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SIRACIDE 24,1-4.8-12

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SIRACIDE 24,1-4.8-12

1La sapienza loda se stessa, si esalta in mezzo al suo popolo. 2Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, si glorifica davanti alla sua potenza: 3 «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. 4Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. 8 Il creatore dell’universo mi diede un ordine, il mio creatore mi fece piantare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele. 9 Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò; per tutta l’eternità non verrò meno. 10 Ho officiato nella tenda santa davanti a lui, e così mi sono stabilita in Sion. 11 Nella città amata mi ha fatto abitare; in Gerusalemme è il mio potere. 12 Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità».   COMMENTO  Siracide 24,1-4.8-12

Sapienza e legge Il poema contenuto in Sir 24,1-22 rappresenta il centro e il culmine di tutto l’insegnamento contenuto nel libro che prende nome da Ben Sira (Siracide). Dopo aver espresso il frutto delle sue ricerche e riflessioni, l’autore presenta qui la sapienza che scende in campo e pronuncia essa stessa il proprio elogio. Il genere letterario adottato in questa composizione è quello dell’encomio o elogio sapienziale. Questa composizione si distingue dagli analoghi poemi (Gb 28; Pr 1,20-33; 8,1-36; 9,1-6) in quanto al termine la sapienza viene espressamente identificata con la legge; in questa intuizione il Siracide trova un parallelo solo in Bar 3,9 – 4,4. Dopo l’introduzione (vv. 1-2) il brano si divide in quattro parti: origine e ruolo cosmico della sapienza (vv. 3-6); sua venuta sulla terra (vv. 7-12); la sua bellezza e la sua azione benefica (vv. 13-17); le sue prerogative come cibo e bevanda di coloro che la desiderano (vv. 18-21); il brano termina con una conclusione dell’autore che identifica la sapienza è la legge (v. 22). La liturgia riprende solo alcuni versetti, omettendo la parte finale in cui la sapienza viene identificata con la legge mosaica. L’autore introduce la sapienza (vv. 1-2) presentandola come un’entità personale che loda se stessa e si vanta in mezzo al suo popolo, e al tempo stesso prende la parola nell’«assemblea» (ekklêsia, comunità) dell’Altissimo e si glorifica davanti alla sua potenza (dynamis). Il popolo a cui la sapienza appartiene e al quale si presenta è la comunità di Israele, come apparirà più chiaramente dal seguito del poema; ma all’interno di questo popolo essa sta alla presenza di Dio, che abita nel suo tempio, in Gerusalemme. Dopo questa presentazione la sapienza stessa prende la parola e pronunzia il suo poema. Anzitutto descrive (in un excursus omesso dalla liturgia) la propria origine e il ruolo cosmico che le è stato assegnato (vv. 3-7). Essa è uscita dalla bocca dell’Altissimo come la parola, mediante la quale Dio ha creato l’universo (Gn 1), e forse come lo spirito di Dio che aleggia sul caos primordiale (Gn 1,2): sapienza, parola e Spirito nel linguaggio biblico si identificano. Essa ha ricoperto «come nube» la terra: la nube è una nota immagine biblica di Dio. La sapienza ha preso dimora (kata-skênoô, porre la tenda; cfr. Es 40,34; Gv 1,14) nei cieli più alti, abitazione di Dio; ciò non le ha impedito di percorre i cieli e gli abissi, prendendo possesso sia del cosmo che dell’umanità che lo abita: essa ha svolto dunque un ruolo determinante come mediatrice di Dio nella creazione e continua a svolgerlo nel governo di tutte le cose. La sapienza narra poi, nella seconda parte utilizzata dalla liturgia, la sua venuta sulla terra (vv. 8-12). Sebbene fosse già presente in tutto l’universo e in ogni nazione, la sapienza ha cercato un luogo di riposo (anapausin), un possedimento speciale (klêronomia, eredità) in cui stabilirsi; allora il creatore dell’universo, che è anche suo creatore, le ha comandato di fissare la tenda (di nuovo kata-skênoô, porre la tenda) in Giacobbe e di prendere in eredità (klêronomeô al passivo) Israele (v. 8). Dopo aver nuovamente sottolineato di essere stata creata da Dio prima dei secoli, fin da principio, la sapienza specifica il luogo della sua dimora: essa si è stabilita «nella tenda santa» (en skenêi agiâi), che si trova in Sion, dove svolge un servizio cultuale (leitourgeô); essa ha posto così il suo potere (exousia, autorità) in Gerusalemme, la città amata da Dio, in mezzo a un popolo glorioso, porzione ed eredità (klêronomia) del Signore. Si noti l’insistenza sui termini «ereditare» «eredità» che richiamano il linguaggio usato dal Deuteronomio per indicare Israele come popolo di Dio (cfr. Dt 4,20). Il seguito del brano è omesso dalla liturgia. In esso la sapienza descrive la sua bellezza e la sua azione benefica con una lunga serie di paragoni (vv. 13-17): essa cresce e si sviluppa in Israele a somiglianza di sei specie di alberi o arbusti tra i più belli della regione palestinese; la sua opera è gradevole come quella delle sostanze usate per la preparazione del balsamo e dell’incenso, ed è paragonabile all’incenso che riempie il santuario; la sua presenza è gratificante come quella di un terebinto che distende nel deserto i suoi ampi rami o di una vite che produce graziosi germogli. Stando nella santa dimora la sapienza si offre come cibo e bevanda a coloro che la desiderano (vv. 18-21). Non si limita quindi a imbandire la mensa (come in Pr 9,1-6; cfr. Sir 15,3), ma diventa essa stessa un cibo così gratificante da attrarre continuamente a sé coloro che l’hanno provato anche una sola volta; fuori metafora, il mangiare la sapienza significare obbedire alle sue direttive, stabilendo così quell’intimo rapporto con Dio che i profeti avevano preannunziato con l’immagine del banchetto escatologico (cfr. Is 25,6-10; 55,1-3). Dopo aver riportato l’elogio della sapienza l’autore riprende la parola per spiegare che la sapienza, la quale ha appena concluso il suo discorso, non è altro che il «libro dell’alleanza», cioè la legge data da Mosè, eredità (klêronomia) delle assemblee (synagogai) di Giacobbe (v. 22). È dunque chiaro che si tratta del Pentateuco, che il Siracide presenta come espressione suprema della sapienza che ha creato e governa tutto il cosmo. Giunge così a termine il processo, già iniziato con Pr 1-9, che porta a identificare la sapienza con la legge mosaica in quanto dono salvifico per eccellenza. Perciò l’autore prosegue spiegando che la legge è piena di sapienza in modo talmente abbondante da ricordare i fiumi dell’Eden, o addirittura il grande oceano (vv. 23-27). Infine conclude presentando se stesso come un canale che attinge il suo insegnamento dal grande fiume della legge/sapienza e lo porta in territori lontani e lo trasmette, come «profezia», alle generazioni future (vv. 28-32). L’autore appare qui consapevole del carattere ispirato della sua opera. Il sapiente ha ormai preso il posto del profeta e il suo insegnamento, pur attingendo da una realtà particolare come la legge mosaica, assume una dimensione universale.

