Archive pour septembre, 2008

San Paolo nella relazione ddi Mons. Angelo Amato: Dall’abbassamento all’esaltazione il profilo di un’identità

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-15549?l=italian

Dall’abbassamento all’esaltazione il profilo di un’identità

ROMA, sabato, 27 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito ampi stralci della relazione pronunciata dell’Arcivescovo Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, monsignor Angelo Amato, in occasione del convegno diocesano su Il Volto di Cristo: verità, via, vita, tenutosi a Marina di Sibari (Cosenza), nei giorni 26 e 27 settembre.

* * *

L’identità di Gesù è professata apertamente nelle conclusioni della preghiera liturgica: «Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figlio, che è Dio». La celebrazione liturgica della fede trinitaria riafferma la signoria di Cristo, sull’umanità, sulla storia, sul cosmo. Gesù è il Signore. Egli è l’essenza del cristianesimo. Non si tratta di una novità, né di una tradizione sorpassata. È semplicemente l’espressione eterna della fede ecclesiale in Gesù, il Signore.

Forse è utile dare uno sguardo fugace al contenuto biblico del termine «Signore», che non è, come nel nostro linguaggio ordinario, una semplice indicazione di gentilezza «signor Presidente» o «signor Rossi» ma implica, invece, una indicazione precisa dello statuto umano-divino di Gesù Cristo. L’appellativo «Signore» nella Sacra Scrittura in lingua greca viene espresso da due vocaboli: despòtes e kyrios. Il termine

despòtes indica colui che detiene il potere e l’autorità sia nella sfera familiare che in quella pubblica. Il despòtes è il padrone di casa e il proprietario dei suoi servi. Questo vocabolo viene usato raramente: nella traduzione greca dell’Antico Testamento circa sessanta volte e solo dieci nel Nuovo Testamento. Due volte despòtes a diretto riferimento a Gesù. Nella seconda lettera di Pietro, quando l’apostolo parla dei falsi profeti e dei falsi maestri, «che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore (despòtes) che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina» (2 Pietro, 2, 1). Una seconda volta il vocabolo appare nella lettera di Giuda, il quale mette in guardia i fedeli dalle infiltrazioni di individui empi, che rinnegano «il nostro unico padrone (despòtes) e signore (kyrios) Gesù Cristo» (Giuda, 4). Come si vede, il contesto è quello delle eresie cristologiche, e sembra che sia la lettera di Giuda la fonte del richiamo di san Pietro. Nei due casi, despòtes indicherebbe l’altissima sovranità di Gesù, il Signore, che non merita di essere contestato o rinnegato dai suoi fedeli, da lui sommamente beneficati e salvati. Per questo, bisogna evitare i traviamenti dottrinali dei cattivi maestri.

Il secondo vocabolo, kyrios, indica il signore che ha ed esercita un’autorità legittima e può disporre di sé e degli altri. Tale voce fu anche usata dagli imperatori romani (cfr. Atti degli apostoli, 25, 26). Di per sé il titolo non implicava l’affermazione della divinità dell’imperatore, che, tuttavia, esigeva onori divini. Per questo i cristiani si ribellavano a questa concezione. Nella traduzione greca dell’Antico Testamento, kyrios è frequentissimo è attestato circa novemila volte e nella maggior parte dei casi traduce il nome ebraico di Dio. Kyrios esprime l’elezione del popolo da parte di Dio e la sua liberazione dalla schiavitù egiziana. Il popolo è sua proprietà e Dio, oltre che creatore del mondo, è anche il legittimo Signore di Israele. Anche nel Nuovo Testamento kyrios è una voce che si trova spessissimo. Essa è presente in settecentodiciotto passi, la maggior parte dei quali in Luca (duecentodieci) e in Paolo (duecentosettantacinque).Si possono ridurre a tre i significati di

kyrios. Anzitutto c’è un uso profano, a indicare, ad esempio, il padrone, il proprietario di uno schiavo, il datore di lavoro, il marito. Un secondo uso riferisce kyrios a Dio, soprattutto nei richiami all’Antico Testamento. Dio è il signore, il creatore del mondo, il dominatore dell’universo e della storia. Un terzo uso, quello più frequente, fa riferimento a Gesù Cristo, sia al Gesù prepasquale sia al Cristo risorto e glorioso. In questo titolo è contenuto il riconoscimento della sua divinità e della sua signoria. Ad esempio, Gesù, in quanto kyrios del sabato (Matteo, 12, 8), dispone del giorno sacro a Dio. L’apostolo Paolo fa riferimento all’autorità delle parole di Gesù per risolvere definitivamente alcune questioni sorte nella comunità dei fedeli di Corinto: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito» (1 Corinzi, 7, 10). Ancora Paolo ricorda la tradizione concernente l’eucaristia, istituita dal Signore Gesù: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane (…)» (1 Corinzi, 11, 23). Importantissima è la formula liturgica prepaolina «Signore Gesù Cristo Kyrios Iesoùs Christòs» (Filippesi, 2, 11). Si tratta verosimilmente della confessione di fede più antica della chiesa, che in tal modo celebra e supplica il Signore risorto, sottomettendosi a lui. È una invocazione che rivela una cristologia completa, tanto più stupefacente quanto più si consideri il fatto che, essendo una invocazione liturgica prepaolina, essa è presente pochissimi anni dopo la risurrezione di Gesù.

