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L’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA

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L’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA

Da Sergio Gaspari, Celebrare con Maria l’anno di grazia del Signore, Edizioni Monfortane, Roma, pp.91-110.

SIGNIFICATO BIBLICO – SPIRITUALE

È lo Spirito che annuncia il Signore a Maria (Lc 1, 26-38). Luca lascia emergere con sufficiente evidenza l’analogia tra la discesa dello Spirito su Maria all’Annunciazione e sulla Chiesa apostolica a Pentecoste. Del resto l’Annunciazione è giustamente detta « la Pentecoste di Maria » (S. Bulgakov) o la proto-Pentecoste della Chiesa. È l’inizio dell’Oméga, l’inaugurazione della Alleanza Nuova nel Sangue del Dio-Uomo, l’inizio del Giudizio escatologico. Perciò l’Annunciazione è la Parte del Tutto, la radice e l’inizio cronologico e salvifico dell’evento pasquale. Vi è una discreta analogia tra l’Annunciazione a Maria e la Pentecoste della Chiesa apostolica. Basta confrontare Le 1,35.46.49a con Le 24,49; At 1,8; 2,4.6.7.11. Adombrata dallo Spirito nell’intimo della sua persona (Le 1,35), la Figlia di Sion erompe quasi all’esterno, sulle montagne della Giudea (Le 1,39) per annunziare le grandi opere compiute in lei dall’Onnipotente (Le 1,46.49). Dall’altra parte la Chiesa apostolica di Gerusalemme, corroborata dal vigore dello Spirito (Le 24,49; At 1,8) – mentre erano radunati all’interno della casa (At 2,2) – lascia il suo ritiro per proclamare pubblicamente le grandi opere del Signore (At 2, 4.6.7.11). L’Annuncio a Maria supera ogni vecchio schema delle annunciazioni dell’Antico Testamento. I temi narrati qui sono completamente nuovi: il concepimento verginale del Figlio di Dio, la compartecipazione della Madre ai Misteri salvifici, la Maternità divina e perciò Maternità verginale, propria ed esclusiva dei tempi messianici. Anche le Promesse dell’Antico Testamento si compiono in un modo del tutto inatteso, nella novità che è Cristo Signore. Nella radicale novità inaugurata con l’Annunciazione trovano attuazione i tratti originali dei tempi escatologici e apocalittici. Il Fiat della Vergine – che riecheggia quello di Israele alle falde del Sinai (Es 24, 3.7), ma mai pienamente compiuto – conclude l’Alleanza escatologica. Ritroviamo qui gli elementi teofanici caratteristici: la manifestazione della Gloria (Sékinàh) e della Presenza di Dio, il segno della nube. La presenza dello Spirito, Forza (Dynamis) divina per il concepimento verginale del Figlio di Dio, prelude la gloria del Battesimo del Signore (Lc 3, 21-22), della sua gloriosa Trasfigurazione (Lc 9, 29-35), del Giudizio del mondo (Lc 22, 69-70) e della Resurrezione (cfr Rm 1, 3-4). La Novità del Figlio di Dio che trasforma i modelli preesistenti è unicamente quella della Resurrezione; una novità che passa attraverso la Croce gloriosa, tanto che l’Annunciazione è spiegata anche con la Croce, radice dell’Annuncio del Signore. Il Fiat della Madre di Dio esprime il suo desiderio di entrare in comunicazione filiale e nuziale con Dio e con il Verbo; è un’offerta sacrificale, e ogni sacrificio è celebrazione della Pasqua, Ingresso liturgico in Dio Padre, crescita dei fedeli del Signore nella Vita Nuova (cfr Eb 10, 4-10; Sal 39, 7-9). Come altrove, Luca, nel riferire l’annunciazione alla Vergine, va controcorrente rispetto agli slogan del suo tempo, secondo i quali la donna in genere sarebbe caratterizzata per la passività e l’uomo per l’attività. L’autore usa un suo metodo originale: presenta il turbamento sia di Zaccaria che di Maria. Ma Zaccaria è turbato dalla visione dell’angelo (Lc 1,12), Maria « per tali parole rimane molto turbata » (Lc 1,29): il suo turbamento è a causa dell’audizione dell’invito alla gioia messianica e all’elogio insolito. Il sacerdote rimane passivo e quasi paralizzato. La Vergine invece è in situazione attiva: riflette per aderire.

