IN PRINCIPIO ERA L’ACQUA
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IN PRINCIPIO ERA L’ACQUA
DI ANNA POZZI
Cambiamenti climatici, privatizzazioni, disastri ambientali stanno trasformando un bene primario come l’acqua in una merce contesa e redditizia. Eppure in tutte le grandi religioni essa mantiene una valenza sacra e un forte valore simbolico. Lo stesso papa Benedetto XVI associa l’acqua al diritto primario alla vita. Viaggio ai quattro angoli del pianeta, dove «l’oro blu» sta diventando una risorsa sempre più scarsa e preziosa. E per la cui salvaguardia si mobilitano anche le Chiese.
«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». Cielo, terra, acqua. Nel primo versetto della Genesi, Dio crea ciò che sta in principio. Terra informe e deserta, cielo e acqua.
Non diversamente, in molte altre civiltà e religioni, l’acqua sta all’inizio. È principio generatore, origine della vita, elemento primigenio. Per il filosofo greco Talete è all’origine di tutte le cose; nella lingua sumera «a» significa sia «acqua» che «generazione». Per gli indù, il Gange è una dea, mentre per le religioni afroamericane molte divinità sono acquatiche. In Cina l’acqua è all’origine del caos da cui si è generato l’universo, nello scintoismo giapponese viene usata per i riti di purificazione di persone o luoghi. Non diversamente, in molte altre religioni l’acqua è utilizzata nelle abluzioni rituali (ebraismo, islam…) o è simbolo di purificazione e benedizione di Dio (cristianesimo).
«Insieme con tutte le religioni», evidenzia monsignor Karl Golser, vescovo di Bolzano-Bressanone, presidente dei Teologi moralisti italiani, molto sensibile ai problemi ambientali, «la Chiesa cattolica è chiamata a evidenziare e testimoniare attraverso la propria teologia e liturgia i ricchi significati dell’acqua, che è collegata con la vita stessa. D’altra parte, deve poter offrire nella propria dottrina sociale dei principi e dei valori che si rifanno alla natura stessa della persona umana e della società». Nelle Sacre Scritture, fa notare monsignor Golser, «l’acqua è vista come elemento che permette la vita, ma anche come minaccia per ogni vivente. È dono prezioso e scarso in terra arida: purifica e guarisce, disseta l’uomo ed è immagine di Dio che disseta la sete dell’anima. L’acqua ha la forza di spegnere il fuoco, sia in senso materiale che spirituale, ed è simbolo per la vita eterna. Infine, nella liturgia cristiana, l’acqua ha fondamentale importanza, soprattutto per il battesimo. Il battesimo con l’acqua e lo Spirito Santo redime dai peccati e unisce al mistero di Cristo morto e risorto».
L’acqua, dunque, conserva un grande valore simbolico per i cristiani, così come per molte altre culture, religioni e civiltà, ma essa rappresenta anche un bene primario fondamentale e irrinunciabile per la sopravvivenza. Sopravvivenza di popolazioni sempre più numerose, di società sempre più complesse, di ecosistemi sempre più messi a dura prova. Le acque dolci presenti sul pianeta rappresentano solo il 3 per cento del totale (e due terzi sono costituite da ghiacciai e nevi perenni). E la distribuzione non è propriamente uniforme, anzi. Una decina di Paesi concentrano il grosso della disponibilità idrica planetaria: dal Brasile alla Russia, dal Canada al Congo, dagli Stati Uniti all’Indonesia, solo per fare alcuni esempi. L’utilizzo riguarda soprattutto l’uso agricolo (60 per cento), quello industriale (25 per cento) e quello domestico (15 per cento). Ma anche in questo caso non siamo tutti uguali: mediamente una persona avrebbe bisogno di 50 litri di acqua al giorno, ma un abitante degli Stati Uniti ne consuma 425 (un italiano 237), mentre un cittadino del Mali o del Madagascar arriva a mala pena a 10.
