la sua persona e il suo pensiero a partire dal sottofondo ellenistico. Uno studio originale è quello di Young B.H., Paul the Jewish Theologian. A Pharisee among Christians, Jews, and Gentiles, Peabody 1997.
31. Cfr. Boccaccini G., « Paolo ebreo », in Aa.Vv., Ebrei e Cristiani alle origini delle divisioni, Torino, A.E.C. (Quaderno n. 4), p. 48.
32. Chouraqui A., Gesù e Paolo Figli d’Israele, Magnano 2000, Qiqajon [or. 1988], pp. 68 e 71-72.
33. Già nel 1641 Giovanni Diodati aveva tradotto: « il fin della legge è Christo ».
34. Klausner J., From Jesus to Paul, New York 1943 (Paolo ha liberato i cristiani dai vincoli delle leggi ma li ha legati coi duri vincoli dei dogmi); Schoeps H.-J., Paulus. Die Theologie des Apostels im Lichte der jüdischen Religionsgeschichte, Tübingen 1959 (Paolo ha frainteso la Legge); Sandmel S., The Genius of Paul: A Study in History, New York 1970 (Paolo ha dato una caricatura della Legge).
35. Sanders E.P., Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, Brescia 1986, Paideia [or. 1977]; Paolo, la legge e il popolo giudaico, Brescia 1989, Paideia [or. 1983];
36. Räisänen H., Paul and the Law, Tübingen 1983.
37. Dunn J.D.G., Jesus, Paul and the Law, Louisville 1990.
38. Un’ampia analisi in Aletti J.-N., Comment Dieu est-il juste? Clefs pour interpréter l’épître aux Romains, Paris 1991.
39. Sanders E.P., San Paolo, Genova 1997, Il Melangolo [or. 1991], p. 109; cfr. Aletti J.-N., Comment Dieu est-il juste?, pp. 241-242.
40. Aletti J.N., « Israele in Romani. Una svolta nell’esegesi », in Cipriani S. (ed.), La lettera ai Romani ieri e oggi, Bologna 1995, EDB, pp. 107-123.
41. Lohfink N., « L’alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei », in GdT 201(1991)14 [or. 1989]. Si vedano anche Thoma C., Teologia cristiana dell’ebraismo, Casale Monferrato 1983, Marietti (Radici 3) [or. 1978]; Mussner F., Il popolo della promessa. Per il dialogo ebraico-cristiano, Roma 1982, Città Nuova [or. 1979]; Rossi De Gasperis F., « Israele e la radice santa della nostra fede », in Rassegna di teologia 1(1980)1-15; « Israele e la radice santa della nostra fede », in Rassegna di teologia 2(1980)116-129; Gräßer E., Il patto antico nel nuovo, Brescia 2001, Paideia (Studi biblici 132) [or. 1985]; Sarason R.S., « The Interpretation of Jeremias 31:31-34 in Judaism », in Petuchowski J.J., When Jews and Christians Meet, New York 1988, pp. 101-103; Lohfink N., « Alliance, torah et pélérinage des nations au Mont Sion », in Sidic 24 /2-3(1991)3-14; Lohfink N., « Il concetto di alleanza nella teologia biblica », in CivCatt 142(1991)353-367.
42. VI,1; EV 9/1656. Poco prima (II,10; EV 9/1634) è detto: « il popolo dell’antica e della nuova alleanza… ». Ma poi (IV,2; EV 9/1652), citando la NA 4, si ribadisce: « …anche se è vero che ‘la Chiesa è il nuovo popolo di Dio’ ».
43. E’ noto che la 1Pt 2,9-10 è il passo principale dal quale esegeti e teologi ricavano (indebitamente) la « teologia della sostituzione ». Un esempio tra i tanti si trova nel commento di Schelkle K.H., Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda, Brescia 1981, Paideia (CTNT XIII/2) [or. 19805; 19611]: « [La lettera enumera] una serie di titoli che, nell’AT, originariamente riguardavano Israele come popolo eletto da Dio. Il vero Israele è la chiesa (Fil 3,3; Gal 6,16). Perciò ad essa sono riservate tutte le promesse fatte ad Israele e tutte le qualificazioni che ne indicano la dignità » (p. 124).
44. Città del Vaticano 1992, Libreria Editrice Vaticana.
45. Conferenza Episcopale Italiana, La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti, Città del Vaticano 1995, Libreria Editrice Vaticana.
46. Zenger E., Il Primo Testamento. La Bibbia ebraica e i Cristiani, Brescia 1997, Queriniana (GdT 248). [or. 19922; 19911].
47. Rendtorff R., Cristiani ed Ebrei oggi. Nuove consapevolezze e nuovi compiti, Torino 1999, Claudiana [or. 1998], cap. III.
48. Dello stesso parere Fitzmyer J.A., The Biblical Commission’s Document « The Interpretation of the Bible in the Church ». Text and Commentary, Roma 1995, PIB (Subsidia biblica 18), p. 73. Si veda anche M. Pesce M., « Può la teologia cristiana rispettare la natura ebraica della Bibbia? », in Aa.Vv. Ebrei e Cristiani alle origini delle divisioni, Torino, A.E.C. (Quaderno n. 4), pp. 87-112.
49. Cfr. Sussidi, II,3-8; EV 1627-1632. Riconoscere l’autonomia teologica dell’AT di per sé non contraddice né impedisce la lettura tipologica o cristologica in uso nella Chiesa fin dall’antichità.
50. Il Primo Testamento, p. 212.
51. Rosenzweig F., La stella della redenzione, Casale Monferrato 1985, Marietti, p. 444 [or. 1976].
52. Citato da Dujardin J., « The Future Task of Christian Jewish Dialogue », in Sidic 33 3(2000)11.
53. Cfr. Maffeis A., Il dialogo ecumenico, Brescia 2000, Queriniana (Piccola Biblioteca delle Religioni 23), pp. 145-164.
54. Questo principio, applicato al dialogo cristiano-ebraico, è affermato chiaramente negli Orientamenti, Prologo, in EV 5/774; Sestieri L. – Cereti G., Le chiese cristiane e l’ebraismo, p. 197.