TITOLI E CONTENUTI PASQUALI DELL’ANNUNCIO L’Annunciazione a Maria è un evento che spiega la Pasqua, per questo nel racconto troviamo una ricchezza di titoli e di temi pasquali. I cieli si aprono affinché lo Spirito della Resurrezione di scenda sulla creatura; il medesimo Spirito incarna il Verbo dell’Amore del Padre mediante un’azione creatrice di carattere ipostatico. L’Incarnazione del Figlio di Dio e la Pentecoste dello Spirito sono due azioni inseparabili, identiche e inconfondibili: il Lógos è reso Ipostasi divino-umana dallo Spirito Ipostatico e Creatore. Maria, la Divenuta-tutta-grazia, è da Dio Gratificata, privilegiata, favorita (Lc 1, 28): è la dimora dello Spirito e riceve la sua pienezza. Già a Nazaret la Pentecoste si concentra totalmente in Maria perché limitata alla sua persona. Ella cresce in questa pienezza fino alla Dormizione e all’Assunzione in cielo. Maria in tal modo è la « Portatrice dello Spirito » (Pneumatophóra), ella comunica attivamente, cioè anche per virtù propria, la Vita divina della Triade Unita. Vita che il Con-noi-Dio darà agli Apostoli il giorno della Pentecoste. Ma fin d’ora, essendo membro perfetto della Chiesa nascente e la Chiesa prima della Chiesa, Maria porta lo Spirito del Figlio ad Elisabetta e a Giovanni il Battista (Lc 1, 39-45), come lo porterà poi ai fratelli del Signore (cfr Mc 16, 5-8). Il Figlio annunciato a Maria è connotato da numerosi titoli pasquali: egli è Gesù, cioè « il Signore-è-salvezza » (Lc 1, 31); il Grande (Lc 1, 32; cfr Is 9, 7); il Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 32; cfr v. 35); il Figlio di David e il possessore del trono di lui (Lc 1, 32); il Re eterno della Casa di Giacobbe o di Israele (Lc l, 32); il Figlio di Dio (Lc 1, 35); il Santo (Lc 1, 35), della stessa santità di Dio, il Sacerdote Sommo dell’Alleanza Nuova che pone termine al sacerdozio levitico (cfr Lc 1, 5-25) attraverso la sua futura sofferenza e la morte espiatrice. Anche il contenuto è pasquale. Di Lc 1, accenniamo ad alcuni versetti: v. 28: l’angelo saluta Maria con « gioisci.! »; è un verbo tipicamente pasquale: è la gioia della Pasqua, portata dallo Spirito della Resurrezione; v. 32: « egli sarà Grande »; nell’Antico Testamento solo Dio è Grande. Ma il Messia Salvatore è Grande perché Figlio di Dio e « Santo » (v. 35) ad opera dello Spirito santificatore. Il nascituro è il Re Pantokrator che appartiene alla sfera divina; v. 35: il linguaggio è proprio della Resurrezione, legato con il Battesimo e la Trasfigurazione: in entrambi gli eventi si parla dell’adombramento su Cristo da parte dello Spirito, della nube e della gloria del Padre. Lo Spirito che scende su Maria non è tanto lo Spirito profetico, quanto la Potenza creatrice divina che crea la Vita divina; è lo Spirito, principio di Vita e di Resurrezione (cfr Rm 1, 4; 1 Cor 15, 45; Gv 3, 4-8; Mt l, 18); v. 38: il Fiat di Maria non è tanto o solo espressione di umiltà, quanto di fede (v. 45), di docilità e di amore oblativo, che richiama quasi la figura del Servo del Signore (Is 53). Maria per prima proclama l’Amen alla gloria di Dio e intona per tutta la Chiesa: « Vieni, Signore Gesù! » (1 Cor 16, 22; Ap 22, 17.20). La Resurrezione, come l’Annunciazione, è opera dello Spirito: solo lui è la Forza di Dio (Lc l, 35) che si esprime per eccellenza e innanzitutto nella Resurrezione del Signore (Rm 1, 3-4). Cristo Risorto è Spirito vivificante (Rm 8, 5-10); è lui che dà la Vita e la Vittoria sulla morte (Rm 6, 8-11); è lui che dona la fecondità intradivina alla Vergine nel momento della sua Incarnazione. La Maternità divina inizia a Nazaret, raggiunge il suo segno storico nel Natale del Figlio a Betlemme e tocca il suo culmine nella Passione e Resurrezione; si perpetua poi nel tempo della grazia dello Spirito, tramite la Chiesa che celebra incessantemente il suo Signore.

