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GIOVANNI PAOLO II: BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA – (m. 5 SETTEMBRE)

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/2003/documents/hf_jp-ii_hom_20031019_mother-theresa_it.html

BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA – (m. 5 SETTEMBRE)

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Giornata Missionaria Mondiale

Domenica 19 ottobre 2003

1. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,44). Queste parole di Gesù ai discepoli, risuonate poc’anzi in questa Piazza, indicano quale sia il cammino che conduce alla “grandezza” evangelica. E’ la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce; un itinerario di amore e di servizio, che capovolge ogni logica umana. Essere il servo di tutti!
Da questa logica si è lasciata guidare Madre Teresa di Calcutta, Fondatrice dei Missionari e delle Missionarie della Carità, che oggi ho la gioia di iscrivere nell’Albo dei Beati. Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla.
Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979). Soleva dire: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.
2. Non è forse significativo che la sua beatificazione avvenga proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale? Con la testimonianza della sua vita Madre Teresa ricorda a tutti che la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità, alimentata nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio. Emblematica di questo stile missionario è l’immagine che ritrae la nuova Beata mentre stringe, con una mano, quella di un bambino e, con l’altra, fa scorrere la corona del Rosario.
Contemplazione e azione, evangelizzazione e promozione umana: Madre Teresa proclama il Vangelo con la sua vita tutta donata ai poveri, ma, al tempo stesso, avvolta dalla preghiera.
3. “Whoever wants to be great among you must be your servant” (Mk 10: 43). With particular emotion we remember today Mother Teresa, a great servant of the poor, of the Church and of the whole world. Her life is a testimony to the dignity and the privilege of humble service. She had chosen to be not just the least but to be the servant of the least. As a real mother to the poor, she bent down to those suffering various forms of poverty. Her greatness lies in her ability to give without counting the cost, to give “until it hurts”. Her life was a radical living and a bold proclamation of the Gospel.
The cry of Jesus on the cross, “I thirst” (Jn 19:28), expressing the depth of God’s longing for man, penetrated Mother Teresa’s soul and found fertile soil in her heart. Satiating Jesus’ thirst for love and for souls in union with Mary, the mother of Jesus, had become the sole aim of Mother Teresa’s existence and the inner force that drew her out of herself and made her “run in haste” across the globe to labour for the salvation and the sanctification of the poorest of the poor.
4. “As you did to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40). This Gospel passage, so crucial in understanding Mother Teresa’s service to the poor, was the basis of her faith-filled conviction that in touching the broken bodies of the poor she was touching the body of Christ. It was to Jesus himself, hidden under the distressing disguise of the poorest of the poor, that her service was directed. Mother Teresa highlights the deepest meaning of service – an act of love done to the hungry, thirsty, strangers, naked, sick, prisoners (cf. Mt 25:34-36) is done to Jesus himself.
Recognizing him, she ministered to him with wholehearted devotion, expressing the delicacy of her spousal love. Thus in total gift of herself to God and neighbour, Mother Teresa found her greatest fulfillment and lived the noblest qualities of her femininity. She wanted to be a sign of “God’s love, God’s presence, God’s compassion” and so remind all of the value and dignity of each of God’s children, “created to love and be loved”. Thus was Mother Teresa “bringing souls to God and God to souls” and satiating Christ’s thirst, especially for those most in need, those whose vision of God had been dimmed by suffering and pain.
