IL VINO NELLA TRADIZIONE EBRAICA
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IL VINO NELLA TRADIZIONE EBRAICA
1. La coltura della vite come metafora esistenziale.
Il vino, preferibilmente rosso, assume particolare rilevanza per la celebrazione del sabato ebraico (o shabbat) pari almeno alla funzione che questo giorno sacro assume come divisione sacrale del tempo cosmico.
La simbologia del rito sacro di santificazione del Sabato con la beracah (benedizione) sul vino affonda in ogni caso nell’insegnamento tradizionale per eccellenza quale è quello tramandatoci dalla Bibbia.
Il « Kiddush » è il nome con il quale si indica appunto la benedizione e la speciale preghiera con cui la sera del venerdì ci si prepara al successivo giorno di riposo da dedicare esclusivamente alle cose spirituali: esso è stato codificato dai Maestri della Legge in ogni più minuto particolare. Il vino per tale speciale cerimonia e di cui si deve riempire sino all’orlo un bicchiere, di solito un apposito elegante calice istoriato con caratteri ebraici, dovrebbe essere rosso e di alta qualità. In casi eccezionali è permesso succo d’uva rosso non ancora fermentato. Quest’ultimo particolare induce a pensare che in epoca biblica l’uva più diffusa fosse quella nera; il sinonimo « sangue d’uva » usato fa infatti pensare che la scelta dell’uva nera sia legata alla simbologia del colore del mosto che se ne ricava.
La stessa simbologia del sangue che occupa un posto rilevante nel cristianesimo è un segno inequivocabile della radice ebraica dei significati esoterici o cabalistici del vino.
I saggi maestri del giudaismo legarono dunque la benedizione del sabato al bicchiere di vino rosso, sabato ebraico che rappresenta l’architettura portante e differenziatrice del monoteismo etico ebraico.
Il Kiddush per Shabbat che recita: « Bendetto sia Tu Signore nostro Dio, Re del mondo, creatore della vite. etc. »… (Baruch attà Adonay Elohenu melek ha-olam borèi perì ha-gafen; etc.) è infatti la più nota delle preghiere rituali del giudaismo, dopo la professione di fede o Shemà.
Ma il bere sacro non è esclusiva del giudaismo e non si limita al rito del venerdì sera: la sua diffusione è ormai universale e le occasioni solenni o meno in cui si deve bere del vino si sono moltiplicate in epoca moderna!
Il collegamento tra cibo, bere e sessualità quale elemento essenziale e dinamico per la riproduzione della vita stessa è ancestrale. Come altre attività umane che danno un senso alla vita, il bere una bibita alcolica (birra o vino) è anch’esso un atto con cui l’uomo cerca di entrare in contatto con la Divinità.
La speranza di una vita oltre la morte nella cultura ebraica si esprime spesso con la simbologia del « banchetto » che, ovviamente, include la presenza di bevande.
« Preparerete (dice) il Signore… su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti di cibi succulenti, di vini raffinati… (Isaia 25,6).
Metafora esistenziale e religiosa, la coltura della vite era diffusissima in tutta l’area siro-palestinese culla del nostro monoteismo etico. Questa notizia è confermata da Sinueh, quell’ufficiale egiziano esiliatosi in Asia, quando afferma che « in Palestina il vino è più diffuso dell’acqua »! Probabilmente Sinueh intendeva dire che l’acqua era tanto scarsa che il vino era più abbondante ma indirettamente conferma che la coltura della vite era molto diffusa.
Con queste lunghissime radici la cultura del vino non poteva perdere di importanza con il passare dei secoli ed infatti anche nella nostra epoca il succo d’uva fermentato continua a rappresentare qualcosa di speciale non paragonabile a nessun’altra bevanda. Brindare in qualche circostanza importante e meno importante della vita, con coca cola, aranciata o acqua è un vero tabù, qualcosa che porta male, che non conferisce alcuna sacralità o solennità all’avvenimento.
Il vino e solo il vino è dunque la bevanda sacra e piacevole nello stesso tempo.
Il mondo, che per facilità di comprensione è indicato come occidentale e che si regola sulle concezioni etico-religiose della Bibbia, colloca gli inizi della vinificazione in epoca primordiale all’alba della diffusione dell’uomo sulla terra dopo il diluvio.
Il mito dice che sarebbe stato Noè il primo uomo a piantare la vite: <Bevve del vino, si ubriacò e si scoprì dentro la tenda.(Gen. 9,20)
L’archeologia anche in questo caso ha confermato il racconto biblico e recenti scavi hanno dimostrato che la vinificazione era diffusa nella regione di Hebron .
Gli esploratori inviati da Mosè nella terra di Canaan giunsero proprio nella valle di Eshcol e riportarono indietro, come prova della fertilità del suolo, un immenso grappolo d’uva, notissimo nell’iconografia ebraica: due uomini che portano appeso ad una stanga un immenso grappolo: una descrizione iperbolica ma che rende perfettamente la realtà dei luoghi.