L’ANNUNCIAZIONE NELLA CELEBRAZIONE DELLA CHIESA Il 25 marzo la Chiesa celebra la solennità dell’Annuncio del Signore a Maria. L’Incarnazione del Verbo è l’inizio della sua Pasqua: perciò la festa del 25 marzo, già nel IV/V secolo è considerata « la radice delle feste » (Giovanni Crisostomo), l’inizio dei tempi nuovi, l’inizio della fine: inizio dell’Incarnazione storica del Messia e inizio della deificazione dell’uomo, della rinnovazione del creato. Per gli Ebrei il Capodanno liturgico è celebrato nel mese di Nisan, durante il quale si fa memoriale della Pasqua (cfr Es 12,2.18; 34,18). Tale data era anche il Capodanno del re e delle feste. Infatti si contava l’inizio del regno del sovrano a partire proprio dal Capodanno festivo. Anche in epoca cristiana l’inizio dell’Anno liturgico nell’alto Medioevo era fissato a marzo, precisamente il 25 marzo, capodanno pure civile, quindi primo mese dell’anno. In seguito l’inizio dell’Anno liturgico si spostò a Natale, poi all’Avvento, mentre l’inizio dell’anno solare fu regolato in corrispondenza con il calendario civile di Roma, dal quale potrebbe derivare la data del Natale cristiano al 25 dicembre, giorno in cui in tutto l’impero romano si celebrava il Natale del dio Sole. L’espressione patristica greca rhíza tón heortón, « radice delle feste » – con la quale si denomina il 25 marzo – deriva proprio dal Capodanno del re e delle feste. Il 25 marzo perciò sorge nella Chiesa come il Capodanno del Re Salvatore e della Regina Madre. Nella letteratura cristiana il 25 marzo è indicato come il giorno che comprende tutti i giorni del tempo nuovo: il giorno somma del tempo della Chiesa. Seguendo l’ipotesi che spiega la festa del Natale fissata al 25 dicembre in dipendenza dal 25 marzo (e non viceversa), gli Antichi e i Padri – fin dal tempo di Tertuliano – credevano che questo giorno, equinozio di primavera, segnasse l’inizio della creazione del mondo e dell’uomo. Perciò era ritenuto come una data simbolica del concepimento del Verbo di Dio: il Signore si sarebbe incarnato e sarebbe anche morto il 25 marzo.. La festa tuttavia cadeva in Quaresima, tempo in cui per la Chiesa antica era vietato celebrare qualsiasi solennità. Per l’Occidente la difficoltà fu affrontata dal concilio di Toledo (656); in Oriente invece il Concilio trullano (692) stabilì che in Quaresima si sarebbe fatta un’eccezione per l’Annunciazione, senza trasferirla, anche se coincide con il Venerdì o il Sabato santo. Questo uso è in vigore ancora oggi tra gli Orientali.(La nascita del Signore al 25 dicembre è documentata a Roma per la prima volta nel 336. Ciò non esclude la prima ipotesi che spiega la data del Natale in dipendenza del 25 marzo.) Sia in Oriente che in Occidente, la festa dell’Annunciazione è tra le più solenni dell’Anno liturgico; in questo giorno Maria è venerata e ricordata come la Portatrice della Vita Nuova, della Vita pasquale del Signore. Abramo di Efeso in una omelia per il 25 marzo proclama: « Oggi è sciolta l’antica condanna: da quando infatti fu pronunciato in terra quel Gioisci, è cessato quel Partorirai figli nel dolore;  per una donna subentrò agli uomini la morte; per una donna ritornò loro la vita » . L’Annuncio di Cristo a Maria richiama anche l’apparizione di Cristo Risorto a sua Madre il mattino di Pasqua. Era necessario – dicono i Padri (Atanasio il Grande, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio Palamas) – che l’Adamo nuovo, destandosi dal sonno (cfr Gn 2, 21-23), vedesse prima di tutto la Donna e fosse veduto da lei. La Donna che prima di qualunque altra creatura vede il Risorto, per i Padri, è senza dubbio la Vergine Madre di Dio. L’Annunciazione non è solo l’inizio della Redenzione: è la chiave di lettura e di comprensione di tutta la vicenda di Cristo che seguirà poi. L’esaltazione del Verbo fattosi Carne a Signore uni versale non attenua minimamente il suo Mistero di Verbo fattosi Uomo dalla Donna per l’eternità. Il Mistero pasquale si sviluppa e cresce nel segno dell’Incarnazione storica e gli uomini nell’Emmanuele diventano figli di Dio (Gal 4, 4-5). Come evento storico-salvifico la Chiesa celebra l’Annunciazione una volta l’anno, il 25 marzo; ma lo stesso Mistero – secondo l’economia sacramentale – si attua ogni giorno e in ogni celebrazione. Il Signore Risorto, annunciato a Maria, è annunciato quotidianamente alla Comunità dei fedeli per il perpetuarsi della Incarnazione sua e ciò avviene in prospettiva storica, come compimento della Profezia, in dimensione sacramentale come attuazione dell’Evangelo « per noi-qui-ora » e nella dimensione escatologica, tempo ecclesiale della crescita di Cristo Capo nel suo Corpo, fino alla Venuta parusiaca del Signore. A questi tre livelli corrispondono infatti le tre letture della Liturgia della Parola: il Profeta (o Antico Testamento), 1′Evangelo e la lettura dell’Apostolo. Del Mistero integrale ogni celebrazione fa memoriale, più o meno esplicito, secondo 1′Evangelo e il « colore » liturgico del giorno.

ASPETTI DELLA MARIOLOGIA DI SANT’AMBROGIO – FESTA 7 DICEMBRE

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ASPETTI DELLA MARIOLOGIA DI SANT’AMBROGIO – FESTA 7 DICEMBRE

(non metto, perché lo studio è molto lungo: 1; 2.4; 2.5;)

Patristica Dalla tesi di Magistero in Scienze Religiose di Grazia Maria Contarino, Il mistero della Vergine Madre negli scritti di Sant’Ambrogio, Facoltà Teologia di Sicilia – Istituto Superiore di Scienze Religiose « San Luca » – Catania, Anno Accademico 2010-2011, pp.53-67.

