Archive pour février, 2009

DOMENICA 1 MARZO 2009 – PRIMA DI QUARESIMA

DOMENICA 1 MARZO 2009 - PRIMA DI QUARESIMA dans EAQ - (dal sito francese) - 17%20RUBENS%20TEMPTATION%20OF%20CHRIST%20BB

Rubens Temptation of Christ

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-04,01-Temptation_and_freedom_Tentation_et_%20liberte/slides/17%20RUBENS%20TEMPTATION%20OF%20CHRIST%20BB.html

DOMENICA 1 MARZO 2009 – PRIMA DI QUARESIMA

letture della messa del giorno:

http://www.maranatha.it/Festiv2/quaresB/QuarB1Page.htm

dal sito EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090301

Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizioni sui salmi, Sal 60 ; CCL 39, 766

« Essendo stato lui stesso provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato » (Eb 4, 15)

«Esaudisci, Dio, la mia supplica; tendi l’orecchio alla mia preghiera… Dai confini della terra a te ho gridato, nell’angoscia del mio cuore» (Sal 60,2-3). Non si tratta dunque di un solo individuo (sebbene in Cristo, di cui siamo le membra (Ef 5,23), noi tutti abbiamo unità). Una persona singola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? … È, pertanto, nell’angoscia quest’uomo che grida dai confini della terra; è nell’angoscia ma non è abbandonato. Poiché il Signore ha voluto darci in antecedenza un’idea della sorte che attende il suo corpo che siamo noi…
Egli ci ha insegnato a riconoscerci in lui, quando volle essere tentato da satana. Leggevamo ora nel Vangelo che il Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto. Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Così, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo.
Ti preoccupi perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato. Non c’è, dunque, da stupirsi se, in mezzo alle tentazioni, il salmista grida dai confini della terra. Ma perché non è sconfitto? Nella pietra mi hai innalzato… Ricordiamo il Vangelo: «Sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Grida dunque dai confini della terra colei che egli ha voluto fosse edificata sopra la pietra. Ma, al fine di costruire la Chiesa sopra la pietra, chi si è fatto pietra? Ascolta Paolo che dice: «E la pietra era Cristo» (1 Cor 10,4). In lui noi siamo edificati: ed è stato per noi che la pietra nella quale noi siamo edificati venne per prima battuta dai venti, dal fiume, dalla pioggia ( Mt 7,25), che cioè Cristo fu tentato dal diavolo. Ecco la solidità su cui volle poggiasse il tuo edificio.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Sal 60, 2-3; CCL 39, 766)

In Cristo siamo stati tentati e in lui abbiamo vinto il diavolo
«Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t’invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).
Dunque, è questo possesso di Cristo, quest’eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest’unica Chiesa di Cristo, quest’unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t’invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l’ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.
Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.

PRIMI VESPRI

Lettura breve   2 Cor 6, 1-4a
Fratelli, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso (Is 49, 8). Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio.

SECONDI VESPRI

Lettura Breve   1 Cor 9, 24-25
Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile.

VENERDÌ 27 FEBBRAIO 2009 – DOPO LE CENERI

VENERDÌ 27 FEBBRAIO 2009 -  DOPO LE CENERI

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

La preghiera è luce per l’anima
La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. E’, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Jean-Marie Lustiger

dal sito:

