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LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO NELL’ANTICO TESTAMENTO

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LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO NELL’ANTICO TESTAMENTO

(ho lasciato la grafica come è nel testo originale – più o meno – anche allunga un po’ il post)

(Seconda parte)

• L’agnello pasquale
• Il legno gettato nella fonte
• La verga di Mosè
• Il capro Azazel
• Il serpente di bronzo
• La corda rossa di Raab

Introduzione

Padre Marcello Spagnolo, passionista, nel­ l’introduzione del suo « Dall’Eden al Golgota », scrive : « Dio, da grande artista qual è, ha preso nelle mani il mondo, come il vasaio prende in mono un pezzo di creta; ha preso l’umanità, con tutta la sua storia, e sulla creta del mondo e nella storia dell’umanità ha tracciato i segni che ha voluto.
Inoltre ha parlato. Ha parlato per bocca dei suoi profeti.
Coi segni tracciati e con le parole dei profeti — il tutto consegnato nelle sacre scritture — Dio si è compiaciuto di abbozzare la trama delle cose future, specialmente di quelle riguardanti il suo Figliuolo ».
Nella trama delle cose future riguardanti il suo Figlio, Dio-Padre abbozzò, in modo particolare, tutto ciò che riguardava la passione e morte di Gesù.
Infatti nostro Signore, parlando della sua passione e morte, si appellava sempre alla sacra scrittura:
« Ecco che noi saliamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quanto fu scritto dai profeti intorno al Figlio dell’uomo » (1).
« Come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che avvenga così? », cioè la sua cattu­ ra nel Getsemani ( 2 ).
« O stolti e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non doveva forse il Cri­sto patire tali cose e così entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegava loro in tutte le Scritture le cose che si riferivano a lui » ( 3 ).
Per poter leggere nella Bibbia la storia an­ ticipata della passione e morte di Gesù Cristo si richiedono in noi tre disposizioni :
• credere che la sacra scrittura è un libro divino che ha per autore principale Dio;
• confessare che tutto è manifesto allo sguardo di Dio: il passato, il presente e il futuro;
• ritenere che nulla si opera nel mondo — sia di piccolo come di grande — che non sia voluto o permesso da Dio ( 4 ).

(1) Lc, XVIII, 31.
(2) Mt., XXVI, 54.
(3) Lc, XXIV, 25-27.
(4) Padre Marcello Spagnolo, o.c.

Con queste disposizioni interne, sostenute dalla preghiera, fatta prima, durante e dopo la lettura della Bibbia, la storia della passione e morte di Gesù in croce ci apparirà evidente in tutto il Vecchio Testamento.
Continuiamo in questa seconda lettura a vedere le figure bibliche della redenzione umana.

I. L’agnello pasquale
Dio aveva comandato agli israeliti molti sacrifici in suo onore; soprattutto il sacrificio quotidiano di due agnelli : « Ogni giorno, in perpetuo, sacrificherai sull’altare due agnelli d’un anno, uno la mattina ed uno la sera » ( 5 ).
Ma, una volta all’anno, Dio dispose che, a Pasqua, tutte le famiglie immolassero un agnello in memoria della loro liberazione dalla schiavitù dei faraoni d’Egitto. L’immolazione era fatta nell’atrio interno del tempio, dal capofamiglia.

(5) Esodo, XXIX, 38.

1. L’agnello pasquale, simbolo dell’Agnello divino
Gli israeliti vedevano in quell’agnello pasquale l’immagine del futuro Messia.
Il profeta Isaia lo vide e lo descrisse: «È stato menato a morte come una pecorella, come un agnel­ lo che non apre bocca » (6). « Manda, o Signore, l’Agnello dominatore della terra » (7).
San Giovanni Battista, additando Gesù alle turbe, esclamò: « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo » ( 8 ).
Tutti i santi padri videro nell’agnello pasqua­ le degli ebrei raffigurato Gesù crocifisso.
L’abate Ruperto dice: « Gesù fece il suo ingresso in Gerusalemme il giorno dieci di Nisan. Per quel giorno era comandato ai capi dì famiglia d’Israele di prendere ciascuno e mettere da parte l’agnello che doveva servire per la Pasqua. E così Gesù Cristo osservò anche questo particolare, separandosi e mettendosi fin da quel giorno a disposizione dei suoi immolatori » (9′).

(6) Isaia, LIII, 7.
(7) Isaia, XVI, 1.
(8) Gv., I, 29.

(9) Presso Giacomo Finto, 1 V., t. III, 2.

Lo scrittore cristiano Lattanzio (sec. III-IV) scrive : « Quando i primogeniti degli egiziani in una notte perirono, i soli ebrei restarono incolumi nel segno del sangue. Non perche il sangue di un animale avesse in se tanta virtù, da dare la salute agli uomini, ma perché era immagine delle cose future. L’agnello candido e senza macchia era infatti Cristo, innocente, giusto e santo, il quale immolato dai giudei, è divenuto salute a quanti segnano la loro fronte col segno del sangue, col segno della croce, strumento del suo martirio » ( 10 ).
L’abate Ruperto dichiara : « L’agnello, che in figura di te (o Gesù) fu ucciso in Egitto, redense nel suo sangue quel popolo… o meglio, tu, o Signore, agnello dominatore, lo redimesti con redenzione figurativa, mediante l’immolazione dell’agnello; tu che ora hai redento noi a Dio, da te stesso nel tuo proprio sangue, ed in modo che il tuo sangue, sparso per noi, preso dal sacramento del battesimo, s’imprima in forma dì croce sulle nostre fronti » (11).
San Pietro apostolo afferma : « Vivete con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio; ben sapendo… che siete stati riscattati… col prezioso sangue di Cristo, dell’Agnello immacolato e incontaminato » ( 12 ).
San Paolo apostolo dice: « La nostra Pasqua — ossia il nostro agnello — Cristo, è stato immolato » (13).

2. Conclusione
Presso gli ebrei, l’agnello pasquale, dopo di essere stato sacrificio, doveva divenire cibo conviviale. Tutti dovevano mangiare a questo convito. Chi non avesse mangiato l’agnello, era anatematizzato, scomunicato.

(10) Divinarum Institutionum libri septem, I, IV, e. 26; ML, 6, 530.
(11) In Apocalypsìm, 1, IV, e. 5; ML, 169, 933.
(12) 1, I, 17-19.
(13) 1 Corinti, V, 7.

L’Agnello divino, dopo d’essersi immolato sulla croce per la nostra salvezza, volle trasformarsi in cibo nell’Eucaristia; comandò che ognuno di noi dovesse accostarsi a lui e mangiare di esso : « In verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete la vita eterna. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (14).
Dunque mangiamo spesso la carne del divin Agnello, divenuto nostro cibo nell’Eucaristia, e saremo da Gesù risuscitati nell’ultimo giorno per partecipare, in oielo, della sua gloria.

II. Il legno gettato nella fonte

Narra la Bibbia: « Mosè condusse via Israele dal Mar Rosso, e giunse al deserto di Sur. Camminaro­ no tre giorni nel deserto senza trovare acqua. Poi vennero in Mara; ma non poterono bere di quell’acqua, perché era amara. Mosè pregò il Signore. Il Signore gli mostrò un certo legno, capace di far addolcire le acque. Mosè prese quel legno, lo gettò nella fontana, e le acque divennero dolci » ( 15 ).

(14) Gv., VI, 54-55.
(15) Esodo, XV, 22-25.