Linee interpretative In questo testo viene alla luce un procedimento tipico della riflessione sapienziale. Quella sapienza che era il punto di arrivo di una lunga ricerca basata sull’esperienza e condensata nelle massime dei saggi, ora assume un carattere divino e trascendente. Essa risiede in Dio, l’unico sapiente, dal quale deriva l’armonia di tutte le cose, fino al punto di diventare essa stessa (come l’angelo di jhwh, lo Spirito, la gloria) una figura di Dio, un intermediario mediante il quale il Dio trascendente si rende presente in questo mondo. Proprio perché rappresenta l’ordine presente nel cosmo, la sapienza diventa così la metafora privilegiata per rappresentare l’opera creatrice di Dio, lo strumento per eccellenza mediante il quale il Dio trascendente si immerge nella realtà contingente di questo mondo. Ma in questa funzione la sapienza diventa spontaneamente anche lo strumento mediante il quale Dio chiama l’uomo, sua creatura prediletta, a entrare liberamente in comunione con sé e inserirsi armonicamente nell’ordine di questo universo, raggiungendo così la sua salvezza. In questo ruolo di mediatrice della salvezza la sapienza entra nel campo già occupato dalla «parola di Dio» che trova la sua massima condensazione nella legge mosaica. È quindi inevitabile l’incontro tra queste due realtà mediante le quali Dio chiama l’uomo alla comunione con sé. Sapienza e legge diventano allora un’unica cosa. L’identificazione con la legge mosaica riempie la sapienza di un significato nuovo in quanto ne fa la portatrice della profonda esperienza religiosa propria del popolo di Israele. Ma anche la legge si arricchisce in quanto diventa espressione di una realtà preesistente, scelta da Dio non solo per attuare la sua opera creatrice, ma anche per entrare in comunione con l’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi. La legge mosaica, intesa come sapienza di vita (decalogo) diventa così la luce non solo di Israele ma anche di tutta l’umanità, portando con sé tutti i beni salvifici.  

