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DALLA LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AGLI EFESÌNI -EF 4, 1-13 – RAGGIUNGERE LA MISURA DELLA PIENEZZA DI CRISTO.

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DALLA LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AGLI EFESÌNI -EF 4, 1-13 – RAGGIUNGERE LA MISURA DELLA PIENEZZA DI CRISTO.

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Parola di Dio

Riflessione

Paolo si autodefinisce “prigioniero a motivo del Signore”… e sembra che ne sia pure molto fiero!!! A dire il vero non ha tutti i torti, perché lui non è schiavo di nessuno, la sua prigionia è accettata liberamente ed è stato lui stesso a consegnare la sua vita a Gesù. Quando siamo schiavi e prigionieri del mondo siamo veramente in prigione, mentre quando siamo prigionieri del Signore siamo veramente liberi.
E così Paolo, dopo questa presentazione un pochetto “particolare”, che a dire il vero non è molto promettente – non a tutti infatti verrebbe in mente di seguire i suoi consigli sapendo la fine che ha fatto lui: finire in prigione. Caro Paolo, non potevi iniziare la lettera in modo più soft?… Ad esempio: « Io, amico caro e speciale del Signore, vi esorto… ».
Comunque, nonostante l’inizio un po’ avventuroso, Paolo offre alcune indicazioni molto utili per vivere in pienezza il nostro battesimo, per uno stile di vita consono alla nostra vocazione: « Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità » (2 Tim 2, 15).
Ognuno di noi è stato scelto da Dio e ognuno di noi ha l’onore di essere Suo figlio. Dunque, se vogliamo presentarci un giorno davanti a Lui « Santi e immacolati nell’amore », dobbiamo cercare di rigare diritto. Uno degli impegni più grandi di ogni vero cristiano, non è: fare, fare, fare… ma piuttosto « lasciarci fare », è pensare a quello che Dio ha fatto e continua a fare per noi, è guardare come ama Lui e non accontentarci di come non amiamo noi.
Per vivere bene alla presenza di Dio, Paolo elenca una serie di virtù che dovremmo coltivare nel giardino del nostro cuore: umiltà, magnanimità, dolcezza, pazienza e infine l’impegno per restare uniti. Non sono dunque ammissibili, l’orgoglio, la vanità, la pigrizia, la durezza, la maldicenza… tutte cose che minacciano l’unità della Chiesa portando discordia e divisione tra fratelli; così il disegno di Dio va in frantumi e non si rende a Lui una buona testimonianza.
Come ha detto Papa Francesco durante la Recita del Regina Cæli in Piazza San Pietro il 3/05/2015: “Ciascuno di noi è un tralcio dell’unica vite; e tutti insieme siamo chiamati a portare i frutti di questa comune appartenenza a Cristo e alla Chiesa. [...]Tutti, a seconda delle nostre vocazioni particolari, partecipiamo all’unica missione salvifica di Cristo ».
Ascoltiamo allora le parole di Gesù in Matteo 11, 29: « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore ». Tutto ciò che siamo e che abbiamo, è un dono gratuito… impariamo allora a non sollevarci troppo da terra, a non cercare la gloria degli uomini, perché Gesù sa come farci scendere dal piedistallo, e a suo tempo lo farà… Impariamo ad accettare tutto ciò che ci capita senza lamentarci troppo, a sopportare le ingiustizie senza agitarci troppo e a portare “volentieri” – non sempre è facile – i pesi che gli altri ci scaraventano addosso. A questo punto può essere utile una semplice domanda: « Quanto mi sopporta Gesù? »… Me, TANTISSIMO!!! Allora anch’io devo sopportare gli altri!!!… « Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi » (Col 3, 12-13).
Chiediamo al buon Dio la fede e la forza di impegnarci a conservare l’unità dello Spirito con i fratelli, che Lui ci leghi con il vincolo della pace, che Lui ci renda attenti alla loro vita e i nostri rapporti siano veri e sinceri.
Molto spesso invece ci limitiamo a saluti e parole di convenienza… Ciao come va… Oh, mi dispiace… e adesso come farai… vedrai che tutto si sistemerà… Salutami tanto i tuoi… Io ti voglio bene anche se non ti chiamo… Io ti sono vicino… Se hai bisogno chiama… Terribile!!! Questa è pura indifferenza!!! La realtà è che siamo duri di cuore… Vediamo molto bene il nostro fratello in difficoltà, ma pretendiamo di sistemare la nostra coscienza con due parole caruccie e superficiali. Proviamo a riflettere su questo versetto (1 Cor 12, 26)… « Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui ».
Tutti noi siamo dei tasselli che, uniti insieme, formano il puzzle più bello del mondo… Ognuno di noi da un contributo alla crescita di questo puzzle. Ma se pensiamo di volerci sbarazzare di un pezzo che a noi sembra inutile, o che non ci piace, non porteremo mai a termine il lavoro per cui siamo stati chiamati da Dio… tutte le nostre buone intenzioni e fatiche rischiano di essere sterili, inutili, dannose…
Preghiamo ancora il buon Dio di purificare il nostro cuore per renderlo libero dal nostro « io », per renderlo aperto all’incontro con i fratelli, saremo così accolti nella gioia di Cristo risorto.
Vorrei concludere la mia povera riflessione con un pensiero di San Gregorio di Nissa preso “Dall’Omelia sul Cantico dei cantici”: “Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n’è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un’anima sola e a stimare questa unione l’unico e solo bene; a stringersi nell’unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un’unica vocazione, animati da una medesima speranza”.
Pace e bene

Publié dans:Lettera agli Efesini |on 24 mai, 2019 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II – LA “RICAPITOLAZIONE” DI TUTTE LE COSE IN CRISTO (Ef 1,9) (2001)

https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2001/documents/hf_jp-ii_aud_20010214.html

GIOVANNI PAOLO II – LA “RICAPITOLAZIONE” DI TUTTE LE COSE IN CRISTO (Ef 1,9) (2001)

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 14 febbraio 2001

1. Il disegno salvifico di Dio, “il mistero della sua volontà” (Ef 1,9) concernente ogni creatura, è espresso nella Lettera agli Efesini con un termine caratteristico: “ricapitolare” in Cristo tutte le cose, celesti e terrestri (cfr Ef 1,10). L’immagine potrebbe rimandare anche a quell’asta attorno alla quale si avvolgeva il rotolo di pergamena o di papiro del volumen, recante su di sé uno scritto: Cristo conferisce un senso unitario a tutte le sillabe, le parole, le opere della creazione e della storia.
A cogliere per primo e a sviluppare in modo mirabile questo tema della ‘ricapitolazione’ è sant’Ireneo vescovo di Lione, grande Padre della Chiesa del secondo secolo. Contro ogni frammentazione della storia della salvezza, contro ogni separazione tra Antica e Nuova Alleanza, contro ogni dispersione della rivelazione e dell’azione divina, Ireneo esalta l’unico Signore, Gesù Cristo, che nell’Incarnazione annoda in sé tutta la storia della salvezza, l’umanità e l’intera creazione: “Egli, da re eterno, tutto ricapitola in sé” (Adversus haereses III, 21,9).
2. Ascoltiamo un brano in cui questo Padre della Chiesa commenta le parole dell’Apostolo riguardanti appunto la ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Nell’espressione “tutte le cose” – afferma Ireneo – è compreso l’uomo, toccato dal mistero dell’Incarnazione, allorché il Figlio di Dio “da invisibile divenne visibile, da incomprensibile comprensibile, da impassibile passibile, da Verbo divenne uomo. Egli ha ricapitolato tutto in se stesso, affinché come il Verbo di Dio ha il primato sugli esseri sopracelesti, spirituali e invisibili, allo stesso modo egli l’abbia sugli esseri visibili e corporei. Assumendo in sé questo primato e donandosi come capo alla Chiesa, egli attira tutto in sé” (Adversus haereses III, 16,6). Questo confluire di tutto l’essere in Cristo, centro del tempo e dello spazio, si compie progressivamente nella storia superando gli ostacoli, le resistenze del peccato e del Maligno.
3. Per illustrare questa tensione, Ireneo ricorre all’opposizione, già presentata da san Paolo, tra Cristo e Adamo (cfr Rm 5,12-21): Cristo è il nuovo Adamo, cioè il Primogenito dell’umanità fedele che accoglie con amore e obbedienza il disegno di redenzione che Dio ha tracciato come anima e meta della storia. Cristo deve, quindi, cancellare l’opera di devastazione, le orribili idolatrie, le violenze e ogni peccato che l’Adamo ribelle ha disseminato nella vicenda secolare dell’umanità e nell’orizzonte del creato. Con la sua piena obbedienza al Padre, Cristo apre l’era della pace con Dio e tra gli uomini, riconciliando in sé l’umanità dispersa (cfr Ef 2,16). Egli ‘ricapitola’ in sé Adamo, nel quale tutta l’umanità si riconosce, lo trasfigura in figlio di Dio, lo riporta alla comunione piena con il Padre. Proprio attraverso la sua fraternità con noi nella carne e nel sangue, nella vita e nella morte Cristo diviene ‘il capo’ dell’umanità salvata. Scrive ancora sant’Ireneo: “Cristo ha ricapitolato in se stesso tutto il sangue effuso da tutti i giusti e da tutti i profeti che sono esistiti dagli inizi” (Adversus haereses V, 14,1; cfr V, 14,2).
4. Bene e male sono, quindi, considerati alla luce dell’opera redentrice di Cristo. Essa, come fa intuire Paolo, coinvolge tutto il creato, nella varietà delle sue componenti (cfr Rm 8,18-30). La stessa natura infatti, come è sottoposta al non senso, al degrado e alla devastazione provocata dal peccato, così partecipa alla gioia della liberazione operata da Cristo nello Spirito Santo.
Si delinea, pertanto, l’attuazione piena del progetto originale del Creatore: quello di una creazione in cui Dio e uomo, uomo e donna, umanità e natura siano in armonia, in dialogo, in comunione. Questo progetto, sconvolto dal peccato, è ripreso in modo più mirabile da Cristo, che lo sta attuando misteriosamente ma efficacemente nella realtà presente, in attesa di portarlo a compimento. Gesù stesso ha dichiarato di essere il fulcro e il punto di convergenza di questo disegno di salvezza quando ha affermato: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). E l’evangelista Giovanni presenta quest’opera proprio come una specie di ricapitolazione, un “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52).
5. Quest’opera giungerà a pienezza nel compimento della storia, allorché – è ancora Paolo a ricordarlo – “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28).
L’ultima pagina dell’Apocalisse – che è stata proclamata in apertura del nostro incontro – dipinge a vivi colori questa meta. La Chiesa e lo Spirito attendono e invocano quel momento in cui Cristo “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza… L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa (Dio) ha posto sotto i piedi” del suo Figlio (1Cor 15,24.26).
Al termine di questa battaglia – cantata in pagine mirabili dall’Apocalisse – Cristo compirà la ‘ricapitolazione’ e coloro che saranno uniti a lui formeranno la comunità dei redenti, che “non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione” (CCC, 1045).
La Chiesa, sposa innamorata dell’Agnello, con lo sguardofisso a quel giorno di luce, eleva l’invocazione ardente:“Maranathà” (1Cor 16,22), “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20).

