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PAPA FRANCESCO – Giuseppe il sognatore (2017) per il 1 maggio 2019

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PAPA FRANCESCO – Giuseppe il sognatore (2017) per il 1 maggio 2019

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Lunedì, 20 marzo 2017

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.66, 21/03/2017)

Nella solennità liturgica di san Giuseppe — quest’anno posticipata di un giorno per la concomitanza con la terza domenica di Quaresima — Papa Francesco ha celebrato la messa a Santa Marta, lunedì 20 marzo, soffermandosi proprio sulla figura del santo patrono della Chiesa universale. In lui il Pontefice ha indicato il modello di «uomo giusto», di «uomo capace di sognare», di «custodire» e «portare avanti» il «sogno di Dio» sull’uomo. Per questo lo ha proposto come esempio per tutti e in particolar modo per i giovani, ai quali Giuseppe insegna a non perdere mai «la capacità di sognare, di rischiare» e di assumersi «compiti difficili».
E tanti sogni per il loro futuro avevano sicuramente le tredici studentesse che proprio un anno fa morirono in un incidente stradale in Catalogna mentre partecipavano al programma di studi Erasmus. Per loro il Pontefice ha voluto espressamente offrire la celebrazione eucaristica, alla quale hanno partecipato anche i familiari delle sette ragazze italiane morte nello schianto del bus.
La meditazione di Francesco ha preso spunto dalla liturgia della parola che parla di «discendenza, eredità, paternità, filiazione, stabilità»: tutte espressioni, ha fatto notare, «che sono un promessa ma poi si concentrano in un uomo, in un uomo che non parla, non dice una sola parola, un uomo del quale si dice che era giusto, soltanto. E poi un uomo che noi vediamo che agisce come un uomo obbediente». Giuseppe, appunto.
Un uomo, ha proseguito il Papa, «del quale non sappiamo neppure l’età» e che «porta sulle sue spalle tutte queste promesse di discendenza, di eredità, di paternità, di filiazione, di stabilità del popolo». Una grande responsabilità che però, come si legge nel vangelo di Matteo (1, 16.18-21.24), si ritrova tutta concentrata «in un sogno». Apparentemente, ha detto il Pontefice, tutto ciò sembra «troppo sottile», troppo labile. Eppure proprio questo «è lo stile di Dio» nel quale Giuseppe si ritrova appieno: lui, un «sognatore» è capace «di accettare questo compito, questo compito gravoso e che ha tanto da dirci a noi in questo tempo di forte senso di orfanezza». Così egli accoglie «la promessa di Dio e la porta avanti in silenzio con fortezza, la porta avanti perché quello che Dio vuole sia compiuto».
Ecco quindi delineata «la figura di Giuseppe: l’uomo nascosto, l’uomo del silenzio, l’uomo che fa da padre adottivo; l’uomo che ha la più grande autorità in quel momento senza farla vedere». Un uomo, ha aggiunto il Papa, che potrebbe «dirci tante cose», eppure «non parla», che potrebbe «comandare», giacché comanda sul Figlio di Dio, eppure «obbedisce». A lui, al suo cuore, Dio confida «cose deboli»: infatti «una promessa è debole», così come è debole «un bambino», ma anche «una ragazza della quale lui ha avuto un sospetto». Debolezze che poi continuano anche negli eventi successivi: «pensiamo alla nascita del bambino, alla fuga in Egitto…».
«Tutte queste debolezze», ha spiegato il Pontefice, Giuseppe «le prende in mano, le prende nel cuore e le porta avanti come si portano avanti le debolezze, con tenerezza, con tanta tenerezza, con la tenerezza con la quale si prende in braccio un bambino». La liturgia, perciò, offre l’esempio dell’«uomo che non parla ma obbedisce, l’uomo della tenerezza, l’uomo capace di portare avanti le promesse perché divengano salde, sicure; l’uomo che garantisce la stabilità del regno di Dio, la paternità di Dio, la nostra filiazione come figlio di Dio». Ecco perché, ha rivelato il Papa, «Giuseppe mi piace pensarlo come il custode delle debolezze», anche «delle nostre debolezze». Infatti egli «è capace di far nascere tante cose belle dalle nostre debolezze, dai nostri peccati». Egli «è custode delle debolezze perché divengano salde nella fede».
Un compito fondamentale che Giuseppe «ha ricevuto in sogno», perché lui era «un uomo capace di sognare». Quindi egli non solo «è custode delle nostre debolezze, ma anche possiamo dire che è il custode del sogno di Dio: il sogno di nostro Padre, il sogno di Dio, della redenzione, di salvarci tutti, di questa ricreazione, è confidato a lui».
«Grande questo falegname!» ha esclamato il Pontefice, sottolineando ancora una volta come egli, «zitto, lavora, custodisce, porta avanti le debolezze, è capace di sognare». E a lui, ha detto Francesco, «io oggi vorrei chiedere: ci dia a tutti noi la capacità di sognare perché quando sogniamo le cose grandi, le cose belle, ci avviciniamo al sogno di Dio, le cose che Dio sogna su di noi». In conclusione, una particolare intercessione: «Che ai giovani dia — perché lui era giovane — la capacità di sognare, di rischiare e prendere i compiti difficili che hanno visto nei sogni». E a tutti i cristiani, infine, doni «la fedeltà che generalmente cresce in un atteggiamento giusto, cresce nel silenzio e cresce nella tenerezza che è capace di custodire le proprie debolezze e quelle degli altri».

