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BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO B) (07/01/2018)

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Rivolgersi a Dio chiamandolo Padre

mons. Roberto Brunelli

BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO B) (07/01/2018)

Si concludono con oggi le celebrazioni centrate sulla nascita di Gesù. Allora nessuno avrebbe immaginato che di quel fatto ci si sarebbe ricordati ancora, duemila anni dopo; allora quella nascita poteva apparire come una delle innumerevoli destinate all’anonimato. Quel figlio di povera gente, nato in un qualunque villaggio di un paese perso nel mare magno dell’impero romano, anzi addirittura non in una normale casa dell’abitato ma fuori, in una grotta adibita a ricovero per gli animali, poi subito costretto a fuggire all’estero e in seguito, sino ai trent’anni e oltre, oscuro operaio in un altro ancor più insignificante villaggio, sembrava destinato a restare agli antipodi della notorietà.
Non fu così, come tutti sanno; anzi, i cristiani si resero conto ben presto che il loro Signore era entrato nel mondo proprio per farsi conoscere, e così portare a tutti la pienezza del suo dono. Presero allora a celebrare, con la festa ricorsa ieri, la divina volontà di rivelarsi: Epifania è un termine derivato dal greco che significa “manifestazione”.
L’intera vita di Gesù, a ben guardare, è una continua epifania, da quando neonato è riconosciuto dai pastori, a quando l’incredulo Tommaso può toccare con mano il corpo vivo del Risorto; ma per celebrare la specifica realtà del suo manifestarsi i cristiani scelsero tre particolari episodi della sua vita. La visita dei Magi, cui si connette la celebrazione di ieri, è soltanto uno dei tre, espressivo della sua volontà di manifestarsi non soltanto agli ebrei ma a tutti i popoli. Il secondo episodio è quello delle nozze di Cana: cambiando l’acqua in vino per non rovinare la festa dei convenuti, Gesù si manifesta come il portatore della felicità. Il terzo è l’episodio di cui si legge nel vangelo di oggi (Marco 1,7-11), che parla di Gesù più che trentenne e quindi fa da ponte tra i vangeli dell’infanzia e quelli della vita adulta, della quale sentiremo nelle prossime domeniche.
La scena si colloca sulle rive del fiume Giordano, dove l’austero ma stimatissimo Giovanni (il Battista) va preparando il popolo all’imminente arrivo del Messia annunciato dai profeti; lo fa con una vibrante predicazione, cui aggiunge un segno penitenziale, il battesimo, chiarendo tuttavia che quel segno è provvisorio: “Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Dopo queste parole, l’evangelista Marco così prosegue: “Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento”.
Si ha qui dunque una densissima epifania. Gesù è individuato come il Messia (o, per dirlo alla greca, il Cristo) annunciato, atteso da secoli e secoli e finalmente giunto, a dimostrazione che Dio è fedele alle sue promesse. Il Cristo lì presente non è soltanto un uomo, ma è proclamato da Dio come il suo Figlio. A Dio che parla dichiarandosi Padre e al Figlio presente in forma umana si unisce lo Spirito Santo: è l’epifania della Trinità, l’inattesa rivelazione dell’intima natura divina. Ed è la rivelazione che all’intimità divina Gesù associa l’uomo, mediane il battesimo “in Spirito Santo”.
Il cristiano trova in questa pagina quasi una sintesi della sua fede, e in particolare l’invito a riconsiderare il proprio battesimo. L’uso di conferire il sacramento ai neonati è del tutto legittimo, fondato e conveniente; ma presenta il rischio di non percepirlo in tutta la sua grandezza. Basti ricordare che esso dà accesso a tutti gli altri sacramenti, perché stabilisce un nuovo rapporto tra Dio e l’uomo. Il battesimo è l’incomparabile dono divino, per cui chi l’ha ricevuto è assimilato a Gesù, e come lui può rivolgersi a Dio chiamandolo Padre.

OMELIA – BATTESIMO DI GESÙ, IL CIELO SI APRE E NESSUNO LO RICHIUDERÀ

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OMELIA – BATTESIMO DI GESÙ, IL CIELO SI APRE E NESSUNO LO RICHIUDERÀ

padre Ermes Ronchi

Gesù, ricevuto il Battesimo, stava in preghiera ed ecco il cielo si aprì. Il Battesimo è raccontato come un semplice inciso; al centro è posto l’aprirsi del cielo. Come si apre una breccia nelle mura, una porta al sole, come si aprono le braccia agli amici, all’amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre perché vita esca, perché vita entri. Si apre sotto l’urgenza dell’amore di Dio, sotto l’assedio della vita dolente, e nessuno lo richiuderà mai più.
E venne dal cielo una voce che diceva: questi è il figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento. Tre affermazioni, dentro le quali sento pulsare il cuore vivo del cristianesimo e, assieme a quello di Gesù, il mio vero nome.
Figlio è la prima parola. Dio genera figli. E i generati hanno il cromosoma del genitore nelle cellule; c’è il DNA divino in noi, «l’uomo è l’unico animale che ha Dio nel sangue«(G. Vannucci).
Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima della tua risposta, che tu lo sappia o no, ogni giorno, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è « amato ». Di un amore immeritato, che ti previene, che ti anticipa, che ti avvolge da subito, a prescindere. Ogni volta che penso: «se oggi sono buono, Dio mi amerà», non sono davanti al Dio di Gesù, ma alla proiezione delle mie paure!
Gesù, nel discorso d’addio, chiede per noi: «Sappiano, Padre, che li hai amati come hai amato me». Frase straordinaria: Dio ama ciascuno come ha amato Gesù, con la stessa intensità, la stessa emozione, lo stesso slancio e fiducia, nonostante tutte le delusioni che io gli ho procurato.
La terza parola: mio compiacimento. Termine inconsueto eppure bellissimo, che nella sua radice letterale si dovrebbe tradurre: in te io provo piacere. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello stare con te. Tu, figlio, mi piaci. E quanta gioia sai darmi!
Io che non l’ho ascoltato, io che me ne sono andato, io che l’ho anche tradito sento dirmi: tu mi piaci. Ma che gioia può venire a Dio da questa canna fragile, da questo stoppino dalla fiamma smorta (Isaia 42,3) che sono io? Eppure è così, è Parola di Dio.
La scena grandiosa del battesimo di Gesù, con il cielo squarciato, con il volo ad ali aperte dello Spirito, con la dichiarazione d’amore di Dio sulle acque, è anche la scena del mio battesimo, quello del primo giorno e quello esistenziale, quotidiano.
Ad ogni alba una voce ripete le tre parole del Giordano, e più forte ancora in quelle più ricche di tenebra: figlio mio, mio amore, mia gioia, riserva di coraggio che apre le ali sopra ciascuno di noi, che ci aiuta a spingere verso l’alto, con tutta la forza, qualsiasi cielo oscuro che incontriamo.

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