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa/070807tincq.pdf

Jean-Marie Lustiger

di Henri Tincq

in « Le Monde » del 7 agosto 2007

Nessun uomo di Chiesa in Francia ha avuto un destino così singolare e una carriera così atipica. Non solo perché Aaron Lustiger, figlio di una famiglia di immigrati ebrei proveniente dalla Polonia – nato il 17 settembre 1926 a Parigi – ha percorso tutte le tappe fino a quella di arcivescovo della capitale (Parigi) e di persona molto ascoltata dal papa a Roma, e già questo sarebbe bastato a distinguerlo. Ma perché in Francia, per più di un quarto di secolo, è riuscito ad incarnare il volto di una Chiesa senza dubbio più brillante e dialogica di quanto essa sia in realtà. Riuniva in sé la « verticalità » dell’ebreo che era per nascita, radicalmente rivolto a Dio e alla sua parola, e l’ »orizzontalità » del cristiano che era diventato a 14 anni, ultraclericale e contemporaneamente molto laico, tradizionale e insieme moderno.
Il suo nonno materno si chiamava come lui Aaron Lustiger, rabbino di Bedzin, in Slesia (Polonia), portava barba e filatteri ed era arrivato in Francia prima della guerra del 1914. I suoi genitori, naturalizzati agli inizi degli anni 20, sono commercianti nella via Simart, nel 18° arrondissement di Parigi. Non frequentano la sinagoga, ma educano i loro due figli nella coscienza della loro identità ebraica, stimolando il loro gusto per lo studio e la loro fedeltà ad una morale esigente.
Aaron Lustiger, la cui infanzia è « felice, ma rigorosa », studia al liceo Montaigne di Parigi, scopre
l’Antico Testamento e il Vangelo da un professore di pianoforte, poi l’antisemitismo nei racconti
dei suoi genitori e nella letteratura. Ma non mette allora in connessione l’antisemitismo e la fede cristiana, che scopre provvidenzialmente nel 1937, in occasione di un soggiorno in Germania presso una famiglia protestante.
La guerra costringe i suoi genitori a rifugiarsi a Orléans. E’ lì che compie l’atto decisivo della sua vita: la sua conversione al cristianesimo durante la Settimana santa del 1940. Il futuro cardinale ha 14 anni quando viene battezzato, il 25 agosto 1940. Mantiene il suo nome Aaron – che figura nel calendario cristiano – a cui aggiunge quelli di « Jean » et « Marie ». Su questo battesimo fatto nel periodo dell’occupazione nazista sorgeranno molti interrogativi. Per tutta la sua vita, a rischio di irritare, spiegherà che il suo cristianesimo non ha mai significato una rinuncia alla sua identità ebraica.
Alla fine del 1940, quando sono promulgate le prime leggi antiebraiche del governo di Vichy, il
giovane Lustiger vive nascosto, con sua sorella, a Orléans, ma i suoi genitori portano la stella gialla. E si compie il dramma: mentre suo padre è in viaggio, sua madre, rimasta sola a Parigi per tenere la merceria di famiglia, è denunciata da un vicino, arrestata il 10 settembre 1942, condotta a Drancy e deportata ad Auschwitz.
Con la sua fede di neofita, Lustiger entra in seminario ed è ordinato prete nel 1954 a Parigi. E’
all’inizio cappellano alla Sorbona, dove il suo carisma attira molti studenti, futuri professori,
ingegneri, alti funzionari, giuristi. Ma, quando sembra giunto il tempo di »raccogliere la messe », il maggio 68 infiamma l’Università. Quegli avvenimenti lo sorprendono. Le sue certezze rischiano di crollare. « Non c’è posto per il Vangelo in questa baraonda », ruggisce in una di quelle formule maligne che non dispiacevano a questo « monello » parigino, che amava anche lo sberleffo.
Nel 1969 diventa parroco di Sainte-Jeanne-de-Chantal, una parrocchia borghese del 16° arrondissement di Parigi vicino alla circonvallazione. Lì sconvolge le abitudini e tesse i suoi primi rapporti – ad esempio con André Vingt-Trois, che sarà suo successore a capo della diocesi di Parigi – prima di tornare nel 1979 come vescovo ad Orléans dove frequenta assiduamente le parrocchie. Molto presto dimostra la sua attenzione puntigliosa per la liturgia, la sua intransigenza intellettuale, il suo temperamento di capotribù.
Il suo percorso si accelera, quando Giovanni Paolo II lo rimanda a Parigi, il 2 febbraio 1981, questa volta al primo posto, quello di arcivescovo, per succedere al cardinale François Marty, pastore ricolmo d’umore e d’umorismo, tutto l’opposto delle rigidità e angolosità di Jean-Marie Lustiger. Diventa ben presto famoso per la corazza in cui si trincera. Dominique Wolton e Jean-Louis Missika ci metteranno anni a convincerlo ad aprirsi nel suo libro-confessione Le Choix de Dieu (La scelta di Dio – ed. De Fallois, 1987). Eppure è inesauribile nelle sue omelie curate, spesso pungenti. E’ morbosamente perfezionista, giungendo a pronunciare i suoi discorsi ad alta voce prima di passare alla stesura definitiva.
Del monello parigino ha la franchezza. Sono famose le sue collere, le sue decisioni spesso imperiose. E’ ossessionato dalla paura di complotti, ha un senso acuto della sua superiorità intellettuale e di una missione che lo divora interamente. Chi non lo segue fino in fondo o si oppone a lui è perduto. Gli capita di far saltare le teste del suo « entourage » più prossimo o del suo clero, o ancora di manifestare irritazione nei confronti dei suoi colleghi vescovi. Il suo anticonformismo fa di lui una personalità battagliera nel dibattito pubblico e mediatico,
impulsiva, sempre controcorrente. Nel 1984 guida la contestazione contro la legge Savary tendente a creare il servizio pubblico dell’istruzione. Un milione di difensori della scuola cattolica scendono in piazza e François Mitterrand fa marcia indietro. In seguito sarà su tutti i fronti della battaglia sociale: la « follia » degli apprendisti-stregoni in medicina, la difesa dell’embrione, il divieto dell’eutanasia, della clonazione, poi le rivolte dei giovani, la disoccupazione, gli immigrati e i « feriti dalla vita », invitati esclusivi una notte di Natale a Notre-Dame, e infine l’Europa.
Mette in chiaro i rischi e l’importanza dei temi in discussione e colpisce ben al di là dell’opinione
cattolica, nonostante un tono che è sempre quello dell’imprecazione: contro l’Illuminismo e i « maestri del sospetto » (Marx, Nietzsche, Freud, etc.) che, rompendo i legami con la Rivelazione e volendo la « morte di Dio », hanno rischiato di provocare la « morte dell’uomo » a Auschwitz e nei gulag. Contro la « modernità » di un mondo senza Dio. Contro l’avanzata di un « neopaganesimo » che intuisce nelle tesi del Front National. Contro gli idoli del denaro, del sesso, del potere.
Per lui, il vescovo non è un uomo a parte. Deve uscire dalle sacrestie, partecipare ai dibattiti della società civile e del gota intellettuale. Lustiger coltiva le relazioni più audaci. Con i presidenti François Mitterrand e Jacques Chirac gioca « al gatto e al topo », come afferma lui stesso. La seduzione reciproca è grande, ma le delusioni numerose. Davanti a loro, il cardinale Lustiger sostiene la causa per la libertà delle scuole private, per dei ritmi scolastici conciliabili con la catechesi, per una laicità insieme ferma e rispettosa, per un dialogo ufficiale e regolare tra le autorità della Repubblica e della gerarchia cattolica. Questo sforzo giunge ad un esito positivo con Lionel Jospin e continua anche in seguito. Pur considerandosi figlio della Repubblica francese, si rifiuta, in nome del clero vittima del Terrore, di associarsi, nel 1989, alla commemorazione del bicentenario della Rivoluzione e alla « panteonizzazione » dell’abbé Grégoire, prete costituzionale.
Fin dalla prima volta in cui si presenta il problema del velo in Francia (1989), difende con ardore la legge del 1905 relativa alla separazione delle Chiese e dello Stato. Non smetterà di farlo, protestando anche contro i tentativi di Nicolas Sarkozy di organizzare l’islam di Francia, come se fosse una « religione di Stato »! Per riguardo a Jacques Chirac, allontana, proprio prima delle elezioni presidenziale del 1995, il padre Alain de la Morandais, giudicato troppo a favore dell’altro candidato Balladur, dal suo posto di ambasciatore della Chiesa nell’ambiente politico. Sono queste relazioni atipiche per un uomo di Chiesa che rendono il cardinal Lustiger tanto vicino alla società civile quanto straniero talvolta nella propria Chiesa.

