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IL GIOCO DI DIO – GIANFRANCO RAVASI

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IL GIOCO DI DIO

GIANFRANCO RAVASI

27 ottobre 2011

 » Ero con lui come una giovane, ero la sua delizia ogni giorno, giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre… » (Proverbi 8,30-31)

«Mentre la beata Umiliana giaceva nel suo letto, ecco un bambino di quattro anni, dal volto bellissimo. Giocava con impegno proprio nella sua cella davanti a lei che gli disse: “Carissimo bambino, non sai fare altro che giocare?”. E il bambino: “Che altro vuoi che faccia?”. E la beata: “Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio”. E il bimbo: “Credi che sia bene che uno parli di sé stesso?”. E con queste parole disparve». Questo episodio della vita della beata Umiliana de’ Cerchi (1219-1246), narrato dal suo biografo, fra Vito da Cortona, ha certamente alla base un’allusione alla frase evangelica sul diventare piccoli come bambini per essere grandi nel Regno dei cieli (Matteo 18,4).
Tuttavia, l’originalità sta nell’applicazione a Dio stesso dell’immagine del bambino che gioca. Ora, nel passo biblico che noi abbiamo estratto da un inno grandioso in cui la Sapienza divina si autopresenta, si ha una sorprendente metafora per definirla: è quella da noi tradotta con «giovane». In realtà, in ebraico abbiamo un termine che non ricorre altrove nella Bibbia, ’amôn (si trova, però, due volte nella variante hamôn) e che potrebbe designare anche un “architetto, artefice”, ma è possibile pure la resa “ragazzo, giovane”.
Sia nell’uno sia nell’altro caso la Sapienza del Creatore – che in questo inno è personificata sotto i tratti di una figura femminile – sarebbe raffigurata con simboli che evocano arte, festa, bellezza. A spingerci verso l’immagine della ragazza è proprio il verbo successivo che per due volte parla di “gioco”. Nelle distese immense dei cieli, negli spazi mirabili della natura Dio sembra del tutto immerso in un atto creativo libero e appassionato, un po’ come accade al bambino quando sta giocando. Tutte le sue energie intellettuali e fisiche sono assorbite in quel piacere intimo e totale. È ciò che si ripete per l’artista quando è coinvolto nella sua attività creatrice: nulla lo distrae e il suo spirito e il suo corpo sono totalmente consacrati all’opera che sta uscendo dalle sue mani.
Ebbene, non di rado in teologia si è ricorsi proprio al simbolo del gioco e della creazione artistica per parlare “analogicamente” di Dio. Chi conosce qualcosa di questa scienza sacra avrà sentito parlare, ad esempio, dell’“analogia estetica” sviluppata dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, oppure di quella “ludica” (cioè legata all’immagine del gioco) suggerita dall’americano Harvey Cox. Il gioco puro, senza l’inquinamento dell’interesse o della violenza come avviene oggi in certi sport, il gioco innocente e libero del bambino può essere un’analogia, cioè un modo umano adatto a descrivere la divinità, la felicità di Dio e in Dio.
L’abbandono di tutto l’essere che l’artista, come si diceva, sperimenta nell’istante creativo si trasforma in un segno visibile dell’infinita perfezione della mente e dell’azione del Creatore. C’è, a questo proposito, un testo molto suggestivo di Lutero che, ammiccando idealmente al passo del libro dei Proverbi da noi proposto, così dipinge la meta ultima della storia e dell’essere: «Allora l’uomo giocherà con il cielo e con la terra, giocherà con il sole e con tutte le creature. Tutte le creature proveranno anche un piacere immenso, un amore immenso, una gioia lirica, e rideranno con te, o Signore, e tu a tua volta riderai con loro».