 

LA DONNA CHE TEME DIO È DA LODARE (PR 31, 10-13.19-20.30-31)

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LA DONNA CHE TEME DIO È DA LODARE (PR 31, 10-13.19-20.30-31)

Una donna perfetta chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Essa gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e mena il fuso con le dita.
Apre le sue mani al misero,
stende la mano al povero.
Fallace è la grazia e vana è la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Datele del frutto delle sue mani
e le sue stesse opere lodino alle porte della città.
Che cosa dice il testo (LECTIO)

I versetti della presente lettura sono tratti da un brano particolarmente caro ad Israele, quell’inno alla donna ideale quale figura della Sapienza, che conclude il libro dei Proverbi. L’autore, presentando questo ritratto di donna perfetta, dedita incondizionatamente al lavoro, alla casa, alla famiglia, vi vede un modello di impegno e di saggezza che deve caratterizzare non solo la sposa, ma ogni credente che aderisce al progetto di vita della Sapienza.
Il piano simbolico non toglie significato al primo livello del poema, e cioè quello dell’esaltazione entusiastica per le qualità di questa donna, capace di essere il centro della casa, di curare la sua famiglia, di tradurre concretamente il “timore” di Dio, cioè la fede, nella quotidianità degli impegni. Nel suo ritratto si riflette una precisa antropologia che caratterizza il pensiero biblico. L’assenza di un dualismo anima/corpo porta a superare la contrapposizione tra lavoro e contemplazione, tra impegno manuale e intellettuale.
Il lavoro non è visto come compito degli schiavi, come avveniva invece nella colta Grecia, bensì come obbedienza al comando di Dio su ogni persona umana. Perciò è cosa buona cercare di vivere del lavoro delle proprie mani, come pure il volere custodire una famiglia serena e benedetta, senza però dimenticarsi di chi è più svantaggiato, del misero. La donna del libro dei Proverbi non è infatti preoccupata soltanto di arricchire la propria casa, ma anche della carità verso il bisognoso (v. 20).
La finale del poemetto (vv. 30s.) non vuole essere un disprezzo della bellezza fisica, che la Scrittura invece apprezza quale segno della gloria di Dio, bensì un richiamo a valori ancora più veri e duraturi: la bellezza interiore di una vita vissuta secondo il timore di Dio. Tale bellezza non conosce né rughe né decadimento, anzi si accresce della gloria di Dio e suscita la lode in tutti coloro che la incontrano.