concezione radicale della fede

Nel collegio cardinalizio – in cui è entrato nel 1983 – Monsignor Lustiger diventa tuttavia uno dei favoriti di Giovanni Paolo II (1978-2005). I due uomini hanno le stesse origini in Polonia, lo stesso amore per la filosofia, una concezione altrettanto radicale della fede cristiana, la stessa visione tragica della storia e della libertà e l’esperienza di due totalitarismi che hanno forgiato il loro temperamento eccezionale. Karol Wojtila incarna la resistenza spirituale in un società comunista atea. Lustiger, da parte sua, lo fa in una società francese laicizzata, secolarizzata all’estremo. Nasce una forte amicizia.
Cresce anche la simpatia tra il papa polacco e una Francia a lungo scettica nei suoi riguardi. La
svolta ha luogo nel 1996, in occasione di un riuscito viaggio di Giovanni Paolo II a Reims il 1500° anniversario del battesimo di Clodoveo – in un contesto di ostilità e di derisione laiche – e soprattutto nel 1997, in occasione delle Giornate mondiali della gioventù di Parigi. Un milione di giovani invadono il prato di Longchamps in agosto. E’ un trionfo per il papa e per il cardinal Lustiger, apostolo per la Francia della nuova evangelizzazione e di un cattolicesimo giovane e libero da complessi.
A Parigi, le sue iniziative non ricevono mai un consenso unanime. Ridefinisce e rilancia le parrocchie, si scontra con dei parroci onnipotenti, crea nel 1981 Radio Notre-Dame, poi nel 1999 la prima televisione cattolica, KTO. Il suo clero e i suoi confratelli vescovi lo accusano di « culto della personalità » quando crea i suoi percorsi per la formazione dei preti e per l’insegnamento teologico (la Scuola-Cattedrale).
Sordo alle critiche, Lustiger procede. La sua ultima grande iniziativa è stata una manifestazione di massa dei cattolici di Parigi per la festa di Ognissanti 2004. Paradossalmente, questo cardinale, che ottenne il massimo riconoscimento con l’elezione all’Académie Française nel 1995, è sempre stato battuto nelle elezioni per la presidenza della Conferenza episcopale francese. Ma quest’uomo, che conosce bene la sua storia ebraica, sa che nessuno è profeta in patria.