 

OMELIA DI PAOLO VI – FESTIVITÀ DI SAN GIUSEPPE (1965)

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OMELIA DI PAOLO VI – FESTIVITÀ DI SAN GIUSEPPE (1965)

Venerdì, 19 marzo 1965

Dopo il Vangelo, il Santo Padre desidera dire una parola in onore di San Giuseppe, Sposo purissimo di Maria Vergine, e Patrono della Chiesa Universale.
Non intende tessere il panegirico, come si suole in onore dei santi, e ricordare le cose grandi che si possono ammirare in questi uomini superiori, tante volte favoriti dalla natura e sempre favoriti dalla Grazia; ma piuttosto guardare a una fondamentale caratteristica, alla piccolezza, alla paradossale, minima statura che di San Giuseppe offre la narrazione evangelica.
Che cosa di più umile, di più semplice, di più silenzioso, di più nascosto ci poteva offrire il Vangelo da mettere accanto a Maria e a Gesù? La figura di Giuseppe è proprio delineata nei tratti della modestia la più popolare, la più comune, la più – si direbbe, usando il metro dei valori umani – insignificante, giacché non troviamo in lui alcun aspetto che ci possa dare ragione della sua reale grandezza e della straordinaria missione che la Provvidenza gli ha affidato, e che forma, a buon diritto, il tema di tante considerazioni, anzi di tanti panegirici in onore di San Giuseppe.
Guardandolo nello specchio del racconto evangelico, Giuseppe ci si presenta con i tratti più salienti di estrema umiltà: un modesto e povero, oscuro, piccolo, primitivo operaio che nulla ha di singolare, che non lascia, nel Vangelo stesso, verun accento della sua voce. Nessuna parola di lui ci è ricordata: vi si parla unicamente del suo contegno, della sua condotta, di quanto ha fatto: e tutto in silenzioso nascondimento e in obbedienza perfetta.
Era il Padre putativo di Cristo; lo Sposo della Vergine Immacolata; colui che ha dato stato civile in terra a Nostro Signore; che gli ha tributato l’assistenza più devota e necessaria, quella di cui hanno bisogno i pargoli, i fanciulli, gli adolescenti; quella di cui necessitano anche coloro che lavorano ed incominciano a sperimentare le angustie della vita e quel ch’è inerente alla grave fatica e al quotidiano sudore della fronte.
Giuseppe è stato, in ogni momento ed in maniera esemplare, insuperabile custode, assistente, maestro. È stato quindi, in tale sua completa, sommessa dedizione, di una grandezza sovrumana che incanta. Fermiamo, perciò, il nostro sguardo, nella odierna ricorrenza, su questa sua umiltà. Come ci pare fraterna, e, si direbbe, vicina a tante nostre stature fragili, mediocri, trascurabili, peccatrici! Come si fa presto a entrare in confidenza con un Santo che non sa dare soggezione, che non vanta nessuna distanza da noi; anzi, con una degnazione che ci confonde, quasi quasi si mette ai nostri piedi per dire: vedi il livello che è stato a me assegnato! Ebbene, proprio a tale livello, a questa inesprimibile sottomissione, il Signore del Cielo e della terra si è curvato, ed ha voluto rendere onore; facendone oggetto della sua scelta, e preferendola a tutti gli altri valori umani.
Gesù ha eletto Giuseppe. Ci chiediamo perché Cristo, che aveva libertà di scelta, e, più ancora, aveva possibilità di crearsi un piedistallo di grandezza, nobiltà, potenza, splendore per dominare il mondo e così predicare, e salvare l’umanità, ha invece voluto, come esempio e come tipo a Lui gradito, un santo così piccolo e così umile?