 

L’ARMATURA DEL CRISTIANO, INTRODUZIONE – EFESINI 6:10-13

https://www.mpe-locarno.ch/2015/05/17/l-armatura-del-cristiano-introduzione-efesini-6-10-13/

L’ARMATURA DEL CRISTIANO, INTRODUZIONE – EFESINI 6:10-13

(Chiesa evangelica)

17/05/2015

Oggi iniziamo una serie di prediche sull’armatura del cristiano. Questa mattina farò un’introduzione al tema, cercheremo di capire cos’è quest’armatura e perché ne abbiamo bisogno, mentre nelle prossime domeniche ci addentreremo nei singoli elementi che compongono l’armatura vedendo più concretamente e praticamente a cosa servono e come possiamo usarli. L’idea di questo tema è quello di riuscire concretamente a mettere in pratica l’uso di quest’armatura ed a questo scopo dalla prossima volta vi offriremo degli spunti molto concreti che potrete coltivare durante la settimana. Detto questo, possiamo cominciare.
«Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. 11 Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; 12 il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. 13 Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere.» — Efesini 6:10-13. —
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1. È tempo di guerra!
Cosa vi viene in mente se dico “armatura”? Nessuno pensa all’armatura per fare giardinaggio o per andare a nuotare. Se taglio le rose del giardino uso dei guanti e magari una maglia a maniche lunghe, se invece vado in piscina indosso un costume. Andare in piscina con un’armatura significa “restarci” nella piscina. Nella vita facciamo diverse attività e per ognuna di questa indossiamo degli abiti diversi. Se andiamo al lavoro ci vestiamo in un certo modo, se pratichiamo dello sport in un altro, se andiamo ad un matrimonio in una altro ancora. È perciò chiaro che quando Paolo dice «rivestitevi della completa armatura di Dio» (v. 11) si sta immaginando una guerra, una battaglia uno scontro violento. Con molta probabilità Paolo, mentre scriveva queste parole, era incatenato ad un soldato romano e nel guardarlo vede la sua corazza, lo scudo, l’elmo, la spada,… ed immagina un collegamento diretta fra un soldato ed un cristiano. Come un soldato romano aveva bisogno di un’armatura per difendersi nelle diverse battaglie che si trovava ad affrontare, allo stesso modo il cristiano nella sua vita affronta quotidianamente delle battaglie per le quali ha bisogno di un’armatura. Non sto dicendo nulla di complicato o straordinario, eppure molte volte noi credenti ci comportiamo come un soldato romano che va in battaglia senza armatura. Questo soldato potrebbe anche essere più forte, più agile, più veloce dei suoi nemici ma potete stare certi che senza armatura verrebbe ucciso in pochissimo tempo. Non è forse così che ci comportiamo anche noi? Come credenti siamo consapevoli che c’è una guerra intorno e contro di noi? Oppure sottovalutiamo la cosa comportandoci camminando nel mezzo della battaglia senza armatura? ?Grazie a Dio nella mia vita non mi sono mai trovato a dover affrontare una guerra, come è successo ad alcuni dei nostri nonni. Quel poco che so sulla guerra l’ho imparato dai film, o da qualche libro. Però posso immaginare che un soldato viva nella costante aspettativa che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa di tremendo. Anche quando dorme in realtà è vigilante ed al minimo rumore è pronto con l’arma in mano. Questo è il giusto atteggiamento di chi si trova nel mezzo di una guerra, di chi è consapevole che distrarsi anche solo per un momento potrebbe costargli un braccio, una gamba, o la vita stessa.
?Paolo ci sta dicendo che come cristiani siamo nel mezzo di una battaglia (v. 12) ma ne siamo effettivamente consapevoli? Viviamo la nostra vita cristiana come soldati sempre pronti, vigili, attenti? Chi ci osserva vede un soldato che si tiene in costante allenamento, oppure vede qualcuno che sonnecchia un po, incurante che il nemico potrebbe attaccarlo da un momento all’altro?
Alle 7:50 del 7 dicembre 1941, i Giapponesi attaccarono le installazioni militari americane a Perl Harbor, nelle isole Hawaii. Un attacco a sorpresa, tremendo, che colse gli americani totalmente impreparati. In una base americana gli aerei erano addirittura allineati allo scoperto sulle piste da volo, senza alcuna protezione. Nei giorni precedenti all’attacco un colonnello aveva fatto notare al generale il pericolo di una simile disposizione ma il generale, non volendo allarmare la popolazione con disposizioni da tempo di guerra, decise di lasciare gli aerei in quel modo. Fu un errore gravissimo ma è un errore che commettiamo anche noi quando non viviamo la fede cristiana nella prospettiva della guerra. Nella nostra mente affiorano pensieri come «Massì, me ne occuperò quando mi si presenterà il problema» oppure «Tanto sono in grado di resistere, ormai mi conosco» o ancora «Perché allarmare gli altri? Tanto so gestirla da solo», smetto quando voglio…, non è così grave…, cosa vuoi che sia…. tutte espressioni con le quali diciamo a noi stessi che non c’è nessuna guerra di cui preoccuparsi, possiamo tranquillamente sonnecchiare.?Spero di avervi convinto riguardo la necessità di rendersi conto che come cristiani siamo in guerra, ma di che guerra stiamo parlando? Dove si svolge questa guerra? Di che tipo di guerra si tratta? E sopratutto, contro chi stiamo combattendo?
2. Gli inganni del nemico
Il testo che stiamo trattando si trova alla fine della lettera agli Efesini, proprio prima dei saluti finali. Nella prima parte della lettera Paolo mette tutto il suo impegno per trasmettere verità fondamentali come: il nostro stato di peccatori, la nostra impossibilità di salvarci da soli, l’intervento divino per la nostra salvezza, il Sigillo dello Spirito santo come certezza della salvezza, l’unità dei salvati come un unico corpo. Nella seconda parte passa a descrivere come queste verità si devono applicare nella vita quotidiana e solo alla fine ci parla dell’armatura ed il combattimento. Come Paolo fa questa chiara distinzione, allo stesso modo dobbiamo farla noi, perché la battaglia di cui stiamo parlando, non è una battaglia per la nostra salvezza. Lo ripeto: la battaglia di cui stiamo parlando, non è una battaglia per la nostra salvezza. Quella battaglia è già descritta nei primi capitoli, ed è una battaglia ormai ampiamente vinta da Dio per noi. Anzi, è proprio perché Lui ha vinto che noi possiamo indossare ora la sua armatura! Ma a cosa ci serve quest’armatura se Lui ha già vinto? Perché dobbiamo ancora combattere se il nemico è stato sconfitto??
Voglio provare a spiegarlo con un esempio molto concreto: immagina che siamo nella seconda guerra mondiale e dei soldati della resistenza, che combattono contro il regime nazista, sono riusciti a conquistare un piccolo paesino dove si sono appostati. Un giorno giunge loro la notizia che Berlino è sotto attacco, la guerra è ormai vinta! Questa notizia fa gioire i soldati della resistenza che ormai da mesi dalla loro postazione respingevano gli attacchi nazisti. Ora però, anche se attraverso la radio hanno sentito che probabilmente la guerra è vinta, non possono semplicemente togliersi la divisa, buttare le armi ed incamminarsi verso casa in tutta tranquillità. Perché esiste ancora la possibilità che dei soldati nemici siano lì intorno pronti a sferrare un attacco mortale pur sapendo che la loro guerra è persa. La battaglia che come credenti combattiamo è uguale, sappiamo che la guerra è vinta, il nostro alleato Gesù Cristo ha sconfitto il nemico per noi ma fino a quando il Suo regno non sarà instaurato ovunque, e satana eliminato per sempre, sappiamo che il nemico è in agguato pronto a ferirci e ad ucciderci, pur sapendo di aver perso. Satana prova un odio contro Dio e contro i suoi figli, che noi non possiamo nemmeno immaginare. Anche se sa di aver perso la guerra farà di tutto per farci del male, e per raggiungere questo scopo usa due strategie ben precise:
La prima consiste nel farci credere che non siamo più in tempo di guerra. Gesù ha vinto, ora possiamo fare quello che vogliamo, possiamo pure starcene tranquilli.
La seconda consiste nel confonderci le idee sul tipo di guerra che stiamo combattendo. Ritorniamo per un momento alla seconda guerra mondiale, i soldati hanno ricevuto la notizia che la guerra è vinta, Berlino è stata invasa. Per un momento un soldato della resistenza che era di guardia si rilassa e non si accorge della presenza di un Nazista che appostato dietro un muro gli spara e lo ferisce ad un braccio. Il soldato cade a terra sanguinante e sofferente, magari per salvargli la vita bisognerà amputargli il braccio, o magari morirà ma indipendentemente da quale sarà il suo destino la guerra è stata vinta! Se come credenti perdiamo delle battaglie spirituali, questo non annulla il fatto che Gesù ha vinto la guerra per la nostra anima. Ogni volta che sbagliamo, ogni volta che pecchiamo, che cadiamo negli stessi errori, negli stessi sbagli, negli stessi pensieri, il nemico vuole farci credere che abbiamo perso l’intera guerra ma non è così! Sta solo mischiando le carte in tavola per distogliere il nostro sguardo da Dio e mettere in dubbio la nostra fede in Lui.
Dobbiamo perciò fissare chiaramente nella nostra mente che Paolo non sta qui descrivendo la battaglia per la salvezza della nostra anima, quella è stata già ampiamente vinta da Gesù sulla croce e confermata con la sua risurrezione.