1. RIFLESSIONE MARIANA DI AMBROGIO: SCANSIONE DELLA RICERCA   2. VALORE E CARATTERI GENERALI DELLA MARIOLOGIA DI SANT’AMBROGIO  2.1. Necessità per Ambrogio di parlare di Maria Sant’Ambrogio non ha scritto un trattato speciale e distinto di Maria, ma è naturale che, svolgendo il tema dell’Incarnazione, abbia dovuto far menzione anche di Maria, la Madre di Gesù, il Verbo Incarnato. Ambrogio sente la necessità di parlare di Maria, senza di essa non ci sarebbe stata l’Incarnazione del Verbo. Maria, infatti, non ha solo prestato il corpo a Gesù, generandolo, ciò che fanno tutte le altre madri nella generazione dei loro figli, ma ne è divenuta madre con un atto della sua libera volontà.11 Fu lei che rese possibile non soltanto l’esistenza umana di Cristo, ma anche il compimento della sua opera redentrice. Dio subordinava l’esecuzione del piano dell’Incarnazione e della Redenzione al consenso di Maria: l’Angelo, infatti, non glielo impose a nome di Dio, ma la Vergine pienamente libera accettò. Con ciò non si vuole affermare che Dio, per redimere l’uomo abbia avuto bisogno di Maria e che non avrebbe potuto con altri mezzi indipendentemente da lei arrecarci la salvezza12. Altre ragioni dovevano muovere Ambrogio a trattare di Maria. Maria, come madre di Dio, comprende in sé virtualmente tutto il Cristianesimo; la Divina Maternità di Maria viene detta:  Il Libro della Fede; un tale dogma coinvolge la retta nozione dei misteri principali della nostra religione: la Santissima Trinità e l’Incarnazione del Verbo e tutto quello che con essi si connette. E’con la Maternità di Maria che si sostengono o cadono le altre verità della Fede13. Ambrogio, ha spesso argomentato contro gli avversari della fede e primi tra tutti contro gli ariani. Come prova irrefutabile mette in campo la persona della Divina Madre e la dottrina ortodossa intorno a lei. Ario riteneva il Verbo una pura creatura; il primogenito di ogni creatura più perfetta delle altre, ma pur sempre una semplice creatura; non consostanziale al Padre; era un Dio in senso metaforico, incarnandosi aveva preso un corpo senz’anima. Il Santo vescovo di Milano opporrà la Maternità Divina di Maria e la vera generazione da lei di un uomo perfetto, in corpo ed anima ragionevole, per opera dello Spirito Santo, con una testimonianza imponente di prove14. Gli errori intorno a Cristo che serpeggiavano nei primi tre secoli e che indirettamente, ma logicamente, conducevano alla negazione della Divina Maternità di Maria non erano ignoti ad Ambrogio. Nelle sue opere quali i cinque libri Della Fede, nella Esposizione del Vangelo di San Luca, nell’opera sul  Mistero dell’Incarnazione  ed in altri scritti fa sovente menzione: – degli Gnostici che, partendo dal loro erroneo preconcetto della perversità della materia, nonché del suo autore, ammettevano la materia corporale solo apparente in Gesù; – dei Doceti o Fantasiasti, un ramo gnostico, che insegnavano che l’umanità di Gesù non fu reale, ma solo apparente ed immaginaria. Il corpo umano di Gesù, a loro giudizio, era un fantasma; – degli Apollinaristi che supponevano una confusione della natura umana e divina; – dei Valentiniani che asserivano il corpo di Gesù essere stato portato dal cielo, non assunto da Maria15. L’esposizione ortodossa del dogma della Divina Maternità di Maria, chiaramente deducibile dalla Sacra Scrittura, doveva necessariamente formare la base dell’argomentazione dei Padri, poiché Maria non è Madre di Dio in quanto generò la Divinità, il che sarebbe un assurdo, ma unicamente in quanto diede a Lui l’umanità. Se questa umanità è reale, se essa è veramente umana, Gesù è un vero uomo proprio e naturale come gli altri. Perciò Ambrogio non poteva ignorare Maria in una lotta cristologica così multiforme e accanita16. Inoltre, prima di Ambrogio forse nessun Padre o Scrittore ha insistito come il Santo Vescovo di Milano sull’ideale della verginità e sulle questioni affini di purezza, di candore; sulle cause, gli effetti, i pericoli, l’eminente bellezza di una tale virtù, i modelli più insigni della medesima. Per cui come avrebbe egli in una simile trattazione potuto omettere colei che è la Vergine delle vergini e che nessuno mai uguaglierà in santità e candore? In Maria anche tutte le altre virtù hanno avuto, dopo che in Gesù, la massima espressione, lo specchio più fulgido. Era dunque evidente che il grande Moralista Milanese parlasse di Maria. L’alto concetto che egli ha della Regina dell’universo lo manifesta in mille passi delle sue opere immortali: queste pietre raccolte insieme formano un mosaico stupendo, dove campeggia colei alla quale: … guarda il Ciel dalla superna altezza con amanti pupille; e per lei sola s’apparenta dell’uom alla bassezza”17.