A noi sembra che ciò sia per due ragioni. La prima, che è documentabile con molte citazioni della Sacra Scrittura, potrebbe riferirsi, per così dire, a una certa gelosia di Dio. Il Signore è venuto decidendo la cooperazione umana. È venuto a salvarci mediante un sistema composto di due attività: la sua e la nostra. Ha quindi stabilito che la sua infinita potenza, la sua trascendente grandezza, la sua misericordia incommensurabile, venendo in contatto con l’attività umana, non fossero diminuite, o quasi confuse, o anche paragonate alla nostra capacità di bene, alla nostra potenzialità di salute. Ha voluto essere solo, pur accogliendo la nostra collaborazione; ha voluto far emergere tanto di più la sua maestà, la sua provvidenza, da farci ben comprendere che Egli solo è la causa della nostra salvezza. Perciò ha prescelto quale collaboratore lo strumento più umile e più semplice che dimostrava, in un certo senso, questa sua esclusiva onnipotenza di redenzione.
La seconda ragione sembra debba riconnettersi proprio ad un atto di affabile condiscendenza e gentilezza verso di noi; ad una cortesia verso la maggior parte, possiamo pur dire la totalità, del genere umano. Poiché Iddio scende dal Cielo e si fa uomo, noi, ancor prima di sentire l’attrattiva verso di Lui, se abbiamo fede, quasi avvertiamo un sentimento di fuga, un bisogno di ritirarci: «Exi a me, quia homo peccator sum»: Allontanati da me, o Signore, perché io sono uomo peccatore. Chi è consapevole della divina presenza, avverte l’impulso ad allontanarsi da Dio prima ancora che l’attrattiva di avvicinarsi a Lui. Come mai? Perché la trascendenza di Dio, resa vicina ed accessibile a noi, resta sempre infinita superiorità e annienta, si può dire, la nostra miseria e la nostra sproporzione. Il Signore, invece, per venire a colloquio con noi, ed essere davvero nostro fratello; per non intimorirci ma chiamarci; per darci confidenza ed aprire con noi il dialogo di tutte le più intime, profonde, salutari confidenze, si è fatto immensamente piccolo. «Humilis Deus», continua a ripetere S. Agostino. Il grande Dottore, tutte le volte che illustra il mistero dell’Incarnazione, non lascia di considerare tale aspetto dominante: un Dio che si abbassa, e lo fa per avvicinarsi e togliere quel senso di lontananza, di estraneità che sarebbe troppo naturale in noi, i quali riconosciamo chi Egli è, pur se desideroso di divenire nostro collega, socio, collocutore.
Il Signore è disceso all’ultimo gradino della scala sociale. Come divengono gioiosi gli umili, i poveri, i peccatori, i diseredati; quelli che hanno la piena coscienza della miseria umana – e dovremmo essere tutti -; come esultano d’essere introdotti a Cristo da un Custode, da un Patrocinatore qual è San Giuseppe!
Egli, proprio con la sua umiltà – che sembra un invito a noi rivolto nelle espressioni: venite, perché tutti vi chiamo; venite, ché il Signore vi aspetta -, documenta, nell’intera sua vita, il grido, che dovremmo sempre sentire come uno dei più forti ed espressivi del Santo Vangelo, e che riassume la tenerezza amorosa di Cristo per noi: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e addolorati, e io vi consolerò».

