Tintoretto: La creazione degli animali

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GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 28 maggio 1986
1. La domanda sul proprio destino è molto viva nel cuore dell’uomo….
È una domanda grande, difficile, eppure decisiva: “Che sarà di me domani?”. C’è il rischio che cattive risposte conducano a forme di fatalismo, di disperazione, o anche di orgogliosa e cieca sicurezza. “Stolto, questa notte morrai”, ammonisce Dio (Lc 12, 20). Ma proprio qui si manifesta l’inesauribile grazia della Provvidenza divina. È Gesù che apporta una luce essenziale. Egli infatti, parlando della Provvidenza divina nel Discorso della Montagna, termina con la seguente esortazione: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Nell’ultima catechesi abbiamo riflettuto sul profondo rapporto che esiste tra la Provvidenza di Dio e la libertà dell’uomo. È proprio all’uomo, prima di tutto all’uomo, creato a immagine di Dio, che sono indirizzate le parole sul regno di Dio e sulla necessità di cercarlo prima di ogni cosa.
Questo legame tra la Provvidenza e il mistero del regno di Dio, che deve realizzarsi nel mondo creato, orienta il nostro pensiero sulla verità del destino dell’uomo: la sua predestinazione in Cristo. La predestinazione dell’uomo e del mondo in Cristo, Figlio eterno del Padre, conferisce a tutta la dottrina sulla Provvidenza divina una decisa caratteristica soteriologica ed escatologica. Lo stesso divin Maestro lo indica nel suo colloquio con Nicodemo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
2. Queste parole di Gesù costituiscono il nucleo della dottrina sulla predestinazione, che troviamo nell’insegnamento degli apostoli e specialmente nelle lettere di san Paolo. Leggiamo nella Lettera agli Efesini: “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo . . . in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1, 3-6).
Queste luminose affermazioni spiegano, in modo autentico e autorevole, in che cosa consiste ciò che in linguaggio cristiano chiamiamo “Predestinazione” (latino: “praedestinatio”). È infatti importante liberare questo termine dai significati erronei o anche impropri e non essenziali, entrati nell’uso comune: predestinazione come sinonimo del “cieco fato” (“fatum”) o dell’“ira” capricciosa di qualche divinità invidiosa. Nella rivelazione divina la parola “predestinazione”, significa l’eterna scelta di Dio, una scelta paterna, intelligente e positiva, una scelta d’amore.
3. Questa scelta, con la decisione in cui si traduce, cioè il piano creativo e redentivo, appartiene alla vita intima della santissima Trinità: è operata eternamente dal Padre insieme col Figlio nello Spirito Santo. È un’elezione che, secondo san Paolo, precede la creazione del mondo (Ef 1, 4) (“prima della creazione del mondo”); e dell’uomo nel mondo. L’uomo, ancor prima di essere creato, viene “scelto” da Dio. Questa scelta avviene nel Figlio eterno (“in lui”) (Ef 1, 4), cioè nel Verbo dell’eterna Mente. L’uomo viene dunque eletto nel Figlio alla partecipazione della sua stessa figliolanza per divina adozione. In questo consiste l’essenza stessa del mistero della predestinazione, che manifesta l’eterno amore del Padre (“nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo”). (Ef 1, 4-5)Nella predestinazione è contenuta dunque l’eterna vocazione dell’uomo alla partecipazione alla natura stessa di Dio. È vocazione alla santità, mediante la grazia dell’adozione a figli (“per essere santi e immacolati al suo cospetto”) (Ef 1, 4).
4. In questo senso la predestinazione precede “la fondazione del mondo”, cioè la creazione, giacché questa si realizza nella prospettiva della predestinazione dell’uomo. Applicando alla vita divina le analogie temporali del linguaggio umano, possiamo dire che Dio vuole “prima” comunicarsi nella sua divinità all’uomo chiamato ad essere nel mondo creato sua immagine e somiglianza; “prima” lo elegge, nel Figlio eterno e consostanziale, a partecipare alla sua figliolanza (mediante la grazia), e solo “dopo” (“a sua volta”) vuole la creazione, vuole il mondo, al quale l’uomo appartiene. In questo modo il mistero della predestinazione entra in un certo senso “organicamente” in tutto il piano della divina Provvidenza. La rivelazione di questo disegno dischiude davanti a noi la prospettiva del regno di Dio e ci conduce al cuore stesso di questo regno, dove scopriamo la finalità ultima della creazione.