27 ottobre 2011

Un tempo per giocare

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Rubriche Giovani

Un tempo per giocare

Dicembre 2011

Sebbene il gioco sia sempre stato considerato come qualcosa legato esclusivamente all’infanzia, da qualche anno si sta sviluppando una nuova concezione dell’attività ludica, non più vista come momento gratuito di svago, ma come un vero e proprio metodo finalizzato a stimolare l’apprendimento degli studenti nelle scuole e ad aumentare la produttività dei dipendenti nelle grandi aziende.
A causa di questo nuovo orientamento, ormai da tempo vediamo comparire, per esempio, videogiochi « istruttivi » e assistiamo al sorgere di palestre e aree di ricreazione nei luoghi di lavoro.
A prima vista, la Bibbia sembra tacere su questo argomento, ma noi desideriamo applicarci nello studio della Parola, affinché essa possa disciplinare ogni aspetto della nostra vita…
Al contrario di quanto si possa pensare, il gioco esiste fin dagli albori della storia umana.
Nelle Scritture questo termine ricorre raramente, eppure possiamo rintracciarvi degli indizi che testimoniano l’esistenza di questa pratica persino nel popolo d’Israele.
Nel corso dei secoli, molti filosofi, psicologi e sociologi hanno studiato il gioco, classificandolo in varie tipologie a seconda delle caratteristiche ed evidenziandone l’importanza dal punto di vista pedagogico, ma senza disperdersi in tali inutili ripartizioni, a noi occorre distinguere a grandi linee le forme di gioco e svago riscontrabili nella Bibbia.
Nelle Sacre Scritture troviamo riferimenti più o meno espliciti ai giochi d’azzardo, ai divertimenti conviviali (come i banchetti) e ai giochi sportivi.
Di fronte a questa prima suddivisione, possiamo già individuare una particolare forma di gioco che il mondo sembra praticare in maniera febbrile, ma che non si addice ad un cristiano: il gioco d’azzardo.
La Bibbia ci testimonia che tale attività era già in voga nell’antichità, infatti è scritto che quando Cristo fu crocifisso, i soldati tirarono a sorte per aggiudicarsi come vincita la sua tunica (Matteo 27:35).
Oggi il gioco d’azzardo è una delle molte piaghe che affliggono la nostra società, la quale, essendo attirata dalla possibilità di vincere del denaro, tenta la sorte ma poi viene ingannata dal laccio del vizio.
La Parola è molto chiara su questo argomento: « Ma coloro che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione, nel laccio e in molte passioni insensate e nocive, che fanno sprofondare gli uomini nella rovina e nella distruzione » (1 Timoteo 6:9).
Alcuni ritengono che non ci sia nulla di male nel giocare senza scommettere denaro, ma al di là di questo, personalmente ritengo che non sia molto edificante, per esempio, vedere un cristiano seduto ad un tavolo con delle carte da gioco in mano.
Leggendo la Bibbia, ci si potrebbe giustificare affermando che presso il popolo d’Israele fosse consuetudine tirare a sorte, ma in questo caso occorre fare un chiarimento.
Nella Scrittura è riportato che gli israeliti usavano tirare a sorte non per giocare, per tentare la fortuna o per aggiudicarsi delle vincite, ma unicamente per prendere decisioni importanti o per spartirsi la proprietà della terra.
In Giosuè 18:10 è chiaramente detto che Giosuè tirò le sorti per il popolo davanti all’Eterno.
Questa dicitura significa che anche se Israele utilizzò una pratica apparentemente regolata dal caso e dalla fortuna, ogni decisione e ogni evento era stato già stabilito da Dio e da Lui gli uomini attendevano la rivelazione e la manifestazione della sua volontà, perché: « Le disposizioni del cuore appartengono all’uomo, ma la risposta della lingua viene dall’Eterno » (Proverbi 16:1).
Oggi, per noi credenti, non è più necessario tirare a sorte per conoscere la volontà di Dio, perché Egli ci ha donato lo Spirito Santo, il quale ci rivela la volontà del Padre contenuta nella Parola che leggiamo.
Veniamo ai banchetti: nei tempi antichi essi costituivano il modo più consueto di divertirsi e rilassarsi.
Ogni avvenimento particolare e ogni ricorrenza come la mietitura, la vendemmia o la nascita di un figlio, offrivano il pretesto per organizzare dei conviti nei quali, oltre al cibo, erano protagonisti la musica, le danze e alcuni giochi come la proposta di enigmi e indovinelli (Giudici 14:12, 1 Re 10:1).
Israele aveva delle occasioni particolari nelle quali si riuniva per condividere il cibo, come ad esempio la festa della Pasqua, ma anche in questo caso l’attitudine del popolo di Dio era diversa da quella dei gentili, poiché essi celebravano delle feste comandate dalla legge in onore dell’Eterno.
Questa considerazione fa nascere spontanea una domanda: le agapi organizzate dai credenti del nuovo testamento, possono essere considerate delle occasioni di svago e divertimento?
Innanzitutto l’agape non è un’opportunità di « svagarsi in maniera cristiana », ma nasce dal dovere dell’amore fraterno, che fra le tante opere, trova espressione anche tramite la partecipazione dei credenti ad un pasto comune.
Un’agape, per essere tale, non può nascere dalla volontà di pochi fedeli che decidono di riunirsi tra loro, ma deve essere decisa dal pastore e richiede la partecipazione di tutti i credenti dalla chiesa.