1. Quel legno era simbolo della croce di Gesù
I santi padri affermano che quel legno me­ raviglioso, indicato da Dio a Mosè, era tipo della santa croce di Gesù Cristo, la quale, col suo contatto, rende dolce ogni cosa.
Rabano Mauro scrive : « Che le acque amare al contatto del legno si addolciscano, è indizio che la amarezza delle genti doveva un giorno cambiarsi in dolcezza per virtù del legno della santa croce » ( 16 ).
L’abate Ruperto afferma: « Il legno che il Signore mostrò a Mosè, e che mostrava per sua grazia anche a noi, è il legno della santa e vivifica croce. Mettere il legno nelle acque amare per renderle dolci, è applicare il sacramento della passione del Signore alla lettera della legge. Il che quanto sia dolce, lo conosce solo chi meritò di sperimentarlo; chi bevve, egli lo sa» (17).
Cornelio A Lapide: « Che cosa viene significato dall’acqua amara se non l’amarezza delle avversità? Tale amarezza, allorché vi si getti dentro il legno della Croce, vale a dire, si consideri la passione del dolce Gesù, sembrerà nulla, messa al confronto con ciò che l’Uomo-Dio e Mediatore degli uomini Gesù Cristo, ha sofferto per noi » ( 18 ).
San Cirillo dice: «Se tu prendi tuo cibo e bevan­ da dal mistero della Croce, ti avvedrai come quel legno, che presso Mara diede in figura dolce sapore,

(16) Comment., In Esodo, 1. II; ML, 108, 76.
(17) In Esodo, 1. III; ML, 167, 655.
(18) Comment., In Esodo, h. 1.

2. Conclusione
Si disputa presso gli esegeti se quel legno, gettato da Mosè nelle acque, avesse natural­mente o no la virtù di rendere dolce l’amaro. Tutti però sono concordi nell’ammettere che la passione di Gesù ha per se stessa la pro­ prietà di addolcire le amarezze della vita. « È questa la gloria e la grazia della Croce, prefigurata nel legno di Mara » ( 20 ).
Il poeta Venanzio Fortunato cantava : « Dolce ferro e dolce legno reggono un dolce peso ».
San Paolo della croce, giovanetto, soleva abbeverarsi di fiele, di vero fiele, ogni venerdì; ed il fiele gli sembrava delizioso. Egli però faceva prima, quello che fece Mosè; vi gettava dentro un legno, il legno della Croce; pensava cioè a quel fiele che fu dato a bere a Gesù nella passione, e mandava giù i sorsi, tanto più dolci quanto più amari ( 21 ).
Cari lettori, imitiamo san Paolo della croce nel pensare alle pene di Gesù durante la sua passione e morte, e, a sua imitazione, trovere­ mo dolce ciò che umanamente è amaro.

(19) A Lapide.
(20) Sant’Agostino, ML, 34, 616.
(21) Padre Marcello Spagnolo c.p., o.c.

III. La verga di Mosè
Narra la Bibbia che gli amaleciti assalirono Israele in Rafidin. Mosè disse a Giosuè: « Scegliti degli uomini ed esci a combattere contro gli amaleciti. Domani io sarò sulla cima del colle, tenendo in mano la verga dì Dio » ( 22 ).
Giosuè eseguì l’ordine e combattè contro gli amaleciti, mentre Mosè, Aronne e Ur stavano in cima al colle. Ora, finché Mosè teneva le mani alzate, vinceva Israele; ma se le abbassava un poco, vinceva Amalec.
Si noti : Giosuè combatteva e vinceva ; ma la vittoria era legata intimamente all’opera di Mosè, che prestava sul colle con le baccia aperte, reggendo la verga di Dio.

1. La verga di Mosè, simbolo della croce di Gesù
La verga di Mosè era simbolo della Croce del Calvario : essa sconfisse l’inferno, restando sempre segnale di vittoria, visione terribile a tutti i nemici della nostra eterna salute.

(22) Esodo, XVII, 8 e ss.

San Cirillo scrive : « Mosè, nell’aprire le braccia rappresentava Colui che fu per noi crocifìsso. Si rendeva manifesta, sotto la figura, la virtù della realtà: come, mentre il servo apriva le braccia, cadeva Amalec, così, quando stese le mani il Signore, fu sbaragliato l’esercito di satana » ( 23 ).
In tutti i segni prodigiosi compiuti da Mosè, sempre, quantunque non sempre espressamente notato, Dio comanda di « prendere la verga, sollevare la verga, tendere la verga, percuotere con la verga ».
Cornelio A Lapide dice: « Sembra che Mosè alzasse e tendesse le mani unite insieme, in modo che una palma abbracciasse l’altra, quella con cui teneva la verga. Non avrebbe infatti potuto con una sola mano tenere a lungo sollevata in alto la verga, la quale, per essere verga di pastore, doveva essere abbastanza grande… La verga simboleggiava la croce di Cristo; ma in quanto strumento di vittoria, segnale di trionfo » ( 24 ).
L’abate Wolpero afferma: « Veramente mirabile e gloriosa fu in quella cavalleria (il popolo d’Israele) la presenza della verga, con la quale Dio operò i prodigi e i segni della sua potenza. Non fu forse ben figurata in quella verga la croce di Cristo, unica speranza nostra, compendio della nostra salute? » ( 25 ).

(23) Questiones, In Ex., MG, 80, 259.
(24) In Exodum, h. 1.
(25) Comment., In antica Cant., 1. 1; ML, 195, 1061.

2. Conclusione
La Chiesa nei suoi uffici, nelle ordinazioni, nei sacramenti, nei misteri fa sempre precede
re il mirabile segno della croce. Niente di ratificato, niente di santo, se non sia confermato con la « prelibazione » della santa croce di Cristo.
In Mosè sul colle con le braccia alzate e con nelle mani la verga, è adombrata l’esaltazione della santa Croce, cioè Cristo sul Calvario, circondato di gloria e di maestà, con a lato la croce santa.
Sotto il monte Calvario: il correre precipitoso, confuso dei anemici di Cristo, cioè l’inferno con tutte le aberrazioni dell’idolatria, fremente e fuggente di frone al vessillo vincitore di Cristo.
Sulle schiere, miste nella spaventosa rotta le parole che la Chiesa canta in una delle sue belle antifone:
« Ecco la croce del Signore (di cui la verga di Mo­ sè fu un simbolo), fuggite davanti ad essa, o nemici tutti!
Il leone della tribù di Giuda, che è radice di David, ha vinto! ».
Cari lettori, non mettiamoci nel numero dei nemici della croce di Gesù; ma collochiamoci sotto di essa, come pulcini sotto le ali della chioccia, e saremo difesi da ogni pericolo, sem­ pre vincitori contro le battaglie di satana e dei suoi alleati.