Ringraziamo sul testo (MEDITATIO)
E’ sempre sbagliato giudicare una riflessione biblica, come è questa dei Proverbi, con le categorie del presente, dimenticando di valutare il contesto in cu essa è nata; si rischia di travisarne il senso e di prendere lucciole per lanterne. Eppure, per quanto si cerchi di allontanare tale errato procedimento, un certo sapore si sedimenta a questa lettura. Appare certo che le visione della donna qui espressa è celebrata da un uomo, il quale ha tutti i vantaggi che la donna rimanga “in casa”; ne viene un certo disagio, oggi, dalla parte femminile che non vorrebbe proprio essere la “donna perfetta” qui descritta. Occorre osservare che un simile modello di impegno e di saggezza deve caratterizzare non solo la sposa, ma ogni credente. Eppure l’amaro in bocca rimane.
Fino a quando? Fino a quando non si va più in profondità nel testo. Abbiamo conosciuto un’artigiana che, insieme ai due figli, fabbrica cinture; ha avuto l’iniziativa di “mettersi in proprio” usando lo scantinato sotto casa. Cerca i materiali adatti, dà forma alle cinture, tratta con i clienti. Solo recentemente il marito si è licenziato dal lavoro e collabora con la moglie perché gli affari stanno andando avanti. Intanto questa artigiana manda avanti anche la casa, aiuta i figli a crescere, e ora essi ben volentieri l’aiutano quando non preparano esami universitari. Potrebbe essere, questa artigiana, la “donna perfetta” di cui parla il nostro brano?
Soltanto ad una condizione: che questo lavorare, sia in famiglia che come solerte artigiana, sia fatto con misura e sapienza, con le mani aperte per gli altri, e cioè per realizzare il progetto di vita della Sapienza. Allora balza agli occhi una lettura nuova di questo modelli di donna: capace di condurre la casa, di prendersi cura dei figli, di contribuire al ménage familiare anche dal punto di vista strettamente economico, autonoma e sapiente. Possiamo credere che “in lei confida il cuore del marito”. Di donne così, generose ed accorte, ce ne sono anche oggi. E molte. Forse dobbiamo imparare a guardare loro con gratitudine.

Preghiamo (ORATIO)
Abbiamo bisogno di donne non soltanto competenti, ma anche capaci di amare, Signore; non semplicemente per “mettere a riposo” mariti sempre più inattivi e deleganti, ma per risvegliare proprio la coniugalità e la genitorialità di ciascuno. Rendici capaci di apprezzare “questo altro modo di amare, quello femminile, di cui non si capisce come si potrebbe fare a meno”, come diceva madre Teresa. E aiutaci a prendere le distanze da un ottuso maschilismo quanto da un ostile femminismo che non portano alla pace e all’unità.

Che cosa ha detto la Parola (CONTEMPLATIO)
Saluto alle virtù
La santa sapienza
confonde Satana e tutte le sue insidie.
La pura santa semplicità
confonde ogni sapienza di questo mondo
e la sapienza della carne.
La santa povertà
confonde la cupidigia, l’avarizia
e le preoccupazioni del secolo presente.
La santa umiltà confonde la superbia
e tutti gli uomini che sono nel mondo
e similmente tutte le cose che sono nel mondo.
La santa carità
confonde tutte le diaboliche e carnali tentazioni
e tutti i timori carnali.
(Fonti francescane).
Mettere in pratica la Parola (ACTIO)

Ogni giorno può essere l’otto marzo: guardati attorno e rivolgi un apprezzamento di gratitudine per un gesto femminile.

PER LA LETTURA SPIRITUALE
Tra i valori fondamentali collegati alla vita concreta della donna, vi è ciò che è stato chiamato la sua “capacità dell’altro”. Nonostante il fatto che un certo discorso femminista rivendichi le esigenze “per se stessa”, la donna conserva l’intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua protezione.
Questa intuizione è collegata alla capacità fisica di dare la vita. Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la personalità femminile in profondità. Le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società. E’ essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate (e la storia passata e presente ne è testimone), possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana.
Anche se la maternità è un elemento chiave dell’identità femminile, ciò non autorizza affatto a considerare la donna soltanto sotto il profilo della procreazione biologica. Vi possono essere in questo senso gravi esagerazioni che esaltano una fecondità biologica in termini vitalistici e che si accompagnano spesso a un pericoloso disprezzo della donna. L’esistenza della vocazione cristiana alla verginità, audace rispetto alla tradizione anticotestamentaria e alle esigenze di molte società umane, è al riguardo di grandissima importanza. Essa contesta radicalmente ogni pretesa di rinchiudere le donne in un destino che sarebbe semplicemente biologico. Come la verginità riceve dalla maternità fisica il richiamo che non esiste vocazione cristiana se non nel dono concreto di sé all’altro, parimenti la maternità fisica riceve dalla verginità il richiamo alla sua dimensione fondamentalmente spirituale: non è accontentandosi di dare la vita fisica che si genera veramente l’altro. Ciò significa che la maternità può trovare forme di realizzazione piena anche laddove non c’è generazione fisica (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo del 31 maggio 2004, n. 13).