 

Publié dans:SAN GIIUSEPPE |on 18 mars, 2019 |Pas de commentaires »

SAN GIUSEPPE – UNA CATECHESI DI BENEDETTO XVI

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SAN GIUSEPPE – UNA CATECHESI DI BENEDETTO XVI

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,Cari Sacerdoti e Diaconi, cari fratelli e sorelle consacrati,Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,Cari fratelli e sorelle! Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina.Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: « Uno solo è il Padre vostro » (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore « del mondo visibile ed invisibile ». E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: « Servite il Signore che è Cristo! » (Col 3,24).Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore « fedele e saggio ». L’abbinamento dei due aggettivi non casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti « abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento » (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. « Chi governa sia come colui che serve » (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: « Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe » (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un « sì » generoso a Cristo!Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come « il missionario dai piedi nudi » ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli.Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un « uomo giusto » (Mt 1,19) perché la sua esistenza è « aggiustata » sulla parola di Dio. La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’. Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere « la fede e la verità » nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, « Regina degli Apostoli », perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

GIOVANNI PAOLO II – 19 MARZO 1980 – GIUSEPPE: L’UOMO AL QUALE DIO CONFIDÒ I SUOI MISTERI

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GIOVANNI PAOLO II – 19 MARZO 1980 – GIUSEPPE: L’UOMO AL QUALE DIO CONFIDÒ I SUOI MISTERI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 19 marzo 1980

Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana

Aula Paolo VI

1. Dedichiamo il nostro odierno incontro, che cade il 19 marzo, a colui che la Chiesa, in questo giorno, secondo una tradizione antichissima, circonda con la venerazione dovuta ai più grandi santi.
Il 19 marzo è la solennità di san Giuseppe, lo sposo di Maria santissima, Madre di Cristo. Già nel secolo X troviamo segnalata in vari calendari questa festività. Il Papa Sisto IV la accolse nel calendario della Chiesa di Roma a partire dall’anno 1479. Nel 1621 essa venne inserita nel calendario della Chiesa universale.
Interrompendo quindi la serie delle nostre meditazioni, che stiamo svolgendo ormai da tempo, rivolgiamoci oggi a questa figura così cara e vicina al cuore della Chiesa e, nella Chiesa, ad ognuno e a tutti coloro che cercano di conoscere le vie della salvezza, e di camminare su di esse nella loro vita terrena. L’odierna meditazione ci prepari alla preghiera, affinché, riconoscendo le grandi opere di Dio in colui al quale egli ha confidato i suoi misteri, cerchiamo nella nostra vita personale il riflesso vivo di queste opere per compierle con la fedeltà, l’umiltà e la nobiltà di cuore che furono proprie di san Giuseppe.
2.
« Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati » ( Mt 1,20-21 ).
Troviamo queste parole nel capitolo primo del Vangelo secondo Matteo. Esse – soprattutto nella seconda parte – suonano simili a quelle che ascoltò Miriam, cioè Maria, nel momento dell’Annunciazione. Tra qualche giorno – il 25 marzo – ricorderemo nella liturgia della Chiesa il momento in cui quelle parole furono pronunciate a Nazaret « a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria » ( Lc 1,27 ).
La descrizione dell’annunciazione si trova nel Vangelo secondo Luca.
In seguito Matteo nota di nuovo che, dopo le nozze di Maria con Giuseppe « prima che andassero a vivere insieme, ella si trovò incinta per opera dello Spirito Santo » ( Mt 1,18 ).
Così dunque si compì in Maria il mistero che aveva avuto il suo inizio nel momento dell’annunciazione, nel momento, in cui la Vergine rispose alle parole di Gabriele: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » ( Lc 1,38 ).
A mano a mano che il mistero della maternità di Maria si rivelava alla coscienza di Giuseppe, egli, « che era giusto, non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto » ( Mt 1,19 ), così dice il seguito della descrizione di Matteo.
E proprio allora Giuseppe, sposo di Maria e dinanzi alla legge già suo marito, riceve la sua personale « Annunciazione ».
Egli sente durante la notte le parole che abbiamo riportato sopra, le parole, che sono spiegazione e nello stesso tempo invito da parte di Dio: « Non temere di prendere con te Maria » ( Mt 1,20 ).
3.
Nello stesso tempo Dio affida a Giuseppe il mistero, il cui compimento avevano aspettato da tante generazioni la stirpe di Davide e tutta la « casa d’Israele », ed al tempo stesso affida a Lui tutto ciò da cui dipende il compimento di tale mistero nella storia del Popolo di Dio.
Dal momento in cui tali parole sono giunte alla sua coscienza, Giuseppe diventa l’uomo della divina elezione: l’uomo di un particolare affidamento. Viene definito il suo posto nella storia della salvezza. Giuseppe entra in questo posto con la semplicità e l’umiltà, in cui si manifesta la profondità spirituale dell’uomo; ed egli lo riempie completamente con la sua vita.
« Destatosi dal sonno – leggiamo da Matteo – Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore » ( Mt 1,24 ). In queste poche parole c’è tutto. Tutta la descrizione della vita di Giuseppe e la piena caratteristica della sua santità: « Fece ». Giuseppe, quello che conosciamo dal Vangelo, è uomo di azione.
È uomo di lavoro. Il Vangelo non ha conservato alcuna sua parola. Ha descritto invece le sue azioni: azioni semplici, quotidiane, che hanno nello stesso tempo il significato limpido per il compimento della promessa divina nella storia dell’uomo; opere piene della profondità spirituale e della semplicità matura.
4.
Tale è l’attività di Giuseppe, tali sono le sue opere, prima che gli fosse rivelato il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che lo Spirito Santo aveva operato nella sua sposa. Tale è anche l’opera ulteriore di Giuseppe, quando – già consapevole del mistero della maternità verginale di Maria – rimane accanto a lei nel periodo precedente la nascita di Gesù e soprattutto nella circostanza della Natività.