Attualmente 1,4 miliardi di persone vivono in una situazione critica per quanto riguarda l’accesso all’acqua potabile, mentre altri 2 miliardi sono al limite della sufficienza. A ciò si aggiunga che 2,4 miliardi di persone non ha accesso ad alcun tipo di intervento in ambito di sanità essenziale e che circa 5 milioni di persone – soprattutto bambini con meno di 5 anni – muoiono ogni anno a causa di queste mancanze. Le più colpite sono inevitabilmente le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, dove persistono condizioni di estrema povertà, con grosse difficoltà di accesso all’acqua. E le previsioni non sono ottimistiche: si stima, infatti, che nell’arco di un ventennio la percentuale degli assetati potrebbe passare dal 25 al 40 per cento della popolazione mondiale.
Persino Benedetto XVI nella recente enciclica Caritas in Veritate ha fatto un preciso riferimento al problema, riconducendo la questione del mancato accesso a cibo e acqua a una dimensione più generale e « alta » di diritto primario alla vita. «Il diritto all’alimentazione così come all’acqua», si legge nell’enciclica, «rivestono un ruolo importante per il perseguimento di altri diritti, a iniziare dal diritto primario alla vita. È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni» (n. 66).
«La dottrina sociale della Chiesa», fa notare monsignor Golser, «parla di « ipoteca sociale » che grava su ogni proprietà. Il che vuol dire che la proprietà privata è condizionata dal principio superiore della destinazione universale dei beni della terra e che quindi deve cedere davanti al diritto primario di ognuno di potersi nutrire e dissetare».
Nel caso dell’acqua, non si tratta, tuttavia, solo di un problema di scarsità di risorse idriche. Interessi, speculazioni, sperequazioni stanno spesso dietro alla mancanza di accesso all’acqua o alla cattiva gestione di questo bene. Problemi che si associano alla scarsità di risorse economiche – specialmente nei Paesi in via di sviluppo –, all’incapacità di fornire servizi in ambito sanitario, alla cattiva igiene anche in luoghi pubblici come scuole e ospedali e a una mancanza di educazione e formazione della popolazione. Molte malattie, ad esempio, potrebbero essere evitate se venisse fornito un accesso su vasta scala ad acqua sicura e a servizi sanitari adeguati.
Questa situazione stride fortemente con quello che era stato identificato come uno degli obiettivi prioritari del Millennio: «Dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che non hanno accesso a una fonte d’acqua potabile e a servizi igienici adeguati». Obiettivo che, come altri, verrà certamente disatteso. E, infatti, da quando la Dichiarazione del Millennio dell’assemblea generale delle Nazioni Unite venne promulgata nel 2000, la situazione non ha fatto che peggiorare. Anche perché nelle logiche di mercato, l’acqua ha perso via via la sua connotazione di bene primario e fondamentale per essere considerata alla stregua di una merce preziosa e redditizia.
Oggi la situazione è alquanto complessa e molte sono le problematiche legate all’acqua, riconducibili in parte ai cambiamenti climatici, in parte agli interventi dell’uomo. Privatizzazioni, inquinamento dell’acqua e dell’ambiente, industrie e agricoltura intensiva, moltiplicazione delle dighe, aumento del consumo domestico: tutti fattori che hanno ripercussioni sull’ambiente (moltiplicarsi di cicloni e alluvioni, scioglimento dei ghiacciai, prolungate siccità, innalzamento dei mari…) e aggravano i problemi idrici in molte parti del mondo. Problemi che, sempre più spesso, sono all’origine di conflitti.