Rileggiamola così come ce la tramanda san Paolo, che, indirizzandosi ai cristiani di Filippi nella Macedonia greca, li esorta ad avere gli stessi sentimenti di umiltà che furono in Cristo Gesù:

«il quale, pur essendo

di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso, assumendo

la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini;

apparso in forma umana,

umiliò se stesso facendosi

obbediente fino alla morte

e alla morte di croce.

Per questo Dio l’ha esaltato

e gli ha dato il nome

che è al di sopra di ogni

altro nome;

perché nel nome di Gesù ogni

ginocchio si pieghi

nei cieli,

sulla terra

e sotto terra;

e ogni lingua

proclami

che Gesù Cristo

è il Signore,

a gloria

di Dio Padre»

(Filippesi, 2, 6-11).Si tratta della prima testimonianza esplicita della cosiddetta cristologia sviluppata o a quattro stadi, quella cristologia, cio

è, che parla apertamente della preesistenza divina del Figlio, della sua incarnazione, della sua passione e morte e, infine, della sua risurrezione e glorificazione. Qui, la visione completa della realtà divina e umana di Gesù Cristo la si ha, anzi la si celebra liturgicamente, con un lessico inequivocabile, subito dopo la risurrezione.

La confessione cristologica della prima comunità cristiana è quindi chiara e completa sin dall’inizio e non è affatto frutto della sua tardiva riflessione credente. Pertanto, la cristologia sviluppata di san Giovanni, alla fine del primo secolo, non è altro che una tematizzazione articolata condotta secondo il genere biografico «vangelo» dell’inno liturgico prepaolino. Insomma, l’affermazione

«ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Filippesi, 2, 11) è la prima e piena professione di fede cristologica della comunità cristiana. L’invocazione «Gesù Signore» esprime l’identità cristiana nel suo nucleo più intimo ed essenziale, è il suo Dna. Gesù è il Signore, un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Filippesi, 2, 9). Egli è il Signore dei vivi e dei morti (Romani, 14, 9). È il principe dei re della terra (Apocalisse, 1, 5). Egli è il Signore dei signori e il Re dei re (Apocalisse, 17, 14; 19, 16). Gesù, cioè, riceve gli stessi titoli di Dio, «beato e unico Sovrano, il Re dei regnanti e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Timoteo, 6, 15-16). La confessione dell’apostolo Tommaso nel quarto Vangelo «mio Signore e mio Dio» (Giovanni, 20, 28) continuò a risuonare completa e chiara anche sulla bocca e nei cuori dei fedeli della prima ora.

L’apostolo Paolo è solito cominciare e terminare le sue lettere con il richiamo al Signore Gesù Cristo. Si veda, ad esempio, il saluto iniziale della lettera ai Romani e delle due lettere ai Corinzi: «Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo» (Romani 1,7; 1 Corinzi, 1, 3; 2 Corinzi, 1, 2). Il richiamo al Signore Gesù Cristo si ha anche negli incipit delle lettere ai Galati (1, 3), ai Filippesi (1, 2), ai Tessalonicesi (1 Tessalonicesi, 1, 1; 2 Tessalonicesi, 1, 1-2), a Timoteo (1 Timoteo, 1, 1; 2 Timoteo, 1, 1), a Filemone (3). Nella seconda lettera ai Tessalonicesi l’apostolo lo ripete con insistenza nei primi due versetti: «Paolo, Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo» (2 Tessalonicesi, 1-1). Lo stesso si dica per i saluti finali: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi» (1 Tessalonicesi, 5, 28).I primi cristiani proclamavano apertamente la fede nel Signore Ges

ù Cristo, il quale ha autorità sulla Chiesa, la fa crescere e conferisce autorità ai suoi pastori (cfr. 1 Tessalonicesi, 3, 22; 2 Corinzi, 10, 8; 13, 10). Egli è il Signore che dona la pace, la misericordia, l’intelligenza delle cose (2 Tessalonicesi, 3, 16; 2 Timoteo, 2, 7-16). Inoltre, la formula paolina «nel Signore» equivale a «nel Signore Gesù Cristo». È in lui che il cristiano vive, cammina, lavora, serve, muore, viene salvato. La vita cristiana è sostenuta dall’ancoraggio al Signore Gesù Cristo, alla sua presenza e alla sua opera salvifica. E la parusia, il giorno del Signore (1 Corinzi, 1, 8; 5, 5), non sarà altro che l’incontro col Signore Gesù, giudice e salvatore (2 Tessalonicesi, 1, 9; 2, 8; Filippesi, 3, 20): «Il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi, noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore» (1 Tessalonicesi, 4, 16-17).

Il titolo «Signore», attribuito a Gesù, indica in modo chiaro la sua divinità, che è quindi dato scritturistico fontale e non frutto di decisioni conciliari tardive. È Gesù il Signore, il Figlio divino del Padre celeste, il Verbo incarnato per la salvezza dell’umanità. È lui la parola definitiva del Padre, il maestro unico, il rivelatore universale.