Bisogna stare attenti al modo con il quale ci si accosta a tali attività e non bisogna dimenticare che l’apostolo Paolo dovette intervenire nella chiesa di Corinto perché si erano introdotti dei disordini nello svolgimento delle agapi, che erano diventate soltanto delle occasioni per sollazzarsi.
Infine abbiamo lo sport, alla cui pratica la cultura ebraica lasciava poco spazio, sebbene l’abilità bellica di alcuni uomini fa supporre che si praticasse comunque l’allenamento e l’esercizio fisico (Giudici 20:16).
La cultura ellenista, imperante ai tempi dell’apostolo Paolo, incoraggiava l’organizzazione di giochi e gare atletiche che infondevano nei partecipanti il senso della disciplina, uno stile di vita sano e il rispetto delle regole.
Ai credenti di Corinto dovevano essere ben noti questi elementi culturali, infatti Paolo li utilizza per istituire un paragone tra l’atleta mondano e l’atleta cristiano: « Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono bensì tutti, ma uno solo ne conquista il premio? Correte in modo da conquistarlo » (1 Corinzi 9:25).
Abbiamo ampiamente dimostrato che la Bibbia ci testimonia dell’esistenza di varie tipologie di gioco e divertimento, ma ora è il momento di domandarsi: è lecito per un cristiano dedicarsi a queste forme di svago?
Ho investigato a lungo il Nuovo Testamento alla ricerca di un accenno ad un momento ludico o di ricreazione o di ilarità da parte del Signore e degli apostoli, ma non l’ho trovato.
Persino durante la sua infanzia, Gesù non prendeva parte ai giochi dei suoi coetanei ma preferiva stare presso il tempio a discutere con i dottori della legge: « E avvenne che, tre giorni dopo, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a far loro domande » (Luca 2:46) e i primi convertiti, a quanto pare, seguivano il suo esempio: « E perseveravano con una sola mente tutti i giorni nel tempio e rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore… » (Atti 2:46).
Timoteo era un giovane ministro sul quale gravava il peso di un’opera importante e sicuramente anche lui era soggetto a momenti di malattia e di stanchezza, ma nonostante questo, l’apostolo Paolo non gli consiglia di prendersi un periodo di riposo per dedicarsi ai suoi interessi e ricrearsi, anzi lo incoraggia a dedicarsi maggiormente all’opera: « Applicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento, finché io venga. Non trascurare il dono che è in te che ti è stato dato per profezia, con l’imposizione delle mani da parte del collegio degli anziani.
Adoperati per queste cose e dedicati ad esse interamente, affinché il tuo progresso sia manifesto a tutti » (1 Timoteo 4:13- 15).
Ricordo che quando facevo parte del coro dei bambini della chiesa, cantavo un cantico tratto dalle parole del Predicatore, il quale mi ricordava che c’era un tempo per giocare, ma anche un tempo per fare tante altre cose: « Per ogni cosa c’è la sua stagione, c’è un tempo per ogni situazione sotto il cielo » (Ecclesiaste 3:1).
L’apostolo Paolo ci dice ancora che: « Quand’ero un bambino, parlavo come un bambino, avevo il senno di un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino » (1 Corinzi 13: 11).
Quando entrai nel periodo dell’adolescenza cominciai a ricevere qualche piccolo incarico nella chiesa e di ciò ero entusiasta, perché mi sentivo più adulto e responsabile, ma ben presto compresi che servire il Signore significava sacrificare gran parte del mio tempo libero che fino a quel momento avevo dedicato ai miei giochi infantili.
Per un lungo periodo affrontai di malavoglia quei doveri che inizialmente avevo accettato di buon grado, ma successivamente, notando lo zelo che avevano gli altri giovani neoconvertiti, compresi di non avere più tempo da sprecare nei giochi e nei divertimenti proposti dal mondo e così pregai il Signore affinché potessi ricevere la stessa passione e lo stesso zelo dei miei fratelli per l’opera sua.
Questo mondo ci ruba già troppo tempo, ci obbliga a lavorare o a studiare per tante ore al giorno e ci lascia ben poco a disposizione, perciò non permettiamo che esso eserciti il controllo anche sul nostro tempo libero.
Il gioco è un elemento importante per la crescita di ogni bambino e sicuramente ha un forte valore formativo, ma prima o poi va abbandonato per dedicarsi con serietà ai doveri che giungono con l’età adulta.
L’adolescenza è proprio il momento adatto per iniziare questa prova di maturità: se ti accorgi che i giochi, i passatempi, i divertimenti e le proposte di svago di questo mondo ti impediscono di leggere la Bibbia, di pregare e di dedicarti all’opera di Dio, chiedi al Signore che possa infondere in te la fede e la costanza necessaria per non stimare più queste cose futili.
Il mondo mostra il suo zelo dedicandosi interamente a determinate attività ricreative con lo scopo di dare un significato la propria esistenza, ma i cristiani, che conoscono il vero scopo della vita su questa terra, devono profondere un impegno maggiore nelle cose del Padre, perché riceveranno un premio celeste: « Ora, chiunque compete nelle gare si auto-conrtolla in ogni cosa; e quei tali fanno ciò per ricevere una corona corruttibile, ma noi dobbiamo farlo per riceverne una incorruttibile » (1 Corinzi 9:25)

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