Già dieci anni fa, le Nazioni Unite avevano lanciato l’allarme: se il XX secolo è stato quello delle guerre per l’«oro nero» (il petrolio), il XXI sarà il secolo delle guerre per l’«oro blu» (l’acqua). Attualmente, si calcola che nel mondo siano sono in corso una cinquantina di conflitti per il controllo dell’acqua. Inoltre, molti governi « usano » l’acqua come risorsa strategica a supporto dei loro interessi geo-politici ed economici. Da più parti, invece, si chiede che i Paesi approvino una «legge nazionale sull’acqua», ispirata a principi di solidarietà e sostenibilità, affinché una parte non prevalga sull’altra. Ma i concetti di solidarietà e sostenibilità spesso non si coniugano con gli interessi di mercato o con quelli della politica.
Il conflitto tra principi e interessi viene affrontato anche dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, che afferma: «L’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale» (n. 485). «Il progresso tecnologico e la globalizzazione economica», commenta monsignor Golser, «hanno fatto sì che tutto sembra poter diventare merce, da cui trarre profitto. Per questo, oggi bisogna recuperare il ruolo della politica, al di sopra dell’economia, come servizio al bene comune, guidato da regole di giustizia. E dobbiamo ispirarci agli atteggiamenti del tutto diversi presenti, ad esempio, nei popoli indigeni, che mai hanno cercato di acquistare diritti di proprietà sulle loro terre e acque».
In passato molti popoli, in contesti, culture e religioni diverse, hanno sviluppato tecnologie e stratagemmi per la salvaguardia e la conservazione idrica e hanno fatto dell’acqua uno strumento di pacificazione reale e simbolico in molte situazioni di conflitto. Oggi, invece, l’acqua è sempre più spesso oggetto di contese e di violenze. Lo denuncia con forza anche la scienziata indiana Vandana Shiva, che vi ha dedicato un libro intitolato Le guerre dell’acqua (Feltrinelli 2004). Vi si evidenzia come l’economia globalizzata stia cambiando la definizione di acqua da bene pubblico a proprietà privata. «Più di qualsiasi altra risorsa», sostiene la Shiva, «l’acqua deve rimanere un bene pubblico. L’acqua può essere utilizzata ma non posseduta e in tutta la storia dell’umanità e in culture diversissime è stata gestita come bene pubblico condiviso. Anche in condizioni di scarsità sono nati sistemi sostenibili di gestione dell’acqua con l’impegno per la conservazione di generazione in generazione».
Ecco perché essa rientra tra le tematiche più sensibili e preoccupanti di questo millennio. Anche il vertice del G8 a L’Aquila, lo scorso luglio, ha individuato alcune priorità: gestione delle risorse idriche, investimenti nel settore, piani regolatori internazionali per gli interventi sull’acqua. «Non è possibile negoziare il futuro dell’umanità senza mettere in conto l’acqua», ribadisce con forza Riccardo Petrella, segretario generale del Comitato internazionale per il Contratto mondiale sull’acqua. «Sembra che alcuni Paesi si orientino a proporre che l’acqua faccia parte dell’agenda per il nuovo trattato mondiale. Ne va della pace nel mondo e della sacralità della vita».
In quest’ottica si inserisce anche il missionario comboniano Alex Zanotelli, che ha lanciato un appello a tutte le comunità cristiane e alla Conferenza episcopale italiana, in occasione della quarta Giornata mondiale del Creato, del primo settembre scorso. La Giornata quest’anno era dedicata al tema dell’aria e invitava a riflettere sui danni e le conseguenze dei gas serra e sulla prossima conferenza di Copenaghen del 7 e 8 dicembre. «Non possiamo però dimenticare», scrive padre Zanotelli, «che le conseguenze più serie e devastanti dei cambiamenti climatici concerneranno l’acqua sul piano della disponibilità sia quantitativa che qualitativa».