IV. Il capro Azazel
Narra la Bibbia che Dio comandò a Mosè che il popolo d’Israele ogni anno doveva essere purificato dai peccati commessi nel corso dell’anno. Quel giorno era chiamato « il giorno delle espiazioni ».
In quel giorno venivano portati al sommo sacerdote due animali: un vitello ed un ariete per il sommo sacerdote ed il ceto sacerdotale e levitico; due capri ed un ariete per il popolo.
Il sommo pontefice si accostava all’altare, e dei due capri ne destinava uno a Dio e uno ad Azazel, cioè a satana. Il vitello e il capro destinati a Dio venivano immolati a Dio stesso in espiazione dei peccati dei sacerdoti.
Il « capro destinato ad Azazel » non veniva immolato. Esso veniva condotto davanti al sommo sacerdote, rappresentante del popolo. Questi imponeva le mani sul capo dell’animale, e a nome di tutto il popolo, faceva la confessione delle iniquità, delitti e peccati d’Israele, e li scaricava, imprecando, sul capo della bestia. Un uomo, a ciò preparato, prendeva con sé il capro, carico di tutti i peccati d’Israele, e lo menava nel deserto per consegnarlo ad Azazel, vale a dire a satana, padre del peccato.
Cancellati col sangue i peccati, portati per giunta lontano nel deserto, Israele si sentiva ormai libero dal peso opprimente. Si rallegrava e rendeva grazie a Dio ( 26 ).

(26) Levitico, XVI, 1-33.

1. Il capro AzazeI, figura di Gesù crocifisso
I santi padri e molti scrittori ecclesiastici affermano :
• che il sommo sacerdote, che entra nel sancta sanctorum, è Gesù che penetra nei cieli e si presenta al divin Padre per esercitare il suo eterno sacerdozio ;
• che il sangue del capro con cui si purifica il Santissimo, simboleggia il s-angue di Gesù, che muore innocente per purificare le nostre anime;
• che il bruciare delle vittime fuori degli alloggiamenti raffigura Gesù Cristo che consuma il suo sacrificio fuori della porta di Gerusalemme;.
• che il capro destinato ad AzazeI raffigura Gesù in quanto prende il posto dei peccatori, si carica dei peccati di tutto il mondo e li espia abbandonandosi alla potestà delle tenebre.

2. Alcune testimonianze
San Paolo apostolo, dice : « Se il sangue di capri…, sparso su quelli che sono immondi, li santifica rispettò al procurare la purità della carne; quanto più il sangue di Cristo… purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte » (27).

(27) Ebrei, IX, 13-14.

Lo stesso apostolo osserva: «La legge mosaica costituisce sacerdoti uomini soggetti ad ogni debolezza; Gesù, no. Egli non è un uomo semplice, un uomo soggetto a debolezze. Egli è il figlio che è perfetto in eterno. E tale era il sommo sacerdote che a noi con­ veniva, santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli » ( 28 ).
Sempre il medesimo apostolo: « I corpi delle vittime, il cui sangue, portato nel santuario, si offre dal sacerdote per i peccati, sono bruciati fuori del campo. Perciò anche Gesù, per santificare col suo sangue il popolo, soffrì fuori della porta » ( 29 ), « portando la sua confusione » ( 30 ), cioè la croce che è oggetto di disprezzo ai superbi figli del tempio e della città deicida;, strumento invece ammirabile di sapienza e di virtù per ogni cristiano vero.
Il profeta Isaia confessa : « Noi tutti, a guisa di pe­ corelle smarrite, ci eravamo sviati, ciascuno aveva declinato per la sua strada e il Signore fece ricade­ re su di lui (Gesù Cristo) le iniquità di tutti » ( 31 ).
San Pietro apostolo predicava : « Egli stesso, Gesù, ha portato i nostri peccati nel suo corpo sopra del legno » ( 32 )- « Cristo è morto per i nostri peccati, egli giusto per gli ingiusti » ( 33 ).
San Giovanni evangelista esclama: « Voi sapete che egli (Gesù) è apparso per togliere i nostri peccati; mentre in lui non c’è peccato » ( 34 ).

(28) Ebrei, VII, 28 e ss.
(29) Ebrei, XIII, 11, e ss.
(30) Ebrei, XIII, 13.
(31) Isaia, LIII, 6.
(32) 1 Pietro, II, 24.
(33) 1 Pietro, III, 18.
(34) 1 Gv., III, 5.

3. Conclusione
Padre Marco Sales, commentando il passo dei due capri che Israele offriva l’uno a Dio e l’altro ad Azazel per espiare i suoi peccati, dice : « Questi due capri non formavano che un solo sacrifìcio per i peccati: il primo, che era immolato, espiava i peccati; il secondo, che era mandato nel deserto, portava lungi dal popolo di Dio i peccati ».
Ora la diversa sorte dei due capri rappresentava un diverso aspetto del sacrificio di Gesù, per merito del quale si cancellano i peccati degli uomini.
Nella sua passione e morte Gesù è offerto a Dio Padre, al quale ci riconcilia mediante l’effusione del suo sangue innocentissimo. E nella stessa passione Egli è dato quasi in balìa di satana, onde scontasse quanto vi era di satanico nei peccati che aveva preso sopra di sé;, per cui giustamente, al principio della stessa passione, Gesù potè dire, rivolto ai ministri di satana: « Questa è l’ora vostra e la potenza delle tenebre » ( 35 ), cioè: Questo è il tempo nel quale a voi e al principe delle tenebre è permesso di fare tutto quello che vorrete contro di me.
Compiuta l’espiazione e portati lontano dal capro nel deserto i peccati del popolo, Israele tripudiava e ringraziava la misericordia di Dio.
Con quanta maggior ragione dovremmo rallegrarci noi cristiani e ringraziare Gesù che ha voluto prendere sopra di sé tutti i nostri pec­cati, espiarli e restituire a noi il diritto della figliolanza divina.
All’Agnello immacolato, al Dio crocifisso sia dato da noi tutti il dovuto onore e gloria.

(35) Lc, XXII, 53.

V. Il serpente di bronzo
Narra la Bibbia che il popolo israelita, mentre s’in­ camminava verso il mar Rosso, il golfo elanitico, giunto ad Edom, seppe che il principe di questo paese non gli concedeva il passaggio attraverso il proprio territorio.
Allora Israele cercò di procedere attorno ad Edom. Il cammino però si allungò di molto ed il popolo, stanco del cammino e della fatica, cominciò a mormorare contro Dio e il suo servo Mosè : « Perché ci facesti venir via dall’Egitto per farci morire nel deserto? Non c’è pane, non c’è acqua, e questo cibo insipido (la manna caduta dal cielo, la quale conteneva ogni sapore) ci nausea ».
Il Signore, adirato per le mormorazioni e le ingratitudini del suo popolo, mandò contro Israele serpenti dal morso velenoso.
Vedendo le piaghe che quei serpenti producevano e come molti ne morivano, vennero a Mosè e dissero: « Abbiamo peccato parlando male contro il Signore e te. Prega Iddio che allontani da noi questi serpenti ».
Mosè pregò ;, e il Signore gli disse : « Fa’ un serpente di bronzo e mettilo come segnale: chi, colpito dalla piaga, guarderà a quello, vivrà ».
Mosè obbedì. Fece fare un serpente di bronzo : lo mise come segnale : e guardandolo, i percossi dalla piaga risanavano ( 36 ).

(36) Numeri, XXI, 1-9. 30.

1. Il serpente, simbolo del Crocifisso
Che cosa significava quel serpente di bronzo? Significava Gesù Cristo sull’alto della croce.
Nostro Signore un giorno disse : « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo; affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (37).
San Massimo, afferma: « Il serpente morde, con morso letale, gli israeliti; il serpente, li sana. Il peccato da morte agli uomini; il peccato — cioè l’Innocenza che assume su di sé i peccati — restituisce la la vita » ( 38 ).
Sant’Agostino si domanda: « Chi è il serpente esaltato? È la morte del Signore in croce. Dal serpente venne la morte, perciò nell’effigie del serpente è figurata la morte. Il morso dei serpenti è. letale, la morte del Signore è vitale » ( 39 ).
Dice lo Spirito Santo: « Chi guardava, non per ciò che vedeva era salvo, ma per te, che sei il Salvatore di tutti » ( 40 ).
Un giorno Gesù Cristo, ponendo se stesso di fronte al serpente, disse : « È necessario che il Figlio dell’uomo sia levato in alto, affinchè tutti quelli che guardano a lui, vivano ».
San Cirillo alessandrino esclama : « Guarderemo il Cristo se rettamente intenderemo il suo mistero e fermamente vi crederemo » ( 41 ).

