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GESÙ CHIAVE CHE APRE: L’ANTIFONA O CLAVIS DAVID. BREVE NOTA DI ANDREA LONARDO SU DI UN TESTO DI G.K. CHESTERTON

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GESÙ CHIAVE CHE APRE: L’ANTIFONA O CLAVIS DAVID. BREVE NOTA DI ANDREA LONARDO SU DI UN TESTO DI G.K. CHESTERTON

Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /12 /2011 -

Il Centro culturale Gli scritti (20/12/2011)

«La chiave corrisponde alla serratura; perché è come la vita». Così scrive G.K. Chesterton e le sue straordinarie parole possono essere prese come il commento più adeguato all’antifona natalizia O chiave di Davide che si canta nella novena di Natale il 20 dicembre, utilizzando la simbologia della chiave per parlare della fede cristiana e del suo Signore. Chesterton scrive, in L’uomo eterno: «Nella chiave [...] c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo [cristiano] debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. [...] Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi».

Questa l’antifona liturgica del 20 dicembre:

O Chiave di Davide, e scettro della casa di Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: vieni e fa uscire dal carcere il condannato, che siede nelle tenebre, e nell’ombra della morte.

O Clavis David, et sceptrum domus Israel; qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit: veni, et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris, et umbra mortis.

Questo più ampiamente il brano di Chesterton che mi è stato inviato in dono come regalo prezioso: «[L’immagine delle chiavi consegnate dal Cristo a San Pietro] ha un’esattezza che non è stata forse esattamente notata. Le chiavi hanno avuto una parte cospicua nell’arte e nell’araldica del Cristianesimo: ma non tutti hanno  notato la peculiare precisione dell’allegoria. Arrivati a questo punto della nostra storia, bisognerà dire qualche cosa del primo apparire e della attività della Chiesa nell’Impero romano: e per un breve accenno in proposito nulla potrebbe meglio servire di quell’antica metafora. Il cristiano primitivo era né più né meno che una persona con una chiave, o che diceva di avere una chiave. Tutto il movimento cristiano consistette nel proclamare di possedere tale chiave. Non era solamente un vago movimento in avanti, che avrebbe potuto esser meglio rappresentato dal battere un tamburo. Non era qualche cosa che spazzava via tutto davanti a sé, come un moderno movimento sociale. Come vedremo fra poco, si rifiutava piuttosto di far questo. Esso asseriva in modo assoluto che c’era una chiave e che possedeva tale chiave e che nessun’altra chiave era eguale a quella; era in un certo senso, diciamo pure, ristretto. Soltanto avveniva che quella era la chiave che poteva aprire la prigione del mondo intero, e far vedere la bianca aurora della salvezza. Il credo era come una chiave per tre aspetti che potrebbero convenientemente riunirsi sotto questo simbolo. Primo, una chiave è anzitutto una cosa che ha una forma; ed è una cosa che dipende interamente dal conservare la sua forma. Il credo cristiano è soprattutto la filosofia della forma ed è nemico delle cose informi. Ecco dove differisce da tutte le altre infinite filosofie – manicheismo, Buddismo – che formano una specie di lago notturno nell’oscuro cuore dell’Asia [...] Secondo, la forma della chiave è per se stessa una forma piuttosto fantastica. [...] Una chiave non è materia di astrazioni: nel senso che una chiave non è materia di ragionamento. Essa o è adatta alla serratura, oppure non è. È inutile per gli uomini disputarvi attorno, considerata la cosa in se stessa; o ricostruirla sui puri principi della geometria o dell’arte decorativa. È una sciocchezza per un uomo dire che preferirebbe una chiave più semplice; sarebbe assai più sensato se facesse del suo meglio con un grimaldello. In terzo luogo, poiché la chiave è necessariamente una cosa fatta secondo un disegno, questa aveva un disegno piuttosto elaborato. Quando la gente si lamenta che la religione si è troppo presto immischiata di teologia e roba simile, dimentica che il mondo [...] era penetrato addirittura in un labirinto di vie senza uscita. [...] Basti dire qui che nella chiave c’erano senza dubbio molte cose che parevano complicate: c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. È una delle tante storie; con questo di più, che è una storia vera. È una fra le tante filosofie; con questo di più, che è la verità. Noi l’accettiamo; e il terreno è solido sotto i nostri piedi, e la strada è aperta davanti a noi. Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi» (G.K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 265-266; 307).