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 28 settembre 2008]

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XXVI SETTIMANA DEL T.O. – DOMENICA 28 SETTEMBRE 2008

XXVI SETTIMANA DEL T.O. - DOMENICA 28 SETTEMBRE 2008 dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥

http://santiebeati.it/

(lo so che non è importante, ma lunedì è il mio onomastico: San Gabriele Arcangelo)

XXVI SETTIMANA DEL T.O.

DOMENICA 28 SETTEMBRE 2008

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura Fil 2, 1-11 (Forma breve Fil 2, 1-5)
[
Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi linteresse proprio, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù
]
:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l
essere come Dio,
ma svuotò
se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall
aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò
se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esalt
ò
e gli donò
il nome
che è
al di sopra di ogni nome,
perché
nel nome di Ges
ù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«
Gesù
Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

COMMENTO  DEL SITO FRANCESE « BIBLE SERVICE A FIL. 2,1-11 (TESTO E TRADUZIONE)

Dal sito : Bible service :

http://www.bible-service.net/site/378.html

26° dimanche du Temps ordinaire (28 septembre 2008)

Philipppiens 2,1-11

Paul vient d’exhorter la communauté de Philippes à mener une vie digne du Christ et à tenir bon dans la foi malgré les épreuves. De même que lui, du fond de sa prison, témoigne de l’Évangile, les Philippiens doivent s’engager personnellement et accepter les souffrances inhérentes à la proclamation du Christ. Toute leur existence doit devenir témoignage de leur amour pour leur Seigneur. C’est ainsi que les sentiments d’unité, de compassion, d’humilité, de respect qui doivent les habiter ne prennent leur véritable sens que dans la contemplation du mystère du Christ mort sur la croix et ressuscité, exalté à la droite de Dieu. L’hymne, une confession de foi sans doute antérieure à Paul, met en lumière le mouvement de dépossession de soi du Fils par amour pour son Père et le mouvement d’élévation que le Père donne au Fils en reconnaissance de cet amour qui ramène à lui toute l’humanité.  C’est dans le comportement du Christ vis-à-vis de son Père, exemplaire pour les croyants, que les rapports au sein de la communauté trouvent leur sens et leur fondement.

Filippesi 2,1-11

Paolo sollecita la comunità di Filippi a condurre una vita degna di Cristo ed a rimanere fermi nella fede in Cristo nonostante le avversità. Come lui, dal profondo della sua prigione, illustra il Vangelo, Filippesi devono impegnarsi personalmente e accettare la sofferenza insita nella proclamazione di Cristo. Tutta la loro esistenza deve divenire testimonianza del loro amore per il Signore. È così che i sentimenti di unità, di compassione, di umiltà, di rispetto che devono abitare in loro non prendono il loro vero senso che nella contemplazione del mistero di Cristo morto sulla croce e risuscitato, esaltato alla destra di Dio. L’inno, una confessione di fede senza dubbio anteriore a Paolo, mette in luce il movimento di spogliamento di sé del Figlio per l’amore del Padre e il movimento di elevazione che il padre dona al Figlio in riconoscimento di questo amore che riconduce a lui tutta l’umanità. È nel comportamento del Figlio, faccia a faccia con il suo Padre, esemplare per tutti i credenti, che le relazioni in seno alla comunità trovano il loro senso e il loro fondamento.

PRIMI VESPRI

Lettura breve Col 1, 2b-6
Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro. Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l’annunzio dalla parola di verità del vangelo il quale è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Filippesi di san Paolo, apostolo 1, 1-11

Saluto e rendimento di grazie
Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. E’ giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.Responsorio Cfr. Fil 1, 9. 10. 6
R. La vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in discernimento, * perché possiate distinguere il meglio ed essere integri e irreprensibili.
V. Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù,
R. perché possiate distinguere il meglio ed essere integri e irreprensibili.

Seconda Lettura

(citazione)

Dalla «Lettera ai Filippesi» di san Policarpo, vescovo e martire
(Capp. 1, 1 – 2, 3; Funk 1, 267-269)