Poi vediamo Giuseppe nel momento della presentazione al tempio e dell’arrivo dei re magi dall’oriente. Poco dopo si inizia il dramma dei neonati a Betlemme. Giuseppe di nuovo viene chiamato e istruito dalla voce dall’alto su come deve comportarsi.
Intraprende la fuga in Egitto con la Madre e il Fanciullo.
Dopo breve tempo, il ritorno alla nativa Nazaret.
Lì finalmente ritrova la sua casa e l’officina, alla quale sarebbe tornato certamente prima se non glielo avessero impedito le atrocità di Erode. Quando Gesù ha dodici anni, si reca con lui e con Maria a Gerusalemme.
Nel tempio di Gerusalemme, dopo che tutti e due hanno ritrovato Gesù smarrito, Giuseppe sente queste misteriose parole:
« Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? » ( Lc 2,49 ).
Così diceva il ragazzo di 12 anni, e Giuseppe, così come Maria, sanno bene di Chi parla.
Nondimeno, nella casa di Nazaret, Gesù era loro sottomesso ( Lc 2,51 ): a loro due, a Giuseppe e Maria, così come un figlio è sottomesso ai suoi genitori. Passano gli anni della vita nascosta della Sacra Famiglia di Nazaret. Il Figlio di Dio – mandato dal Padre – è nascosto per il mondo, nascosto per tutti gli uomini, perfino per quelli più vicini. Soltanto Maria e Giuseppe conoscono il suo mistero. Vivono nella sua cerchia. Vivono questo mistero quotidianamente. Il Figlio dell’eterno Padre passa, dinanzi agli uomini, per loro figlio; per « il figlio del carpentiere » ( Mt 13,55 ). Quando inizierà il tempo della sua missione pubblica, Gesù si richiamerà nella sinagoga di Nazaret alle parole di Isaia, che in quel momento si adempiono in lui, i vicini e compaesani diranno: « Non è il figlio di Giuseppe? » (cf. Mt 4,16-22 ).
Il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, durante i trent’anni della vita terrestre è rimasto nascosto: si è nascosto all’ombra di Giuseppe.
Nello stesso tempo Maria e Giuseppe rimasero nascosti in Cristo, nel suo mistero e nella sua missione. In particolare Giuseppe, che – come si può dedurre dal Vangelo – lasciò il mondo prima che Gesù si rivelasse ad Israele come il Cristo, rimase nascosto nel mistero di colui che il Padre celeste gli aveva affidato quando era ancora nel grembo della Vergine, quando gli aveva detto mediante l’angelo: « Non temere di prendere con te Maria tua sposa » ( Mt 1,20 ).
Erano necessarie anime profonde – come santa Teresa di Gesù – e gli occhi penetranti della contemplazione, perché potessero essere rivelati gli splendidi tratti di Giuseppe di Nazaret: colui del quale il Padre celeste volle fare, sulla terra, l’uomo del suo affidamento.
Tuttavia la Chiesa è stata sempre consapevole, e oggi lo è in modo particolare, di quanto fondamentale sia stata la vocazione di quell’uomo: dello sposo di Maria, di colui che, dinanzi agli uomini, passava per il padre di Gesù e che fu, secondo lo spirito, una incarnazione perfetta della paternità nella famiglia umana ed insieme sacra.
In questa luce, i pensieri e il cuore della Chiesa, la sua preghiera ed il suo culto, si rivolgono a Giuseppe di Nazaret. In questa luce l’apostolato e la pastorale trovano in lui appoggio in quel campo vasto e insieme fondamentale che è la vocazione matrimoniale e dei genitori, tutta la vita nella famiglia, piena della sollecitudine semplice e servizievole del marito per la moglie, del padre e della madre per i figli – la vita nella famiglia – in quella « Chiesa più piccola » sulla quale si costruisce ogni Chiesa.
E poiché nel corrente anno ci prepariamo al Sinodo dei Vescovi il cui tema è « De muneribus familiae christianae », tanto maggiormente sentiamo il bisogno dell’intercessione di san Giuseppe e del suo aiuto nei nostri lavori.
La Chiesa che come società del Popolo di Dio, chiama se stessa anche la famiglia di Dio, vede pure il posto singolare di san Giuseppe nei confronti di questa grande famiglia e lo riconosce come suo patrono particolare.
Questa meditazione risvegli in noi il bisogno della preghiera per l’intercessione di colui in cui il Padre celeste ha espresso, sulla terra, tutta la dignità spirituale della paternità. La meditazione sulla sua vita e sulle sue opere, così profondamente nascoste nel mistero di Cristo e, al tempo stesso, così semplici e limpide, aiuti tutti a ritrovare il giusto valore e la bellezza della vocazione, alla quale ogni famiglia umana attinge la sua forza spirituale e la santità.