CHI SONO, DA DOVE VENGO E DOVE VADO: LA NECESSITÀ DELLA RICERCA DI DIO – BLAISE PASCAL

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CHI SONO, DA DOVE VENGO E DOVE VADO: LA NECESSITÀ DELLA RICERCA DI DIO  – BLAISE PASCAL

1662 – PENSÉES, NN. 334, 335

Con il suo stile diretto e provocante, Blaise Pascal stimola i libertini del suo tempo a prendere necessariamente in esame il problema esistenziale del senso della vita umana. Esistono delle domande radicali alle quali nessuno può sfuggire, se non con la distrazione ed un oblio solo temporaneo. Quanto la religione cristiana dice a proposito dell’uomo e del suo destino non può lasciare indifferenti, perché essa fornisce le risposte proprio a quelle domande che l’uomo si pone. 334. Prima di addentrarmi nelle prove della religione cristiana, trovo necessario mettere in vista l’ingiustizia degli uomini che vivono nell’indifferenza verso la ricerca della verità di una cosa che per loro è così importante e che li tocca così da vicino. Di tutti i loro errori questo è, senza dubbio, quello che più li accusa di stoltezza e di accecamento, e nel quale è più facile confonderli con le più semplici riflessioni del senso comune e con i sentimenti naturali. È infatti incontestabile che il tempo di questa vita è solo un attimo, che lo stato della morte è eterno, qualunque ne possa essere la natura; di conseguenza, tutte le nostre azioni e i nostri pensieri devono prendere strade talmente diverse secondo lo stato di questa eternità, che è impossibile fare un passo con sensatezza e con discernimento senza regolarlo in vista di quel punto che deve essere il nostro ultimo fine. Non c’è nulla di più evidente di questo e, di conseguenza, secondo i principi della ragione, la condotta degli uomini è affatto irragionevole, se essi non prendono un’altra via. Si giudichi dunque da questo punto di vista di coloro che vivono senza pensare a quell’ultimo termine della vita, che si lasciano andare alle loro inclinazioni e ai loro piaceri senza riflessione e senza inquietudine e, come se potessero annientare l’eternità distogliendo da essa il loro pensiero, pensano a rendersi felici soltanto in questo attimo. Tuttavia questa eternità esiste e la morte, che la deve spalancare e che li minaccia ad ogni ora, li deve mettere infallibilmente in breve tempo nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici senza che sappiano quale di queste eternità sia loro preparata per sempre. Ecco un dubbio di una terribile importanza. Essi sono nel pericolo di una eternità di miserie; e su ciò, come se non ne valesse la pena, trascurano di esaminare se è una di quelle opinioni che il popolo accoglie con facilità troppo credula o di quelle che, essendo di per se stesse oscure, hanno un fondamento solidissimo, benché nascosto. E così, non sanno se c’è verità o falsità nella cosa, né se c’è vigore o fragilità nelle prove. Le hanno dinnanzi agli occhi; rifiutano di guardarvi, e in questa ignoranza prendono il partito di fare tutto quello che occorre per cadere in quella infelicità nel caso che essa ci sia, di aspettare di farne esperienza al momento della morte, di essere nel frattempo assai soddisfatti in questo stato, di proclamarlo e, infine, di vantarsene. Si può pensare seriamente all’importanza di questo problema senza avere l’orrore di una condotta così stravagante? Questo adagiarsi in simile ignoranza è una cosa mostruosa di cui occorre far sentire la stravaganza e la stoltezza a coloro che vi trascorrono la loro vita, mettendola bene dinanzi ai loro occhi, per confonderli con la considerazione della loro stoltezza. Ecco infatti come ragionano gli uomini, quando scelgono di vivere nella ignoranza di quello che essi sono e senza ricercare una luce. «Io non so» dicono… 335. Che imparino almeno a conoscere qual è la religione che combattono, prima di combatterla. Se questa religione si vantasse di avere una chiara visione di Dio e di possederla scopertamente senza veli, sarebbe un combatterla l’affermare che nel mondo non si vede nulla che lo mostri con tale evidenza. Ma poiché essa afferma, al contrario, che gli uomini sono nelle tenebre e nella lontananza da Dio, che Dio si è nascosto alla loro conoscenza, e tale è il nome che Egli si dà nelle Scritture, Deus absconditus [Is 45,15], e infine, se essa si impegna ugualmente a stabilire queste due cose: che Dio ha posto segni sensibili nella Chiesa per farsi