5. Leggiamo infatti nella Lettera ai Colossesi: “Ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col 1, 12-14). Il regno di Dio è, nel piano eterno di Dio Uno e Trino, il regno del “Figlio diletto”, in particolare perché per opera sua si è compiuta “la redenzione” e “la remissione dei peccati”. Le parole dell’apostolo alludono anche al “peccato” dell’uomo. La predestinazione, cioè l’adozione a figli dell’eterno Figlio, si opera quindi non solo in relazione alla creazione del mondo e dell’uomo nel mondo, ma in relazione alla redenzione, compiuta dal Figlio, Gesù Cristo. La redenzione diventa l’espressione della Provvidenza, cioè del governo premuroso che Dio Padre esercita in particolare nei riguardi delle creature, dotate di libertà.
6. Nella Lettera ai Colossesi troviamo che la verità della “predestinazione” in Cristo è strettamente congiunta con la verità della “creazione in Cristo”. “Egli – scrive l’apostolo – è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose . . .” (Col 1, 15-16). Così dunque il mondo, creato in Cristo, eterno Figlio, fin dall’inizio porta in sé, come primo dono della Provvidenza, la chiamata, anzi il pegno della predestinazione in Cristo, a cui si unisce, quale compimento della salvezza escatologica definitiva, e prima di tutto dell’uomo, finalità del mondo. “Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza” (Col 1, 19). Il compimento della finalità del mondo, e in particolare dell’uomo, avviene proprio ad opera di questa pienezza che è in Cristo. Cristo è la pienezza. In lui si compie in un certo senso quella finalità del mondo, secondo la quale la Provvidenza divina custodisce e governa le cose del mondo e in particolare l’uomo nel mondo, la sua vita, la sua storia.
7. Comprendiamo così un altro aspetto fondamentale della divina Provvidenza: la sua finalità salvifica. Dio infatti “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). In questa prospettiva è doveroso allargare una certa concezione naturalistica di Provvidenza, limitata al buon governo della natura fisica o anche del comportamento morale naturale. In realtà, la Provvidenza divina si esprime nel conseguimento delle finalità che corrispondono al piano eterno della salvezza. In questo processo, grazie alla “pienezza” di Cristo, in lui e per mezzo di lui viene anche vinto il peccato, che si oppone essenzialmente alla finalità salvifica del mondo, al compimento definitivo che il mondo e l’uomo trovano in Dio. Parlando della pienezza, che ha preso dimora in Cristo, l’apostolo proclama: “Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 19-20).
8. Sullo sfondo di queste riflessioni, attinte dalle lettere di san Paolo, diventa meglio comprensibile l’esortazione di Cristo a proposito della Provvidenza del Padre celeste che abbraccia ogni cosa (cf. Mt 6, 23-34 e anche Lc 12, 22-31), quando dice: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33). Con quel “prima” Gesù intende indicare ciò che Dio stesso vuole “prima”: ciò che è la sua prima intenzione nella creazione del mondo, e insieme il fine ultimo del mondo stesso: “il regno di Dio e la sua giustizia” (la giustizia di Dio). Il mondo intero è stato creato in vista di questo regno, affinché si realizzi nell’uomo e nella sua storia. Affinché per mezzo di questo “regno” e di questa “giustizia” si adempia quell’eterna predestinazione che il mondo e l’uomo hanno in Cristo.
9. A questa visione paolina della predestinazione corrisponde quanto scrive san Pietro: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non ci corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi” (1 Pt 1, 3-5). Veramente “sia benedetto Dio”, che ci rivela come la sua Provvidenza sia il suo instancabile, premuroso intervento per la nostra salvezza. Essa è infaticabilmente all’opera fino a quando giungeranno “gli ultimi tempi”, quando “la predestinazione in Cristo” degli inizi si realizzerà definitivamente “mediante la risurrezione in Gesù Cristo”, che è “l’alfa e l’omega” del nostro umano destino (Ap 1, 8).