Traduzione italiana della parte di omelia pronunciata in lingua inglese:
[3. « Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore » (Mc 10, 43). È con particolare emozione che oggi ricordiamo Madre Teresa, grande serva dei poveri, della Chiesa e del Mondo intero. La sua vita è una testimonianza della dignità e del privilegio del servizio umile. Ella aveva scelto di non essere solo la più piccola, ma la serva dei più piccoli. Come madre autentica per i poveri, si è chinata verso coloro che soffrivano diverse forme di povertà. La sua grandezza risiede nella sua abilità di dare senza calcolare i costi, di dare « fino a quando fa male ». La sua vita è stata un vivere radicale e una proclamazione audace del Vangelo.
Il grido di Gesù sulla croce, « Ho sete » (Gv 19, 28), che esprime la profondità del desiderio di Dio dell’uomo, è penetrato nell’anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell’esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e « andare di fretta » da una parte all’altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri.
4. « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 40). Questo passo del Vangelo, così fondamentale per comprendere il servizio di Madre Teresa ai poveri, era alla base della sua convinzione, piena di fede, che nel toccare i corpi deperiti dei poveri toccava il corpo di Cristo. Era a Gesù stesso, nascosto sotto le vesti angoscianti dei più poveri tra i poveri, che era diretto il suo servizio. Madre Teresa pone in rilievo il significato più profondo del servizio: un atto d’amore fatto agli affamati, agli assetati, agli stranieri, a chi è nudo, malato, prigioniero (cfr Mt 25, 34-36), viene fatto a Gesù stesso.
Riconoscendolo, lo serviva con totale devozione, esprimendo la delicatezza del suo amore sponsale. Così, nel dono totale di sé a Dio e al prossimo, Madre Teresa ha trovato il suo più alto appagamento e ha vissuto le qualità più nobili della sua femminilità. Desiderava essere un « segno dell’amore di Dio, della presenza di Dio, della compassione di Dio » e, in tal modo, ricordare a tutti il valore e la dignità di ogni figlio di Dio, « creato per amare ed essere amato ». Era così che Madre Teresa « portava le anime a Dio e Dio alle anime », placando la sete di Cristo, soprattutto delle persone più bisognose, la cui visione di Dio era stata offuscata dalla sofferenza e dal dolore ».]
5. “Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Madre Teresa ha condiviso la passione del Crocifisso, in modo speciale durante lunghi anni di “buio interiore”. E’ stata, quella, una prova a tratti lancinante, accolta come un singolare “dono e privilegio”.
Nelle ore più buie ella s’aggrappava con più tenacia alla preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Questo duro travaglio spirituale l’ha portata ad identificarsi sempre più con coloro che ogni giorno serviva, sperimentandone la pena e talora persino il rigetto. Amava ripetere che la più grande povertà è quella di essere indesiderati, di non avere nessuno che si prenda cura di te.
6. “Donaci, Signore, la tua grazia, in Te speriamo!”. Quante volte, come il Salmista, anche Madre Teresa nei momenti di desolazione interiore ha ripetuto al suo Signore: “In Te, in Te spero, mio Dio!”.
Rendiamo lode a questa piccola donna innamorata di Dio, umile messaggera del Vangelo e infaticabile benefattrice dell’umanità. Onoriamo in lei una delle personalità più rilevanti della nostra epoca. Accogliamone il messaggio e seguiamone l’esempio.
Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, aiutaci ad essere miti e umili di cuore come questa intrepida messaggera dell’Amore. Aiutaci a servire con la gioia e il sorriso ogni persona che incontriamo. Aiutaci ad essere missionari di Cristo, nostra pace e nostra speranza. Amen!