riconoscere da quelli che lo cercano sinceramente, e che nondimeno li ha avvolti in tal modo che Egli sarà scorto soltanto da quelli che lo cercano con tutto il loro cuore; orbene, quale vantaggio possono trarre costoro allorquando, professando di non applicarsi a cercare la verità, gridano che non c’è nulla che gliela mostri, poiché l’oscurità in cui si trovano e che essi rinfacciano alla Chiesa non fa che confermare una delle cose che essa sostiene, senza toccare l’altra, e conferma la sua dottrina, ben lungi dal distruggerla? Bisognerebbe, per combatterla, che costoro gridassero d’aver fatto ogni sforzo per cercarla ovunque, ed anche in ciò che la Chiesa propone per istruirsene, ma senza alcun esito. Se parlassero così, contesterebbero alla verità una delle sue ambizioni. Ma spero di dimostrare qui che non c’è alcuna persona ragionevole che possa parlare in tale modo, e oso pure dire che nessuno l’ha mai fatto. Si sa abbastanza bene in quale maniera agiscono coloro che sono in un tale atteggiamento di spirito. Credono di aver fatto grandi sforzi per istruirsi quando hanno speso qualche ora a leggere qualche libro della Scrittura e hanno interrogato qualche ecclesiastico sulle verità della fede. Dopo di che, si vantano d’aver cercato senza successo nei libri e fra gli uomini. Ma, in verità, dirò loro ciò che ho detto più volte, che tale negligenza non è tollerabile. Non si tratta qui dell’interesse passeggero di qualche estraneo, per comportarsi in quel modo; si tratta di noi stessi, e del nostro tutto. L’immortalità dell’anima è una cosa che ci interessa così fortemente, che ci tocca così profondamente, che bisogna aver perduto ogni sensibilità per rimanere indifferenti a sapere come stiano le cose. Tutte le nostre azioni e pensieri devono prendere indirizzi talmente diversi a seconda che si avranno o non si avranno beni eterni da sperare, che è impossibile fare un passo con criterio e giudizio senza regolarlo in vista di quel punto che deve essere il nostro ultimo oggetto. Io posso soltanto aver compassione per quelli che gemono sinceramente in questo dubbio, che lo considerano come l’estrema delle sventure e che non risparmiando nulla per uscirne, fanno di questa ricerca la principale e la più seria delle loro occupazioni. Ma per quelli che trascorrono la loro vita senza pensare all’ultimo termine della vita e che, per la sola ragione che non trovano in se stessi i lumi che li possano persuadere, trascurano di cercarli altrove e di esaminare a fondo se questa opinione è di quelle che il popolo accoglie con semplicità credula o di quelle che, quantunque per loro stesse oscure, hanno un fondamento molto solido e incrollabile, ho una considerazione del tutto diversa. Questa negligenza su una questione in cui si tratta di loro stessi, della loro eternità, del loro tutto, mi irrita più che non mi rattristi: essa mi stupisce e mi sgomenta: è per me una mostruosità. Non dico questo per pio zelo di una devozione spirituale. Penso, al contrario, che si debba avere questo sentimento per un principio di interesse umano e per un interesse di amor proprio: non occorre, per questo, che vedere quanto vedono le persone meno illuminate. Non è necessario avere un’anima molto elevata per comprendere che quaggiù non c’è soddisfazione vera e duratura, che tutti i nostri piaceri sono solo vanità, che i nostri mali sono infiniti, e che, infine, la morte, che ci minaccia ogni momento, deve infallibilmente metterci nel giro di pochi anni nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici. Non c’è nulla di più reale di ciò, né di più terribile. Facciamo quanto vogliamo gli spavaldi: ecco la fine che attende la più bella vita del mondo. Si rifletta su ciò e si dica poi se non è indubitabile che, in questa vita, non ci sia altro bene all’infuori della speranza di un’altra vita, che non si è felici che nella misura in cui ci si avvicina ad essa e che, come non vi saranno più sventure per coloro che erano totalmente sicuri dell’eternità, così non c’è felicità per quelli che non ne hanno alcuna luce. È dunque sicuramente un gran male essere in questo dubbio; ma è almeno un dovere indispensabile cercare, quando si è in tale dubbio; e così, chi dubita e non cerca è insieme e assai infelice e molto ingiusto; se egli con ciò, tranquillo e soddisfatto, ne fa professione, e infine se ne vanta e fa proprio di questa situazione motivo di gioia e