dal sito:
http://www.fraticappuccini.it/santachiara/sp-gioiacompl.htm
Chiara nella gioia
esperienza nello Spirito
GIOIA
Il NT riporta la gioia come uno dei frutti dello Spirito Santo (Cf. Gal 5,22), quindi chi vive nello Spirito cammina anche nello Spirito (Cf. Gal 5,25).
Anche Chiara, come «sposa dello Spirito del Signore» si lascia guidare dallo Spirito pregandolo sempre con cuore puro (Cf RsC X,9-10: FF 2811). È soprattutto nelle sue Lettere che si coglie il suo cuore ripieno di gioia ed esultanza. Un cuore che prega per le Sorelle, intercede per esse, perché Sorelle in Cristo e di Cristo.
Per Chiara pregare per le Sorelle, come per gli altri, significa «portare il carico dell’Amore» e, con ciò, «adempiere la legge di Cristo», cioè «vivere la perfezione del santo Vangelo» (Cf. RsC VI,3: FF 2788). Questo è possibile perché all’interno «dell’inneffabile Corpo» (3LAg 8: FF 2886) di Cristo esiste uno scambio misterioso di vita e di gioia tra i suoi membri, così che ognuno può supplire alle mancanze dell’altro.
In questo senso la «sorella di Cristo» può essere «collaboratrice di Dio stesso e sostegno delle membra vacillanti del suo Corpo» (3LAg 8: FF 2886).
Il cuore di Chiara esulta di gioia nel costatare il progresso spirituale di Agnese di Praga, che pur essendo principessa regale, sceglie una vita di povertà radicale, sposandosi allo Spirito Santo: «All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su tutta quasi la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco (Cfr. Ab 3,18); e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo» (1LAg 3-4: FF 2860). «esultate e godete (Cfr. Ab 3,18) molto, ripiena di enorme gaudio e di spirituale letizia» (1LAg 21: FF 2865)..
«Abbi a cuore di raccomandare al Signore (Cfr. At 14,22) nelle tue devote orazioni me, assieme alle mie sorelle, che tutte godiamo per i beni che il Signore opera in te con la sua grazia. E raccomandaci con insistenza anche alle preghiere delle tue sorelle» (2LAg 25: FF 2882).
«Chiara, umilissima e indegna ancella di Cristo e serva delle Donne Povere, augura salutare gaudio nell’Autore della salvezza (Cfr. Eb 2,10) e quanto di meglio essa possa desiderare. Le liete notizie del tuo benessere, del tuo stato felice e dei tuoi prosperi progressi nella corsa che hai intrapresa per la conquista del celeste palio (Cfr. Fil 3,14), mi riempiono di tanta gioia; e tanto più respiro di esultanza nel Signore, perché so e ritengo che tu supplisci magnificamente alle imperfezioni che sono in me e nelle altre sorelle nella nostra imitazione degli esempi di Gesù Cristo povero ed umile» (3LAg 1-4: FF 2883-2884).
«Chi potrebbe, dunque, impedirmi di rallegrarmi per sì mirabili motivi di gaudio? Gioisci, perciò, anche tu nel Signore sempre (Cfr. Fil 4,4), o carissima. Non permettere che nessun’ombra di mestizia avvolga il tuo cuore, o signora in Cristo dilettissima, gioia degli Angeli e corona (Cfr. Fil 4,1) delle tue sorelle» (3LAg 9-11: FF 2887).
«Ma oggi, che si presenta l’occasione di scrivere alla tua carità, ecco mi rallegro con te e con te gioisco nel gaudio dello Spirito (Cfr. 1Ts 1,6), o sposa (Cfr. 2Cor 11,2) di Cristo, poiché, come quell’altra santissima vergine Agnese, tu, slacciandoti da tutte le ricchezze e vanità del mondo, ti sei meravigliosamente unita in sposa all’Agnello immacolato, che toglie i peccati del mondo» (1Pt 1,19; Gv 1,29) (4LAg 7-8: FF 2900-2901).
Da questi testi si comprende che per Chiara la crescita spirituale di Agnese è la sua stessa crescita. Questa gioia Chiara la manifesta anche per tutte le sue Sorelle. Addirittura si possono cogliere le caratteristiche della sua gioia. Una gioia che esprime la tenerezza di sorella e di madre: «Vi benedico in vita mia e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni, con le quali lo stesso Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo (Cfr. 2Cor 1,3 e Ef 1,3) e in terra i suoi figli e le sue figlie spirituali, e con le quali ciascun padre e madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen» (BsC 11-13: FF 2856).