Vari termini designano il vino nella Bibbia ebraica.
Il termine più diffuso “ YAYIN”( in ebraico ) ricorre ben 141 volte nella Torà ed è un vocabolo probabilmente non semitico ma forse di origine caucasica: ha il significato letterale di « effervescente”.
Un’altra parola con cui nella Bibbia si indica questa bevanda è ASIS dalla radice ebraica « asas » che letteralmente ha il significato di « pressare » o « schiacciare ». L’uso di questo termine è specifico ed indica il succo dell’uva schiacciata o pressata e, probabilmente, anche fermentata.
Tuttavia non si è certi che con asis venga indicato il succo fermentato in quanto nei testi aramaici della Bibbia il succo d’uva fermentato ha un suo vocabolo ben preciso che è » chemer « dalla radice « chamar » che indica appunto la fermentazione (così Deut. 32,14).
Nelle cerimonie più importanti come matrimoni, maggiore età religiosa (Bar mitzvah) etc. il vino veniva mescolato con l’acqua e con aggiunta di miele e altri aromi. Ciò conferiva maggiore solennità agli avvenimenti ma c’è il sospetto maligno che l’aggiunta di acqua servisse ad aumentare la quantità di vino per soddisfare, a poco prezzo, tutti gli invitati. Comunque anche in quei tempi l’annacquamento del vino era considerato negativamente se non proprio una truffa.
In epoca romana, invece, divenne uso comune aggiungere acqua e miele al vino ma l’usanza era giustificata dal fatto che il vino era molto fortemente tannico e quindi poco bevibile senza diluizione ed aromatizzazione. Ciò non toglie che la pratica divenne di moda, mentre invece si trattava di aumentare i guadagni del commercio del vino.
Il vino viene anche chiamato nella tradizione giudaica sangue di uva; « <Egli lega alla vite il suo puledro ed alla vite pregiata il figlio della sua asina; lava il vestito nel vino ed i panni nel sangue d’uva.(Genesi 49,11)
Tale metafora viene usata anche in Deut. 32,14 e Siracide 39,26. Sembra superfluo sottolineare che in questi passi della Bibbia ci si dovesse riferire all’uva nera anche perché sembra che in periodo biblico l’uva bianca fosse sconosciuta.
Probabilmente l’uva bianca da vino è frutto di innesti successivi mentre la vite coltivata nella Palestina del tempo biblico doveva essere un vitigno piuttosto forte, resistente alla siccità e molto simile alla vite selvatica. Però il termine più generico usato nella Torà per indicare qualunque bevanda fermentata, (quindi anche birra, sia quella derivata dalla fermentazione dell’orzo che quella dei datteri, del melograno, della palma delle mele etc.) è shekar (ebraico ).
A partire dalla traduzione della Bibbia in greco (quella dei settanta) viene usato il termine greco « oinos » per indicare tutti i tipi di vino e « gleuokos » per indicare il mosto da fermentare o in fermentazione ed il vino dolce, novello.
La vendemmia aveva luogo nella Palestina come in Sicilia, a metà agosto-settembre, a seconda se ci si trovava nelle zone collinari dell’alta Galilea oppure lungo le coste mediterranee; ma il vino non era esclusivamente legato alla religione era anche allora un elemento indispensabile per un buon pasto ed un dono ideale.
Accompagnato da altre offerte, era uno degli elementi del rito sacrificale al Tempio. »Uno degli agnelli offrirai al mattino ed un secondo al pomeriggio. Inoltre un decimo di efà, 1 di fior di farina intrisa in olio vergine con un quarto di vino per questo primo agnello.2(Esodo: 29,40).
Il vino nelle offerte sacrificali lo troviamo ancora in Lev.23,13, Num;15,7.10- Samuele 1,24.
Il vino come ricostituente appare nella Bibbia ebraica in 2 Sam.16 mentre nel Nuovo testamento viene citato come medicamento (prima lettera di Paolo a Timoteo, cap.5,23.)
Naturalmente un libro come la Bibbia se da un lato apprezza molto il vino e lo fa assurgere a simbolo della creazione non poteva sottovalutare gli effetti negativi e le insidie di un uso smodato di tale bevanda. Una vita benedetta da Dio e cioè colma di tutti i doni del Creatore comprende quindi abbondanza di vino di olio, di grano, tutti prodotti cui viene riconosciuta una funzione assolutamente vitale voluta dal Signore nel suo piano per gli uomini.
Salomone, nella sua saggezza, menziona il vino tra i doni della creazione (Proverbi 104,15 ) « vino che rallegra il cuore degli uomini, seguito dall’olio che fa risplendere il volto » (olio cosmetico, protettivo della pelle, ma di uso festivo).
L’abbondanza di vino è una benedizione e per contrasto, il venir meno della benedizione può comportare penuria di olio, vino e pane