Foste salvati gratuitamente
Policarpo e i presbiteri, che sono con lui, alla chiesa di Dio che risiede come pellegrina in Filippi: la misericordia e la pace di Dio onnipotente e di Gesù Cristo nostro salvatore siano in abbondanza su di voi. Prendo parte vivamente alla vostra gioia nel Signore nostro Gesù Cristo perché avete praticato la parola della carità più autentica. Infatti avete aiutato nel loro cammino i santi avvinti da catene, catene che sono veri monili e gioielli per coloro che furono scelti da Dio e dal Signore nostro. Gioisco perché la salda radice della vostra fede, che vi fu annunziata fin dal principio, sussiste fino al presente e porta frutti in Gesù Cristo nostro Signore. Egli per i nostri peccati accettò di giungere fino alla morte, ma «Dio lo ha risuscitato sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2, 24), e in lui, senza vederlo, credete con una gioia indicibile e gloriosa( cfr. 1 Pt 1, 8), alla quale molti vorrebbero partecipare; e sapete bene che siete stati salvati per grazia, non per le vostre opere, ma per la volontà di Dio mediante Gesù Cristo (cfr. Ef 2, 8-9). «Perciò dopo aver preparato la vostra mente all’azione» (1 Pt 1, 13), «servite Dio con timore» (Sal 2, 11) e nella verità, lasciando da parte le chiacchiere inutili e gli errori grossolani e «credendo in colui che ha risuscitato nostro Signore Gesù Cristo dai morti e gli ha dato gloria» (1 Pt 1, 21), facendolo sedere alla propria destra. A lui sono sottomesse tutte le cose nei cieli e sulla terra, a lui obbedisce ogni vivente. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti e Dio chiederà conto del suo sangue a quanti rifiutano di credergli. Colui che lo ha risuscitato dai morti, risusciterà anche noi, se compiremo la sua volontà, se cammineremo secondo i suoi comandi e ameremo ciò che egli amò, astenendoci da ogni specie di ingiustizia, inganno, avarizia, calunnia, falsa testimonianza, «non rendendo male per male, né ingiuria per ingiuria» (1 Pt 3, 9), colpo per colpo, maledizione per maledizione, memori dell’insegnamento del Signore che disse: Non giudicate per non esser giudicati; perdonate e vi sarà perdonato; siate misericordiosi per ricevere misericordia; con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi (cfr. Mt 7, 1); Lc 6, 36-38) e: Beati i poveri e i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (cfr. Mt 5, 3. 10).

VESPRI

Lettura Breve 2 Ts 2, 13-14
Noi dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché
Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità
, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.

SABATO 27 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL T.O.

SABATO 27 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL T.O.

San Vincenzo de Paoli (m)

UFFICIO DELLE LETTURE (della memoria)

(citazione 1Cor 9,22)

Seconda Lettura
Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de’ Paoli, sacerdote (Cfr. lett, 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)

Servire Cristo nei poveri
Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l’evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli. Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.
Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell’Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi. Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell`orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E’ una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.

Responsorio Cfr. 1 Cor 9, 19. 22; Gb 29, 15-16
R. Libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, debole con i deboli. * Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
V. Ero occhio per il cieco, e piede per lo zoppo; padre io ero per i poveri.
R. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.

LODILettura Breve Eb 13, 7-9a
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine.

VENERDÌ 26 SETTEMBRE 2008 – XXVI SETTIMANA DEL T.O.

VENERDÌ 26 SETTEMBRE 2008 – XXVI SETTIMANA DEL T.O.

SS. COSMA E DAMIANO (mf)

UFFICIO DELLE LETTURE

questa è la lettura di oggi tratta dal T.O., la lettura dell’Ufficio per la memoria facoltativa è tratta sempre da Sant’Agostino, non ci sono riferimenti a San Paolo;

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 29-30; CCL 41, 555-557)

I buoni pastori nell’unico Pastore
Cristo ti pasce come è giusto, con giudizio, e distingue le sue pecore da quelle non sue. Le mie pecore, egli dice, ascoltano la mia voce e mi seguono (cfr. Gv 10, 27). Qui trovo tutti i buoni pastori come concretizzati nell’unico Pastore. Non mancano infatti i buoni pastori, ma tutti si trovano impersonati in uno solo. Sarebbero molti, se fossero divisi, ma qui si dice che è uno solo, perché viene raccomandata l’unità. Per questo solo motivo ora non si parla di pastori, ma dell’unico Pastore, non perché il Signore non trovi uno al quale affidare le sue pecore. Un tempo le affidò, perché trovò Pietro. Anzi proprio nello stesso Pietro ha raccomandato l’unità. Molti erano gli apostoli, ma ad uno solo disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21, 17). Dio voglia che non manchino ai nostri giorni i buoni pastori; Dio non permetta che ne rimaniamo privi; la sua misericordia bontà li faccia germogliare e li costituisca a capo delle chiese. Certo, se vi sono delle buone pecore, vi saranno anche buoni pastori; perché dalle buone pecore si formano i buoni pastori. Ma tutti i buoni pastori si identificano con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pascolano, è Cristo che pascola. Gli amici infatti dello sposo non fanno risuonare la loro voce, ma esultano di gioia alla voce dello sposo. Perciò è lui stesso che pascola, quando essi pascolano, e dice: Sono io che pascolo, perché è in essi la sua voce, in essi il suo amore. Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro, certo gliele affidò come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa. Perciò per affidargli le pecore, non come ad altri che a sé, che cosa gli chiede prima? Pietro, mi ami? E rispose: Ti amo. E di nuovo: Mi ami? E rispose: Ti amo. E per la terza volta: Mi ami? E rispose: Ti amo (cfr. Gv 21, 15-17). Vuole renderne saldo l’amore per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pascolano in lui solo. Da una parte non si parla di pastori e nello stesso tempo vengono menzionati. Si gloriano i pastori, ma: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» (2 Cor 10, 17). Questo vuol dire pascere Cristo, pascere per Cristo, pascere in Cristo, non pascere per sé al di fuori di Cristo. Non certo per mancanza di pastori. Quando Dio per bocca del profeta diceva: Pascolerò io stesso le mie pecorelle perché non trovo a chi affidarle, non intendeva preannunziare tempi tanto calamitosi da vederci privi di pastori. Infatti anche quando Pietro e gli stessi apostoli erano in questo corpo e in questa vita, egli, il solo che nella sua persona compendia tutti gli altri pastori, pronunziò parole consimili: «E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10, 16). Cristo dunque è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori. Tutti dunque si trovino nell’unico pastore, ed esprimano l’unica voce del pastore. Le pecore ascoltino questa voce e seguano il loro pastore, e non questo o quell’altro, ma uno solo. E tutti in lui facciano sentire una sola voce, non abbiano voci diverse. «Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra voi» (1 Cor 1, 10). Questa voce, purificata da ogni divisione e da ogni eresia, ascoltino le pecore e seguano il loro pastore che dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce… ed esse mi seguono» (Gv 10, 27).