(37) Gv., Ili, 14.
(38) Omelìa, XLIX; ML, 57, 340.
(39) Trattato, In Gv., ML, 35, 1439.
(40) Sapienza, XVI, 7.
(41) In Rum. liber., ML, 69, 639.

Sant’Agostino osserva : « Come coloro che miravano il serpente non morivano per i morsi dei serpenti, così quelli che mirano con fede la morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. Quelli però (gli israeliti) guarivano dalla morte per una vita temporale, Gesù invece dice: perche abbiano la vita eterna. Questa è infatti la differenza tra l’immagine e la realtà: l’immagine conferiva la vita temporale, la realtà conferisce la vita eterna » ( 42 ).

2. Conclusione
Qual è la conclusione?
Ce la da sant’Ambrogio: « Frequentiamo il Calvario per guardare il Cristo che pende dalla croce per la salvezza del mondo, giacché questo è salutare » ( 43 ).
Sant’Agostino aggiunge: « Per guarire dal peccato miriamo, o fratelli, Cristo crocifisso » ( 44 ).
San Bernardo (Pseudo) ci esorta: « Ogni qualvolta ci sentiamo feriti dalla tentazione, corriamo alla Croce, accostiamoci a quel trono, una volta ignominioso ed ora sommamente glorioso, e, fissando con fede, speranza e amore il piissimo Liberatore, chiediamo, per la morte del nostro santissimo Serpente, che provocò la morte dell’antico serpente, di essere liberati dai mostri dei serpenti, e lo saremo » ( 45 ).

(42) Trattato, In Gv., I, s.c.
(43) De XLII mansionibus filiorum Israel;
ML, 17, 35.(44) In Gv., I.
(45) Vitis mystica, e. XLV; ML, 184, 730.

VI. La corda rossa di Raab
La sacra scrittura narra questo fatto: Raab, donna di Gerico, fu l’unica donna, che, insieme ai suoi, scampò all’eccidio, allorché questa città cadde nelle mani di Giosuè.
Giosuè, prima di entrare nel paese di Gerico, mandò due dei suoi, perché esplorassero il territorio. Costoro andarono a Gerico, ove dimorava Raab, e Raab li accolse in casa sua e li pose in salvo dalle insidie del principe di Gerico.
Prima però di lasciarli partire, Raab disse ai nunzi: «Promettetemi nel nome del Signore, che la stessa misericordia da me usata verso di voi, voi la userete verso la casa di mio padre, e mi darete un segnale sicuro che salverete mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che loro appartiene, e ci scamperete dalla morte ».
Gli esploratori lo promisero e le diedero il segnale richiesto: « Mettete alla finestra una corda di color rosso vivo. Ciò sarà condizione indispensabile. Saremo esenti da ogni responsabilità, se non metterete alla finestra il segno di questa cordicella scarlatta » ( 46 ).
Tale segno era ordinato a far distinguere agli israeliani la casa di Raab dalle altre.
(46) Giosuè, II, 18.

1. Il color rosso simbolo del Crocifìsso
Molti Padri, in quell’umile segno convenzionale color di sangue, vedono simboleggiata la passione di Gesù, e nella casa di Raab, la Chiesa, conservatrice di quel sangue incorruttibile.
Sant’Ambrogio: « Sollevando in alto i segni della fede, i vessilli della passione del Signore, legò il ros­ so alla finestra, perche fiorisse l’immagine di quel sangue che doveva redimere il mondo » ( 47 ).
Sant’Agostino: « A Raab fu detto che mettesse lo scarlatto alla finestra, vale a dire che avesse in fron­ te il segno del sangue di Gesù Cristo. Si salvò e simboleggiò la Chiesa delle nazioni » ( 48 ).
San Giovanni Crisostomo: « Raab è figura della Chiesa, la quale, impaniata una volta nella fornicazione dei demoni (ossia nell’idolatria), ha ora ricevuto gli esploratori di Cristo, i santi apostoli, mandati non da Gesù, figlio di Nave, ma da Gesù, il vero Salvatore » ( 49 ).
Origene, parlando del segnale rosso, afferma : « È il segnale di Cristo, segno di redenzione nella casa di Raab, ossia nella Chiesa » ( 50 ).

(47) A Lapide, h. 1.
(48) De poenitentia, omelia VII; MG, 49, 330.
(49) A Lapide, h. 1.
(50) Omelia IV, A Lapide, h. 1.

Strabone Walfrido scrive: « Raab pose la porpora nella sua casa, per salvarsi nell’eccidio della città. La porpora portava espressa in sé la forma del sangue. Conosceva bene essa che per nessuno vi è salute se non nel sangue di Cristo… Viene impartito il comando :  » Si salveranno tutti quelli che saranno trovati nella tua casa… ». Dunque chi vuoi salvarsi venga in questa casa, dove il sangue di Cristo è posto in segno di redenzione » ( 51 ).

2. Conclusione
Qual è la conclusione?
Ce la da Cornelio A Lapide: « Raab conobbe — parte per i miracoli ed i prodigi, parte per divina illuminazione — che gli idoli dei cananei erano falsi; che solo il Dio degli ebrei era l’unico e vero Dio. Credette in lui. sperò, amò, e, pentita dei propri peccati, ne domandò perdono. Perciò fu giustificata… Vogliamo cercare la causa meritoria di tanti beni impartiti ad una peccatrice? Noi troveremo questa causa nella passione del futuro Redentore: la Passione simboleggiata nella corda dal color rosso- sangue ».
Necessarie sono la fede, le buone opere e la promessa. Ma senza la passione di Gesù, nulla vale. Raab ebbe grande fede nel vero Dio; acolse, con grade carità, gli esploratori; ebbe da essi la promessa della salvezza. Ma non dovette dimenticare — sotto pena di morte — di mettere il rosso alla finestra.
Cari lettori, ciò che valse per Raab peccatrice, vale per tutti i redenti.
Teniamo scolpito nella mente il pensiero di san Fulgenzio di Ruspe : « La fune purpurea simboleggiava il mistero del sangue di Cristo.
Chiunque, col divino aiuto, custodisce la sua fede e confessa contro i pagani e gli eretici, di essere stato redento dal sangue di Gesù Cristo, appende tale fune alla finestra della sua casa » ( 52 ).

(51) Glossa ordinaria, h. 1.
(52) De remissione peccaiorum, ì. 1; ML, 65, 545.

 

COSMO, REDENZIONE E COMUNIONE.

http://www.corsodireligione.it/bibbiaspecial/vangeli/vangeli_teologia/cosmologia_cristiana_5.html

COSMO, REDENZIONE E COMUNIONE.

Ogni cosa riceve un nuovo senso nell’incarnazione del verbo,
ogni cosa e’ chiamata alla santificazione in Gesù.

Dio è il creatore del mondo. Questa è la rivelazione.
Che cosa significa che Dio ha creato il mondo?
La Bibbia risponde a questa domanda dicendo che Dio crea il mondo continuamente , attraverso una azione storica che lo salva continuamente dalla sparizione.