Una tenerezza che si fa sempre più dolce e appassionata: «Ma ti so ricca d’ogni virtù, e perciò rinuncio ad un lungo discorso e non voglio aggravarti di troppe parole, anche se tu non troveresti nulla di superfluo in quelle parole che potrebbero arrecarti qualche consolazione » (2LAg 8-9: FF 2874); «Alla signora in Cristo veneratissima e sorella degna d’amore più di tutte le creature mortali, Agnese, germana dell’illustre Re di Boemia, ma ora soprattutto sorella e sposa (Cfr. Mt 12,50; 2Cor 11,2) del sommo Re dei cieli» (3LAg 1: FF 2883).
Ancora, il cuore di Chiara brucia per Agnese l’incendio della carità: «O madre e figlia, sposa (Cfr. Mt 12,50) del Re di tutti i secoli, non stupirti se non ti ho scritto di frequente come l’anima tua e la mia parimenti desiderano e bramano, e non credere assolutamente che l’incendio dell’amore verso di te sia divenuto meno ardente e dolce nel cuore della tua madre» (4LAg 4-5: FF 2900), tanto che: «porto il tuo caro ricordo inseparabilmente impresso nel profondo del mio cuore (Pr 3,3; cfr. 2Cor 3,3), perché tu sei per me la più cara di tutte» (4LAg 34: FF 2907).
Questa è la gioia cheChiara condivide con le Sorelle e gli altri: il gusto della dolce esperienza dello Spirito del Signore.
Altra è la gioiosa letizia di Francesco: «Ma quale è la vera letizia? (…) Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima» (Plet 7.15: FF 278).
Dolcezza
Se la gioia nasce in coloro che, come Chiara, si lasciano guidare dall’operazione dello Spirito del Signore, la dolcezza invece è il gusto che sperimenta chi si lascia trasformare dalla contemplazione dell’Amore di «Colui che è figura della divina sostanza» (Cf. 3LAg 13: FF 2888). Una dolcezza che solo agli amici di Dio è dato di gustare.
Chi sono questi amici di Dio?
Sono coloro che gioiscono per aver ricevuto la chiamata a «seguire la perfezione del santo Vangelo» e che gli sono rimasti fedeli «Chi potrebbe, dunque, impedirmi di rallegrarmi per sì mirabili motivi di gaudio? Gioisci, perciò, anche tu nel Signore sempre (Cfr. Fil 4,4), o carissima. Non permettere che nessun’ombra di mestizia avvolga il tuo cuore, o signora in Cristo dilettissima, gioia degli Angeli e corona (Cfr. Fil 4,1) delle tue sorelle» (3LAg 9-11: FF 2887).
Una fedeltà, quella di Chiara, vissuta nel collocare tutta se stessa, spirito, anima e il cuore nella contemplazione della Luce increata del Verbo: «Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria (Cfr. Eb 1,3), colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza (Cfr. Eb 1,3), e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine (Cfr. 2Cor 3,18) della divinità di Lui» (3LAg 12-13: FF 2888).
Una tale contemplazione, che conduce alla Trasfigurazione, cioè «trasformati interamente, per mezzo della contemplazione». È in questa esperienza contemplativa che si gusta la dolcezza del Signore, quella che provano gli amici di Dio. Dolcezza la cui radice è l’Amore di colui che per nostro amore si è donato tutto intero: «Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza (Cfr. Sal 30,20) che Dio medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano. Senza concedere neppure uno sguardo alle seduzioni, che in questo mondo fallace ed irrequieto tendono lacci ai ciechi che vi attaccano il loro cuore, con tutta te stessa ama Colui che per amor tuo tutto si è donato» (3LAg 14-17).
Quindi per essere amici di Dio è importante la vita contemplativa. Chiara ne è tanto convinta che non si limita a richiamarne l’importanza, ma si preoccupa anche di condurre Agnese e le Sorelle a questa comunione trasformante: «Vedi che Egli per te si è fatto oggetto di disprezzo, e segui il suo esempio rendendoti, per amor suo, spregevole in questo mondo. Mira, o nobilissima regina, lo Sposo tuo, il più bello tra i figli degli uomini (Sal 44,3), divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetutamente flagellato (Cfr. Mt 19,20; 27,26), e morente perfino tra i più struggenti dolori sulla croce. Medita e contempla e brama di imitarlo.
Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai (Cfr. Rm 8,17; 2Tm 2,12); se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai (2Tm 2,11) sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi (Sal 109,3), e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita (Fil 4,3; Ap 14,22) e diverrà famoso tra gli uomini. Perciò possederai per tutta l’eternità e per tutti secoli la gloria del regno celeste, in luogo degli onori terreni così caduchi; parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri e vivrai per tutti i secoli» (2LAg 19-23: FF 2879).