dal sito:
http://www.zenit.org/article-27778?l=italian
SOLO UNA CHIESA UMILE E POVERA PUÒ IRRADIARE LA BONTÀ DI DIO
I laici al giorno d’oggi hanno una immensa “nostalgia di Dio”
CASTEL GANDOLFO, martedì, 30 agosto 2011 (ZENIT.org).- Otto Neubauer, direttore dell’Accademia per l’Evangelizzazione della Comunità Emmanuel a Vienna, ha parlato sabato scorso alla presenza di Papa Benedetto XVI all’incontro del “Ratzinger Schülerkreis” delle difficoltà nel processo di apprendimento che la Comunità Emmanuel ha affrontato nel suo impegno per la nuova evangelizzazione.
Proprio il tema della nuova evangelizzazione, al centro del convegno tenutosi in questa occasione a Castel Gandolfo e che ogni anno dal 1978 riunisce gli ex allieviche con il Papa ottennero il dottorato o l’abilitazione nelle università di Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona, guiderà le riflessioni della XIII Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi in programma per l’??ottobre del prossimo anno. Già quest’anno, tuttavia, il Papa si incontrerà con i rappresentanti della Chiesa che operano nell’ambito della nuova evangelizzazione in Occidente.
Nella sua relazione dal titolo “Una sempre nuova evangelizzazione. Quando la povertà è un ponte verso la gente”, Neubauer ha descritto il rapido progresso di secolarizzazione in atto in Europa come una opportunità per diffondere liberamente il Vangelo e comprendere nuovamente la “kenosis” (abbassamento) del Signore verso i più poveri e derelitti.
Il direttore dell’Accademia per l’Evangelizzazione a Vienna ha quindi spiegato che la povertà potrebbe diventare l’anello di congiunzione necessario tra i non credenti cosiddetti “secolari” e i cristiani. Da un lato, infatti, la negazione di Dio può portare alla luce l’immensa fame di Dio. Perché “la vera e più grande povertà in Europa, è la drammatica impossibilità ad essere accettati e amati, la mancanza di esperienza della bontà di Dio”.
Oggi le persone stanno morendo per la fame di testimonianza personale di Dio da parte dei cristiani. Hanno cercato un modo forse apparentemente povero, ma onesto e appassionato di raccontare il proprio cammino con Gesù Cristo. Per questo tipo di predicazione nello “spirito di adozione”, la “Chiesa più adulta, matura e vecchia” deve liberarsi dei propri limiti. D’altra parte i singoli cristiani e la Chiesa sono affetti dalla tendenza ad avere uno sguardo condiscendente e “di condanna del mondo”, da cui deriva una falsa fiducia in se stessi e la mancanza di comprensione della propria povertà davanti a Dio. Questo sguardo è l’ostacolo alla base dell’opera di predicazione della Chiesa. Essa rivela un diverso tipo di povertà, ossia la mancanza di comprensione della dipendenza dalla misericordia divina. Per questo è indispensabile una profonda conversione e auto-evangelizzazione dei cristiani stessi che devono essere capaci di offrire una testimonianza umile e appassionata di Cristo come Salvatore.
Neubauer ha descritto in seguito il processo di apprendimento della Comunità Emmanuel nel suo tentativo di portare avanti le missioni parrocchiali in forme nuove nelle aree di lingua tedesca. In una prima fase, la comunità ha dovuto imparare che l’ “ospitalità del Signore trasforma ogni cosa”. Si deve andare in parrocchia a preparare la via per la missione. I membri della comunità che hanno lasciato il loro ambiente per avventurarsi “per le strade, nelle piazze, nelle case, nei caffè e nei del luogo” hanno potuto sperimentare – come shock salutare – la loro povertà e la loro dipendenza dallo Spirito di Dio. Allo stesso tempo hanno potuto constatare come la loro “balbettante” testimonianza venisse spesso accolta prontamente dalle gente
Gli evangelizzatori sono andati incontro alle ferite e alle aspirazioni della persone comuni e hanno dovuto imparare ad ascoltare “per proclamare attraverso l’ascolto”. Entrando in contatto con le necessità e il desiderio nascosto degli uomini per Dio da padroni di casa si sono tramutati in ospiti che guardavano a loro stessi non più come “possessori” ma piuttosto come “chi riceve in dono” immeritatamente la “verità del ritorno a casa”. In questo modo la loro testimonianza si è fatta più umile e appassionata.