Perciò per cosa dobbiamo combattere? Paolo dice al versetto 11 «Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo» e lo ribadisce nel 13 «Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere» l’apostolo non sta qui immaginando una battaglia attiva alla conquista di qualcosa, non ci sta invitando ad indossare l’armatura ed attaccare il nemico. No! Ci sta dicendo che l’armatura ci serve per stare saldi là dove siamo e nelle cose che abbiamo ricevuto. Dobbiamo difendere quello che abbiamo! E cos’è che abbiamo ricevuto? Quando arrivate a casa provate a leggere i primi capitoli di questa lettera agli Efesini. Sono immensi i doni che i credenti hanno ricevuto, a partire dalla gioia della salvezza al dono dello Spirito Santo, dalla comunione fraterna all’amore reciproco, tutto quello che abbiamo ricevuto come credenti è tantissimo e molto spesso non ce ne rendiamo conto. Se usassimo anche solo il 50% di ciò che abbiamo in Cristo la nostra vita sarebbe un’esplosione di benedizioni capace di contagiare chi ci sta attorno, quello che lo stesso Paolo al capitolo 5 versetto 18 descrive come «essere ripieni di spirito santo». Ecco, questo è esattamente quello che il nemico non vuole! Lui non vuole dei credenti ripieni di Spirito Santo che fanno la differenza nel mondo, vuole renderci innocui, inoffensivi, addormentati!
La sua gioia più grande è vedere credenti che litigano per questioni sciocche, è vedere cristiani che non si assumono compiti in chiesa perché si sentono inadeguati, gioisce quando per qualche peccato riesce ad isolare un credente e fargli credere che forse Dio non lo ama, oppure quando insinua nel credente un senso di superiorità che gli impedisce di collaborare con gli altri credenti, perché li reputa inadeguati, troppo poco spirituali, dubita che loro vogliono veramente servire Dio. C. S. Lewis, famosissimo scrittore e filosofo evangelico, ha scritto un libro di fantasia che si chiama “Le lettere di Berlicche”, dove è raccontato come un funzionario di satana di grande esperienza istruisce un giovane diavolo apprendista, suo nipote. Il giovane diavolo deve occuparsi di un ragazzo che si è da poco convertito al cristianesimo, così il libro è composto da una serie di lettere in cui lo zio illustra quelli che sono i metodi migliori per far desistere il nuovo credente. È un libro che ho apprezzato molto, spesso mi ha fatto ridere di me stesso perché mi identificavo nel credente e negli errori che l’apprendista diavolo lo spingeva a compiere. Una cosa che condivido del libro, è che questi diavoli non si inventano nulla di nuovo ma semplicemente sfruttano le situazioni che il credente sta vivendo. Ad esempio vedono che il credente sta diventando umile, allora lo zio dice all’apprendista diavolo, fagli notare che è sempre più umile, così che diventi orgoglioso per questo. Oppure vedono come il credente goda dei piaceri della vita, allora lo zio insegna al giovane che questi piaceri vengono da Dio e quello che deve fare è incoraggiare il credente ad usare i piaceri nel modo e nella misura sbagliata. Quello che voglio dire è che è vero che al versetto 12 Paolo dice che il nostro combattimento è contro «i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti» questo è vero ma loro possono agire solo nella misura in cui noi lo permettiamo. Nella misura del nostro peccato, delle nostre debolezze. Loro fanno leva su tutto ciò che c’è di sbagliato in noi, il nostro orgoglio, il nostro attaccamento al denaro, il desiderio di apparire di essere al centro, l’egoismo, la mancanza di misericordia, tutte cose che già vivono in noi anche senza l’intervento esterno di nessuno. Sono queste le cose contro le quali dobbiamo combattere, quello che il nemico fa è semplicemente portarle alla luce, alimentarle. La nostra battaglia non consiste perciò nel cercare ovunque in ogni cosa la mano del Diavolo ma combattere noi stessi, la nostra guerra non è contro altre religioni, filosofie, o altre persone ma contro noi stessi. È contro ogni impulso che ci spinge ad essere violenti con gli altri. Io devo combattere contro Simone Monaco, contro ogni pensiero che mi spinge a fare pace e compromesso con il peccato, contro la mia pigrizia, contro la mia arroganza, contro la mia propensione a parlare male degli altri.
Un predicatore racconta che una volta lo invitarono a predicare in una chiesa carismatica, arrivato il tempo delle testimonianze molti cominciarono a raccontare come satana durante la settimana gli aveva creato problemi, di come li aveva messi in difficoltà, di come li aveva tentati. Ad un certo punto questo predicatore prende la parola e dice che entrando in quella chiesa, fuori dalla porta aveva visto satana che piangeva. Le persone guardano il predicatore con occhi sgranati. Il predicatore continua dicendo di aver chiesto a satana il motivo del suo pianto, satana risponde che era dovuto al fatto che in quella chiesa lo incolpavano di un mucchio di cose di cui lui non c’entrava niente. Non dobbiamo avviare battaglie apparentemente spirituali contro qualsiasi cosa si muove perché dietro ci vediamo satana. Paolo non ci insegna questo e nemmeno gli altri scrittori della Bibbia ce lo insegnano. Quello che ci insegnano è ha rivestirci dell’armatura di Cristo e stare fermi là dove siamo e quando arriverà un attacco lo respingeremo grazie all’armatura fino a quando non arriverà il prossimo.
3. La forza per vincere.
Rimane un ultimo aspetto da trattare senza il quale tutto quello che ho detto sarebbe inutile. Infatti dobbiamo considerare che il nostro nemico, satana, è infinitamente più forte di noi, ha migliaia di anni d’esperienza, sa esattamente quali sono i nostri punti deboli. Potremmo anche avere una buona armatura ma a furia di colpirci ci sfiancherà! Non a caso però l’intero discorso di Paolo sull’armatura comincia con una frase che è il fondamento su cui costruire «…fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza» (v. 10). “Fortificatevi”, o meglio tradotto “siate resi forti”, il termine usato nel greco indica un’azione costante che si ripete nel tempo. Continuamente e quotidianamente abbiamo la necessità di essere resi forti nel Signore. Il testo non dice “dal Signore” ma “nel Signore” perché questo indica una vita vissuta in unione con Lui. Gesù lo disse in Giovanni 15:5 «Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla.» tutti i bellissimi discorsi sull’armatura hanno come presupposto il fatto che noi ci fortifichiamo nel Signore, o per dirla diversamente, che viviamo una vita in unione con Lui. Altrimenti la nostra armatura sarà come un’armatura di cartone, magari all’apparenza funziona ma quando arrivano le prove vere è del tutto inefficace.
Immaginate di combattere un carro armato con una spada, oppure chi vincerebbe in uno scontro fra un pugile ed una mitragliatrice? Si tratta di livelli completamente diversi, sarebbe uno scontro impari, un pugile deve combattere contro un altro pugile per avere qualche possibilità. Così anche noi non possiamo pensare di combattere questa battaglia con delle armi inadeguate. Troppo spesso pensiamo di riuscire a farcela con le nostre forze, di essere in grado di resistere alle difficoltà da soli. Non stiamo combattendo una battaglia fisica che avviene nel mondo materiale, Paolo dice «contro le potenze spirituali della malvagità» (v. 12), per questo abbiamo bisogno innanzitutto di una forza sovrannaturale che non viene da noi deriva da noi stessi e poi della armi capaci di entrare in quel mondo spirituale, abbiamo bisogno di un armatura capace di respingere gli attacchi in modo adeguato e questa è l’armatura di Dio. Dio vince la guerra, Dio ci dona l’armatura e in Dio riceviamo le forze per combattere.
Per chiudere vi propongo delle considerazioni, delle domande, degli spunti sui quali riflettere:
La Bibbia offre una visone della vita cristiana come quella di un corridore, un atleta, un guerriero, figure consapevoli di quanto sia importante l’autodisciplina e l’allenamento. Vivi in questa prospettiva, o senti piuttosto la fede come una vacanza?
Quando sei vittorioso nelle battaglie della fede sei felice? E quando invece ne esci sconfitto? La tua gioia dipende dalla tua capacità di vincere le difficoltà della vita o da ciò che Cristo ha fatto per te?
Non siamo abbastanza forti per respingere gli attacchi del diavolo ma il nostro Padre celeste sì! Impariamo a vivere una vita uniti a Lui.
Nella chiesa tutti vivono questa battaglia, aiutiamoci a vicenda, non avendo paura di ammettere le nostre debolezze ed i nostri limiti.
Come chiesa dobbiamo camminare uniti e compatti, occupandoci di chi è stanco, ferito e debole.
Quando come credente cadi e fallisci cerchi prima la colpa intorno a te o dentro di te? Ricorda che il compito del nemico è solo quello di tirare fuori il peggio che già risiede in noi.
Il primo inganno del Diavolo nella Genesi, fu quello di fare credere all’uomo di essere indipendente e di poter fare a meno di Dio. Come una foglia che pensa di poter continuare a vivere separata dall’albero che la porta. Non lasciamoci ingannare ancora, non potremo mai avere una vita piena, abbondante e vittoriosa, se non viviamo uniti al Signore. Amen.