PAPA FRANCESCO – 19 MARZO – SAN GIUSEPPE EDUCATORE

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20140319_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – 19 MARZO – SAN GIUSEPPE EDUCATORE

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 19 marzo 2014

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, 19 marzo, celebriamo la festa solenne di san Giuseppe, Sposo di Maria e Patrono della Chiesa universale. Dedichiamo dunque questa catechesi a lui, che merita tutta la nostra riconoscenza e la nostra devozione per come ha saputo custodire la Vergine Santa e il Figlio Gesù. L’essere custode è la caratteristica di Giuseppe: è la sua grande missione, essere custode. Oggi vorrei riprendere il tema della custodia secondo una prospettiva particolare: la prospettiva educativa. Guardiamo a Giuseppe come il modello dell’educatore, che custodisce e accompagna Gesù nel suo cammino di crescita «in sapienza, età e grazia», come dice il Vangelo. Lui non era il padre di Gesù: il padre di Gesù era Dio, ma lui faceva da papà a Gesù, faceva da padre a Gesù per farlo crescere. E come lo ha fatto crescere? In sapienza, età e grazia. Partiamo dall’età, che è la dimensione più naturale, la crescita fisica e psicologica. Giuseppe, insieme con Maria, si è preso cura di Gesù anzitutto da questo punto di vista, cioè lo ha “allevato”, preoccupandosi che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo. Non dimentichiamo che la custodia premurosa della vita del Bambino ha comportato anche la fuga in Egitto, la dura esperienza di vivere come rifugiati – Giuseppe è stato un rifugiato, con Maria e Gesù – per scampare alla minaccia di Erode. Poi, una volta tornati in patria e stabilitisi a Nazareth, c’è tutto il lungo periodo della vita di Gesù nella sua famiglia. In quegli anni Giuseppe insegnò a Gesù anche il suo lavoro, e Gesù ha imparato a fare il falegname con suo padre Giuseppe. Così Giuseppe ha allevato Gesù. Passiamo alla seconda dimensione dell’educazione, quella della «sapienza». Giuseppe è stato per Gesù esempio e maestro di questa sapienza, che si nutre della Parola di Dio. Possiamo pensare a come Giuseppe ha educato il piccolo Gesù ad ascoltare le Sacre Scritture, soprattutto accompagnandolo di sabato nella sinagoga di Nazareth. E Giuseppe lo accompagnava perché Gesù ascoltasse la Parola di Dio nella sinagoga. E infine, la dimensione della «grazia». Dice sempre San Luca riferendosi a Gesù: «La grazia di Dio era su di lui» (2,40). Qui certamente la parte riservata a San Giuseppe è più limitata rispetto agli ambiti dell’età e della sapienza. Ma sarebbe un grave errore pensare che un padre e una madre non possono fare nulla per educare i figli a crescere nella grazia di Dio. Crescere in età, crescere in sapienza, crescere in grazia: questo è il lavoro che ha fatto Giuseppe con Gesù, farlo crescere in queste tre dimensioni, aiutarlo a crescere. Cari fratelli e sorelle, la missione di san Giuseppe è certamente unica e irripetibile, perché assolutamente unico è Gesù. E tuttavia, nel suo custodire Gesù, educandolo a crescere in età, sapienza e grazia, egli è modello per ogni educatore, in particolare per ogni padre. San Giuseppe è il modello dell’educatore e del papà, del padre. Affido dunque alla sua protezione tutti i genitori, i sacerdoti – che sono padri –, e coloro che hanno un compito educativo nella Chiesa e nella società. In modo speciale, vorrei salutare oggi, giorno del papà, tutti i genitori, tutti i papà: vi saluto di cuore! Vediamo: ci sono alcuni papà in piazza? Alzate la mano, i papà! Ma quanti papà! Auguri, auguri nel vostro giorno! Chiedo per voi la grazia di essere sempre molto vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere, ma vicini, vicini! Loro hanno bisogno di voi, della vostra presenza, della vostra vicinanza, del vostro amore. Siate per loro come san Giuseppe: custodi della loro crescita in età, sapienza e grazia. Custodi del loro cammino; educatori, e camminate con loro. E con questa vicinanza, sarete veri educatori. Grazie per tutto quello che fate per i vostri figli: grazie. A voi tanti auguri, e buona festa del papà a tutti i papà che sono qui, a tutti i papà. Che san Giuseppe vi benedica e vi accompagni. E alcuni di noi hanno perso il papà, se n’è andato, il Signore lo ha chiamato; tanti che sono in piazza non hanno il papà. Possiamo pregare per tutti i papà del mondo, per i papà vivi e anche per quelli defunti e per i nostri, e possiamo farlo insieme, ognuno ricordando il suo papà, se è vivo e se è morto. E preghiamo il grande Papà di tutti noi, il Padre. Un “Padre nostro” per i nostri papà: Padre Nostro…

E tanti auguri ai papà!

Publié dans:PAPA FRANCESCO, SAN GIIUSEPPE |on 16 mars, 2016 |Pas de commentaires »

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