E proprio le persone meno amate e più disprezzate, li avevano accolti con maggiore gentilezza. Gesù Cristo stesso aveva parlato con i poveri e con i più bisognosi di evangelizzatori. Neubauer ha così riassunto il “primo step di apprendimento”: “La nuova evangelizzazione ha bisogno innanzitutto di un contatto autentico e attraverso questo contatto dell’esperienza e della testimonianza del sì incondizionato di Dio agli uomini. E questo sì è Cristo!”.
Il secondo step di apprendimento per una comunità missionaria è quello di “adorare Cristo nelle persone che incontriamo nella missione”. L’invito all’adorazione eucaristica – una parte integrante della vita della Comunità dell’Emmanuele – ha portato a nuove forme di culto, rivolte in maniera particolare ai giovani.
Gli evangelizzatori dovrebbe imparare “a intercedere per le persone nell’adorazione e nella lode davanti al Signore, in modo che essi possano abitare sempre più il nostro cuore”. In questo modo, attraverso “l’essere abitati”, imparerebbero come – ha detto richiamando il discorso rivolto da Benedetto XVI ai membri della Curia romana il 21 dicembre del 2009 – da questa missione adorante e da questa compassione vissuta “gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo”. Neubauer ha portato come esempio l’importanza ricoperta dalla cerchia di amici e parenti per quelle persone non credenti, che nel loro cuore hanno spesso provato una “nostalgia” segreta per Dio. Il dialogo e la compassione sono indispensabili per soffrire insieme a loro le conseguenze negative della negazione di Dio e, quindi, prepararli alla catechesi.
Come terza fase Neubauer ha parlato dell’esperienza secondo cui solo una comunità che vive in maniera fraterna e coltiva amicizie umane e spirituali è in grado di portare avanti un lavoro missionario. I grandi eventi come la Giornata Mondiale della Gioventù possono portare frutto solo “se vissuti in piccoli gruppi di amici”. Perché “tutti noi abbiamo bisogno di questo cibo semplice di amore, cioè della fraternità concreta, dell’amicizia tra di noi e con il Signore. Abbiamo bisogno di queste piccole cellule, queste piccole comunità cristiane in cui la Parola di Dio viene pregata, condivisa e tradotta nel mondo concreto. Esistono comunità oranti e comunità narranti. Che non sono luoghi in cui ritirarsi per essere coccolati, ma cellule piantate in mezzo al mondo”.
Il direttore dell’Accademia per l’Evangelizzazione ha quindi deplorato il fatto che in alcune diocesi l’aver voluto creare degli inquadramenti in strutture troppo rigide ha fatto sì che molti giovani missionari venissero ricacciati indietro mentre i movimenti ne sono usciti azzoppati in una “ondata di clericalismo” nella nuova evangelizzazione. Nella Chiesa laici e clero dovrebbero collaborare in un clima di stima reciproca e umile fraternità. Neubauer ha quindi accennato alla decisione dell’arcidiocesi di Vienna di istituire “scuole di discepolato” di vario genere che possono essere gestite anche da laici e sviluppare così nuove forze missionarie”.
Il quarto ed ultimo passo, secondo Neubauer, è imparare che “umiliazioni e ferite devono essere la materia della nuova evangelizzazione”. La Chiesa deve ammettere le proprie colpe e il proprio fallimento con umiltà, senza cercare di difendersi in maniera precipitosa. Allo stesso tempo la Chiesa in Europa deve accettare il fatto umiliante che essa si sta rimpicciolendo e sta “invecchiando” sempre più.
Dio, ha continuato, “ha scelto i cosiddetti pagani per far emergere nuovamente la sua parola. […] Per questo prego il Signore che possiamo accogliere le umiliazioni del nostro tempo vedendo in essere i cancelli di ingresso della Sua presenza. Ho quasi l’impressione che questa società possa conoscere la luce della Sua bontà solo a partire da un gruppo, sparuto, umiliato e misero”.