LODI

Lettura Breve Ef 4, 29-32
Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

VESPRI

Lettura breve Rm 15, 1-3
Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermit
à
dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me (Sal 68, 10).

GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL del T.O

GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL del T.O

UFFICIO DELLE LETTURE

c’è ancora il discorso di Sant’Agostino « sui Pastori », in questo stralcio non ci sono riferimenti a San Paolo, ma tutto il « discorso » sembra fondato sull’Apostolo, come sempre

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 24-25. 27; CCL 41, 551-553)

In pascoli ubertosi pascolerò le mie pecore
«Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti di Israele» (Ez 34, 13). Per «monti di Israele» devono intendersi le pagine delle Sacre Scritture. Lì pascolate, se volete pascolare con sicurezza. Tutto quello che ascolterete da quella fonte, gustatelo con piacere; tutto quello invece che è al di fuori, rigettarlo. Per non andare errando nella nebbia, ascoltate la voce del pastore. Radunatevi sui monti delle Sacre Scritture. Ivi troverete le delizie del vostro cuore, ivi non c’è nulla di velenoso, nulla di dannoso: solo pascoli ubertosi. Venite solamente voi; pecore sane, venite; voi solo pascolate sui monti di Israele. «E lungo i ruscelli e in ogni luogo abitato del paese» (Ez 34, 13 volg.). Infatti dai monti, di cui abbiamo parlato, sono scaturiti i fiumi della predicazione evangelica quando per tutta la terra si è diffusa la loro voce (cfr. Sal 18, 5) ed ogni contrada della terra è diventata rigogliosa e fertile per pascervi le pecore. «Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d’Israele: lì riposeranno in un buon ovile» (Ez 34, 14) cioè dove possano trovare riposo, dove possano dire: Si sta bene. Dove possano riconoscere: E’ vero, è chiaro, non ci inganniamo. Troveranno riposo nella gloria di Dio, come in casa propria: «E dormiranno», cioè riposeranno, in grandi delizie.
«E avranno rigogliosi pascoli sui monti di Israele» (Ez 34, 14). Ho già parlato di questi monti di Israele, monti floridi, verso i quali leviamo gli sguardi perché di là ci venga l’aiuto. Ma il nostro aiuto ci viene dal Signore, «che ha fatto il cielo e la terra» (Sal 123, 8). Infatti perché la nostra speranza non si arrestasse ai monti floridi, dopo aver detto: «Pascolerò le mie pecore sui monti di Israele», soggiunse subito: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo» (Ez 34, 15). Leva pure il tuo sguardo verso i monti, donde verrà il tuo aiuto, ma non dimenticare chi dice: «Io le condurrò al pascolo». Perché l’aiuto ti viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra. E conclude così: E le pascolerò come è giusto, con giudizio (cfr. Ez 34, 16). Considera come egli solo sappia pascolare il gregge, perché solo lui lo pascola come è giusto, con giudizio. Quale uomo infatti è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all’improvviso si converte e diviene ottimo. Colui dal quale ci saremmo aspettati molto, ad un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo. Né il nostro timore, né il nostro amore sono stabili e sicuri. Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo. Tuttavia fino a un certo punto egli sa che cosa è oggi, ma non già quello che sarà domani. Dio solo dunque pascola con giudizio, distribuendo a ciascuno il suo: a chi questo, a chi quello, secondo che gli è dovuto. Egli infatti sa quello che fa. Pascola con giudizio coloro che ha redento, lui che si è sottoposto a un giudizio umano. Dunque è lui solo che pascola con giudizio.