di vanità, allora io non ho parole per qualificare una così strana creatura. Donde si possono trarre tali sentimenti? Quale motivo di gioia si trova a non aspettarsi più che miserie senza rimedio? Quale motivo di vanità nel trovarsi in oscurità impenetrabili, e come è possibile che questo ragionamento passi nella mente di un uomo ragionevole? «Io non so chi mi ha messo al mondo, né che cos’è il mondo, né che cosa sia io stesso; mi trovo in una ignoranza terribile su tutte le cose; non so cosa sia il mio corpo, che cosa i miei sensi, che cosa la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quello che sto dicendo, che riflette su tutto e su se stessa, e non conosce se stessa così come non conosce le altre cose. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo che mi racchiudono, mi trovo confinato in un angolo di questa vasta distesa, senza sapere perché sono posto in questo luogo piuttosto che in un altro, né perché questo poco di tempo che mi è stato dato da vivere mi è stato fissato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Vedo da ogni parte solo infinità che mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno. Tutto ciò che so è che devo presto morire, ma quello che più ignoro è questa stessa morte che non saprei evitare. «Come non so di dove vengo, così non so dove vado, e so solamente che uscendo da questo mondo cadrò per sempre o nel nulla o nelle mani di un Dio sdegnato, senza sapere quale di queste due condizioni avrò in sorte per l’eternità. Ecco il mio stato, pieno di debolezza e d’incertezza. E da tutto questo concludo che devo dunque passare tutti i giorni della mia vita senza cercare quello che mi dovrà capitare. Forse potei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi; ma non voglio darmene pena, né fare un passo per cercarlo, e poi, trattando con disprezzo quelli che si travagliano in questa ricerca – qualunque certezza che essi ne avessero, sarebbe un motivo di disperazione piuttosto che di vanità -, io voglio affrontare senza previdenza e senza timore un così grande evento, e lasciarmi mollemente condurre alla morte, nell’incertezza sull’eternità della mia futura condizione». Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che discorre in questo modo? Chi lo sceglierebbe, tra gli altri, per confidargli i propri affari? Chi ricorrerebbe a lui nelle afflizioni? E infine, a qual uso della vita lo si potrebbe destinare? In verità è titolo di gloria per la religione avere per nemici uomini così insensati; e la loro opposizione è per essa così poco pericolosa che riesce, al contrario, a convalidare le sue verità. Perché la fede cristiana a un dipresso afferma solo due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo. Ora io sostengo che se essi non servono a dimostrare la verità della redenzione con la santità dei loro costumi, servono almeno in modo ammirevole a dimostrare la corruzione della natura con sentimenti così snaturati. Nulla è così importante per l’uomo quanto il suo stato, nulla gli è così spaventoso quanto l’eternità; per questo non è affatto naturale che si trovino uomini indifferenti alla perdita del proprio essere e al pericolo di una eternità di miserie. Essi sono ben diversi nei riguardi di tutte le altre cose: hanno timore finanche nelle cose più leggere, le prevedono, le sentono; e quello stesso uomo che passa tanti giorni e tante notti nella rabbia e nella disperazione per la perdita di una carica o per qualche offesa immaginaria al suo onore, è lo stesso che sa di essere sul punto di perdere tutto con la morte, senza inquietudine e senza emozione. È una cosa mostruosa vedere in uno stesso cuore e nello stesso tempo una tale sensibilità per le cose più piccole e una tale singolare sensibilità per le più grandi. Sono un incantesimo incomprensibile, e un torpore soprannaturale, che indicano una forza onnipotente che ne è la causa Bisogna che vi sia nella natura dell’uomo un singolare stravolgimento, per vantarsi di essere in tale stato, nel quale sembra incredibile che possa stare una sola persona. Tuttavia l’esperienza me ne fa vedere in così grande numero che ciò sarebbe sorprendente se non sapessimo che la maggior parte di quelli che se ne occupano simulano e non sono tali in realtà; sono persone che hanno sentito dire che le belle maniere del mondo consistono nel fare così lo sregolato. È ciò che essi chiamano aver scosso il giogo, e che si