Detail of stained glass window created by Louis Comfort Tiffany in Arlington Street Church (Boston) depicting the Sermon on the Mount. March 2009 photo by John Stephen Dwyer
http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Sermon_on_the_Mount
dal sito:
http://www.piccoloeremodellequerce.it/Pagine_Bibliche/Pagine_Bibliche.htm
NELLO STILE DI CRISTO
(Fil 2, 1-11)
PREMESSA – Il padre di Mardocheo, che sarebbe divenuto un celebre rabbi, si lamentava continuamente della pigrizia del figlio nello studio. Un giorno pensò bene di mandarlo da un uomo di Dio perché questi lo correggesse. L’uomo di Dio volle rimanere solo con il ragazzo, lo strinse al cuore e se lo tenne a lungo affettuosamente vicino. Quando il padre ritornò, l’uomo di Dio gli disse: “Ho fatto a tuo figlio un po’ di morale. Vedrai che d’ora in poi righerà dritto!”. Quando, ormai adulto e famoso, Mardocheo raccontò quest’episodio, diceva: “Ho imparato allora come si convertono gli uomini”.
Quest’apologo, bello nella sua semplicità, ci rimanda allo stile di Dio. Come l’educatore del giovane Egli ci educa a raccogliere le nostre forze per sollevarci da terra, ma, al tempo stesso, proprio come quell’uomo di Dio, si china sulla nostra umanità, facendosi in tutto simile a noi, perché dalla polvere della nostra fragilità possiamo tangibilmente udire, vedere con i nostri occhi e toccare con le nostre mani la tenerezza del suo amore misericordioso (1Gv 1, 1.2), un amore che salva spogliando se stesso, ponendo in mezzo a noi la sua dimora ospitale e facendosi servo fino a consegnare se stesso alla morte.
Quest’icona d’amore accogliente è ciò che vogliamo ora contemplare meditando sul messaggio che l’apostolo Paolo indirizza alla comunità di Filippi.
1. LEGGIAMO
Mettiamoci in ascolto profondo della Parola di Dio viva, qui ed ora, per ciascuno di noi.
1Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. 3Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, 4senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.
5Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù,
6il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
9Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
2. RIFLETTIAMO INSIEME (lectio e meditatio)
Leggendo d’un fiato tutta la Lettera ai Filippesi si ha l’impressione che l’Apostolo, con toni affettuosi e colloquiali, si rivolga ad una comunità che vive fiduciosa nella pace: “Io sono sicuro – leggiamo all’inizio della Lettera – che Dio, il quale ha iniziato in voi un buon lavoro lo condurrà a termine per il ritorno di Gesù Cristo” (1,6). I fedeli di Filippi, infatti, non solo avevano accolto la ‘buona notizia’, ma erano divenuti fedeli collaboratori di Paolo per la diffusione del Vangelo (1,4).
A sostegno di questo loro cammino, l’Apostolo interviene ora, – ed è il brano su cui stiamo meditando – con un’esortazione vigorosa
? all’unità e alla comunione di spirito nella dinamica dell’accoglienza vicendevole e del perdono fraterno: “Abbiate gli stessi sentimenti e un medesimo amore. Siate concordi e unanimi!”
? alla fuga da ogni forma di ambizione e vanità: “Non fate nulla per invidia o per vanto”.
? alla consapevolezza pacata della propria fragilità che, lungi dal diventare causa di scoraggiamento o di disfatta, si tramuta in umiltà dinanzi a Dio e ai fratelli: “con grande umiltà stimate gli altri migliori di voi”; un po’ come disse un santo dell’Athos: “Il monaco deve considerare il delinquente migliore di se stesso”, perché “un delinquente può aver risposto a Dio, mentre un monaco no”.
? alla gratuità dell’amore : “Badate agli interessi degli altri e non soltanto ai vostri”.
Ci chiediamo subito, in questo contesto di esigenze radicali che l’Apostolo pone come stile di vita cristiana, “come può un uomo rinascere dall’alto?” (cfr. Gv 3, 1-8), cioè come si può andare così decisamente contro corrente, verso Dio? La risposta è: “guardando a Cristo” il quale non stimò un bene irrinunciabile la sua divinità, rinunziò a tutto, diventò l’ultimo dei servi, uomo tra gli uomini, ed obbedì fino alla morte. E per questa sua “kénosis” (abbassamento) è stato innalzato da Dio ed ha ricevuto la corona della gloria: “un nome che è al disopra di ogni altro”.