MT 13,44-52 – UN BREVIARIO DI SAPIENZA (anche Paolo)

http://www.absi.ch/old/node/134

MT 13,44-52 – UN BREVIARIO DI SAPIENZA (anche Paolo)

Bibbia CEI Mt 13,44-52 [1]

1. La sapienza di Salomone
Le parole «saggezza» e «sapienza» hanno sempre interessato gli esseri umani, che si sono chiesti, dai filosofi fino alla gente più semplice: «In che cosa consiste l’essere saggi? Dove si trova la sapienza?». Nelle letture bibliche qui proposte, dall’Antico al Nuovo Testamento, abbiamo un piccolo vademecum per districarci in questo argomento, che è difficile per tutti.
Nel primo testo, Salomone, figlio di Davide e nuovo re d’Israele, nel giorno della sua consacrazione regale, così prega Dio nel Tempio: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al mio popolo, e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?” (1 Re 3,9).
Ecco un sapiente! La sua preghiera dovrebbe essere ripetuta da chiunque abbia delle responsabilità di qualsiasi genere sugli altri: dal sindaco al capo di famiglia, dal medico al maestro di scuola, dal sindacalista al parroco del villaggio. Ma è raro che avvenga: quasi tutti credono che la sapienza sia come un diploma ricevuto insieme all’incarico. Perciò di sapienza in giro se ne vede poca.

2. La sapienza di Paolo
Il secondo testo del vademecum che ci conduce alla sapienza, è dell’apostolo Paolo, che scrive ai suoi discepoli della comunità cristiana di Roma, che Dio li ha “destinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito di molti fratelli”, e che per questo li ha «giustificati», anzi li ha «glorificati» insieme al Figlio suo (Rm 8,28-30). [2]
La sapienza presentata da Paolo è certamente più alta di quella di Salomone. Dio non solo ascolta chi si rivolge a lui con umiltà di cuore, donandogli la capacità di distinguere il bene dal male, come afferma Salomone nella sua preghiera, ma è talmente ben disposto verso i suoi figli, che Egli ha resi «conformi all’immagine del Figlio suo» e perciò li considera già da adesso accanto a Lui nella gloria.
Qui siamo al vertice della sapienza, non una sapienza esoterica, cioè riservata a pochi, ma aperta a tutti. Ognuno di noi, senza speciali «cammini devozionali» o «tecniche di respirazione» o «di illuminazione», è già nel sublime, nella stessa posizione di Gesù davanti al Padre suo. Il cristiano non disprezza gli aneliti religiosi dei non cristiani, ma è convinto che ciò che gli altri cercano nel mistero dell’universo, egli lo ha già ricevuto da Dio attraverso Gesù Cristo.