2.2. Posto onorifico che gli compete e carattere eminentemente pratico della sua mariologia La posizione che Ambrogio occupa nella storia della Mariologia è particolarmente importante. La copia dei pensieri, l’ampiezza nell’esposizione dei misteri mariani in genere, l’impulso dato al suo culto e specialmente la novità, rispetto ai suoi tempi, di certe vie battute da lui nel dipingerci con sorprendente intuizione psicologica il ritratto della persona morale di Maria gli hanno valso il titolo di “Padre della Mariologia” e di “Patrono della Venerazione di Maria”.18  È vero che San Gerolamo fu il primo dei Padri Latini a dedicare alla Vergine uno scritto proprio e particolare19, egli fu pure uno strenuo difensore della Perpetua Verginità di Maria. È vero altresì che molti altri anche prima di Ambrogio lo «precederanno nella rivendicazione di questo dogma, sostenendo importanti polemiche e formulando conclusioni che ebbero il plauso incondizionato della posterità e che segnarono l’orientazione seguita nelle successive speculazioni. Ma il merito non piccolo del Santo di Milano fu quello di aver contribuito in una misura, che non gli può essere contesa da nessun altro, ad illustrare il grande privilegio della Benedetta tra le donne, sotto tutti i possibili aspetti […]. Vi contribuì difendendolo vigorosamente e vittoriosamente dagli assalti, coi quali al suo tempo lo si impugnava, vi contribuì infine con quel suo mirabile ed indefesso apostolato che fu una delle sue più spiccate caratteristiche, per sviluppare e moltiplicare le vocazioni di coloro che abbracciavano lo stato di volontaria e perenne verginità, ai quali poi non mancava mai di proporre come supremo, incantevole modello Maria ».20 Ma il pregio della mariologia di Ambrogio non si esaurisce nella trattazione della Verginità Mariana; tutto quello che allora entrava nell’ambito delle dispute intorno alla Madre di Dio, fu svolto da Ambrogio e, se egli prese molto a prestito dai Greci, non ne fu solo pedissequo imitatore, ma molto vi aggiunse di proprio, dove Ambrogio si afferma originalissimo e battistrada ai posteri è nel dipingerci la psicologia di Maria21. Il genio di Ambrogio è anzitutto il genio moralista. Il suo carattere di pratico romano traspare da ogni suo scritto; il vescovo conserverà il senso ed il contegno dei suoi impegni consolari precedenti. Egli sarà prima di tutto un uomo di governo, un pastore acceso di zelo, una guida illuminata delle anime. Il romano si rivela in tutte le questioni pratiche di disciplina ed ordinamento interiore della comunità. Altri Padri saranno più di lui teologi, oratori, apologisti della Fede; egli è soprattutto «Vescovo»22. È l’uomo provvidenziale della Chiesa: per il suo carattere naturale, la sua formazione di magistrato, il temperamento della razza latina, infine per quello che l’opera della grazia e lo studio conferiranno in abbondanza al suo spirito. Tutto ciò egli porrà in servizio dell’emancipazione, dell’esaltazione e, dell’organizzazione della Chiesa di Cristo. Egli, infatti, con squisita analisi psicologica ci ha regalato un ritratto delle virtù di Maria così vivo, animato e completo come mai né prima né dopo di lui fu tracciato da penna alcuna. Ambrogio studia Maria in tutte le contingenza della vita: nei suoi rapporti con Dio, con il prossimo, con se stessa. Nel primo stadio della mariologia due erano i  grandi temi: la Maternità Divina e la Perpetua Verginità23. Fonte esclusiva di tale argomenti era la Sacra Scrittura, che è relativamente parca nel discorrere di Maria quanto agli avvenimenti esterni che la riguardano;   quanto ai sentimenti poi, che ne nobilitavano l’animo, più che descriverli, ce li lascia intravedere di sotto un velo che solo un lungo studio ed un grande amore potevano togliere e rivelare al mondo le sublimi ricchezze morali che il Dio aveva concesso a colei che si era scelta per Madre. Lo studio psicologico, su così vasta scala resta una felice innovazione di Ambrogio nella mariologia. In merito a quest’osservazione un dotto teologo moderno, il Campana, scrive: «Quegli che per il primo ha saputo far germogliare e svolgersi in fiori preziosi i semi delle grandi verità, che sul conto della Madonna contengono i Libri Ispirati, merita un posto di eterna riconoscenza nella storia della Teologia Mariana. Per riguardo alla Psicologia di Maria, questa gloria spetta a Sant’Ambrogio, il quale, inoltrandosi per il primo, senza alcun anteriore esempio in questa via, la frugò con sì attenta diligenza, che vi fece scoperte rimaste definitive e la percorse tanto addentro, da togliere pressoché ogni speranza di poterlo oltrepassare. Si potrà variare i termini delle espressioni od inquadrare l’argomento in altri schemi etici o psicologici; si potranno sviluppare più ampiamente le considerazioni che il Santo Dottore accenna appena [...] ma gettare luce più schietta, più originale, più rivelatrice, di quanto egli fece, lo crediamo impossibile».24 Questo grande quadro tratteggiato con mano maestra da Ambrogio, è nell’opera che il Dottore scrisse nel terzo anno del suo episcopato, cioè nel 377, e porta il titolo:  De Virginibus ad Marcellinam sororem25. Secondo Ambrogio la Madonna prende un posto singolarissimo nel piano e nel compimento della Redenzione. La Mediazione e la Corredenzione Universale di Maria sono attestate da lui con frequenti accenni ed in questo egli supera tutti gli scrittori ecclesiastici precedenti. Anche intorno alla morte della SS. Vergine il Patrono di Milano sarà il primo che tratterà esplicitamente una tale questione, se prescindiamo da Epifanio che affrontando il problema vi rispose in senso opposto, sostenendo cioè l’immortalità corporale della Madonna26. Del nome di Maria, riferito alla Madonna, Ambrogio darà una soluzione sua propria, che, se non trovò altri fautori, è però in se stessa una fonte vivace di profonde considerazioni. Il culto, poi di Maria assume in Ambrogio una importanza del tutto nuova e capitale.