studiano di imitare. Ma non sarebbe difficile far loro capire come s’ingannano se cercano per questa via la stima. Non è il mezzo per ottenerla, e questo vale per le stesse persone del mondo che giudicano rettamente delle cose e che sanno che l’unica via per riuscirvi è di mostrarsi onesti, fedeli, giudiziosi e capaci di rendere utili servigi al proprio amico, poiché gli uomini amano per natura solo ciò che può essere loro utile. Ora, quale vantaggio c’è per noi nel sentire dire da un uomo che ha scosso il giogo, che non crede che vi sia un Dio che veglia sulle sue azioni, che egli considera l’unico arbitro della propria condotta, e che non pensa a renderne conto che a se stesso? Pensa di averci condotti in tal modo ad avere orami molta fiducia in lui e attendere da lui consolazioni, consigli e aiuto in tutti i bisogni della vita? Pretendono di averci ben rallegrato, col dirci che sono sicuri che la nostra anima è solo un po’ di vento e di fumo, ed ancora, di dircelo con un tono di voce fiero e soddisfatto? È questa dunque una cosa da dirsi allegramente? Non è, al contrario, cosa da dirsi con tristezza, come la cosa più triste del mondo? Se ci pensassero seriamente, vedrebbero che questo è così mal pensato, così contrario al buon senso, così opposto all’honnêteté e così lontano sotto ogni punto di vista da quella distinzione che essi cercano, che essi sarebbero piuttosto capaci di correggere che corrompere coloro che avessero qualche inclinazione a seguirli. In realtà, fate che si rendano conto dei loro sentimenti e delle ragioni che hanno di dubitare della religione: vi diranno cose così futili e così volgari che vi convinceranno del contrario. È quanto diceva loro un giorno, ben a proposito, una persona: «Se continuate a discorrere in tale modo, in verità finirete con il convertirmi». Ed aveva ragione, perché chi non proverebbe orrore a vedersi con dei sentimenti in cui si hanno per compagni persone così spregevoli! E così quelli che soltanto fingono questi sentimenti sarebbero molto infelici a costringere la loro natura, per diventare i più impertinenti tra gli uomini. Se nel profondo del loro cuore sono contrariati di non aver più lumi, non lo dissimulino: questa confessione non sarà vergognosa. È vergognoso solo non averne vergogna. Nulla denuncia maggiormente una strema fiacchezza di spirito quanto il non riconoscere qual è la sventura di un uomo senza Dio; nulla denota di più una cattiva disposizione del cuore quanto il non desiderare la verità delle promesse eterne; nulla è più vile quanto il fare lo spavaldo contro Dio. Lascino dunque tali empietà a quelli che sono tanto mal nati da esserne realmente capaci; siano almeno persone oneste se non possono essere cristiani, e riconoscano in fine che vi sono due categorie di persone che si possono dire ragionevoli: o quelli che servono Dio con tutto il cuore perché lo conoscono, o quelli che lo cercano con tutto il cuore perché non lo conoscono. Ma quanto a quelli che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, essi si giudicano da sé tanto poco degni di prendersi cura di se stessi, che non possono essere degni delle cure degli altri; e occorre avere tutta la carità della religione che essi disprezzano per non disprezzarli fino ad abbandonarli alla loro insensatezza. Ma poiché questa religione ci obbliga a considerarli sempre, fino a che vivono, come capaci della grazia che può illuminarli, e di credere che possono essere fra breve più colmi di fede di quanto non lo siamo noi, e che potremo, al contrario, cadere nell’accecamento in cui loro si trovano, occorre fare per loro quello che noi vorremmo si facesse per noi se fossimo al loro posto, e invitarli ad aver pietà di loro stessi, e a fare almeno qualche passo per tentare di trovare qualche lume. Dedichino a questa lettura qualcuna delle ore che impiegano così futilmente in altre cose; qualunque avversione vi provassero, forse vi troveranno qualche cosa, e per lo meno non vi perderanno molto; ma per quelli che vi metteranno una perfetta sincerità e un veritiero desiderio di trovare la verità, spero che saranno soddisfatti e che saranno convinti delle prove di una religione tanto divina, che ho qui raccolte e nelle quali io ho seguito pressappoco quest’ordine.   Da Pensieri, opuscoli, lettere, a cura di A. Bausola, tr. it. di A. Bausola e R. Tapella, Rusconi, Milano 19974, Pensieri, nn. 334, 335, pp. 517-527