Simone Monaco
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Missione Popolare Evangelica

 

Publié dans:Lettera agli Efesini |on 7 juin, 2017 |Pas de commentaires »

L’ARMATURA DI DIO

http://camcris.altervista.org/armat.html

L’ARMATURA DI DIO

esortazione rivolta ai cristiani, da uno studio biblico del Ministero Sabaoth 

« Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio… » Efesini 6:13-17

‘Apostolo Paolo, guidato dallo Spirito Santo, in Efesini 6:14 ci consiglia cosa fare per resistere nei giorni di lotta. Egli dice che dobbiamo vestire l’armatura di Dio per poter far fronte ai giorni malvagi. Nel testo sono elencate le varie parti di cui è composta questa armatura. Ogni pezzo designa le forme di attacco del nemico contro di noi e la provvidenza di Dio verso ogni tipo di attacco.
L’armatura è di Dio, quindi è Lui che ci provvede ogni pezzo. Noi non sappiamo quando arriverà il giorno malvagio, perciò dobbiamo indossare sempre l’armatura di Dio. Tutti i pezzi dell’armatura rappresentano armi da difesa ad eccezione della spada dello Spirito che è arma di attacco.

LA VERITÀ COME CINTURA DEI FIANCHI (v.14)
Il primo attacco è quello contro la verità di Dio, contro ciò che Dio proclama. È dai tempi dell’Eden che Satana cerca di conquistare l’uomo con la menzogna, l’inganno e le mezze verità. « Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna. » Giovanni 8:44
Cosa significa avere cinti i fianchi della verità? Ai tempi biblici la tunica era un indumento usato sia dagli uomini che dalle donne, l’unica differenza era che gli uomini usavano una tunica fino alle caviglie e in genere di un solo colore, ricamata ai bordi e al collo: « Quando gli uomini dovevano lavorare o correre sollevavano il fondo della tunica e lo infilavano nella cintura per acquistare maggiore libertà di movimento. Si diceva « cingersi i fianchi », e tale espressione divenne una metafora per indicare l’essere pronti. Ad esempio, Pietro raccomanda di aver le idee chiare invitando i cristiani a « cingersi i fianchi » della mente (I Pietro 1:13, testo latino).
Anche le donne sollevavano l’orlo della tunica quando dovevano trasportare oggetti da un luogo all’altro. Le Scritture confermano: « Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua del Signore. » Esodo 12:11
Quindi bisogna cingersi i fianchi con la verità ed essere pronti a proclamare la verità di Dio. Gesù afferma: « Santificali nella verità: la tua parola è verità ». Giovanni 17:17
Allora cingiamoci con la verità attraverso lo studio, la meditazione, la confessione e l’ubbidienza alla Parola di Dio.

LA CORAZZA DELLA GIUSTIZIA (v.14)
L’attacco in quest’area si manifesterà sottoforma di accusa, condanna e orgoglio, cercherà di colpire i nostri sentimenti. Satana cercherà di accusarci davanti a noi stessi e di accusare Dio e i fratelli, lanciando su di noi sentimenti di colpa anche per i peccati già confessati e quindi già perdonati.
La Parola di Dio in Romani 8:1 dichiara: « Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù… »
Egli cercherà anche di investirci con orgoglio spirituale, con « bontà personale », così da portarci a peccare contro Dio, contro i fratelli, la Chiesa, le nostre autorità, ecc. In genere quando accettiamo queste cose per noi è arrivato il giorno malvagio. Dobbiamo dunque essere custoditi dalla giustizia di Dio, credendo che tutto ciò che abbiamo è frutto della Sua bontà, non permettendo che il diavolo ci accusi o ci condanni, perché siamo già stati giustificati da ogni fallo e delitto.
« …vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione… » Romani 3:22
« essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura… » Romani 1:25-26

LE CALZATURE AI PIEDI (lo zelo per annunciare il Vangelo) (v.15)
Qui l’attacco avviene in forma di persecuzione e disanimo per soffocarci e toglierci dal territorio di Dio, provocando passività, cadute in compromessi, ed ogni altra cosa, pur di portarci ad una posizione di comodità.
Il compromesso con il peccato o la semplice passività sono tattiche molto usate dal nemico. Molti credenti nelle Chiese sono passivi e accettano tutto ciò che succede loro senza reagire e combattere per ciò che posseggono.
Uno dei primi frutti che si manifestano nella nostra vita cristiana quando veniamo a Gesù, è lo zelo per la propagazione del Vangelo. Infatti desideriamo che i nostri famigliari, amici, colleghi e tutto il mondo conoscano come noi i benefici della salvezza e l’immensa gioia che questa porta, ma subdolamente Satana innalza qualcuno per diffamarci, per darci dei « pazzi », per scoraggiarci o ancora, per mettere persone ambigue sul nostro cammino, proponendoci anche ottime occasioni lavorative o qualsiasi altra attrattiva pur di distrarci e portarci via il nostro zelo. Questa forma di attacco purtroppo non si manifesta solo nella vita dei neofiti, ma in modo continuo nella vita di ogni singolo credente.
Il profeta Ezechiele menziona l’ozio e la vita facile tra i peccati di Sodoma (« Ecco, questa fu l’iniquità di Sodoma, tua sorella: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane, e nell’ozio indolente; ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero. » Ezechiele 16:49).
Certamente questa non è la volontà di Dio per noi, per questo dobbiamo difenderci mantenendo i nostri cuori pieni di zelo per la propagazione del Vangelo, non accettando nulla di meno nelle nostre vite di un cuore che bruci per Dio e per la salvezza delle anime.
Tutto ciò allontanerà da noi questo tipo di attacco. Ricordiamoci che le calzature dello zelo coprono i piedi e questo significa che senza zelo non possiamo correre bene. Se il diavolo riesce a rubarcelo saremo fermati.