La creazione divina si rivela come storia, storia di salvezza dalla sparizione che è la corruzione, la decomposizione, la morte. Dio salva il mondo dalla sparizione, gli fornisce energia e vita , luce, perchè il mondo permette la vita al suo popolo, Israele. Dio salva il mondo per salvare Israele.
Dio ha un progetto che ha rivelato nella storia: dare la vita eterna al suo popolo,e questo progetto include la vita eterna per il mondo in cui il suo popolo vive.
Ef 1,egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito 10 per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.

Stephanos Charalambidis : Cosmologia Cristiana in Iniziazione alla pratica della teologia

Il Cristo, con la sua Incarnazione, «ha assunto un corpo perché in lui abiti la pienezza della divinità» (Col 2,9) e Dio dona la vita eterna al suo popolo incorporandolo in Gesù. Gesù, l’uomo-dio incorpora in sè coloro che si affidano a lui, li salva dalla sparizione, dalla corruzione, dando loro la compartecipazione al suo Spirito, alla sua natura divina. La natura divina è vita eterna e alla morte fisica essa trascinerà il corpo -con cui è fusa – nella dimensione della vita divina: è la resurrezione del corpo.
La grande Tradizione patristica definisce l’uomo come ‘microcosmo’ nel senso che nel suo corpo umano, egli ricapitola tutta la creazione. Così il cristiano, il salvato, che come uomo incorpora in sè tutta la creazione, la ricapitola in sè , porta la creazione nella dimensione della vita eterna. Attraverso la resurrezione del corpo umano i figli di Dio raggiungeranno la loro pienezza, , risponderanno pienamente alla  » chiamata divina », e insieme a loro, ricapitolata il loro anche la creazione entrerà definitivamente nella vita eterna.
L’essere creato, materiale, corruttibile e mortale,è chiamato a diventare un un essere di comunione, un essere eterno .
E’ la capacità stessa di comunione dell’uomo che condiziona lo stato di tutto il nostro universo
Rm 8,9 La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20 essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza 21 di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
La Chiesa considera il mondo come un prodotto che si realizza, che raggiunge la propria verità quando risponde all’amore creatore di Dio. Essendo incorporato nell’uomo-microcosmo, il mondo risponde all’amore di Dio, raggiunge la sua verità solo insieme all’uomo. L’uomo è il solo essere nella creazione ad essere libero, capace di autodeterminarsi : incarna la possibilità di personalizzare la vita.
Solo l’uomo, che racchiude in sè la creazione può, attraverso le sue libere scelte, i suoi comportamenti autodeterminati, portare la creazione nella giusta relazione con Dio, portarla a rispondere pienamente alla chiamata divina verso la vita eterna, l’esistenza vera. Attraverso quella congiunzione tra il divino e il terrestre che è l’uomo salvato, il cristiano, l’essere del mondo costituisce un fatto di comunione con Dio.
Il cristiano-in quanto «santuario dello Spirito santo» secondo l’espressione di S. Paolo può realizzare nel proprio corpo la risposta positiva o negativa della creazione intera alla chiamata dell’amore divino .
Noi possiamo esistere per sempre, partecipare alla vita eterna (al di là del tempo e dello spazio, della corruzione e della morte) se accettiamo l’amore divino nella libertà del nostro amore.