Chiara richiama le sorelle povere ad attendere « a ciò che soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, a pregarlo sempre con cuore puro » (RsC X, 8-10).
Come disporci all’azione dello Spirito che « dentro di noi grida Abbà-Padre »? Chiara non ha nessun insegnamento metodologico per la preghiera e la contemplazione. Non ha mai scritto nessun trattato su come pregare o contemplare. Però, in una delle sue Lettere ad Agnese di Praga,ha un’espressione che ci può aiutare a cogliere diversi gradi progressivi di un itinerario spirituale di contemplazione. L’espressione è questa: « Guarda, medita e contempla, (lo Sposo tuo, crocifisso per amore) desiderando di imitarlo » (2LAg 20: FF 2879).
Questa semplice espressione traccia una via di contemplazione specificamente cristiana, perché fondata nel mistero dell’Amore Incarnato, Crocifisso e Risorto. Un’esperienza, che nasce dallo stupore per l’Amore di Dio, che pur abitando una luce inaccessibile, si è reso visibile, capace di essere percepito dalle nostre facoltà umane: « Il Figlio di Dio si è fatto nostra via » (TestsC 5).
Guardare
Il primo passo è dunque guardare: « Mira », « Guarda », « Vedi »: « Vedi che egli si è fatto per te oggetto di disprezzo » (2LAg 19).
« Guarda il tuo Sposo » (2LAg 20).
« Colloca la tua mente nello specchio dell’eternità » (3LAg 12).
« Guarda questo specchio ogni giorno » (4LAg 15).
« Guarda … la povertà di Colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli » (4LAg 19).
Lo sguardo, che Chiara invita ad avere, è certamente un atto di fede: fermati con amorosa attenzione al mistero di Dio, che per grazia ci è stato rivelato in Cristo. È anche uno sguardo che, attraverso l’immaginazione e l’uso dei sensi, si rappresenta il mistero in modo da suscitare amore e commozione, una risposta e un coinvolgimento personale. Uno sguardo che dall’intelletto scende nel cuore, cioè dalle cose visibili a quelle invisibili, in quanto è con gli occhi del cuore che si vedono le cose invisibili.
Chiara appoggiava il suo sguardo su Gesù, sulla sua vita, come è proposta dal Vangelo, anche se lo sguardo su di Lui era illuminato da tutta la Scrittura, che è Parola di Dio. Parola di Dio, che Chiara attingeva dalla Liturgia e dalla predicazione.
Meditare
Il secondo passo dell’itinerario contemplativo è il meditare, cioè, l’andare al di là dell’immagine proposta dalla Parola di Dio, per scrutare quel Volto del Padre che Gesù, Parola e Immagine vivente, è venuto a svelarci. È questo secondo passo che richiede particolarmente il « cuore puro » perché sono « i puri di cuore che vedranno Dio ».
Nella sua Reg. al cap. X, Chiara, esorta « a pregare sempre con cuore puro » nel silenzio dello spirito della carne, cioè dell’io, che ostacola lo Spirito del Signore. Importante, allora, è educarsi, dice alle novizie, « ad allontanare dall’abitazione della mente ogni rumore per aderire unicamente alle profondità del Mistero di Dio » (LegsC 36), che è Mistero di Amore. Un Mistero a cui rimanere sempre presenti in ogni circostanza della giornata, anche nel lavoro, in modo: « da non estinguere lo spirito della santa orazione e devozione alla quale tutte le altre cose temporali devono servire » (RgsC VII).
Il cuore puro, quindi, è il cuore silenzioso, tutto aperto all’ascolto accogliente.
Contemplare
Il terzo passo è la contemplazione propriamente detta. Questo terzo momento è preparato dai primi due. Qui si vive « un semplice sguardo amoroso che porta a collocarsi nell’immagine e lasciare che l’immagine vivente dimori in noi gustandone la dolcezza della Sua presenza ».
Per Chiara la contemplazione è un porre la mente, il cuore e l’anima propria nell’immagine di Dio, nel Figlio, lasciando che lo Spirito Santo operi la trasformazione, o meglio la Trasfigurazione in Lui.
Protagonista del momento contemplativo è lo Spirito del Signore, che con la sua santa operazione unisce e trasforma nell’immagine, opera il passaggio nell’immagine contemplata. Lo specchio-Cristo è vivo e chiama alla comunione, al reciproco dono, alla condivisione. Rivolgendosi ad Agnese, Chiara dice: « Ama con tutta te stessa Colui che per amor tuo tutto si è donato » (3LAg 15).