HIGOUMÈNE DANIEL – VIAGGIO IN TERRA SANTA

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HIGOUMÈNE DANIEL – VIAGGIO IN TERRA SANTA

Proveniente da un monastero della provincia di Chemigov Higoumène Daniel è protagonista di un viaggio in terrasanta, viaggio riportato in un diario che si può considerare una delle più importanti testimonianze dell’ambiente russo.
Il viaggio parte da Kiev raggiunge Costantinopoli, poi prosegue via mare per Giaffa , Efeso, Cipro. E’ stato a Gerusalemme dal 1093 al 1112 durante il regno di Baldovino I , re di Gerusalemme, ma ha anche visitato molti luoghi della Palestina, dei quali farà delle dettagliata descrizioni.
Importanti sono anche gli incontri con dei connazionali.
Nel viaggio di ritorno da Beirut, Antiochia verso Costantinopoli ebbe anche un incontro con dei pirati , ma riuscì a salvarsi e a ritornare in patria .

Testo
Io, Daniel, indegno hégoumène russo il più piccolo, tra i monaci, scontento dei miei molti peccati e delll’inadeguatezza delle mie opere buone, sono stato colpito dall’idea, il desiderio impaziente di vedere la Città Santa di Gerusalemme e la Terra Promessa.
Per la grazia di Dio, sono giunto alla città santa di Gerusalemme e ho visto i luoghi santi, ho visitato tutta la Galilea e tutti i luoghi santi per la città santa di Gerusalemme che Cristo, nostro Dio, ha percorso con i suoi piedi, e quando fece miracoli sorprendenti. E ho visto tutto con i miei occhi di peccatore e Dio, nella sua misericordia, si è degnato di farmi vedere ciò che i miei pensieri hanno a lungo desiderato. I miei fratelli, i miei padri, i miei signori! Perdonami, un peccatore, e perdona la mia ignoranza e la semplicità della storia che darò della città santa di Gerusalemme, la terra benedetta e il sentiero che conduce in questi luoghi sacri.
Ma, con la speranza che la misericordia divina e le vostre preghiere mi salverà dal Signore Gesù Cristo per il perdono dei miei tanti peccati , ho descritto in questo modo i luoghi santi non per faarmi un erito ma per dare al moi viaggio un risultato di aver fatto qualcosa di buono. Ma è solo per amore di questi luoghi sacri che ho descritto quello che ho visto con i miei occhi, in modo da non dimenticare ciò che Dio degnò di mostrarmi nonostante fossi indegno.
Temendo l’esempio del servo pigro che ha seppellito il talento del suo padrone senza renderlo redditizio, ho scritto ai fedeli, in modo che l’ascolto della descrizione dei luoghi santi, porti buon effetto alle loro anime. Molte persone giuste, senza uscire di casa, fanno del bene e danno l’elemosina ai poveri perchè possano raggiungere questi luoghi santi e lo rendono degno di una maggiore remunerazione del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo. Altri, e me per primo, vengono ai luoghi santi ed alla città santa di Gerusalemme, e si vantano nelle loro menti, come se avessero fatto qualcosa di meritorio ,altri ritornano dopo il pellegrinaggio in fretta a casa senza aver visto un sacco di cose buone.
Io, indegno hégoumène Daniel, venni a Gerusalemme, trascorsi sedici mesi in mérochie la Lavra di San Sabba , e questo è quanto ho potuto visitare e esplorare tutti questi luoghi santi. E ‘impossibile camminare o vedere tutti i luoghi santi senza una buona guida e interprete. Non ho risparmiato nulla del mio povero avere, quello che avevo tra le mani, per premiare coloro che conoscevano tutti i luoghi santi della città e l’esterno, in modo che mi motrassero tutto in dettaglio. E Dio mi ha dato la grazia di incontrare un santo e uomo molto vecchio ben versato nelle Scritture. Dio dispose il cuore di questo santo uomo di amare me indegno, e fu lui che mi ha mostrato con attenzione tutti i luoghi santi di Gerusalemme e tutto il paese.
GERUSALEMME