L’azione sacramentale della Chiesa e il cosmo
La Chiesa è la ‘gloria’ del Verbo, la sua apparizione e la sua manifestazione , e ciò realmente e direttamente avviene grazie all’azione dello Spirito santo. Il mondo, come natura della storia, costituisce di fatto la « gloria del Verbo », la manifestazione e la rivelazione della persona del Verbo. Così, la gloria del Verbo come inizio e come fine della storia rimane il mistero della fede e la possibilità della vita «Camminiamo nella fede, non ancora in visione» (2 Cor 5,7).
Questa grazia naturale dello Spirito santo, che costituisce il fondamento stesso dell’essere di creatura, è nella carne del mondo, nella sostanza mondiale; essa è la condizione della santificazione di questa sostanza , santificazione che avviene per mezzo della ricezione dello Spirito santo.
Il fatto della « trasfigurazione » di tutte le cose in Gesù è il presente continuo della Chiesa e di conseguenza è la theósis, la deificazione del mondo.
Le cose non esistono se non per essere presenti e partecipi nelle preghiere e nelle benedizioni (sacramentali) e nelle trasmutazioni (i sacramenti) che vengono operate nella Chiesa.
Preghiere, benedizioni e trasmutazioni realizzano tutta una gradazione di consacrazioni delle cose per « partecipazione »: come se in tutto ciò la materia morta e insensibile ricevesse in sé « la forza di Dio » e trasmettesse i suoi grandi miracoli.
La Chiesa del Cristo conosce diverse santificazioni della materia che hanno luogo nella maggior parte dei sacramenti e dei sacramentali. (acqua, olio, sale, pane, vino, …) La benedizione delle acque del Giordano per la discesa dello Spirito santo, da cui provengono tutte le benedizioni delle acque (battesimali e non), quella del sacro crisma e dell’olio, del pane e del vino (eucaristici e non), la consacrazione delle chiese e degli oggetti di culto, la benedizione dei frutti, dei cibi e in generale di tutti gli oggetti, etc.
Così, per esempio, tutta una teologia della natura viene esplicitata il giorno dell’Epifania: lo Spirito si effonde nell’acqua del battesimo come si effonde nell’olio del sacro crisma; il battesimo attualizza, la discesa del Cristo nel Giordano, è segno della sua discesa vittoriosa agli inferi. Allo stesso modo, le epiclesi di tutte le azioni sacramentali costituiscono come una continuazione della Pentecoste, la ripresa, in un dinamismo rinnovato, della Pentecoste cosmica delle origini.
Tutto culmina allora nella metabole’ eucaristica. La liturgia eucaristica, mondo trasfigurato in Cristo Per S. Ireneo di Lione, «è tutta la natura visibile che noi offriamo nei santi doni affinchè essa venga eucaristiata, perché nell’eucarestia, uno dei due fattori è terrestre» Nell’anafora, ricorda S. Cirillo di Alessandria, si fa memoria del ciclo e della terra, del mare, del sole, di tutta la creazione visibile ed invisibile» .
Che cosa rappresenta questa santificazione nel suo principio?
Come le cose e la materia possono ricevere e trattenere l’azione dello Spirito santo?
Il Cristo risorto è la vera Bellezza dell’uomo, e la vita dello Spirito santo è la Vita Reale, eterna.
In questo quadro divino-umano- in cui il corpo nell’attesa della sua resurrezione è anche designato come segno dell’essere cristificato- l’uomo viene salvato con le sue cose e i suoi gesti.
Così, se «i cicli, la creazione di Dio narrano la sua gloria» (Sal 19,1) le opere dell’uomo che continuano la creazione dì Dio, hanno anch’esse per scopo supremo, attraverso la creazione, la glorificazione di Dio.
Il corpo allora è teofanico , in esso si manifesta la gloria di Gesù, e non è più considerato come nemico dell’uomo. E non è neanche esclusivamente il compagno dell’anima. Il corpo umano è soprattutto un microcosmo portatore di tutto il cosmo davanti a Dio e mediatore tra di essi. Con i sacramenti avviene una Nuova Creazione .
«Nella consacrazione -scrive il Padre Sergej Bulgakov in Il Paraclito – si effettua una discesa dello Spìrito santo, una comunicazione della sua forza al creato naturale e pneumatoforo; la Sofia di creature si unisce con la Sofia divina, lo Spirito santo con lo Spirito di Dio nella creazione. Si produce così una misteriosa ‘transustanziazione’ della materia e non solamente nell’eucarestia, ma in ogni atto sacramentale. Avviene una trasfigurazione della creatura, misteriosa, impercettibile allo sguardo. Restando ontologicamente la stessa, essa diventa trasparente allò Spirito e diventa atta a comunicare con Dio. In tal modo, questa permeabilità delle cose allo Spìrito e nella «comunicazione degli idiomi» o perìcoresi che ne risulta , abbiamo l’unità senza separazione e senza confusione della vita creata e della vita divina. In altre parole, va compiendosi la teantropia; ma non soltanto nell’uomo, bensì nel mondo umano e che si umanizza; quello che nell’uomo ha il suo punto centrale ontologico. È la divinizzazione della creatura avente come condizione necessaria la conservazione del suo essere proprio» «Fuoco ineffabile e prodigioso, nascosto nell’essenza delle cose»
Il tempo dello Spirito è il tempo della ‘sinergia’, cioè di una collaborazione, di una creatività dìvino-umana; nel Nome del Cristo, cioè nella presenza sua più intensa, ecclesiale, si apre un campo infinito alla libertà umana resa creatrice dallo Spìrito, affinchè ‘il Dio-uomo’, come diceva Vladimir Soloviev, divenga ‘Dio-umanità’ e ‘Dio-universo’…Lo Spirito discende in persona nel cuore del mondo,- trasparenza originale – ed eccolo : coscienza della nostra coscienza, vita della nostra vita, soffio del nostro soffio»
«Oltre che nella Chiesa, l’azione dello Spirito si manifesta nel mondo della materia e in quello della cultura. Essa si manifesta innanzitutto nella natura vivente, che ha la sua libertà, anche se limitata. Questa libertà sta nella spontaneità elementare del movimento. Nel mondo inorganico regna la legge che porta il segno della razionalità del Logos, del fondamento matematico-ideale del mondo. Nel mondo organico interviene Io « slancio creatore » che testimonia la forza vivificante del!o Spirito non soltanto nell’uomo ma anche nell’animale, nel vegetale e in genere nel cosmo tutto intero».
OLIVIER CLÉMENT, L’Eglise, espace de l’esprit saint, conferenza tenuta a Notre-Darac di Parigi, il 24 ottobre 1976:
La Chiesa esercita il suo ministero per mezzo dei sacramenti (o misteri).
I ‘misteri’ della Chiesa, cioè i diversi aspetti della vita della Chiesa come sacramento del Cristo nello Spirito santo, costituiscono il centro e il senso della vita cristiana .
Facendo ciò la Chiesa esercita anche un ministero cosmico: i sacramenti della Chiesa costituiscono il centro e il senso della vita cosmica. E’ nell’azione sacramentale che le cose vengono  » santificate  » per opera dello Spirito. Vivificate, ricreate, deificate.
È perché c’è la ‘Chiesa e la liturgia, che il mondo resta ancorato all’essere, cioè al Corpo del Cristo . La Chiesa rimane il luogo spirituale in cui l’uomo fa l’apprendistato di una esistenza eucaristica e diventa autenticamente sacerdote e re: mediante la liturgia egli scopre il mondo trasfigurato nel Cristo e ormai collabora alla sua metamorfosi definitiva, il che significa, in termini espliciti, alla sua trasfigurazione.
La liturgia eucaristica diventa allora l’accttazione del mondo e della creazione in senso pienamente positivo, e ciò nell’azione: ogni fedele che va alla liturgia porta in sé il mondo nel modo più realistico che si possa pensare.
Non porta soltanto la propria carne di uomo, il proprio essere concreto con le sue debolezze e le sue passioni: egli porta la sua relazione con il mondo naturale, con la creazione. Il mondo che entra nello spazio liturgico è il mondo decaduto ma esso non vi entra per rimanere tale: la liturgia è un rimedio di immortalità [leggi eternità ] perché nella sua accettazione e nella sua affermazione del mondo, essa ne rifiuta appunto la corruzione per offrirlo, invece, a Dio, al Creatore.
In tal modo, nella liturgia eucaristica, il mondo non cessa mai di essere il cosmo di Dio: una simile visione del mondo non lascia possibilità alla dissociazione tra naturale e soprannaturale; ciò che qui esiste di fatto è l’unica realtà della natura e della creazione completa fino all’identificazione tra la realtà terrena e la realtà celeste .

Dice la liturgia orientale:
«Ricordandoci quindi di questo comandamento di salvezza e di tutto ciò che è stato fatto per noi: della Croce, della Tomba, della Resurrezione al terzo giorno, dell’Ascensione al cielo, della sessione alla destra (del Padre), del secondo e glorioso Nuovo Avvento, i tuoi doni che prendiamo tra i tuoi doni, noi te li offriamo in tutto e per tutto ».
L’Eucarestia, rispondendo in modo fondamentale a certe attese contemporanee, può salvare l’uomo contemporaneo dall’opposizione e dalla dissociazione tra eternità e tempo che lo spingono a rifiutare Dio; quel Dìo che la teologia troppo spesso ha collocato in una sfera ormai incomprensibile per gli uomini di oggi. Considerata da questo punto di vista, la liturgia eucaristica può anche rivestire una dimensione profondamente polìtica: essa può ristrutturare il tempo, lo spazio, i rapporti tra le persone umane nonché il rapporto tra l’essere umano e la natura.
Se i cristiani riuscissero a vivere pienamente il sacrificio della messa in questo modo, non soltanto sarebbero capaci di conservare il mondo che Dio ha loro affidato, ma senza alcun dubbio lo svilupperebbero all’infinito e lo trasfigurerebbero veramente in sacrificio ‘logico’, ragionevole, cioè conforme al Logos, alla Parola sempre creatrice di Dio .
La liturgia dunque è il nostro rendimento di grazie più autentico per il mondo creato, reso nel nome dello stesso mondo. Essa è anche la restaurazione del mondo decaduto e la piena partecipazione dei fedeli alla salvezza (portata dall’Incarnazione del Logos divino) attraverso cui questo stesso Logos viene dato al cosmo tutto intero. La liturgia eucaristica è infine l’immagine del Regno, che è il Cosmo diventato Ecclesiale

Il pentimento e l’ascesi cristiana nel ministero cosmico della Chiesa
Il pentimento e l’ascesi sono la lotta con la quale l’uomo- in- Cristo fa morire in se stesso e nelle proprie opere la propria autonomia malvagia, il solo elemento di sè che debba essere respinto (1 Tim 4,4).
Il pentimento e l’ascesi ricollocano l’uomo nella sua bellezza originale; essi volgono lo specchio verso il sole reale. E le creazioni dell’uomo ricevono in tal modo la luce e la vita.
Il cristiano, l ‘uomo santificato è un uomo che santifica tutto e la sua «coscienza eucaristica» cerca, nel cuore degli esseri e delle cose, il punto di trasparenza in cui far irradiare la luce della trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
Questa partecipazione a tutta la creazione, alla dossologia che è diretta al Creatore, questa atmosfera di riconciliazione della natura e della religione nel culto, noi le ritroviamo pienamente espresse nell’iconografia bizantina: l’ascesi e la mistica, lungi dal concernere unicamente l’anima, appaiono in tal modo come l’arte e la scienza del soma pneumatikon (corpo spirituale), e questo corpo, penetrato dalla Luce, la comunica all’ambiente cosmico da cui è inseparabile.