Ecco il segreto della vita del credente: puntare su Cristo, a due livelli:
1. fidandosi di Lui, per accogliere e far fruttificare nel quotidiano i doni della grazia che redime, tenacemente convinti che in Lui anche noi possiamo fare opere grandi
2. affidandosi a Lui, il Signore, che è alla destra di Dio ed opera ogni giorno insieme a noi, squarciando i veli delle nostre paure, difficoltà, pigrizie, scoraggiamenti…
Ci accorgiamo, dunque, che l’identità del cristiano, cioè il mio e il tuo volto, ora, qui nella Locride, non devono essere segnati da sforzi volontaristici che, alla fine, lasciano la bocca amara perché siamo fragili e cadiamo continuamente, ma dalla certezza che l’incarnazione, la passione, la morte e la risurrezione del Signore hanno segnato una svolta definitiva nella nostra vita e nel cammino del nostro popolo: la sua vittoria è preludio della nostra vittoria sul male e sulla morte. In Lui possiamo farcela! Possiamo credere, sospinti dall’ottimismo dell’Amore, perché lo Spirito che Cristo ci ha promesso, ora grida parole di speranza in noi, nelle nostre comunità, in ogni angolo di questa terra, ad ogni figlio di questo popolo, che oggi Dio sta educando attraverso la sofferenza per liberarlo dalla schiavitù del peccato e della morte.
È vero: ci sono tra noi divisioni, chiusure, diffidenze, invidie, gelosie, interessi, orgoglio…ed è giusto guardare in faccia la realtà senza farsi illusioni o mettendoci una benda per non vedere; ma è anche, anzi soprattutto, vero che questi ‘veleni’ hanno un antidoto infallibile: la forza misteriosa di Dio-Amore, Presenza reale che trasforma l’odio in amore alla vita, l’abbrutimento del peccato in amore al bello e al buono, la grettezza in gratuità solidale, l’orgoglio in umile amore. E questa forza misteriosa ora sta già operando, in te e in me: lasciamola fare, coraggio!
3. APPROFONDIAMO INSIEME LA PAROLA ASCOLTATA (collatio)
4. Guardiamo a Cristo, fidandoci di Lui ed affidandoci a Lui con umiltà, sicurezza, pace interiore, crescendo nella fede e cooperando con Dio, nello stile di del Figlio servo obbediente fino alla morte?
? Come immunizziamo i veleni che insidiano le nostre comunità: con un amore sempre vivo e attivo, paziente e fiducioso, costantemente teso verso il bene e la gioia dell’altro, oppure chiudendoci a riccio, indignati contro tutto e contro tutti, confondendo il peccatore con il peccato, contagiando gli altri con il nostro pessimismo?
? Ci impegniamo ogni giorno a riconoscere i segni con i quali Dio ci sta educando attraverso la sofferenza ed i forti segnali di speranza che da più parti della nostra terra stanno germogliando come una rinnovata Pentecoste, oppure ci accasciamo, miopi ed ottusi, nello sconforto alienante, tanto – pensiamo – “Dio s’è dimenticato di noi!”?
4. I NOSTRI IMPEGNI (actuatio)
Eccone alcuni, da proporci con risoluta tenacia e da contestualizzare nel nostro vissuto personale, ecclesiale, sociale:
? Una Chiesa che punta su Cristo
Guardare a Lui, assumendo la misteriosa vitalità che nasce dallo Spirito e che ogni giorno rende nuove tutte le cose. E questo significa smettere di piangerci addosso guardando al passato, puntare uno sguardo di fiducia operosa sul presente, volgerci verso il futuro fuggendo l’ansia dell’incognita e i fantasmi della paura.
? Una Chiesa che punta sull’uomo
Crescere nelle nostre comunità, in comunione, e far crescere le nostre comunità come Chiesa appassionata che si consuma nell’amore per gli altri come un fuoco che arde e non si spegne. Questo significa dare credito alla ‘forza misteriosa’ di Dio-Amore che opera in tutti e in tutto l’uomo.