Benedetto XVI: San Paolo e gli Apostoli (catechesi 24 settembre 2008)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15513?l=italian

Benedetto XVI: San Paolo e gli Apostoli

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì


CITTA’ DEL VATICANO, mercoled
ì, 24 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI in occasione dellUdienza generale del mercoledì svoltasi nellAula Paolo VI, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dallItalia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi sulla figura di San Paolo, il Santo Padre si è soffermato sui suoi rapporti con gli Apostoli.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi parlare sulla relazione tra san Paolo e gli Apostoli che lo avevano preceduto nella sequela di Gesù. Questi rapporti furono sempre segnati da profondo rispetto e da quella franchezza che a Paolo derivava dalla difesa della verità del Vangelo. Anche se egli era, in pratica, contemporaneo di Gesù di Nazareth, non ebbe mai lopportunità d’incontrarlo, durante la sua vita pubblica. Per questo, dopo la folgorazione sulla strada di Damasco, avvertì il bisogno di consultare i primi discepoli del Maestro, che erano stati scelti da Lui perché ne portassero il Vangelo sino ai confini del mondo.

Nella Lettera ai Galati Paolo stila un importante resoconto sui contatti intrattenuti con alcuni dei Dodici: anzitutto con Pietro che era stato scelto come Kephas, la parola aramaica che significa roccia, su cui si stava edificando la Chiesa (cfr Gal 1,18), con Giacomo, « il fratello del Signore » (cfr Gal 1,19), e con Giovanni (cfr Gal 2,9): Paolo non esita a riconoscerli come « le colonne » della Chiesa. Particolarmente significativo è l’incontro con Cefa (Pietro), verificatosi a Gerusalemme: Paolo rimase presso di lui 15 giorni per « consultarlo » (cfr Gal 1,19), ossia per essere informato sulla vita terrena del Risorto, che lo aveva « ghermito » sulla strada di Damasco e gli stava cambiando, in modo radicale, l’esistenza: da persecutore nei confronti della Chiesa di Dio era diventato evangelizzatore di quella fede nel Messia crocifisso e Figlio di Dio, che in passato aveva cercato di distruggere (cfr Gal 1,23).Quale genere di informazioni Paolo ebbe su Gesù Cristo nei tre anni che succedettero allincontro di Damasco? Nella prima Lettera ai Corinzi possiamo notare due brani, che Paolo ha conosciuto a Gerusalemme, e che erano stati già formulati come elementi centrali della tradizione cristiana, tradizione costitutiva. Egli li trasmette verbalmente, così come li ha ricevuti, con una formula molto solenne: « Vi trasmetto quanto anchio ho ricevuto ». Insiste cioè sulla fedeltà a quanto egli stesso ha ricevuto e che fedelmente trasmette ai nuovi cristiani. Sono elementi costitutivi e concernono lEucaristia e la Risurrezione; si tratta di brani già formulati negli anni trenta. Arriviamo così alla morte, sepoltura nel cuore della terra e alla risurrezione di Gesù. (cfr 1 Cor 15,3-4). Prendiamo luno e laltro: le parole di Gesù nellUltima Cena (cfr 1 Cor 11,23-25) sono realmente per Paolo centro della vita della Chiesa: la Chiesa si edifica a partire da questo centro, diventando così se stessa. Oltre questo centro eucaristico, nel quale nasce sempre di nuovo la Chiesa – anche per tutta la teologia di San Paolo, per tutto il suo pensiero – queste parole hanno avuto un notevole impatto sulla relazione personale di Paolo con Gesù. Da una parte attestano che l’Eucaristia illumina la maledizione della croce, rendendola benedizione (Gal 3,13-14), e dall’altra spiegano la portata della stessa morte e risurrezione di Gesù. Nelle sue Lettere il « per voi » dellistituzione eucaristica diventa il « per me » (Gal 2,20), personalizzando, sapendo che in quel «voi» lui stesso era conosciuto e amato da Gesù e dell’altra parte « per tutti » (2 Cor 5,14): questo «per voi» diventa «per me» e «per la Chiesa (Ef 5, 25)», ossia anche «per tutti» del sacrificio espiatorio della croce (cfr Rm 3,25). Dalla e nell’Eucaristia la Chiesa si edifica e si riconosce quale « Corpo di Cristo » (1 Cor 12,27), alimentato ogni giorno dalla potenza dello Spirito del Risorto. L’altro testo, sulla Risurrezione, ci trasmette di nuovo la stessa formula di fedeltà. Scrive San Paolo: « Vi ho trasmesso dunque, anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici » (1 Cor 15,3-5). Anche in questa tradizione trasmessa a Paolo torna quel « per i nostri peccati », che pone l’accento sul dono che Gesù ha fatto di sé al Padre, per liberarci dai peccati e dalla morte. Da questo dono di sé, Paolo trarrà le espressioni più coinvolgenti e affascinanti del nostro rapporto con Cristo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio » (2 Cor 5,21); « Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà » (2 Cor 8,9). Vale la pena ricordare il commento col quale lallora monaco agostiniano, Martin Lutero, accompagnava queste espressioni paradossali di Paolo: « Questo è il grandioso mistero della grazia divina verso i peccatori: che con un mirabile scambio i nostri peccati non sono più nostri, ma di Cristo, e la giustizia di Cristo non è più di Cristo, ma nostra » (Commento ai Salmi del 1513-1515). E così siamo salvati. Nell

originale kerygma (annuncio), trasmesso di bocca in bocca, merita di essere segnalato l’uso del verbo « è risuscitato », invece del « fu risuscitato » che sarebbe stato più logico utilizzare, in continuità con « morì… e fu sepolto ». La forma verbale «è risuscitato» è scelta per sottolineare che la risurrezione di Cristo incide sino al presente dell’esistenza dei credenti: possiamo tradurlo con « è risuscitato e continua a vivere » nellEucaristia e nella Chiesa. Così tutte le Scritture rendono testimonianza della morte e risurrezione di Cristo, perché – come scriverà Ugo di San Vittore – « tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento » (De arca Noe, 2,8). Se sant’Ambrogio di Milano potrà dire che « nella Scrittura noi leggiamo Cristo », è perché la Chiesa delle origini ha riletto tutte le Scritture d’Israele partendo da e tornando a Cristo.