3. Dio, apri la solitudine!
Il terzo testo del nostro Breviario di sapienza ci è dato dal vangelo secondo Matteo, in cui si legge: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44). [3] È questa una strepitosa conclusione del Breviario di sapienza, iniziato con il re Salomone e proseguito con l’apostolo Paolo.
Noi abbiamo a disposizione un tesoro nascosto, cioè delle energie spirituali, che ogni tanto emergono e, nel bel mezzo della nostra vita frammentata, ci rivelano la vera natura del nostro essere. La Bibbia dice, con un’immagine comprensibile a tutti, che Dio, nel creare l’essere umano, s’è chinato su di lui e gli ha soffiato dentro il suo spirito. La nostra nobiltà è tutta qui.
Gli esseri umani, anche coloro che si dichiarano scettici o miscredenti, hanno sempre aspirato ad entrare in comunione con il mondo invisibile. Il poeta Salvatore Quasimodo, premio Nobel 1959 per la letteratura, dice in una sua splendida poesia: «E dovremo dunque negarti, o Dio? / Dio del silenzio, apri la solitudine» (da «Thànathos athànatos»). Il poeta ha visto bene: solo Dio può aprire l’umana solitudine. Lo ha fatto attraverso Gesù. 1 – Come termini di confronto all’interno della Bibbia si leggano, per es., 1 Re 3,5.7-12; Rm 8,28-30.
2 – Nello scrivere che Gesù è «il primogenito di molti fratelli», S. Paolo intende insegnare che «il piano di Dio è la conformità di tutti i discepoli di Gesù all’immagine di Cristo, e definisce questo piano con il termine di «predestinazione», non nel senso che alcuni di loro siano chiamati ed altri no ad entrare in questo progetto, ma nel senso che l’attuazione concreta del piano divino dipende dalla libera risposta di ogni discepolo di Gesù alla chiamata divina. Questa interpretazione non è presente nel brano, ma corrisponde a quanto è dichiarato in tutta la sacra Scrittura, in cui Dio non impone mai nulla all’essere umano, per quanto attiene all’ordine morale e religioso.
3 – Il comportamento di chi trova un tesoro nel campo che non è suo, e poi vende tutto quello che ha per comprare quel campo all’insaputa del legittimo proprietario, è certamente immorale. Ma, come è stato spiegato nella nota del commento precedente, il fine di una parabola non è quello di spiegare o giustificare tutti gli elementi che la compongono, ma solo quello di insegnare una verità. In questa parabola di Mt 13, Gesù intende insegnare che il regno di Dio vale più di tutti i tesori della terra. Questo è esplicitato meglio nella piccola parabola della perla (v. 5).

IL PROFETA AGGEO – 16 DICEMBRE

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IL PROFETA AGGEO – 16 DICEMBRE

DAL LIBRO DEL PROFETA AGGEO (1,1-9; 2,1-9; 15-19)  

L’anno secondo del re Dario, il primo giorno del sesto mese, questa parola del Signore fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo a Zorobabele figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, e a Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote. Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: «Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la ca­sa del Signo­re!». Allora questa parola del Signore fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo: «Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: ri­flettete bene al vostro comportamento. Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete ve­stiti, ma non vi siete riscaldati; l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene al vostro comportamento! Salite sul monte, portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria – dice il Signore -. Facevate assegnamento sul molto e venne il poco: ciò che portavate in casa io lo disperdevo. E perché? – dice il Signore degli eserciti -. Perché la mia casa è in rovina, mentre ognuno di voi si dá premura per la propria casa. Il ventuno del settimo mese, questa parola del Signore fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo: Su, parla a Zoroba­bele figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, a Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote, e a tutto il resto del popolo: Chi di voi è ancora in vita che abbia visto questa casa nel suo primitivo splendore? Ma ora in quali condizioni voi la vede­te? In confronto a quella, non è forse ridotta a un nulla ai vostri occhi? Ora, coraggio, Zorobabele – oracolo del Signore – coraggio, Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote; co­raggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro, perché io sono con voi – oracolo del Signore degli eserciti – secondo la parola dell’alleanza che ho stipulato con voi quando siete usciti dall’Egitto; il mio spirito sarà con voi, non temete. Ora, pensate, da oggi e per l’avvenire: prima che si cominciasse a porre pietra sopra pietra nel tempio del Signore, come andavano le vostre cose? Si andava a un mucchio da cui si attendevano venti misure di grano e ce n’erano dieci; si andava a un tino da cinquanta barili e ce n’erano venti. Io vi ho colpiti con la ruggine, con il carbonchio e con la grandine in tutti i lavori delle vostre mani, ma voi non siete ritornati a me – parola del Signore -. Considerate bene da oggi in poi (dal ventiquattro del nono mese, cioè dal giorno in cui si posero le fondamenta del tempio del Signore), se il grano verrà a mancare nei granai, se la vite, il fico, il melograno, l’olivo non daranno più i loro frutti. Da oggi in poi io vi benedirò!  