Figlio dell’Antica e Nuova Alleanza

E’ nella riconciliazione tra la Chiesa e l’ebraismo che Aaron Lustiger, figlio di una famiglia ebrea e di una madre deportata ed uccisa ad Auschwitz ha mostrato la sua statura. Figlio dell’Antico e del Nuovo Testamento, come lui stesso si definiva, ha portato nella carne la sofferenza e la vocazione proprie del popolo ebraico.
La singolarità della Shoah stava per lui nella volontà assoluta di sterminare « il popolo ebraico in quanto portatore della Parola divina, della Legge, dei Comandamenti ». Ossia una rottura per la cancellazione delle frontiere fra bene e male, rimasta una « tentazione universale ». Non spiegava altrimenti i drammi posteriori della Cambogia, del Ruanda o della Bosnia.
Non aveva ricevuto una grande educazione ebraica, ma aveva un senso acuto del destino del popolo ebraico e del suo posto privilegiato nella storia della salvezza. Con la sua conversione e la sua entrata nella Chiesa, compiva la vocazione di Israele, la « promessa » fatta da Dio al suo popolo, ma anche alle « nazioni », ai gentili, ai pagani. Amava dire che più la sua fede cristiana era maturata, più il Cristo gli era apparso come il « Messia di Israele ». (La Promesse, Parole et silence, 2002).
Fin dal 1981 aveva interpretato la sua nomina ad arcivescovo di Parigi come la « evidenziazione » della parte di ebraismo che il cristianesimo porta in sé. Ed aveva usato questa formula che allora a molti non era piaciuta: « E’ come se tutto ad un tratto i crocifissi si fossero messi a portare la stella gialla! » Chiaramente il suo discorso fu largamente incompreso nella comunità ebraica. Gli è valso dei battibecchi con il suo amico Elie Wiesel ed una polemica, in visita a Tel-Aviv nel 1996, con il gran rabbino Meïr Lau d’Israele.
Nel dialogo ufficiale tra cattolici ed ebrei, compariva poco sulla scena, spingendo invece in primo piano il suo amico Albert Decourtray (morto nel 1994), arcivescovo di Lione, unico ad accompagnarlo, il 23 giugno 1983, nella sua prima visita ad Auschwitz, la « tomba » di sua madre.
Con Théo Klein e altre personalità ebraiche e cattoliche, ha condotto le delicate trattative per tentare di risolvere nel 1983 il caso della carmelitane polacche che si erano stabilite nel campo di Auschwitz e che accetteranno di lasciare questo luogo solo dieci anni dopo (nel 1994).
Dopo l’irritazione degli inizi, il suo ruolo e il suo prestigio non cesseranno più di aumentare nella comunità ebraica. Monsignor Lustiger sarà uno dei primi ispiratori ed autori della dichiarazione di « pentimento » dell’episcopato francese nel settembre 1997 a Drancy e un artigiano del successo della visita di Giovanni Paolo II a Gerusalemme nel 2000. La loro visita a Yad Vashem e al muro del pianto fu un pellegrinaggio della memoria, del riconoscimento del debito cristiano ai « fratelli maggiori » ebrei. Un passo inaudito, ma non ancora conclusivo, della riconciliazione tra « l’ulivo buono » di cui parlava San Paolo e « l’ulivo selvatico ».
Alla fine della sua vita, Monsignor Lustiger rappresenta ancora il papa nel gennaio 2005, in occasione delle cerimonie del 50° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz. E, nel
maggio 2006, sarà presente a Birkenau, sulla rampa della morte, accanto a Benedetto XVI. Nonostante il procedere della malattia guidava delegazioni di cardinali di tutto il mondo e di vescovi francesi negli ambienti ebrei più ortodossi di New York. La sua ultima visita risale al marzo 2007.