LO SCUDO DELLA FEDE (v.16)
La Bibbia dichiara: « Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano ». Ebrei 11:6
« …poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: ‘Il giusto per fede vivrà’. » Romani 1:17
« Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. » I Giovanni 5:4
È chiaro che Satana cercherà di minare la nostra fede in modo da non essere più graditi a Dio e non potere più adempiere alla sua volontà di vivere per fede e di vincere il mondo. L’attacco maligno in questo caso avverrà attraverso l’incredulità, il dubbio e le paure. Lo scudo è l’arma di difesa più importante perché se usato bene può proteggere anche tutto il corpo. Questo attacco alla nostra fede può avvenire in svariati modi: con l’incredulità, il dubbio e le paure. La Bibbia dice che la fede è certezza (Ebrei 1:1), perciò noi rimaniamo fermi su questa certezza acquisita attraverso la Parola di Dio per resistere agli attacchi maligni (« Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. » I Pietro 5:9).

L’ELMO DELLA SALVEZZA (v.17)
L’elmo della salvezza ci parla di un attacco nella mente. La mente è la sede dell’anima dove risiedono le nostre emozioni, i desideri, la volontà, ecc. ed è proprio nella nostra mente che Satana cercherà di intrufolarsi con i suoi pensieri per farci pensare in modo carnale, facendoci desiderare il mondo dei sensi invece del mondo dello Spirito.
Per difenderci da questi attacchi dovremo continuamente ricordarci che la salvezza è totale e che comprende anche l’anima. La nostra mente viene rinnovata di continuo e dal momento in cui accettiamo Gesù il destino della nostra anima è la salvezza, quindi non dobbiamo permettere a nessun tipo di pensiero che non sia in accordo con la Parola di Dio di occupare le nostre menti.
Così facendo saremo protetti dagli intenti maligni. « Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri. » Filippesi 4:8

LA SPADA DELLO SPIRITO, LA PAROLA DI DIO (v.17)
La spada rappresenta chiaramente un’arma di attacco ed è l’unica arma di attacco presente nell’armatura del credente. Dato che dunque dobbiamo attaccare, lasciamo ogni dubbio sulla Parola di Dio.
Il diavolo cercherà sempre di rubare la Parola di Dio dai nostri cuori, così che non produca frutto (Matteo 13:19), o ancora cercherà di accecare le nostre menti così da non farci riconoscere la verità (II Corinzi 4:4). Non solo, ma si intrufolerà in mezzo ai santi con « …dottrine di demoni… » (I Timoteo 4:1), con accuse sulle nostre vite, su chi siamo in Gesù, sui fratelli, ecc.
Come lo farà? Seminando nella mente dubbi, confusioni e incomprensioni che noi dovremo immediatamente confrontare con la Parola di Dio per respingerli. Ogni volta che veniamo attaccati dobbiamo chiederci se ciò che riceviamo nella nostra mente provenga dal diavolo oppure dalle persone che ci stanno intorno e se sia in accordo o in disaccordo con la Parola di Dio. È importante inoltre non dimenticare che il diavolo usa le persone che ci stanno intorno per colpirci, soprattutto quelle a noi più vicine o che abbiano maggior influenza affettiva su di noi, sempre che essi si lascino manipolare. « …il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. » Efesini 6:12

ALCUNE CARATTERISTICHE DELLE ARMI DA COMBATTIMENTO SPIRITUALI
« …infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio… » II Corinzi 10:4-5a
Sono armi date da Dio.

ARMI DI LUCE
« La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. » Romani 13:12
Se una persona inizia la battaglia spirituale e si trova nel peccato ne rimarrà ferita.

ARMI DI GIUSTIZIA

« …con le armi della giustizia a destra e a sinistra… » II Corinzi 6:7b
lett: le armi di destra, offensive (la spada), e di sinistra, difensive (lo scudo).
La giustizia di Dio è dunque la nostra arma di difesa e di attacco.

Publié dans:Lettera agli Efesini |on 19 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

LA LETTERA AGLI EFESINI DI SAN PAOLO – IL PROFONDO MISTERO DELLA SALVEZZA IN CRISTO – RAVASI

http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/Anno%20Pastrorale.htm#vita

LA LETTERA AGLI EFESINI DI SAN PAOLO – IL PROFONDO MISTERO DELLA SALVEZZA IN CRISTO – RAVASI

In alcuni importanti codici antichi, che ci hanno trasmesso le sacre Scritture, nell’indirizzo iniziale di questa lettera manca l’indicazione « a Efeso », per cui si è pensato che essa sia stata originariamente una missiva destinata alle varie Chiese dell’Asia Minore costiera, che avevano il loro centro più significativo nella splendida città di Efeso. Certo è che la lettera si rivela profondamente originale nel linguaggio e nei temi, tanto da far ipotizzare a molti studiosi che essa sia opera di una mano diversa rispetto a quella di Paolo, forse un discepolo che conduce oltre il discorso del maestro. Questo naturalmente non intaccherebbe l’ispirazione e quindi l’appartenenza al Canone biblico della lettera che, tra l’altro, è molto vicina a quella ai Colossesi (probabilmente conosciuta e citata).
Comunque sia, la lettera, che consigliamo vivamente a tutti di leggere, è particolarmente densa e ricca di temi e si rivela nettamente divisa in due parti: i primi tre capitoli affrontano i grandi argomenti teologici, mentre i capitoli 4-6 sono dedicati a illustrare l’impegno morale del cristiano nella sua vita di fede. L’accento è posto su due motivi teologici capitali. Da un lato, si apre una profonda riflessione sulla figura di Cristo, presentato come Signore di tutto l’essere creato e non solo della Chiesa, e cantato in un solenne inno-benedizione posto proprio in apertura alla lettera (1,3-14).
Gesù Cristo è, d’altro lato, alla radice del secondo motivo teologico, quello della Chiesa, che è costituita da Giudei e pagani ornai uniti in un solo corpo che è quello di Cristo, nel quale, però, diversamente da quanto già detto nella prima lettera ai Corinzi (capitolo 12), egli ha la funzione di essere il « capo » (1,22). L’unità di questo corpo, nel quale si manifesta la pienezza della divinità, è operata da Cristo stesso « nostra pace », che ha riconciliato i due popoli separati, Ebrei e pagani, in un solo popolo attraverso il suo sangue (2,14-22). E questa la Chiesa, che dall’apostolo viene presentata come « tempio santo nel Signore » (2,21).
Vivace è anche la parte pastorale della lettera ove, tra l’altro, viene disegnato un « codice » dei doveri familiari (5,21-6,9), che ha al suo interno una suggestiva presentazione del matrimonio cristiano, come grande segno dell’unione vitale tra Cristo e la Chiesa. Uno scritto, quindi, ricco sul piano del « mistero » divino, che è rivelato da Gesù Cristo e che comprende la salvezza di tutti, inclusi i pagani, e sul piano della vita cristiana da condurre in pienezza, come creature che hanno « deposto l’uomo vecchio » per « rivestire l’uomo nuovo » (4,22-24).