2. 3.  Compendio della mariologia ambrosiana Come sintesi della dottrina mariologica di Ambrogio si possono riportare le parole del Rauschen nel luogo dove egli afferma: «Non a torto Ambrogio è proclamato Patrono del Culto di Maria: “egli descrive l’ideale della Verginità di Maria; la sua vita come scuola di virtù. Ella è senza macchia del peccato; è apportatrice della salvezza; debellatrice gloriosa del demonio; si oppone ad Eva e a Sara; è il tipo della Chiesa. Ambrogio però ammonisce di guardarsi dal tributarle un culto di latria».27 In conclusione Ambrogio ha avuto una parte molto attiva ed originale nello sviluppo della mariologia. È vero che talvolta anche Ambrogio nella soluzione dei problemi mariologici arrivi a risultati non sempre felici, ma la spiegazione erronea che egli dà, per esempio circa la stirpe davidica e circa l’etimologia del Nome di Maria, non gli sono imputabili a rigore. Esse sono un’inevitabile conseguenza  del difetto di opere e codici critici di alcuni autori neoplatonici28 ai quali Ambrogio aveva creduto di poter attribuire altrettanto coscienziosità nelle loro asserzioni. Quanto alla fisionomia speciale della mariologia ambrosiana, essa è quella che contraddistingue tutta la sua opera. Non incline per temperamento alla metafisica troppo sottile e a questioni troppo astratte, Ambrogio non si abbandonerà ad inquisizioni filosofiche astruse, ma attingerà alla fonte perenne della Sacra Scrittura, della quale dimostra un’ottima conoscenza, se si tiene conto della rapidità della sua preparazione dottrinaria, degli insegnamenti fecondi della sua morale diretta al bene delle anime. Le sue esposizioni mariane susciteranno un’ eco profonda in tutto il mondo d’allora, tanto da condurre all’imitazione di Maria uno stuolo sterminato di anime29. La speculazione non sarà totalmente esclusa, ma avrà un’importanza secondaria; qui egli si lascerà guidare da Clemente Alessandrino, da Origene, in ciò che egli ha di ortodosso, da San Basilio, da Didimo e con minore predilezione anche da Filone ed Ippolito. La parte preponderante delle proprie considerazioni d’ordine pratico e pastorale caratterizzano la peculiarità ed il valore della mariologia di sant’Ambrogio30.

2.4. Solida impostazione dei problemi mariani in relazione con il complesso degli altri dogmi

2.5. Autorevole giudizio di San Gerolamo in favore dei pregi di tale dottrina

Colei che ha creduto: Assunzione della Beata Vergine Maria – 15 agosto 2007 (anno C)

dal sito:

http://www.pddm.it/vita/vita_07/n_07/agosto01.htm

Colei che ha creduto

Assunzione della Beata Vergine Maria – 15 agosto 2007

• Prima lettura: Ap 11,19a.12,1-6a.10ab
• Salmo responsoriale: Sal 44,10-12.15b-16
• Seconda lettura: 1 Cor 15,20-26
• Vangelo: Lc 1,39-56

Icona scritta da Roberta Boesso. All’interno della mandorla, simbolo della gloria celeste, è raffigurato Cristo che sostiene ed abbraccia Maria, sua Madre, elevandola alla gloria del cielo. Entrambi indossano abiti il cui colore bianco indica la dimensione nuziale. Cristo, infatti, si manifesta come lo Sposo profondamente unito alla sua sposa, la santa Chiesa, che la tradizione vede personificata dalla Vergine Maria. Sui due cartigli sorretti dagli angeli il testo del Cantico dei cantici: «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia» (Ct 2,6). (sul sito)