La scansione delle apparizioni del Risorto a Cefa, ai Dodici, a più di cinquecento fratelli, e a Giacomo si chiude con laccenno alla personale apparizione, ricevuta da Paolo sulla strada di Damasco: « Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto » (1 Cor 15,8). Poiché egli ha perseguitato la Chiesa di Dio, in questa confessione esprime la sua indegnità nellessere considerato apostolo, sullo stesso livello di quelli che lhanno preceduto: ma la grazia di Dio in lui non è stata vana (1 Cor 15,10). Pertanto laffermarsi prepotente della grazia divina accomuna Paolo ai primi testimoni della risurrezione di Cristo: « Sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto » (1 Cor 15,11). È importante l’identità e l’unicità dell’annuncio del Vangelo: sia loro sia io predichiamo la stessa fede, lo stesso Vangelo di Gesù Cristo morto e risorto che si dona nella Santissima Eucaristia.L’importanza che egli conferisce alla Tradizione viva della Chiesa, che trasmette alle sue comunità, dimostra quanto sia errata la visione di chi attribuisce a Paolo linvenzione del cristianesimo: prima di evangelizzare Gesù Cristo, il suo Signore, egli lha incontrato sulla strada di Damasco e lo ha frequentato nella Chiesa, osservandone la vita nei Dodici e in coloro che lo hanno seguito per le strade della Galilea. Nelle prossime Catechesi avremo lopportunità di approfondire i contributi che Paolo ha donato alla Chiesa delle origini; ma la missione ricevuta dal Risorto in ordine allevangelizzazione dei gentili ha bisogno di essere confermata e garantita da coloro che diedero a lui e a Barnaba la mano destra, in segno di approvazione del loro apostolato e della loro evangelizzazione e di accoglienza nella unica comunione della Chiesa di Cristo (cfr Gal 2,9). Si comprende allora che l’espressione « anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne » (2 Cor 5,16) non significa che la sua esistenza terrena abbia uno scarso rilievo per la nostra maturazione nella fede, bensì che dal momento della sua Risurrezione, cambia il nostro modo di rapportarci con Lui. Egli è, nello stesso tempo, il Figlio di Dio, « nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti », come ricorderà Paolo all’inizio della Lettera ai Romani (1, 3-4).

Quanto più cerchiamo di rintracciare le orme di Gesù di Nazaret per le strade della Galilea, tanto più possiamo comprendere che Egli si è fatto carico della nostra umanità, condividendola in tutto, tranne che nel peccato. La nostra fede non nasce da un mito, né da unidea, bensì dallincontro con il Risorto, nella vita della Chiesa.

Publié dans:PAPA BENEDETTO XVI E SAN PAOLO |on 27 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma – preghiera (traduzione dal francese)

è una preghiera che ho trovato sul sito : « Fraternité de Jerusalem » per la dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo, ho cercato il testo in italiano, ma non l’ho trovato, così ho tradotto io, credo corrisponda bene con il testo francese, comunque metto – qui di seguito – anche il testo originale per chi conosce il francese, dal sito, l’avevo già tradotto a settembre, ho rifatto la traduzione oggi: 16 ottobre 2008:

http://jerusalem.cef.fr/pages/24homelies/index.php?hid=205

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma

Frère Pierre-Marie  

Niente “nella vita”, come si dice,

predisponeva questi due uomini,

che la liturgia congiunge oggi in una sola festa,

ed incontrarsi

e meno ancora a lavorare insieme.

Un punto comune, tuttavia, all’inizio:

tutti e due sono di stirpe Giudea.

Un grande punto in comune alla fine:

tutti e due muoiono come apostoli di Gesù Cristo.

*

Il primo si chiama Simone

Dal nome del secondo figlio dell’antenato Giacobbe.

Il secondo porta il nome di Saul

Come il primo re concesso da Dio al popolo di Israele.

Simone è un pescatore di Betsaida

E passa la maggior parte del tempo

Sulle acque del lago di Tiberiade.

È un Galileo, immerso nel cuore di questa terra,

luogo di incontro (incrocio) delle nazioni pagane.

Vieni al mio seguito, io farò di te un pescatore di uomini.

Lasciando là le reti egli parte subito al seguito di Gesù.

E diviene suo discepolo.

Qualche tempo dopo, al termine di tutta una notte in preghiera,

sui fianchi della montagna, Gesù chiama di nuovo

e lo pone alla testa dei Dodici,

ed egli riceve, come gli altri, il nome di apostolo.