 

Publié dans:PAPA GIOVANNI PAOLO II, SANTI: I BEATI |on 5 septembre, 2014 |Pas de commentaires »

Newman ha parlato questa sera a Hyde Park

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1344796

Newman ha parlato questa sera a Hyde Park

L’insegnamento del grande convertito nella meditazione del papa alla vigilia della sua beatificazione. « La passione per la verità ha un grande prezzo: spesso implica essere esclusi, ridicolizzati o fatti segno di parodia »

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa nazione, il cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato beato. Quante persone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momento! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere questa esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole.

Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza. [...] Questa sera, nel contesto della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di credenti e per la vita della Chiesa oggi.

Permettetemi di cominciare ricordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza immediata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivelazione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza, al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica. Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale.

Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è lui stesso “la via, la verità e la vita” (Giovanni 14, 6).

L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.

Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti alla gloria di Dio e alla diffusione del suo regno. Newman comprese questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente mediante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, « veritatis splendor ».

La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san Paolo chiede che ci sia dato di conoscere “l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (cfr. Efesini 3, 14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr. Efesini 3, 17) e perché possiamo giungere a “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di quell’amore. Mediante la fede giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri passi e luce del nostro cammino (cfr. Salmo 119, 105). Come innumerevoli santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, Newman insegnò che la “luce gentile” della fede ci conduce a renderci conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul sublime destino che ci attende in cielo.

Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro “ufficio profetico”; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – “irradiare Cristo”; diveniamo semplicemente un altro “cembalo squillante” (1 Corinzi 13, 1) in un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.

Una delle più amate meditazioni del cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti.

Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr. Matteo 5, 16).

Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari giovani amici: solo Gesù conosce quale “specifico servizio” ha in mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al perseguimento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedienza, e servendolo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha bisogno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua orazione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini disposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia necessaria per adempiere alla vostra vocazione. [...]

Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera preparandoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel santissimo sacramento dell’altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazione, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal cardinale John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.

Hyde Park, 18 settembre 2010

JOHN HENRY NEWMAN, “GRANDE DOTTORE NELLA CHIESA

dal sito:

http://www.zenit.org/article-23645?l=italian

JOHN HENRY NEWMAN, “GRANDE DOTTORE NELLA CHIESA”