IL PROFONDO MISTERO DELLA SALVEZZA IN CRISTO
(di Mons. G. Ravasi)
1
Brevi sono il saluto e l’augurio di apertura di questa lettera. Ben più solenne è, invece, la benedizione iniziale, che ha l’andatura di un inno e si presenta come uno splendido abbozzo del disegno di salvezza rivelato e attuato in Cristo. Dall’orizzonte celeste, cioè dal mistero trascendente di Dio, scendono le benedizioni “spirituali”, cioè i doni di santità che trasformano i credenti. Si delinea, così, l’itinerario a cui essi sono chiamati all’interno del progetto di Dio: prima ancora della loro esistenza, Dio li aveva scelti e destinati a divenire figli adottivi attraverso Cristo; tutto questo avrebbe realizzato la piena gloria di Dio che si compie nel suo donarsi all’umanità, nel suo amore rivelato in Gesù, il Figlio «Prediletto». La salvezza dell’uomo è, quindi, la gioia, la lode, la gloria più alta di Dio.
E questa salvezza si attua attraverso la morte di Gesù, sorgente della redenzione, del perdono e della grazia effusa nell’umanità. Noi conosciamo, dunque, «il mistero della volontà» divina perché non solo ci è stato rivelato, ma anche perché lo viviamo all’interno della storia. Infatti, la «pienezza dei tempi» è l’ingresso di Cristo nel mondo per trasformare la realtà umana secondo il disegno prestabilito fin dall’eternità da Dio. Tutti noi siamo “ricondotti” in Cristo insieme con l’intero universo creato: l’immagine usata rimanda al «capo» che tiene coeso il corpo. Ogni realtà è destinata a trovare senso e unità in Cristo, costituito da Dio come capo unico e universale.
È interessante notare come Paolo in questa visione grandiosa della salvezza sottolinei un aspetto che gli sta a cuore. In 1,11-13 distingue, infatti, due pronomi: da un lato, c’è il «noi», i primi eredi della promessa divina, cioè gli Ebrei, coloro che hanno alimentato la speranza messianica prima della venuta di Cristo; d’altro lato, c’è il «voi», cioè l’orizzonte dei pagani, che hanno ascoltato e accolto nella fede «la parola della verità», il vangelo, e così sono stati consacrati dallo Spirito Santo. L’apostolo passa poi a un ringraziamento per la fede e l’amore testimoniato dai cristiani di Efeso, ai quali augura di ottenere una pienezza nella conoscenza del mistero di salvezza, che ha al centro la risurrezione di Cristo. Essa è cantata in 1,20-23 in una specie di professione di fede di tono innico, dalla quale emerge la figura del Risorto che è il Signore di tutto l’universo e di tutte le sue energie, ma che è anche il capo di quel corpo che è la Chiesa.

DALLA MORTE ALLA VITA PER ESSERE UNA COSA SOLA IN CRISTO
2
Nel capitolo 2, continuando l’intreccio dei due pronomi «noi» e «voi», si esalta la redenzione operata da Cristo per l’umanità peccatrice, sia ebraica sia pagana. L’amore misericordioso di Dio ci ha strappato a Satana, «il principe delle potenze dell’aria», e ci ha fatto partecipare alla stessa vita di Cristo attraverso l’esperienza battesimale che ci ha condotto alla gloria della risurrezione. La salvezza è, quindi, non solo liberazione dal male, ma anche intimità, comunione, partecipazione alla vita divina.
In un linguaggio tipicamente paolino si ribadisce la vicenda della salvezza, che è dono della grazia divina a chi risponde con la fede, e che non è frutto delle opere umane. La centralità di Cristo è ribadita in una pagina di grande intensità, che ha in qualche sua parte un’andatura innica e lirica. Il tema fondamentale della salvezza è considerato secondo un’angolatura che è già stata adottata precedentemente: con la sua morte in croce, Cristo ha costituito un’unica comunità, cancellando le divisioni tra i circoncisi e coloro che erano «stranieri ai patti della promessa», cioè tra Ebrei e pagani. Cristo è, allora, definito come la «pace» per eccellenza, che, nella tradizione biblica, era il tipico dono messianico (Isaia 9,5; Michea 5,4).
Egli ha abbattuto le barriere che dividevano questi due popoli: «il muro di separazione» a cui Paolo fa riferimento potrebbe alludere sia alla legge mosaica sia al setto divisorio posto tra il cortile degli Ebrei e quello dei pagani nel tempio erodiano di Gerusalemme, parete invalicabile, pena la condanna a morte. Cristo ha anche eliminato le osservanze legali che caratterizzavano la religiosità giudaica, e ha fatto sì che tutti si ritrovassero uniti, i vicini e i lontani (vedi Isaia 57,19 e Zaccaria 9,10), destinati a costituire un solo corpo, a essere concittadini e familiari di Dio, appartenenti alla stessa comunità che è la Chiesa, la famiglia di Dio. Tutti costituiscono un tempio vivo, che ha la sua pietra angolare in Cristo e il basamento negli apostoli e nei profeti, cioè negli annunciatori del vangelo (vedi 1Corinzi 3,10-11.16). La rappresentazione di questa unità generata dalla croce di Cristo è preziosa per definire la missione di Paolo aperta ai pagani.

PAOLO, APOSTOLO DEL MISTERO DI CRISTO3
Egli, infatti, è stato chiamato da Dio proprio a svelare il «mistero di Cristo» che ha nel suo cuore la salvezza universale: «I pagani sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e a essere partecipi della promessa» (3,6), cioè a fruire della dignità donata al popolo ebraico e, così, a costituire l’unico popolo di Dio che è la Chiesa, corpo di Cristo. A questo annunzio l’apostolo ha dedicato se stesso perché il disegno divino, che era celato nel mistero, venisse reso noto a tutti, anche alle potenze cosmiche e celesti, e attuato nella storia.
A questo punto Paolo rivolge un’appassionata preghiera a Dio Padre, creatore di tutti gli esseri, perché trasformi la coscienza dei cristiani così da giungere alla piena maturità della fede e dell’amore. Potranno allora scoprire il cuore profondo del mistero divino, che è l’infinito amore di Dio offerto a noi in Cristo, un amore che ci avvolge conducendoci alla pienezza, un amore totale che abbraccia tutto l’essere, rappresentato secondo le quattro dimensioni sotto le quali la tradizione popolare concepiva la realtà: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Con un’acclamazione di lode finale a Dio Padre (3,20-21) si chiude la prima parte della lettera.

LE ESIGENZE DELLA VITA CRISTIANA4
Con il capitolo 4 si apre una seconda parte della lettera, di taglio più esistenziale: si intende delineare un profilo della vita cristiana, fondata sull’unità di tutti i credenti nell’unico corpo di Cristo. Si ha innanzitutto un appello a riscoprire questa «unità dello spirito», rafforzata dal «legame della pace», ricordando la sua sorgente, cioè l’unico Dio che agisce in tutti, l’unico Cristo Signore e Salvatore, l’unica fede e l’unico battesimo. Se tutti hanno ricevuto la grazia, ciascuno la manifesta secondo forme diverse che sono espressioni dei doni divini effusi dal Cristo risorto (si cita nel versetto 8 il Salmo 68,19 in modo libero, applicandolo all’ascensione e alla glorificazione celeste di Cristo).
Paolo elenca cinque doni spirituali che costituiscono altrettanti ministeri destinati a condurre alla maturità cristiana tutta la comunità dei credenti: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Ma il modello che tutti dobbiamo tenere davanti agli occhi per raggiungere la maturità della fede è Cristo stesso, che è la pienezza per eccellenza. Solo con questa meta passiamo dall’infanzia, che è ancora debolezza e immaturità, alla maturità. E la via per raggiungere questa completezza spirituale è la «verità nell’amore». Solo così si configura il corpo di Cristo nella sua armonia e nella sua perfetta compagine. Si presenta in questa pagina il tema del corpo di Cristo che è la Chiesa in un modo lievemente differente rispetto a 1Corinzi 12. Là, infatti, la Chiesa era il corpo di Cristo in modo globale; qui si dice che Cristo è il capo e i cristiani sono il corpo. Comune è, però, il rilievo dato all’amore come anima dell’intero organismo.
Si passa poi a una riflessione sull’esperienza battesimale vissuta dai fedeli. Essa è stata una svolta radicale che ha totalmente mutato la realtà dell’uomo. Il battezzato, infatti, deve lasciare alle spalle «l’uomo vecchio», con la sua miseria e il suo peccato, e deve rivestire la qualità di «uomo nuovo», che è il profilo voluto da Dio creatore e che è la condizione umana inaugurata e attuata dalla morte e risurrezione di Cristo. Il tema delle due creature, la vecchia e la nuova, la peccatrice e la redenta, era già apparso in Romani 6,4-6, in 2Corinzi 5,17 e riapparirà in Colossesi 3,10.
Questo mutamento radicale che si è compiuto nel cristiano deve generare un differente comportamento morale, che la lettera esemplifica in alcuni impegni che rimandano al Decalogo e a moniti presenti già nell’Antico Testamento. Si citano, infatti, Zaccaria 8,16 sull’impegno di servire la verità e il Salmo 4,5 per quanto riguarda l’ira; ma si evoca anche il «non rubare», il «non pronunziare falsa testimonianza» del Decalogo e l’esortazione, frequente nella Bibbia, a combattere il peccato di parola. In particolare, in questa che è una nuova lista di vizi da evitare, si sottolinea l’importanza dell’amore e della concordia fraterna, la cui assenza rattrista lo Spirito Santo che è effuso in noi.