INTRODUZIONE      

Nel 538 a.C., con un editto Ciro, il re di Persia, concede agli ebrei deportati in Babilonia di tornare alla propria terra. 45.000 o forse 50.000 ebrei fecero ritorno in Palestina. La situazione che vi trovano è di una città in rovina, campagne abbandonate, mura distrutte e il tempio incendiato e ridotto ad un ammasso di ruderi. Pur in preda allo scoraggiamento il popolo si impegna alla ricostruzione di quanto potesse essere sufficiente alla sopravvivenza trascurando completamente di mettere mano al tempio. Diciotto anni dopo, nel 520 – nonostante un decreto di Dario I il grande, successore di Ciro al trono di Persia che, nel 516, aveva concesso agli ebrei di ricostruire il tempio sollecitando anche l’aiuto dei popoli vicini – l’opera di ricostruzione non prosegue. Ecco allora la voce di Aggeo (tradotto letteralmente significa “festivo”) che, sollecitando il governatore Zorobabele e il sommo sacerdote Giosué, preme sul popolo perché porti avanti l’opera di riedificazione del tempio.  Anche se non sappiamo nulla di lui come persona, il testo di Aggeo ci riporta dettagliatamente le date dei suoi interventi, compresi tra agosto e dicembre del 520.  Nell’ottica del profeta la ricostruzione del tempio avrebbe indotto benessere e prosperità per il popolo ed è sottesa anche l’idea di recuperare l’indipendenza politica di Israele sognata da Aggeo come guidata da Zorobabele, ultimo discendente vivente della dinastia di Davide.

SS. TRINITÀ – COMMENTO DI MARIE NOËLLE THABUT SU PROVERBI 8, 22-31

http://www.eglise.catholique.fr/foi-et-vie-chretienne/commentaires-de-marie-noelle-thabut.html

DIMANCHE 26 MAI : COMMENTAIRES DE MARIE NOËLLE THABUT

PREMIERE LECTURE – Proverbes 8, 22-31

(traduzione Google)

(il commento a romani 5,1-5, l’ho già messo in precedenza)