Imitare
L’ultima tappa del cammino contemplativo è l’imitazione, proprio perché l’Amore è trasformante, o meglio trasfigurante. Frutto di questa contemplazione è divenire Vangelo vivo. Ciò che Chiara contempla del Figlio di Dio, cioè la povertà, la fatica, la tribolazione, l’umiliazione, il disprezzo, diventa in lei per opera dello Spirito Santo prassi di vita, Vangelo incarnato nella gioiosa letizia. Nella sua Regola così si esprime: « Noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo che anzi lo avevamo in conto di grande letizia » (RgsC VI,2).
Questo clima di gioiosa letizia, di beatitudine evangelica, è proprio frutto e testimonianza dell’azione dello Spirito del Signore nel cuore puro di Chiara, vergine e povera,dove il Vangelo si compie e dove avviene l’incontro di una comunione nuziale.
Unione
La contemplazione per Chiara è un avvicinarsi progressivo all’Amore del Padre delle misericordie, tanto da unirsi a Lui, diventando dimora di Dio. Il linguaggio, che usa per descrivere questa esperienza dell’unione, è lo stesso che la tradizione biblica propone nel Cantico dei Cantici: linguaggio ed esperienza nuziale.
Chiara,rifacendosi alla Scrittura, descrive l’esperienza di colui che diviene dimora del Creatore: «Sì perché è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere (Cfr. 1Re 8,27; 2Cr 2,6) il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora (Cfr. Gv 14,23) e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma: «Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure lo amerò; e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» (Gv 14,21.23) (3LAg 21-23: FF 2892).
Esperienza, questa, che lascia pieni di stupore in quanto la creatura si fa «contenitore, soggiorno e dimora del Creatore», si fa più grande del cielo. Questo è possibile grazie alla sola Carità, che è Dio.
Dio è sempre pronto a donarsi totalmente a coloro che lo desiderano con fede. Chiara attraverso l’umiltà, la fede e la povertà ha trovato nel suo cuore il desiderio di Dio, cioè l’invito a collocare tutta se stessa nell’Amore che tutto si è donato: «Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria (Cfr. Eb 1,3), colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza (Cfr. Eb 1,3), e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine (Cfr. 2Cor 3,18) della divinità di Lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza (Cfr. Sal 30,20) che Dio medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano» (3LAg 12-14: FF 2888-2889).
Da questo brano si è rimandati alla 2Cor: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.» (2Cor 3,18).
Infatti l’esperienza di essere dimora dello Spirito rimanda necessariamente all’essere Trasfigurati nella stessa immagine del Creatore. Si viene recuperati come creature fatte ad immagine di Dio. Siamo, cioè, riportati all’innocenza iniziale.
Un’esperienza, quella della Trasfigurazione, che si può toccare con mano nel rapportarsi alla Trinità in un modo nuovo., come ha fatto Chiara.
Col Padre ha vissuto un rapporto da figlia: «Alla figlia del Re dei re, alla serva del Signore dei dominanti (Ap 19,16; 1Tm 6,15), alla sposa degnissima di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima Donna Agnese» (2Ag 1: FF 2871). Espressione questa che Chiara indirizza ad Agnese, ma tradisce, in fondo, la sua esperienza di «Figlia e ancella dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste» (Cf. RsC VI,3: FF 2788).
Col Figlio di Dio ha vissuto un rapporto di madre, sorella e sposa: «Perciò, sorella carissima, o meglio signora degna di ogni venerazione, poiché siete sposa, madre e sorella (Cfr. 2Cor 11,2; Mt 12,50) del Signor mio Gesù Cristo, insignita dello smagliante stendardo della inviolabile verginità e della santissima povertà, riempitevi di coraggio nel santo servizio che avete iniziato per l’ardente desiderio del Crocifisso povero» (1LAg 12-13: FF 2863). L’esperienza di madre, sorella e sposa, la riporta più volte nelle sue lettere ad Agnese. Come la Vergine delle Vergini ha portato nel suo grembo verginale il santissimo Figlio del Padre celeste, così anche Lei lo può portare spiritualmente: « A qual modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia (Cfr. 1Pt 2,21), specialmente dell’umiltà e povertà di Lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel corpo casto e verginale» (3LAg 24-25: FF 2893).
Per quanto riguarda l’esperienza di sorella ne parla otto volte (ne riporto solo una): «e avete meritato degnamente di essere chiamata sorella, sposa e madre (Cfr. 2Cor 11,2; Mt 12,50) del Figlio dell’Altissimo Padre e della gloriosa Vergine» (1LAg.24: FF 2866).