? Una Chiesa che punta sui cieli nuovi e le terre nuove
Cristo ha ricevuto una corona di gloria, un nome che è al di sopra di ogni altro nome. Anche noi, nel mirabile disegno d’amore che ci avvolge, siamo fatti per essere esaltati da Dio nella misura in cui spingiamo i nostri desideri oltre la sfera umana e attendiamo operosamente i beni futuri. Questo significa spogliarci di tutto ciò che ci impedisce di vivere, pensare ed agire secondo Dio e spazzare via gli eccessi dell’avere, del potere e del piacere che ci intrappolano in un labirinto senza uscita.
5. PREGHIAMO INSIEME (oratio)
Virgo fidelis, Vergine fedele, prega per noi!
Insegnaci a credere come hai creduto tu!
Fa’ che la nostra fede in Dio, Cristo, nella Chiesa,
sia sempre limpida, serena,
coraggiosa, forte, generosa.
Mater amabilis, Madre degna d’amore!
Mater pulchrae dilectionis, Madre del bell’amore,
prega per noi!
Insegnaci ad amare Dio e i nostri fratelli,
come tu li hai amati;
fa’ che il nostro amore verso gli altri
sia sempre paziente, benigno, rispettoso.
Causa nostrae laetitiae, causa della nostra gioia,
prega per noi!
Insegnaci a saper cogliere, nella fede,
il paradosso della gioia cristiana,
che nasce e fiorisce dal dolore,
dalla rinuncia, dall’unione col tuo Figlio crocifisso:
fa’ che la nostra gioia sia sempre autentica e piena,
per poterla comunicare a tutti! Amen!
Giovanni Paolo II
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/9166.html
29 AGOSTO – MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Omelia sulla prima Lettura
(28-01-2007)
don Marco Pratesi
Profeta delle genti
La prima lettura ci parla della vocazione del profeta Geremia. Essa lo precede totalmente: lo sguardo amoroso di Dio ha avvolto Geremia quando egli ancora non esisteva. Dio se lo è « messo da parte » per essere « profeta delle genti » (v. 5), annunziatore della Parola di Dio a Israele e a tutti i popoli. Un profeta che non sarà accolto: è già inscritto nella sua chiamata il fatto che egli dovrà combattere praticamente contro tutti. Re, principi, sacerdoti, popolo, nessuno vorrà accettare il messaggio di Geremia, che annunzia il fallimento delle strategie umane per salvarsi dalla minacciosa potenza babilonese. Per reggere questo urto, è data a Geremia una sola risorsa, la presenza del Signore: « Io sarò con te » (v. 19).
Colpisce il contrasto tra l’universalità della missione e il fatto che il profeta non sia accolto neanche dal suo popolo. Ben strano qusto Dio, che da un lato invia al mondo, dall’altro mette in conto il rifiuto da parte d’Israele.
Il fatto è che il progetto di Dio avanza nella storia non nel successo mondano dell’inviato, ma nel suo fallimento. L’inviato avrà « successo », ma solo attraverso l’offerta di sé in gratuità totale e nudità di fede.
Non viene immediato l’accostamento a Cristo? In effetti, la vicenda di Gesù è per più aspetti analoga a quella di Geremia. S. Giovanni dice che « venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto » (Gv 1,11), e il vangelo di oggi ce lo mostra al vivo.
La Parola di Dio, tuttavia, si realizza comunque: Geremia diventerà nei secoli una figura di primo piano nella fede d’Israele; e diventerà anche maestro delle genti che in Cristo accoglieranno il Dio d’Israele come loro Dio e, più in generale, luce per ogni uomo di buona volontà. Così, ancora più che attraverso gli « oracoli sulle nazioni » che costituiscono l’ultima parte del suo libro (cc. 46-52), egli sarà davvero « profeta delle genti ».
Possiamo e dobbiamo fondarci sulla Parola del Signore, perché quanto essa annunzia si realizza certamente. Si realizza, però, al modo di Dio e non al nostro. Ciò che fa avanzare il Regno di Dio nella storia non sono i nostri successi (nemmeno come Chiesa), ma la fede che « spera contro ogni speranza » (Rm 4,18) e l’amore che si dona senza calcolo umano.
I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano – EDB nel libro Stabile come il cielo.