Breve introduzione storica

Fin dal VII secolo l’Assunzione di Maria è una delle quattro più antiche feste mariane della Chiesa di Roma: Natività di Maria, Annunciazione, Purificazione (= Presentazione di Gesù al tempio), e Assunzione. Anche quest’ultima, come le altre tre, è di origine orientale. Antonino di Piacenza, intorno al 570, cita come luogo di culto il sepolcro della Vergine a Gerusalemme «dal quale si dice che Santa Maria sia stata assunta in cielo». Maurizio, imperatore d’oriente (582-602) stabilisce il 15 agosto come festa della Dormizione. Così è ancora oggi chiamata nella tradizione liturgica orientale. In occidente, nel corso del secolo VIII, la festa si trova nei libri liturgici sotto il titolo di Assunzione esplicitando la tradizione della piena partecipazione di Maria alla gloria del Figlio risorto e assunto alla destra del Padre. Tale verità venne proclamata dogma di fede dal papa Pio XII nel 1950.
Interpretare Questa antica solennità prevede anche una Messa vigiliare con testi propri. Nel commento alle letture si cercherà, per quanto possibile, di unificarle nell’unico messaggio che questa festa intende comunicare.
Vangelo Di fronte ad una devozione mariana che talvolta tende a rincorrere apparizioni e messaggi segreti e privati, Maria è invece proclamata beata perché «ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Infatti, è questa fede alimentata dalla Parola di Dio che emerge nella preghiera di Maria, il Magnificat; in essa si trovano circa 20 citazioni della sacra Scrittura. «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre». Queste parole echeggiano le lodi rivolte a Giuditta che contribuì alla salvezza del popolo d’Israele (cf Gdt 13,18). Maria è accolta da Elisabetta come Israele accolse l’arca dell’alleanza nella città di Dio (cf prima lettura della vigilia), e si trattiene presso la parente circa tre mesi, come l’arca dell’alleanza nella casa di Obed Edon di Gat (cf 2 Sam 6,2-11).
Prima lettura e salmo responsoriale Il trionfale trasferimento dell’arca a Gerusalemme (Messa vigiliare) viene interpretato come prefigurazione del glorioso ingresso di Maria nella Gerusalemme del cielo. Lo splendore della nuova Gerusalemme del cielo, come donna vestita di sole (prima lettura del giorno) è applicato a Maria, Madre e immagine della Chiesa, di quanti credono alla Parola del Signore. La Chiesa è descritta dall’Apocalisse come una donna che soffre per le doglie del parto e che deve combattere contro un drago che sintetizza tutte le forze del male. Tali forze non avranno mai il sopravvento perché la vittoria è già scontata e appartiene all’Agnello immolato che siede sul trono e a quanti lo hanno seguito come Maria, prima discepola del Signore, nell’accoglienza della Parola. Il salmo della Messa vigiliare (Sal 131) è un inno di lode a quel Dio che ha scelto la città dell’uomo per stabilire la sua dimora. Il riferimento a Maria, arca della nuova alleanza è ovvio. Nella Messa del giorno il salmo 44 è un canto nuziale che evoca il compimento delle nozze fra Dio e il suo popolo per mezzo di Maria, la figlia di Sion per antonomasia.
Seconda lettura Come Pietro nel suo primo discorso a Pentecoste, così Paolo non si preoccupa di elencare in primo luogo i prodigi di Gesù, ma la sua morte e risurrezione. Il brano della lettera ai Corinzi, sia nella Messa vigiliare sia in quella del giorno, annunciano la vittoria di Cristo sulla morte. L’apostolo quasi grida questa verità: la risurrezione di Cristo ci assicura che la nostra vita non è sotto il dominio della morte. Nella piena glorificazione di Maria in anima e corpo la Chiesa vede e annuncia il suo destino oltre il tempo e lo spazio. Questa verità di fede illumina e conforta la nostra faticosa gestazione terrena per nascere alla vita eterna.
Annunciare La nostra vita è partecipazione alla Pasqua del Signore, alla sua morte e alla sua risurrezione. È questo il significato di quel battesimo che l’apostolo Paolo presenta come morire con Cristo per risorgere con lui (cf Rm 6,3-5). Prima di essere «assunta» nella gloria del Padre insieme al proprio Figlio, Maria ha seguito Gesù fino ai piedi della croce e ha accompagnato come Madre i primi passi della Chiesa (cf At 1,14). Questa è la strada che Maria ci indica e lungo la quale ci accompagna.
Insegnare «Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». La vera religiosità cristiana, la vera devozione mariana non è fuga nel miracolismo o nello spiritualismo esaltante, ma impegno che rinvia sulle strade del mondo. La preghiera è cristiana quando impegna verso il prossimo.
Esortare «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai loro troni… ha rimandato i ricchi a mani vuote». Non è un invito alla rivoluzione armata, ma un atto di fede in quel Vangelo di Dio che mina il male alla radice attraverso la conversione del cuore dell’uomo. Il mondo cambia nella misura in cui cambia ciascuno di noi.
Insegnare «La beata Vergine, gloriosamente assunta in cielo ed esaltata accanto al Figlio suo, re dei re e signore dei signori (cf Ap 19,16), non ha deposto la missione di salvezza affidatale da Dio Padre, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci le grazie della salute eterna. La Chiesa poi, che per i vincoli che la uniscono a Maria, vuole vivere il mistero di Cristo con lei e come lei, sperimenta continuamente che la beata Vergine le è accanto sempre, ma soprattutto nella sacra liturgia, come madre e come soccorritrice» (Messe della B.V. Maria, Introduzione, 12). Silvano Sirboni