Ecco il percorso che conduce a Gerusalemme. Ci sono 300 miglia da Costantinopoli al grande mare seguendo le sinuosità della costa, e 100 verste per l’isola di petalo . Questa è la prima isola nel mare stretto, e su questa strada, è la grande città di nome Eraclea ,dove c’è un buon porto, nei confronti della città, l’olio santo dalle profondità del mare, per molti santi martiri furono sepolti dai carnefici. Isola petalo a Gallipoli ci sono centinaia di verste, e da Gallipoli verso la città di Abido 80 verste. Vis-à-vis la città è sepolto S. Eutimio il nuovo. Da lì a cri è la distanza di venti miglia, dove si apre nel mare grande il sentiero a sinistra conduce a Gerusalemme, a destra, il Monte Santo, a Salonicco e Roma. Di Crite sull’isola di Tenedo , ci sono una trentina di verste. Questa è la prima isola del mare grande e questo è dove si trova il Avnoudimos santo martire. Sulla sponda opposta di questa isola un tempo era una grande città chiamata Troade , dove l’apostolo Paolo è venuto a insegnare e battezzare tutto il paese. L’isola di Tenedo per l’isola di Mitilene ci sono cento verste la santa Metropolitan Mitilene è sepolto lì. Ci sono un centinaio di verste da Mitilene sull’isola di Chios , sepoltura del santo martire Isidoro, l’isola produce mastice, il buon vino e tutti i tipi di verdure.
CITTÀ DI EFESO
La città di Efeso è di quaranta miglia dall’isola di Chios .
Qui è dove si trova la tomba di Giovanni il Teologo, e la polvere da questa sacra tomba nell’anniversario della sua morte, i credenti la raccolgono come un rimedio contro tutte le malattie, la tunica indossata da John è anche lì. Nelle vicinanze si trova la grotta dove si trovano i corpi dei Sette Dormienti, che dormivano 360 anni, dopo essersi addormentati sotto l’imperatore Decio e l’ora del risveglio è avvenuta sotto Teodosio. Nella stessa grotta sono le reliquie dei Trecento Padri e S. Alexander nel cui santuario di Maria Maddalena si trova la testa, e il Santo Apostolo Timoteo, discepolo di St. Paul, ha lì la sua bara. Sono conservate nella vecchia chiesa l’immagine della Vergine con i santi che fecero confondere l’eretico Nestorio. E ‘anche lì dove il Dioscoride Giovanni il Teologo ha lavorato con Procoro. Abbiamo anche visto il porto, chiamato Porto Marmo , dove Giovanni respinse il Teologo in riva al mare, dove abbiamo trascorso tre giorni. La città di Efeso , si trova nelle montagne quattro verste dal mare abbonda in tutte le cose. Abbiamo adorato il santo sepolcro, e protetto dalla grazia di Dio e con le preghiere di Giovanni il Teologo, siamo andati in gioia. La distanza tra Efeso e l’isola di Samos è di quaranta verste. L’isola è ricca di pesce e il suo suolo è molto fertile. Di Samos nell’isola di Ikaria ci sono venti verste.
ISOLA DI PATMOS
Ci sono quaranta chilometri di Ikaria l’isola di Patmos , che si protende fino al mare dove esiliato con Procoro, Giovanni il Teologo scrisse il suo Vangelo. Poi ci sono le isole di Leros, di Calimnos , di Nicera , e quella di Cos , che è grande. Quest’ultimo è molto ricco in bestiame e popolato. Poi viene Telos , notevole per il tormento di Erode è fuoco e di zolfo, che viene venduta dopo essere stati puliti, e abbiamo usato per mettere in evidenza il fuoco. È inoltre l’isola di Khárkia . Tutte queste isole, popolate e ricche di bestiame, sono lontani gli uni dagli altri dieci verste e altro. L’isola di Rodi è molto grande e molto produttiva. Il principe russo Oleg vi ha trascorso due estati e due inverni.
Di Samo Isola diRodi , ci sono 200 miglia, e da Rodi a Macrie Sessanta. In queste città e nella campagna circostante fino Myre ,si ha un prodotto thymiame bianco e gomphyte che deriva da un albero come una sorta di midollo viene raccolto con un ferro appuntito. Questo albero chiamato zyghia e come la luce. Un altro arbusto, che ricorda il pioppo e il cui nome è raka viene mangiato sotto la corteccia da una specie di vermi grandi bruchi di grandi dimensioni, ed i fori di vite senza fine che il prodotto si distinguono dalla arbusto come crusca di frumento e cadere a terra come una gomma come quella ciliegia. E ‘raccolto e mescolandolo al primo albero, il tutto cotto in un calderone, preparando così il mercante che vende thymiame gomphyte in bottiglia. Ci sono quaranta verste Macrie alla città di Patara , la città natale di San Nicola, Patara è una sede e il luogo della sua origine. Di Patara a Myra , dove si trova la tomba di San Nicola, ha quaranta verste da Myra a Chélydonie 30, e del Chélydonie alla grande isola di Cipro 200 verste.