IL COMPORTAMENTO DEL CRISTIANO5
L’amore è, infatti, il cuore della morale cristiana. Il modello ideale è Cristo, che si è donato a noi attraverso la morte in croce, definita come «sacrificio di soave odore», cioè come una vittima sacrificale gradita a Dio e capace di cancellare ogni peccato (per l’espressione usata, tipica dell’Antico Testamento, vedi Genesi 8,21; Esodo 29,18; Salmo 40,7). Il cristiano, purificato da questo atto d’amore divino, deve abbandonare lo stile di vita precedente, che l’apostolo illustra attraverso alcuni vizi emblematici del paganesimo come volgarità, impurità, idolatria. Queste realtà impediscono il legame con Cristo e quindi con la vera vita e la luce. Si ricorre, infatti, alla tradizionale opposizione ­ cara anche al giudaismo ­ tra tenebra e luce, come simboli di due stati di vita antitetici.
I cristiani nel battesimo sono stati illuminati da Cristo e, perciò, dalla tenebra sono divenuti «luce nel Signore» (vedi 1Tessalonicesi 5,4; Romani 13,12; Colossesi 1,12-13). Come conferma si cita un frammento di inno battesimale presentato quasi come fosse una parola biblica («sta scritto» è la formula introduttoria alle citazioni bibliche): immersi nelle tenebre del sonno e della morte, noi siamo risorti e abbagliati dalla luce di Cristo. Si precisa, allora, come dev’essere la vita dei figli della luce. Paolo segnala due atteggiamenti fondamentali.

Da un lato, bisogna fare buon uso del tempo, cioè di questa èra di salvezza in cui ci ha introdotto la Pasqua di Cristo. In essa bisogna scorgere e seguire la volontà di Dio, che ci conduce alla pienezza della vita. D’altro lato, è necessario lasciare spazio allo Spirito che trasforma l’esistenza del credente in un canto di lode e ringraziamento a Dio. Il discorso si fa ora ancor più concreto e si delinea una specie di tavola dei doveri della vita familiare (vedi anche Colossesi 3,18-4,1). Si devono, però, notare due differenze rispetto ai paralleli del mondo giudaico e greco-romano: si sottolinea la reciprocità dei doveri degli sposi, nonostante il contesto maschilista in cui l’apostolo viveva (che pure lascia qualche traccia); inoltre, Gesù Cristo diventa il riferimento fondamentale su cui vivere l’esperienza d’amore, essendo egli la fonte della carità.
È per questo che la considerazione sui doveri dei mariti verso le mogli si trasforma in una catechesi sul rapporto tra Cristo e la Chiesa, sua sposa, purificata attraverso il lavacro battesimale. Il matrimonio diventa, perciò, simbolo dell’unione tra Cristo e la Chiesa, il “grande mistero”, come lo chiama Paolo, cioè il mirabile disegno salvifico di Dio. L’uso dell’immagine nuziale per rappresentare la relazione tra Dio e Israele era già stato praticato dall’Antico Testamento (vedi, ad esempio, Osea 1-3). Ora il matrimonio cristiano ­ illustrato sulla base di Genesi 2,24 ­ diventa segno della nuova alleanza ed è in questa luce che il passo è stato letto come la base della visione sacramentale dell’unione matrimoniale cristiana.

ALTRE ESORTAZIONI E SALUTO
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Dal rapporto tra i coniugi la “tavola” dei doveri familiari delineata dall’apostolo passa a quello tra i figli e i genitori, con un rimando esplicito al comandamento, presente nel Decalogo (Esodo 20,12), di onorare il padre e la madre. Tuttavia anche in questo caso si esalta la reciprocità: i genitori devono educare i loro figli senza esasperarli. Si riserva poi spazio al settore delle relazioni tra schiavi e padroni. È un’esortazione che risente del contesto storico in cui vive la Chiesa delle origini. Ma c’è una sottolineatura nuova e significativa. Da un lato, lo schiavo deve compiere il suo lavoro con onestà, consapevole che ogni azione del cristiano ha un valore agli occhi di Dio. Dall’altro lato, i padroni devono comportarsi senza violenze o minacce, perché c’è sopra di loro un Signore di tutti che non guarda allo stato sociale o di privilegio, ma giudica ognuno con giustizia.
Conclusa la “tavola” degli impegni del cristiano nella famiglia e nella società, la lettera si avvia alla fine con un’ampia esortazione ad affrontare con decisione la lotta spirituale contro il male, che insidia la vita del credente. Paolo fa esplicito riferimento al diavolo e alle forze oscure che dominano la storia. Egli le denomina secondo il linguaggio apocalittico come principati, potenze, dominatori del mondo tenebroso in cui siamo immersi, e spiriti del male che, invece, trascendono il nostro orizzonte terreno. Si ricorre, così, alla simbologia marziale dell’armatura da indossare. Anche Dio nell’Antico Testamento era raffigurato come un guerriero che si schierava, con il suo re-Messia, a difesa del bene e dei giusti contro l’assalto del male (Isaia 11,4-5; 59,16-18; Sapienza 5,17-23).
Le armi del cristiano sono la verità come cintura, la giustizia come corazza, le calzature per annunziare il vangelo, la fede come scudo, la salvezza come elmo, lo Spirito e la parola di Dio come spada (vedi anche 1Tessalonicesi 5,8). La lotta spirituale dev’essere sostenuta dalla preghiera allo Spirito Santo, perché sia vicino a tutti coloro che annunziano il vangelo. Paolo si colloca tra costoro ed è presentato dalla lettera «ambasciatore in catene» del messaggio di Gesù: anche se non si è certi su questa carcerazione (quella romana o un’antecedente prigionia, forse efesina), è sulla base di questa nota che si colloca lo scritto agli Efesini tra le cosiddette “lettere dalla cattività” (o prigionia).
La lettera è chiusa da un intenso saluto. Al suo interno c’è una particolare esaltazione dell’amore «incorruttibile» che deve unire il cristiano al suo Signore. Prima, però, si fa riferimento a un collaboratore dell’apostolo di nome Tichico, inviato come delegato di Paolo. Egli espleterà la stessa missione anche nei confronti dei cristiani di Colosse (Colossesi 4,7): era, perciò, un rappresentante dell’apostolo nell’area dell’Asia Minore o almeno in alcuni ambiti di essa, nei quali egli comunicava ufficialmente notizie e messaggi paolini.

Paolo
Apostolo di Gesù Cristo e delle Genti, ieri e oggi
Quando appare sul quadrante della nostra storia, Saulo, o con il nome latino Paolo, ha circa 30 anni.
Cartina geograficaA mezzogiorno. Sulla via che va da Gerusalemme in Giudea a Damasco in Siria (240 km circa). Giovane dottore in Legge, zelante difensore delle tradizioni dei padri nella fede, su quella via di Damasco insegue successo e gloria.
Si, quel giorno sognato e atteso doveva segnare sull’agenda personale una specie di solenne collaudo del suo primo nome, Sha-ù-l o Saulos (At 7,58). Nome semitico che significa ‘invocato con preghiere, desiderato ‘ e che lo faceva sentire importante nella storia del suo popolo: Sha-ù-l era il nome del primo grande re d’Israele!
« Io sono un giudeo, nato a Tarso, in Cilicia, educato nella città di Gerusalemme, istruito ai piedi di Gamaliele nelle rigorosa osservanza della legge dei padri, pieno di zelo per Dio… »(Atti degli Apostoli, capitolo 22).
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo, quando ero nel Giudaismo: come perseguitavo la Chiesa di Dio, accanito com’ero nel difendere le tradizioni dei padri… Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò a sé con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo, perché io lo annunziassi ai pagani, io subito andai in Arabía… poi tornai a Damasco… Dopo tre anni salii a Gerusalemme a consultare Cefa… Personalmente ero sconosciuto alle chiese della Giudea che sono in Cristo: avevano solo sentito dire: « colui che un tempo ci perseguitava adesso annuncia quella fede che allora cercava di distruggere », e glorificavano Dio a causa mia. (lettera ai cristiani della Galazia, capitolo 1,13-24)Paolo prigioniero per Cristo, dipinto di Rembrant
Messo a ko sul ring della via di Damasco da Gesù di Nazaret, Colui che egli considerava il suo più grande rivale, tutta l’esistenza di Saulo si qualifica ormai in prima e dopo Damasco. E per amore di Gesù ‘il mio Signore’ diventa volontariamente il più piccolo colui che, per amore di se stesso, mirava con tutto l’essere a diventare il più grande
A me, il più piccolo di tutti (= paulissimus!) è stata concessa questa grazia: di annunziare a tutte le genti la straordinaria ricchezza che è Cristo Gesù. (Lettera ai cristiani di Efeso 3,8; vedi Lettera ai cristiani di Filippi 3).

conoscenza umana. la sua grazia sia su tutti coloro che lo cercano con amore.

BATTAGLIA SPIRITUALE (Ef 6,10)

http://www.donmarcogalanti.it/leggi_notizia.php?id=351

Per noi Cristiani, Parola di Dio e Tradizione della Chiesa, sono il fondamento e una non può essere dissociata dall’atra… prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere …

BATTAGLIA SPIRITUALE

 » Rivestitevi dell’armatura di Dio , per poter resistere e superare tutte le prove  » (EFESINI 6,10)   « …Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi… ».  