Per celebrare

LA DORMIZIONE E L’ASSUNZIONE

Con il termine dormizione viene indicato il passaggio di Maria, madre di Gesù, dalla vita terrena alla vita celeste. L’uso del termine (in latino dormitio) deriva dalla credenza che Maria non sarebbe veramente morta, ma soltanto caduta in un sonno profondo, dopodiché sarebbe stata assunta in cielo.
La Chiesa cattolica e quella ortodossa affermano la dottrina dell’Assunzione. La Chiesa cattolica ha definito dogmaticamente tale dottrina nel 1950, con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus, mentre la Chiesa ortodossa non ha definito un dogma in tal senso.
Secondo una tradizione, la dormizione sarebbe avvenuta a Gerusalemme circa un anno dopo la morte di Gesù; gli apostoli avrebbero sepolto Maria, ma avrebbero poi trovato il sepolcro vuoto. A ricordo di questi fatti sorgono oggi a Gerusalemme due chiese: quella della Dormizione, sul monte Sion, luogo dove sarebbe avvenuto il trapasso, e quella della Tomba di Maria, nella valle del Cedron, dove sarebbe avvenuta la sepoltura.
Un’altra tradizione sostiene invece che Maria sarebbe vissuta ancora per molti anni dopo la morte di Gesù, e che la dormizione sarebbe avvenuta ad Efeso, dove si era trasferita seguendo l’apostolo Giovanni, al quale Gesù morente l’aveva affidata.
Tutte le Chiese orientali celebrano la Dormizione di Maria come la più grande festa mariana: la «festa delle feste» della Madre del Signore. La Dormizione-Assunzione è infatti il suo «giorno natalizio» (dies natalis), in cui davvero ella nasce alla vita senza fine, portata anche col corpo nei cieli e glorificata dal Figlio Salvatore; ed è il suo «giorno commemorativo», nel quale per antica tradizione, o presso la sua tomba in Gerusalemme o davanti a una sua icona, viene ricordata e illustrata la sua vita, dall’infanzia al transito, e la sua celeste protezione sulla Chiesa pellegrina. Anche oggi queste Chiese celebrano e vivono i giorni che precedono la festa dell’Assunzione con solennità liturgica e con esterne manifestazioni di gioia.
L’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo è un’anticipazione della risurrezione della carne, che per tutti noi avverrà soltanto alla fine dei tempi. Essa esprime in modo mirabile l’adagio patristico diffusosi a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio». Egli, che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, che ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote, ci conceda oggi di poter cantare il Magnificat, associando la nostra voce a quella della Vergine.
Come segno, per la celebrazione eucaristica odierna (o ai Vespri comunitari), si può incensare l’immagine di Maria (o l’icona della Dormizione) mentre si canta il Magnificat o un altro inno adatto.
Non è fuori luogo, oggi, accendere il cero pasquale se si celebra la Veglia in onore della beata Vergine Maria o anche durante la celebrazione eucaristica, considerando che celebriamo la Pasqua di Maria, dopo quella del Figlio risorto. I nostri fratelli di rito bizantino celebrano questa festa proprio come «la Pasqua della Madre di Dio»; i quattordici giorni che la precedono sono chiamati «piccola Quaresima della Vergine» in analogia con la grande Quaresima che prepara la Pasqua di Cristo. In questi giorni di austero digiuno i fedeli accorrono in chiesa per cantare l’ufficio di supplica alla Madre di Dio, alzando a lei lo sguardo implorante, attendendo da lei, glorificata nei cieli, grazie per il corpo e per l’anima.
Suggeriamo due sussidi adatti alla preparazione e celebrazione di questa solennità:
1. ERMANNO TONIOLO, Quindicina dell’Assunta. Con testi della liturgia bizantina, (a cura del Centro di Cultura Mariana), Roma 1996;
2. ERMANNO TONIOLO, Veglia dell’Assunta. Con tropari della Liturgia Russa, Roma 2001. Alcuni versi, alternati da una breve lode in canto, possono costituire un omaggio semplice ma profondo che ogni cristiano, in questa festa di precetto, può innalzare alla Vergine Madre.
• Rallegrati, germe divino della terra, giardino in cui fu posto l’Albero della vita!
• Rallegrati, o nostra tanto bramata letizia, o esultanza della Chiesa, o nome pieno di profumo, o viso illuminato dalla luce di Dio e che emana bellezza!
• Rallegrati, o vello salutare e spirituale, o chiara madre della luce nascente, o fonte zampillante d’acqua viva, o madre novella e modellatrice della nuova nascita!
• Rallegrati, o vaso d’alabastro dell’unguento di santificazione, o modesto spazio che ha accolto in sé Colui che il mondo non può contenere! E.V

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