La critica e la mobilitazione hanno di mira in particolare la legge 133, approvata in sordina dal Parlamento con l’appoggio dell’opposizione, il 6 agosto 2008; l’articolo 23bis del decreto Tremonti 112 stabilisce «il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica». L’obiettivo è quello di «favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale». In sostanza, il decreto obbliga i Comuni a mettere all’asta la gestione delle loro reti idriche e a ridurre la quota del pubblico nella gestione dell’acqua al 30 per cento entro il 2012, spalancando di fatto la strada alla privatizzazione dell’acqua. Peccato che in Italia, già nel 2007, i comitati locali per l’acqua pubblica avessero raccolto 400 mila firme e presentato in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che tuttavia non ha trovato alcun relatore. Emilio Molinari, presidente del Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua, ha chiesto al ministro Tremonti di «scorporare il servizio idrico dalla legge 133 e di aprire una discussione sui servizi di interesse generale (art. 43 della Costituzione) e sulla legge di iniziativa popolare del movimento e inoltre di intervenire con un piano di investimenti pubblici per rinnovare l’intera rete idrica italiana che disperde il 35 per cento dell’acqua».
Il nostro Paese ha un altro primato negativo, quello di essere il maggior consumatore di acqua imbottigliata al mondo, il 65 per cento della quale viene venduta in contenitori di plastica; questo si traduce in ben 9 miliardi di bottiglie all’anno da smaltire. «La Chiesa italiana», ricorda monsignor Golser, «è già intervenuta in più occasioni sul problema dell’acqua, dedicando, ad esempio, la Giornata per la salvaguardia del Creato del 2007 a questo tema. C’è una commissione presso la Cei che si occupa di questi problemi ed è stata creata una Rete interdiocesana nuovi stili di vita, cui aderiscono 24 diocesi, che lavora su tali questioni, cercando di creare una coscienza più diffusa su tutte le tematiche che riguardano l’ambiente e la salvaguardia del Creato».
Anche a livello ecumenico, non mancano le iniziative. Tra i più attivi, ormai dagli anni Ottanta, è il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I, che è proprio all’origine della Giornata mondiale del Creato, cui aderisce anche il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). I membri del Ccee e della Conferenza della Chiese europee (la Kek, che raccoglie ortodossi, protestanti, anglicani) hanno pubblicato un documento comune al termine del Comitato congiunto di Esztergom, in Ungheria, lo scorso febbraio, in cui si ribadisce che «come europei, abbiamo bisogno di condividere un senso di solidarietà con i più poveri del mondo, che sono le vittime primarie del nostro atteggiamento irresponsabile nei confronti del Creato». Anche nella preparazione della terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu, un paragrafo specifico era stato dedicato al tema «Acqua, fonte di vita», in cui si ribadiva che «l’acqua è un bene comune, non deve essere trasformato in bene commerciabile».
A livello europeo questa sensibilità si è concretizzata nell’Environmental Christian European Network (Ecen), mentre in termini di cooperazione ecclesiale Nord-Sud è particolarmente significativa la Dichiarazione ecumenica sull’acqua come diritto umano e bene pubblico, sottoscritta il 22 aprile 2005 a Friburgo, in Svizzera. Tra i firmatari, la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), il Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic) – che riunisce, oltre alla Chiesa cattolica, le principali denominazioni protestanti e ortodosse del Paese sudamericano –, la Conferenza dei vescovi della Svizzera e la Confederazione svizzera delle Chiese evangeliche, il che ne fa un documento di convergenza non solo tra diverse confessioni cristiane, ma anche tra Chiese del Nord e del Sud del mondo.
Un altro esempio positivo in termini di cooperazione tra le Chiese del Nord e del Sud è proprio della scorsa estate: una sorta di gemellaggio all’insegna dell’acqua tra un nutrito gruppo di associazioni francesi di ispirazione cattolica e le popolazioni del bacino del fiume Niger. Grazie a questa iniziativa molti francesi hanno potuto «vivere un’estate in maniera diversa», come recitava lo slogan, con percorsi di sensibilizzazione per «non sprecare questo bene comune fondamentale» e dare una mano a chi è all’asciutto, attraverso la realizzazione di un progetto idrico solidale in Niger. Insomma, anche quando manca, l’acqua continua a far bene.
Giuseppe Altamore