Cosa significa? Significa indossare quell’armatura della vita che ci fa essere autentici e mai, come noi militari, questa immagine ci può aiutare a comprendere cosa significhi essere autentici in ciò che siamo, in ciò che facciamo, in ciò che scegliamo.   Essere autentici Cristiani, significa, dunque, fare delle scelte di vita quotidiana, essere fedeli a dei principi e lo spirito di conoscenza, di apertura di dialogo vanno bene, ma non devono far perdere di vista quali sono i punti fermi della nostra fede. Questo vale per gli adulti, ma quando si parla di bambini e ragazzi allora l’impegno è più pressante perché deve essere la comunità cristiana, nel suo insieme, a testimoniare e spiegare quali sono i punti della fede ai quali non possiamo rinunciare, ma talvolta l’egoismo, quello che diciamo: “non c’è nulla di male, non uccido, non rubo ….” sono luoghi comuni che ci scusano, che ci giustificano, che credono di darci apertura e intelligenza, ma purtroppo no! significa solo pigrizia, interesse personale  egoismo. Scelte apparentemente innocenti sono scelte contro la propria fede, il proprio credo e l’apertura e il dialogo vanno fatti nei tempi e nei modi giusti senza rinunciare alle proprie convinzioni. Questo accade anche e soprattutto ai nostri cristiani quelli più assidui che pensano che andando a Messa tutti i giorni e tutte le domeniche, che essendo impegnati in parrocchia, questo basta e poi la vita e le scelte come sono? Scelte di lavoro, di educazione … conoscere altre filosofie, altre religioni, altri modi di vita è lecito, ma non è accettabile svendere la propria fede, se di fede si tratta ovviamente, al primo che arriva che con un semplice specchietto riesce a prendere le “allodole”. Dove sta la nostra serietà di scelta, la nostra verità di fede, la nostra morale, dove? Essere cristiani significa essere coerenti nella vita privata, personale, famigliare, sociale, insomma in ogni aspetto della nostra vita, nessuno escluso. Non si può dire di essere di Cristo e poi fare scelte differenti a questo. Ma sai: “amore, pace, creato … non sono cose brutte non c’è nulla di male”, certo non c’è nulla di male, ma essere cristiani non significa fare poesia, ma seguire, imitare scegliere una Persona e questo coinvolge tutta la nostra vita, non un’ora alla settimana i nostri impegni. Ora questo per spronare a fermarsi a riflettere sulle scelte che quotidianamente facciamo e verificare se non sono egoistiche, apparentemente buone e poi invece ci fanno perdere il senso del nostro credo. Per noi Cristiani, Parola di Dio e Tradizione della Chiesa, sono il fondamento e una non può essere dissociata dall’atra. Ma sai: “io credo in Dio, ma non credo nella Chiesa….” Comodo e basta. Gli errori di alcuni, se mettono in dubbio la nostra fede, significa che non è fede. Una madre il cui figlio compie un tradimento ci rimane male, s’interroga se ha fatto tutto per educare, insegnare, dare esempio, alla fine lo rimprovera, ma lo ama. Non dimentichiamo mai chi siamo, che fede abbiamo e cosa significa essere di Cristo e della Chiesa. Non rinunciamo, alla nostra fede svendendoci per apparenti innocenti interessi altruistici, questo è l’inizio della fine, è la punta di una fede debole. Se le cose non si sanno, chiedete, informatevi, impegnatevi a conoscere, altre filosofie, altre religione, altre chiese, altre culture …. ma conoscere e capire per vivere con maggior impegno le nostre scelte di fede, per essere fedeli seriamente, questo è l’atteggiamento giusto da assumere e con il quale vivere e confrontarsi nella vita il resto è superficialità e comodo personale. Il caos e la confusione, sono origine sempre del male e del limite. L’origine del male è nelle piccole cose e noi cristiani dobbiamo mettere quell’armatura indispensabile per combatterlo e non lasciarci confondere e annientare.

Publié dans:Lettera agli Efesini |on 19 septembre, 2016 |Pas de commentaires »

PAPA BENEDETTO – UDIENZA GENERALE – CANTICO CFR EF 1,3-10 DIO SALVATORE

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20050706.html

UDIENZA GENERALE – CANTICO CFR EF 1,3-10 DIO SALVATORE

Mercoledì, 6 luglio 2005

Cantico cfr Ef 1,3-10 Dio salvatore Vespri – Lunedì 3a settimana

1. Questo inno della Lettera agli Efesini (cfr Ef 1,3-14), che ritorna nella Liturgia dei Vespri di ognuna delle quattro settimane, è una preghiera di benedizione rivolta a Dio Padre. Il suo svolgimento è dedicato a delineare le varie tappe del piano di salvezza che si compie attraverso l’opera di Cristo. Al centro della benedizione risuona il vocabolo greco mysterion, un termine associato di solito ai verbi di rivelazione («rivelare», «conoscere», «manifestare»). È questo, infatti, il grande progetto segreto che il Padre aveva custodito in se stesso fin dall’eternità (cfr v. 9) e che ha deciso di attuare e rivelare «nella pienezza dei tempi» (cfr v. 10) in Gesù Cristo, suo Figlio. Le tappe di questo piano sono scandite nell’inno dalle azioni salvifiche di Dio per Cristo nello Spirito. Il Padre innanzitutto ci sceglie perché camminiamo santi e immacolati nell’amore (cfr v. 4), poi ci predestina ad essere suoi figli (cfr vv. 5-6), inoltre ci redime e ci rimette i peccati (cfr vv. 7-8), ci svela pienamente il mistero della salvezza in Cristo (cfr vv. 9-10), infine ci dona l’eredità eterna (cfr vv. 11-12) offrendocene la caparra nel dono dello Spirito Santo in vista della risurrezione finale (cfr vv. 13-14). 2. Molteplici sono, quindi, gli eventi salvifici che si succedono nello snodarsi dell’inno. Essi coinvolgono le tre Persone della Santissima Trinità: si parte dal Padre, che è l’iniziatore e l’artefice supremo del piano di salvezza; si fissa lo sguardo sul Figlio che realizza il disegno all’interno della storia; si giunge allo Spirito Santo che imprime il suo «suggello» a tutta l’opera della salvezza. Noi ora ci fermiamo brevemente sulle prime due tappe, quelle della santità e della filiazione (cfr vv. 4-6). Il primo gesto divino, rivelato e attuato in Cristo, è l’elezione dei credenti, frutto di un’iniziativa libera e gratuita di Dio. In principio, quindi, «prima della creazione del mondo» (v. 4), nell’eternità di Dio, la grazia divina è disponibile ad entrare in azione. Questa chiamata ha come contenuto la «santità» che è partecipazione alla purezza trascendente dell’Essere divino e alla sua intima essenza di «carità»: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). L’agape diventa così la nostra realtà morale profonda. Siamo, quindi, trasferiti nell’orizzonte sacro e vitale di Dio stesso. 3. In questa linea si procede verso l’altra tappa, anch’essa contemplata nel piano divino fin dall’eternità: la nostra «predestinazione» a figli di Dio. Paolo esalta altrove (cfr Gal 4,5; Rm 8,15.23) questa sublime condizione di figli che implica la fraternità con Cristo, il Figlio per eccellenza, «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29) e l’intimità nei confronti del Padre celeste che può ormai essere invocato Abbá, «padre caro», in un rapporto di spontaneità e di amore. Siamo, quindi, in presenza di un dono immenso reso possibile dal «beneplacito della volontà» divina e dalla «grazia», luminosa espressione dell’amore che salva.4. Ci affidiamo ora, in conclusione, al grande Vescovo di Milano, sant’Ambrogio, il quale in una delle lettere commenta le parole dell’apostolo Paolo agli Efesini, soffermandosi proprio sul ricco contenuto del nostro inno cristologico. Egli sottolinea innanzitutto la grazia sovrabbondante con la quale Dio ci ha resi suoi figli adottivi in Cristo Gesù. «Non bisogna perciò dubitare che le membra siano unite al loro capo, soprattutto perché fin dal principio siamo stati predestinati all’adozione di figli di Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (Lettera XVI ad Ireneo, 4: SAEMO, XIX, Milano-Roma 1988, p. 161). Il santo Vescovo di Milano prosegue la propria riflessione osservando: «Chi è ricco, se non il solo Dio, creatore di tutte le cose?». E conclude: «Ma è molto più ricco di misericordia, poiché ha redento tutti e – quale autore della natura – ha trasformato noi, che secondo la natura della carne eravamo figli dell’ira e soggetti al castigo, perché fossimo figli della pace e della carità» (n. 7: ibidem, p. 163).

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