IL CIECO NATO – (EFREM, DIATESSARON, 16, 28-32)

http://www.ildialogo.org/esegesi/esegesi10032002.htm

TESTI PATRISTICI

IL CIECO NATO

(EFREM, DIATESSARON, 16, 28-32)

E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: « Prima che Abramo fosse, io ero » (Gv 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: « E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. E’ necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno » (Gv 9,2-4), fintanto che sono con voi. « Sopraggiunge la notte » (Gv 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. « Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango » (Gv 9,6), e la luce scaturì dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, « la tenebra, era estesa su tutto » ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (cf.Gen 1,2-3). Così « egli formò del fango con la saliva », e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, « formò » il primo « Adamo con la terra » (Gen 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.
Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: « I Giudei cercano i miracoli » (1Cor 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (cf.Gv 9,7.11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. « Unse i suoi occhi con il fango » (Gv 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: « Dov’è Siloe? », si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.
Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.
In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. « Va’, lavati il viso » (Gv 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.
La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: « Perché coloro che vedono diventino ciechi » (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (cf. Gv 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui « che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio? » (Gv 5,5.12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: « Ha fatto del fango durante il sabato ». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (cf. Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora – si dirà – chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia? 

SACRA SCRITTURA E POPOLO DI DIO: UNA LETTURA DELLA “VERBUM DOMINI”

dal sito: 

 http://www.zenit.org/article-24816?l=italian

SACRA SCRITTURA E POPOLO DI DIO: UNA LETTURA DELLA “VERBUM DOMINI”

ROMA, sabato, 4 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito ampi stralci della relazione tenuta dal Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nell’aprire il 2 dicembre scorso alla Pontificia Università Urbaniana i lavori del congresso internazionale “La Sacra Scrittura nella vita e nella missione della Chiesa” organizzato dalla Catholic Biblical Federation e dedicato all’esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI “Verbum Domin”.