ISOLA DI CIPRO
Cipro è un’isola grande, popolosa e abbondante in tutte le cose. E ‘venti vescovi, uno metropolitane e ha un numero infinito di reliquie. Questo è dove S. Epifanio base, l’apostolo Barnaba, S. Zeno e Philagrios santo vescovo, che fu battezzato dall’apostolo Paolo.
MONTAGNA IN CUI SANT’ELENA ha eretto una croce .
C’è una montagna molto alta, in cima alla quale Sant’Elena fece erigere una grande croce in legno di cipresso, per scacciare i demoni e guarire ogni sorta di malattie, si ritirò in un chiodi della croce di Cristo sacri. Eventi e miracoli grandi che si svolgono in questo luogo così lontano e presso la croce. Questa croce è sospeso in aria senza nulla attaccato alla terra, è lo Spirito Santo che sostiene lo spazio. Io, indegno, ho amato questa santa e miracolosa, e ho visto con i miei occhi la grazia divina peccatore riposo in posizione. Ho esplorato tutta l’isola.
THYMIAME
Il thymiame incenso si verifica lì, cade dal cielo e si è raccolto in arbusti. In queste montagne molti arbusti crescono non più alto del prato, ed è qui che cade sulla thymiame bene solo nei mesi di luglio e agosto. Di Cipro per la città di Jaffa 400 miglia via mare da Costantinopoli per l’isola di Rodi 800 verste da Rodi a Jaffa anche otto centesimi, per un totale di 1600 traversata via mare fino al ‘a Jaffa . quest’ultima è una città situata sul bordo del mare, non lontano da Gerusalemme, e dove si è andato a Gerusalemme a terra, e la distanza di venti miglia, e ci sono dieci verste la pianura di San Giorgio . Una grande chiesa vi era alta sotto il nome di San Giorgio, e la sua tomba è stata anche l’altare, perché è qui che troviamo San Giorgio Martire. Ci sono molte fonti in questo luogo, nei pressi della quale i pellegrini si fermano con grande paura, perché è un luogo deserto e vicino alla città di Ascalon , dove i Saraceni fuori e massacrando i pellegrini che passano sul strada, in modo che la paura è grande da questo luogo nel quale entrano le montagne. Ci sono venti verste da grandi St. George a Gerusalemme attraverso le montagne di pietra, questo percorso è doloroso e molto spaventoso.
ARMATHEM DELLA MONTAGNA
C’è una montagna molto alta nei pressi di Gerusalemme, fin dal Jaffa , la montagna porta il nome Armathem . Su questa montagna sono le tombe del santo profeta Samuele, suo padre Elkan e Maria Egiziaca, ci erano villaggio e casa dei santi. Questo luogo è circondato da un muro e si chiama così perché la città di Armathem .
GERUSALEMME La città santa di Gerusalemme, si trova nelle valli aride tra alte montagne pietrose. Per prima cosa vede la Torre di Davide , poi, avanzando un po ‘, vediamo il Monte degli Ulivi , il Santo dei Santi , la Chiesa della Resurrezione , dove è il Santo Sepolcro , e infine la città. A circa un chilometro e mezzo prima di Gerusalemme, c’è una montagna appiattita dove tutti vanno a cavallo e fare il segno della croce. Ogni cristiano sperimenta quindi una grande gioia alla vista della città santa di Gerusalemme, e le lacrime cadono dai fedeli. Nessuno può smettere di piangere vedendo questa terra se lo si desidera e di questi luoghi sacri, dove Cristo nostro Dio, subito la passione per la remissione dei nostri peccati. A sinistra, vicino alla strada, è la chiesa di Saint-Etienne, il primo martire, e questo è dove è stato lapidato dagli ebrei e si vede la sua tomba. Poi i pellegrini vengono, pieno di gioia nella città santa di Gerusalemme da parte della porta accanto della casa di Davide, quella porta si trova di fronte a Betlemme.
All’ingresso del paese c’è un percorso che porta verso al Santo dei Santi e la sinistra al Santa Resurrezione , dove il Santo Sepolcro .

la traduzione non riporta il testo integralmente, le frasi di non chiara traduzione sono state omesse

Publié dans:LETTERATURA, LETTERATURA STRANIERA |on 13 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

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