L’esperienza di « sposa » invece la si riscontra sette volte nelle lettere e ben ventidue negli Scritti. Questo fa comprendere che Chiara ha vissuto una forte esperienza di «sposa». Esperienza questa che richiama necessariamente all’esperienza dell’unione nuziale: «avete preferito con tutta l’anima e con tutto il trasporto del cuore abbracciare la santissima povertà e le privazioni del corpo, per donarvi ad uno Sposo di ancor più nobile origine, al Signore Gesù Cristo, il quale custodirà sempre immacolata e intatta la vostra verginità. Il suo amore vi farà casta, le sue carezze più pura, il possesso di Lui vi confermerà vergine. Poiché la sua potenza è più forte d’ogni altra, più larga è la sua generosità; la sua bellezza è più seducente, il suo amore più dolce ed ogni suo favore più fine. Ormai stretta nell’amplesso di Lui, Egli ha ornato il vostro petto di pietre preziose; alle vostre orecchie ha fissato inestimabili perle; e tutta vi ha rivestita di nuove e scintillanti gemme, come a primavera, e vi ha incoronata di un diadema d’oro, inciso col simbolo della santità» (Sir 45,14)» (1LAg 6-11:FF 2861-2862).
È essenzialmente in questa esperienza di «sposa», che Chiara manifesta la sua esperienza intensa con l’Amore di Colui che da sempre l’ha amata. Guidata dal linguaggio del Cantico dei cantici, Chiara, espande tutta se stessa ed il suo cuore per descrivere la bellezza dello «sposo e della sposa» gustandone tutta la dolcezza che deriva da una simile esperienza di unione con il «più bello tra i figli degli uomini».
Da questa unione ne promana l’indicibile gaudio e felicità: «Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito (Cfr. Lc 14,15; Ap 19,9), per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria. Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste (Cfr. Ap 21,2.10). E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria (Eb 1,3), chiarore della luce perenne e specchio senza macchia (Sap 7,26)» 4LAg 9-14: FF 2901-2902)
«Contempla ancora le indicibili sue delizie, le ricchezze e gli onori eterni, e grida con tutto l’ardore del tuo desiderio e del tuo amore: Attirami a te, o celeste Sposo! Dietro a te correremo attratti dalla dolcezza del tuo profumo (Ct 1,3). Correrò, senza stancarmi mai, finché tu mi introduca nella tua cella inebriante (Ct 2,4). Allora la tua sinistra passi sotto il mio capo e la tua destra mi abbraccerà (Ct 2,6) deliziosamente e tu mi bacerai col felicissimo bacio della tua bocca »(Ct 1,1) (4LAg 28-32: FF 2906).
Lo sposo è il Figlio del Padre e Re glorioso, è il Signore Gesù Cristo abbassato nella povertà e nella sofferenza della sua vita terrena. È quel Verbo del Padre che si è fatto Emmanuele portandoci la salvezza, quel Gesù che ci ha fatto gustare la dolcezza dell’Amore del Padre nella debolezza della Croce e che, come Cristo Risorto e Glorioso, ci ha ricondotto all’Unione col Padre,che è Dio-Amore.
Parlando dell’abbassamento della sua esistenza terrena, Chiara non si concentrerà su Gesù secondo la carne, ma insisterà esclusivamente sulla sua umanità: è il paradosso di colui che, pur restando altissimo e glorioso, assume la povertà, l’umiliazione e la sofferenza. Poiché egli è anche « il povero Crocifisso che per noi sopportò la passione della croce» (1 LAg 13-14); «egli non ha avuto dove riposare il capo, ma reclinando il capo emise lo spirito » (I LAg 18); egli «volle apparire nel mondo disprezzato, indigente e povero» (1 LAg 19); «si è fatto spregevole in questo mondo… il piú vile degli uomini, disprezzato, battuto e flagellato su tutto il corpo…, morendo nelle angosce stesse della croce» (2 LAg 19-20); «è stato posato in un presepe e avvolto in pannolini» (4 LAg 19-21); «sopportò fatiche e pene senza numero…, ha voluto soffrire sul legno della croce e morire là del genere di morte più vergognoso di tutti per la sua ineffabile carità» (4 LAg 22-23).
Se in questo sguardo su Gesù terreno si nota l’insistenza sul presepe e sulla croce, insistenza più forte che in Francesco e maggiormente improntata alla pietà del tempo, l’equilibrio fra il mistero divino e l’umanità è mantenuto. Lo sposo, al quale Agnese si unisce non è il bambino del presepe né l’uomo dei dolori, ma il Re celeste che, al tempo del suo itinerario terreno, per causa «della sua ineffabile carità» ha voluto assumere la condizione di povero, di umiliato e di sofferente.