Discorso del Cardinale Joseph Ratzinger nel 1990

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 12 settembre 2010 (ZENIT.org).- A pochi giorni dalla beatificazione del Cardinale John Henry Newman, presentiamo il discorso pronunciato dal Cardinale Joseph Ratzinger il 28 aprile 1990 in occasione del centenario della morte del porporato inglese, che l’attuale Papa ha definito all’epoca “grande dottore nella Chiesa”.
* * *
Io non mi sento competente per parlare della figura o dell’opera di John Henry Newman, ma forse può essere interessante che mi soffermi un po’ sul mio personale approccio a Newman, nel quale si riflette anche qualcosa dell’attualità di questo grande teologo inglese nelle controversie spirituali del nostro tempo.
Quando nel gennaio 1946 potei iniziare il mio studio della teologia nel seminario della Diocesi di Frisinga, finalmente riaperto dopo gli sconvolgimenti della guerra, si provvide che al nostro gruppo fosse assegnato come prefetto uno studente più anziano, il quale già prima che iniziasse la guerra aveva cominciato a lavorare ad una dissertazione sulla teologia della coscienza di Newman. Durante tutti gli anni del suo impegno in guerra egli non aveva lasciato cadere dai suoi occhi questo tema, che ora riprendeva con nuovo entusiasmo e nuova energia. Fin dall’inizio ci legò un’amicizia personale, che si concentrava tutta attorno ai grandi problemi della filosofia e della teologia. Va da sé che Newman fosse sempre presente in questo scambio. Alfred Läpple, era lui infatti il prefetto summenzionato, pubblicò poi nel 1952 la sua dissertazione, col titolo Il singolo nella Chiesa. La dottrina di Newman sulla coscienza divenne allora per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti col suo fascino. La nostra immagine dell’uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza. Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo. Hermann Goering aveva detto del suo capo: « Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler ». L’immensa rovina dell’uomo che ne derivò, ci stava davanti agli occhi.
Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il « noi » della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman con la Lettera al Duca di Norfolk – non si identifica affatto col diritto di « dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili ».In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e « la sua raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza ».
Questa dottrina sulla coscienza è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo.
Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa, ma particolarmente oggi, una formulazione tratta da una delle sue prediche dell’epoca anglicana. Il vero Cristianesimo si dimostra nell’obbedienza, e non in uno stato di coscienza. « Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l’obbedienza; « egli guarda a Gesù » (Eb 2, 9)… e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d’animo spirituale ».
A questo riguardo sono diventate per me importanti alcune frasi prese dal libro Gli Ariani del IV secolo, che invece a prima vista mi erano sembrate piuttosto sorprendenti: il principio posto dalla Scrittura a fondamento della pace è « riconoscere che la verità in quanto tale deve guidare tanto la condotta politica che quella privata… e che lo zelo, nella scala delle grazie cristiane, aveva la priorità sulla benevolenza ». È per me sempre di nuovo affascinante accorgermi e riflettere come proprio così e solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza. In questo contesto vorrei aggiungere solo un’altra espressione tratta dall’Apologia pro vita sua, che dimostra viceversa il realismo di questa concezione della persona e della Chiesa: « I movimenti vivi non nascono da comitati ».
Vorrei ancora una volta ritornare brevemente al filo autobiografico. Quando nel 1947 proseguii a Monaco i miei studi, trovai nel professore di teologia fondamentale, Gottlieb Söhngen, il mio vero maestro in teologia, un colto e appassionato seguace di Newman. Egli ci dischiuse laGrammatica dell’Assenso e con essa la modalità specifica e la forma di certezza propria della conoscenza religiosa. Ancora più profondamente agì su me il contributo che Heinrich Fries pubblicò in occasione del Giubileo di Calcedonia: qui trovai l’accesso alla dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, che ritengo essere, accanto alla dottrina sulla coscienza, il suo contributo decisivo per il rinnovamento della teologia. Con ciò egli mise nelle nostre mani la chiave per inserire nella teologia un pensiero storico, o piuttosto: egli ci insegnò a pensare storicamente la teologia, e proprio in tal modo a riconoscere l’identità della fede in tutti i mutamenti. Sono costretto ad astenermi dall’approfondire, in questo contesto, tale idea. Mi sembra che il contributo di Newman non sia stato ancora del tutto utilizzato nelle teologie moderne. Esso contiene in sé ancora possibilità fruttuose, che attendono di essere sviluppate. In questa sede vorrei solo rimandare ancora una volta allo sfondo biografico di questa concezione. È noto come la concezione di Newman sull’idea dello sviluppo ha segnato il suo cammino verso il cattolicesimo. Tuttavia non si tratta qui solo d’uno svolgimento coerente di idee. Nel concetto di sviluppo è in gioco la stessa vita personale di Newman. Ciò mi sembra che diventi evidente nella sua nota affermazione, contenuta nel famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana: « qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni ». Newman è stato lungo tutta la sua vita uno che si è convertito, uno che si è trasformato, e in tal modo è sempre rimasto lo stesso, ed è sempre di più diventato se stesso.
Mi viene in mente qui la figura di sant’Agostino, così affine alla figura di Newman. Quando si convertì nel giardino presso Cassiciaco, Agostino aveva compreso la conversione ancora secondo lo schema del venerato maestro Plotino e dei filosofi neoplatonici. Pensava che la vita passata di peccato era adesso definitivamente superata; il convertito sarebbe stato d’ora in poi una persona completamente nuova e diversa, e il suo cammino successivo sarebbe consistito in una continua salita verso le altezze sempre più pure della vicinanza di Dio, qualcosa come ciò che ha descritto Gregorio di Nissa in De vita Moysis: « Proprio come i corpi, non appena hanno ricevuto il primo impulso verso il basso, anche senza ulteriori spinte, da se stessi sprofondano…, così ma in senso contrario, l’anima che si è liberata dalle passioni terrene, si eleva costantemente al di sopra di sé con un veloce movimento ascensionale… in un volo che punta sempre verso l’alto ». Ma la reale esperienza di Agostino era un’altra: egli dovette imparare che essere cristiani significa piuttosto percorrere un cammino sempre più faticoso con tutti i suoi alti e bassi. L’immagine dell’ascensione venne sostituita con quella di un iter, un cammino, dalle cui faticose asperità ci consolano e sostengono i momenti di luce, che noi di tanto in tanto possiamo ricevere. La conversione è un cammino, una strada che dura tutta una vita. Per questo la fede è sempre sviluppo, e proprio così maturazione dell’anima verso la Verità, che « ci è più intima di quanta noi lo siamo a noi stessi ».
Newman ha esposto nell’idea dello sviluppo la propria esperienza personale d’una conversione mai conclusa, e così ci ha offerto l’interpretazione non solo del cammino della dottrina cristiana, ma anche della vita cristiana. Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero.

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