* * *
Senza il soggetto credente della Chiesa non si potrebbe parlare di «Sacra Scrittura». Senza la Chiesa, essa sarebbe semplicemente una raccolta storica di scritti, redatti nel corso di un intero millennio. È solo il popolo di Dio in cammino nella storia che ha fatto di questa raccolta letteraria, la Bibbia, come «un libro», ovvero la «Sacra Scrittura» nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento. La Sacra Scrittura si presenta dunque innanzitutto come un unico libro, poiché è cresciuta interamente dal corpo dell’unico popolo di Dio e poiché il popolo di Dio è il redattore della Bibbia, dapprima Israele e poi la Chiesa, come ha giustamente  sottolineato l’esperto del Nuovo Testamento Gerhard Lohfink: «La Sacra Scrittura non è un pacchetto di 73 libri, che sono stati successivamente legati insieme con lo spago, ma è cresciuta come un albero. Alla fine in questo albero sono stati innestati ancora rami del tutto nuovi: il Nuovo Testamento.
Ma anche questi rami si nutrono della linfa dell’unico albero e sono sostenuti dal suo tronco». Alla luce di questo stretto legame tra Sacra Scrittura e Chiesa deve essere considerata in maniera nuova anche la questione del canone biblico. Ernst Käsemann ha sostenuto la famosa tesi secondo la quale il canone neotestamentario non fonda l’unità della Chiesa, ma la molteplicità dei suoi libri e delle sue interpretazioni e, pertanto, anche la varietà delle confessioni. Questa affermazione pare giusta solo se si considera il canone neotestamentario a sé stante. Ma si tratta di una semplificazione riduttiva della questione, formulata nella prospettiva della Riforma e non in quella del canone stesso. Infatti, il canone non è caduto dal cielo né è pre-esistente o prioritario rispetto alla Chiesa, ma è nato all’interno della Chiesa: «Insieme alla constatazione che la formazione del canone doveva appositamente servire all’unità della dottrina della Chiesa contro la molteplicità e la contraddittorietà delle filosofie ellenistiche, tutto ciò mostra che la formazione del canone è una creazione consapevole della Chiesa nascente». In tal senso, il canone non fonda l’unità della Chiesa, né la molteplicità delle confessioni; piuttosto, l’unità della Chiesa ha fondato il canone come unità.
Difatti, dopo lunghi e intensi sforzi, la Chiesa che si stava formando riuscì a fissare nei vari libri l’autentica espressione e il criterio della propria fede. Senza la fede della Chiesa sviluppatasi nel tempo non ci sarebbe stato nessun canone. La Sacra Scrittura nel senso dell’insieme dei vari scritti è l’opera della Tradizione della Chiesa, nella quale la sede del vescovo di Roma ha svolto un ruolo costitutivo. Anche da un punto di vista storico, il riconoscimento di Roma come «criterio della vera fede apostolica» è più antico «del canone del Nuovo Testamento, della Scrittura». Per questo, l’ecumenista cattolico Heinz Schütte ha definito il principio protestante della sola scriptura come «il problema cruciale dell’ecumenismo», poiché, pur basandosi di fatto su una decisione della Chiesa primitiva, non vuole riconoscere tale decisione dal punto di vista teorico. Questo paradosso dimostra che il tema della Chiesa come creatrice, trasmettitrice ed esegeta del canone biblico non può essere eluso, come pensa di poter fare la teologia riformata e a volte anche l’esegesi cattolica.
Detto ciò in merito al rapporto tra Sacra Scrittura e Chiesa va precisato che, da una parte, la Scrittura è Sacra Scrittura non senza o contro la Chiesa ma soltanto al suo interno e che, dall’altra, la Chiesa per essere veramente Chiesa deve rimanere fedele alla Sacra Scrittura come costante criterio verso cui orientarsi e che non può ergersi al di sopra della Parola di Dio, ma deve porsi al suo servizio, come chiaramente sottolineato dalla Costituzione Dogmatica sulla rivelazione. Ecco che la relazione tra Sacra Scrittura e Chiesa rivela la natura più profonda della Chiesa: Essa «ha il suo carattere più specifico non in quello che a lei appartiene, ma in quello che ha ricevuto». La Sacra Scrittura è e rimane un libro vivo solo se il suo popolo lo accoglie e lo fa suo. Viceversa, questo popolo non può esistere senza la Sacra Scrittura, poiché è in essa che trova il fondamento della propria esistenza, la propria vocazione e la propria identità. Da ciò è facile comprendere che l’ambito vitale nel quale il popolo di Dio incontra in modo particolare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura è l’azione liturgica della Chiesa. A sottolineare il fatto che la liturgia è il luogo privilegiato dove risuona la Parola di Dio che fonda la Chiesa, Papa Benedetto XVI inizia la seconda parte della sua esortazione apostolica Verbum Domini con una riflessione sulla Parola nella sacra liturgia: «Ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di Sacra Scrittura».
La questione del rapporto tra Chiesa e Sacra Scrittura, che costituisce il filo conduttore dell’esortazione apostolica sulla Parola di Dio Verbum Domini, non è soltanto controversa all’interno della Chiesa cattolica, ma rappresenta il problema ecumenico di fondo. Oggetto di discussione è infatti il rapporto tra la Parola di Dio e i ministri incaricati di testimoniare questa Parola all’interno della comunità di fede. A tal proposito, nell’incontro ecumenico con i rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali in occasione del suo viaggio in Germania nel settembre del 2005, Papa Benedetto xvi sottolineava che la questione ecclesiologica nell’ecumenismo riguarda il «modo in cui è presente nel mondo la Parola di Dio», e più precisamente il «rapporto tra Parola, testimone e regula fidei». Egli faceva altresì notare che la questione ecclesiologica deve essere considerata come questione relativa alla Parola di Dio, alla sua sovranità e alla sua devozione in cui «il Signore l’affida anche ai testimoni e a loro affida la sua interpretazione, la quale deve sempre avere come criterio la regula fidei e il rispetto della Parola stessa». Il primo fattore, a cui si è già accennato, è la formazione del canone della Sacra Scrittura, che è giunto a una sua configurazione più precisa verso la fine del secondo secolo, ma il cui sviluppo si è protratto ancora nel secolo successivo. Il fatto che ciò che noi oggi chiamiamo «Nuovo Testamento» sia il risultato di una selezione operata tra i vari testi letterari conosciuti in quel tempo e che il canone greco della Bibbia ebraica come «Antico Testamento» sia stato associato al «Nuovo Testamento» per formare insieme la «Sacra Scrittura» mostra non solo che la definizione del canone biblico è opera della Chiesa primitiva, ma anche che la formazione del canone biblico e la formazione dell’ordinamento ecclesiale della Chiesa primitiva in fondo sono due facce dello stesso processo.
La lettura della Sacra Scrittura e la professione di fede, nella Chiesa primitiva, sono innanzitutto azioni liturgiche delle comunità riunite intorno al Signore risorto. La Chiesa primitiva ha dunque creato anche le forme fondamentali della liturgia cristiana, che devono essere considerate come base permanente e punto di riferimento vincolante per ogni rinnovamento liturgico. La prima descrizione della Liturgia dell’Eucaristia, ovvero quella di Giustino martire verso la metà del secondo secolo, contiene già gli elementi fondamentali che sono rimasti immutati in tutte le grandi famiglie di rito fino ai nostri giorni. Secondo la Chiesa primitiva, la Parola di Dio, annunciata nell’azione liturgica della Chiesa, trova la sua prima espressione nei testimoni della fede che ne concretizzano la sua presenza. Poiché Parola e testimone sono inseparabili, nel senso non solo che il testimone vive per la Parola di Dio e vive di essa, ma anche che la Parola vive attraverso il testimone, nella Chiesa primitiva si è sviluppato il concetto della successione apostolica nel ministero episcopale.
La lettera di Clemente di Roma ai corinzi è prova del fatto che «la formazione, la fondazione teologica e il rafforzamento istituzionale del ministero episcopale» debba essere considerato come «uno degli sviluppi più importanti dell’epoca post-apostolica». Si tratta di una lettera redatta nel 96 a Roma, che diventerà presto la comunità guida in occidente, e rivolta a Corinto, che era una delle prime comunità fondate da Paolo e che accoglierà con gioia tale missiva. Questa lettera, che nella Chiesa dei primi secoli aveva assunto «un rango quasi canonico» e che veniva letta regolarmente dalla comunità di Corinto nel servizio liturgico, documenta il fatto sorprendente che già poco tempo dopo la morte degli apostoli e molto tempo prima che si completasse la formazione del canone in tutta la Chiesa, in occidente e in oriente, esisteva un unico ordinamento dei ministeri ecclesiali: ogni comunità aveva un vescovo e, se necessario, a seconda della grandezza, un collegio di presbiteri e di diaconi.  «Relegare la Parola al passato, significa negare la Bibbia come Bibbia – scriveva nel 1990 l’allora cardinale Ratzinger – difatti un’interpretazione esclusivamente storica, esclusivamente orientata a “ciò che è stato” porta come intrinseca conseguenza alla negazione del canone e pertanto alla negazione della Bibbia come Bibbia». Accogliere il canone come canone significa dunque leggere la Parola di Dio oltre la sua contingenza storica e riconoscere il popolo di Dio come il vero autore nei diversi autori. Così facendo, incontriamo la Parola di Dio non solo come una parola pronunciata nel passato, ma come la Parola che Dio, attraverso gli uomini di un tempo passato, dona agli uomini di tutti i tempi come Parola sempre attuale. Per questo, i padri della Chiesa considerano la Sacra Scrittura come un Eden spirituale, nel quale si può passeggiare con Dio e ammirare la bellezza e l’armonia del suo disegno salvifico.
Proprio a far questo invita la lectio divina, nella quale il cristiano, che nella Parola della Sacra Scrittura ritrova in maniera diretta e sempre attuale il conforto e l’appello di Dio, incontra nelle parole della Sacra Scrittura la Parola di Dio stessa e, così, fa teologia nel senso più elementare del termine. Infatti, al di là di tutti gli sforzi cognitivi, pur necessari, l’incontro con la Sacra Scrittura è sempre un evento spirituale e dunque un vero incontro con la «Parola del Dio vivente». La teologia è pertanto autentica teologia quando non trasmette soltanto conoscenze intellettuali, ma una fede intelligente, in quanto «la fede è intelligenza e l’intelligenza è fede». La teologia deve assumere con particolare serietà questa funzione di ponte tra ragione e fede nell’odierna situazione pastorale, in cui non solo il linguaggio di fede della Chiesa ma anche il mondo della Bibbia è divenuto ormai estraneo a molti battezzati. Il biblista cattolico Walter Kirchschläger ha osservato giustamente che «nonostante i numerosi sforzi compiuti, la comprensione generale della Bibbia da parte dei battezzati non si è sviluppata così ampiamente come si era sperato al tempo del Concilio». A questo si aggiunge il fatto che la divulgazione dei risultati dell’esegesi storico-critica crea in non pochi fedeli l’impressione che siano soltanto gli esperti a poter davvero capire la Sacra Scrittura.
È necessario soprattutto individuare nuovi approcci alla Parola di Dio, affinché questa venga percepita dai fedeli non solo come Parola del passato, ma come Parola del presente, con la quale Cristo parla agli uomini anche di oggi.  Cristo è infatti la Parola viva di Dio e spiega se stesso usando le parole della Sacra Scrittura. Pertanto la questione di come leggere la Sacra Scrittura e la fede in Cristo sono indissociabili, come osservava san Girolamo. Per conoscere Cristo occorre frequentare la Sacra Scrittura. E, viceversa, senza l’incontro personale con Cristo, la Sacra Scrittura rimane profana e rauca. Essa inizia a parlarci soltanto quando viviamo in un rapporto di amicizia con Cristo nella comunione della Chiesa. Nell’ascolto della Parola di Dio risiede pertanto una grande forza che può contribuire alla ricomposizione dell’unità dei cristiani. Poiché il grande scisma della Chiesa d’occidente nel XVI secolo è iniziato con una lettura controversa della Parola di Dio, soprattutto circa il rapporto tra Sacra Scrittura e Tradizione della Chiesa, ed «è giunto in un certo senso fin dentro la Bibbia stessa», il suo superamento sarà realizzabile soprattutto sul cammino di una lettura comune della Sacra Scrittura. In fondo, l’uomo trova nella Sacra Scrittura ciò che vi cerca. Se non vi cerca nulla, non vi troverà nulla. Se vi cerca solo eventi storici, vi troverà solo ciò che è storico. Se vi cerca Dio, là lo troverà e potrà testimoniarlo anche agli altri.

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 3 dicembre 2010]

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