Publié dans:c.CARDINALI, Card. Jean Marie Lustiger |on 28 février, 2009 |Pas de commentaires »

questa sono io ora…più o meno…a domani o dopodomani, ciao!

questa sono io ora...più o meno...a domani o dopodomani, ciao! dans 1. CON TE PAOLO raffreddore

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Publié dans:1. CON TE PAOLO |on 27 février, 2009 |Pas de commentaires »

Beata Teresa di Calcutta : « Prenda la sua croce e mi segua »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090226

Giovedì dopo le Ceneri : Lc 9,22-25

Meditazione del giorno

Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
Something Beautiful for God

« Prenda la sua croce e mi segua  »

Signore, la tua crocifissione e la tua risurrezione ci insegnino ad affrontare la lotta della vita quotidiana e ad attraversare l’angoscia della morte, affinché viviamo in una pienezza più grande e più creatrice. Umilmente e pazientemente hai accettato i fallimenti della vita umana, come la sofferenza della tua crocifissione. Aiutaci ad accettare le pene e le lotte che ogni giornata ci porta, come delle occasioni di crescere e di assomigliarti maggiormente. Rendici capaci di affrontarle pazientemente e con coraggio, con una piena fiducia nella tua protezione. Facci capire che giungeremo alla pienezza della vita soltanto tramite una morte incessante a noi stessi a ai nostri desideri egoisti. Soltanto morendo con te infatti potremo risuscitare con te.

Papa Benedetto XVI : « Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio » (2 Cor 5,20)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090225

Meditazione del giorno

Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 06/02/08 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio » (2 Cor 5,20)

In origine, nella Chiesa primitiva, la Quaresima era il tempo privilegiato per la preparazione dei catecumeni ai sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, che venivano celebrati nella Veglia di Pasqua. La Quaresima veniva considerata come il tempo del divenire cristiani, che non si attuava in un solo momento, ma esigeva un lungo percorso di conversione e di rinnovamento. A questa preparazione si univano anche i già battezzati riattivando il ricordo del Sacramento ricevuto, e disponendosi a una rinnovata comunione con Cristo nella celebrazione gioiosa della Pasqua. Così, la Quaresima aveva, ed ancor oggi conserva, il carattere di un itinerario battesimale, nel senso che aiuta a mantenere desta la consapevolezza che l’essere cristiani si realizza sempre come un nuovo diventare cristiani: non è mai una storia conclusa che sta alle nostre spalle, ma un cammino che esige sempre un esercizio nuovo.

Imponendo sul capo le ceneri il celebrante dice: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen 3,19), oppure ripete l’esortazione di Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Entrambe le formule costituiscono un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori bisognosi sempre di penitenza e di conversione. Quanto è importante ascoltare ed accogliere questo richiamo in questo nostro tempo! Quando proclama la sua totale autonomia da Dio, l’uomo contemporaneo diventa schiavo di sé stesso e spesso si ritrova in una solitudine sconsolata. L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a fidarsi di Lui, ad affidarsi a Lui come figli adottivi, rigenerati dal suo amore… Convertirsi vuol dire allora lasciarsi conquistare da Gesù (Fil 3,12) e con Lui «ritornare» al Padre. La conversione comporta quindi porsi umilmente alla scuola di Gesù e camminare seguendo docilmente le sue orme.

Mercoledì delle ceneri 2009

Mercoledì delle ceneri 2009 dans immagini sacre 21%20EV%20ET%20PEINTURE%20QUE%20VOTRE%20AUMONE%20SOIT%20DISCRETE

Mt 6, 1ss  – Preghiera del Padre nostro, pregate in segreto, l’immagine sembra ricordare Mc 12 e Lc 21, l’obolo della vedova

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-06,01-Prayer%20Our%20Father_Priere%20Notre%20Pere/slides/21%20EV%20ET%20PEINTURE%20QUE%20VOTRE%20AUMONE%20SOIT%20DISCRETE.html

Publié dans:immagini sacre |on 24 février, 2009 |Pas de commentaires »
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