Per gli uomini della Bibbia, non c’è dubbio che Dio ha condotto il mondo con saggezza! « Tu hai fatto ogni cosa con sapienza », dice il Salmo 104 (103), che abbiamo cantato per la Pentecoste. E ‘così evidente che arriva anche a scrivere il discorso intero su questo argomento. Questo è il caso del testo che abbiamo appena letto: si tratta di una vera e propria predicazione sul tema: « Fratelli miei, non impegnate la vostra vita sulla strada sbagliata. Dio solo sa che cosa è bene per l’uomo, di rispettare l’ordine delle cose che ha stabilito fin dall’inizio del mondo, questo è l’unico modo per essere felici. « 
 Per dare più peso alla sua predicazione, l’autore parla la sapienza stessa, come se fosse una persona. Ma non fare errore: si tratta di un dispositivo letterario, l’evidenza è che nel prossimo capitolo, Lady Follia parla anche.
 Quindi, per il momento, questa è Lady Sapienza che viene a noi prima osservazione, che non parla la sua … lei ne parla solo in termini di Dio, come se fossero inseparabili. « Il Signore mi ha dato per lui all’inizio della sua azione … Prima che il mondo, mi è stato based (cioè Dio) … Quando la profondità non esistevano, sono stato portato via (cioè Dio) … Quando Dio ha stabilito le fondamenta della terra, io ero lì al suo fianco … « Così tra Dio e la Sapienza è un rapporto molto forte intimità … La credenza giudaica in un Dio non ha mai considerato un Dio uno e trino: ma sembra che qui, senza abbandonare l’unicità di Dio, la folla al cuore stesso di Dio A, c’è un mistero di dialogo e di comunione.
 Seconda osservazione: « prima » è la parola che compare più spesso in questo passaggio! « Il Signore mi ha fatto prima che i suoi lavori più grandi … PRIMA i secoli, ho fondato … IN PRINCIPIO prima della comparsa della terra. Il profondo non esisteva ancora, non c’era sorgenti zampillanti, sono stato portato via. PRIMA i monti fossero fondati, prima delle colline, io sono stata generata. Anche se Dio non aveva fatto la terra, né i campi, né il mondo argilla primitivo quando affermissait cielo, io ero il … « E ‘chiaro il motto è: » Ero lì per tutta l’eternità, prima di tutte la creazione « … Quindi non vi è un forte accento sulla priorità dei quali è chiamato Saggezza su tutta la creazione.
 Terzo punto, la Sapienza ha un ruolo nella creazione: « Quando Dio richiedeva al mare il suo limite, che le acque non dovrebbero superare le sponde, quando ha stabilito le fondamenta della terra, io ero con lui come prime contractor « . Per un bel lavoro come si crea un vero e proprio tripudio: « Ero lì la mia gioia ogni giorno, a giocare davanti a lui in ogni momento, giocando su tutta la terra, e deliziando con il figlio dell’uomo. « La sapienza è con Dio ed » è la sua delizia « con Dio … è con noi … ed « è la sua delizia » con noi. Si intende qui come un’eco del ritornello della Genesi: « Dio vide che era cosa buona », ancora di più, il sesto giorno, subito dopo la creazione dell’uomo che era come il culmine di tutta la sua opera, « Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona! »(Gn 1, 31).
 Così, questo testo rivela un aspetto particolare e altamente positivo della fede di Israele: la Sapienza eterna ha presieduto l’intera opera della creazione: l’insistenza del testo è molto forte su questo, possiamo dedurre due cose: in primo luogo, fin dagli albori del mondo, l’umanità e il cosmo immersi nella sapienza di Dio. In secondo luogo, il mondo creato non è così disordinato Sapienza è il prime contractor. Questo dovrebbe coinvolgere noi di non perdere mai la fede. Infine, è la follia della fede, per il coraggio di credere che Dio è sempre presente nella vita degli uomini, e più egli trova piacere nella nostra azienda … E ‘follia, ma il fatto è che se Dio continua instancabilmente per fornire il suo patto d’amore, è perché « è ogni giorno delizia con il figlio dell’uomo ».
 Una domanda rimane: perché questo testo è offerta per la festa della Trinità? Non abbiamo mai sentito parlare di Trinità in queste righe, o anche le parole Padre, Figlio e Spirito.
 Per quanto riguarda il libro dei Proverbi, non è sorprendente, come quando è stato scritto, non si trattava di Trinità non solo la parola non esisteva, ma l’idea della Trinità non toccato nessuno. In un primo momento, per il popolo eletto, la prima priorità era quella di allegare all’Unico Dio, da qui la lotta feroce di tutti i profeti contro l’idolatria e politeismo, perché la vocazione di questo popolo è proprio quello di testimoniare l’unico Dio, non dimenticare questa frase dal libro del Deuteronomio: « A voi è stato dato di vedere, in modo da sapere che è il Signore è Dio, non vi è nulla di diverso da lui. « 
 Primo passo, dunque, per scoprire che Dio è uno, non c’è dubbio molte persone divine! Solo più tardi, i credenti imparano che solo Dio non significa solo, che è Trinità. Questo mistero della vita trinitaria ha cominciato ad essere indovinato nella meditazione del Nuovo Testamento, dopo la risurrezione di Cristo. A questo punto, quando gli Apostoli e gli scrittori del Nuovo Testamento hanno cominciato a vedere questo mistero, hanno cominciato a scrutare le Scritture e così hanno fatto quello che viene chiamato un replay, e, in particolare, hanno letto linee che abbiamo sentito parlare e la sapienza di Dio e leggerlo nella persona di Cristo filigrana.
 San Giovanni, per esempio, ha scritto: « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio … « E tu sai quanto quella frase in greco ha detto una profonda comunione, un continuo dialogo d’amore. Il libro dei Proverbi, lui non era ancora lì.
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 Complemento
 Ireneo e Teofilo di Antiochia identificati Sapienza con lo Spirito, e l’Origene identificato con il Figlio. E ‘questa seconda interpretazione che è stata alla fine adottata dalla teologia.

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