E come colui che vi ha chiamati è santo,

scriverà un giorno nella sua prima lettera

agli stranieri della diaspora,

“diventate santi in tutta la vostra condotta” (1Pt 15.16)

Predicando, essendo per primo d’esempio [credo sia giusto]

Buon pastore e modello del gregge di Dio

Il discepolo Simone, l’apostolo Pietro

Diventerà, semplicemente: San Pietro

Quale itinerario (!):

la Galilea, la Samaria, Gerusalemme,

nella notte, memorabile e terribile,

quella dell’agonia del suo Signore,

o volendo camminare, lui anche, al suo seguito,

sulle acque della morte,

egli prende paura, tutto ad un tratto, perché il vento era cambiato,

ancora una volta,

ed era diventato contrario (Mt 14, 24.30)

E, poi, la mattina radiosa del Santo Giorno di Pasqua.

Il vento folle d’amore, divenuto di nuovo favorevole,

riempie di fuoco il giorno di Pentecoste (At 2,2.47).

Ancora Gerusalemme, Giaffa, Cesarea Marittima,

Antiochia e Roma, infine.

Egli sarà dunque: San Pietro di Roma.

Nel luogo stesso del suo martirio, si costruirà una chiesa

Sotto la protezione e alla memoria del suo nome.

Voi dunque, come pietre vive

Per la costruzione di un edificio spirituale (1Pt 2, 5)

*

- Saul, Saulo, perché mi perseguiti?

- Chi sei, o Signore?

- Io sono Gesù, che tu perseguiti (At 9, 4-5)

Allora, questo circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele,

della tribù di Beniamino, Ebreo, figlio di Ebrei,

quanto alla Legge un Fariseo, quanto a zelo un persecutore della Chiesa,

quanto alla giustizia che può donare la Legge,

un uomo irreprensibile,

si manifesta [letteralmente : si rialza] (Fil 3,5-6).

Accecato dalla luce, abbattuto nella carne,

scosso nelle sue certezze, e riconoscendosi infine

il primo dei peccatori (1Tim 1,15)!

Due anni nel deserto, Gerusalemme, Antiochia, Cipro…

La Cilicia, la Galazia, la Lidia, la Misia, la Macedonia,

Efeso, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto…

Tutto il bacino del mediterraneo percorso

In molti viaggi missionari

E, per finire, per lui anche, la città di Roma,

dove egli morirà, ugualmente, come martire di Cristo.

*

Presso la collina vaticana

Al posto del circo di Nerone,

l’apostolo Pietro è crocifisso.

Sulla strada di Ostia, fuori le mura,

l’apostolo Paolo è decapitato.

Noi festeggiamo oggi, fratelli e sorelle,

la dedicazione di queste due Chiese,

erette nel cuore della capitale dell’Impero,

divenuta la città dove il vescovo di Roma, il Papa

presiede alla carità di tutte le Chiesa:

la Basilica di San Pietro di Roma,

e la Basilica di San Paolo fuori le mura.

Offerte con tutto il cuore all’annuncio del Vangelo

Ecco questi due uomini che tutto avrebbe potuto separare,

più che mai uniti nel dono del loro sangue.

Del loro sangue venuto a fecondare la terra della città

la più pagana del mondo,

per farne la culla, dopo Gerusalemme dove la Chiesa è nata

di tutta la cristianità!

*

Fratelli e sorelle,

lodiamo Pietro e Paolo

per l’esempio indimenticabile delle loro vite.

Anche noi, malgrado tutte le diversità, di molteplici itinerari,

eccoci, profondamente uniti,

nella fede in Gesù Cristo,

il Salvatore di tutti gli uomini,

e l’appartenenza alla sua Chiesa universale

per la quale è piaciuto a Dio far passare la salvezza.

Quale grazia appartenere alla Gerusalemme nuova

dove tutto insieme fa corpo!

La salvezza viene dai Giudei,

aveva detto Gesù ad una donna pagana di Samaria.

Ora, con Pietro e Paolo, noi possiamo dire di nuovo:

Noi siamo tutti figli di Dio per la fede in Gesù Cristo.

Tutti voi, in effetti, battezzati in Cristo,

avete rivestito il Cristo.

Non c’è più ne Giudeo, né Greco, né schiavo, né uomo libero,

né uomo, né donna, perché tutti siete che uno

in Cristo (Gal 3,27-28).

Ma se voi appartenete a Cristo,

voi siete dunque della discendenza di Abramo,

eredi secondo la promessa.

Veramente i doni e la chiamata di Dio

Sono senza ripensamento e le promesse

per sempre!

Come dice l’orazione della messa in

questa festa della Dedicazione,

noi possiamo ripetere questa preghiera:

“Guarda le tue Chiese, Signore,

sotto la protezione degli apostoli Pietro e Paolo.

Affinché esse ricevano per essi,

il primo annuncio del Vangelo

che esse ricevano fino alla fine dei tempi

la grazia della quale hanno bisogno di crescere!”

San Pietro e Paolo di Roma,

pregate per noi!

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