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Riguardo al venerare verso Oriente, San Giovanni Damasceno

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Riguardo al venerare verso Oriente, San Giovanni Damasceno

(Tratto da: Esatta esposizione della fede ortodossa)

Il Padre della Chiesa Giovanni Damasceno si fà eco, in questo brano, d’una tradizione che lo precede e che egli collega direttamente agli Apostoli. Pregare verso Oriente in direzione della luce nascente significa, per il santo, coinvolgere il cosmo e rinvenire in esso un valore simbolico. Tutto viene unito intimamente nella misteriosa presenza di Dio. Nulla viene trascurato, allontanato e frantumato nella vita dell’uomo. Per questo macrocosmo e microcosmo, corpo e anima, individuo e comunità vengono concepiti « uno » nell’evento redentivo di Cristo.
Noi non prestiamo venerazione volgendoci verso Oriente superficialmente o a caso. Ma poiché siamo composti di natura visibile e invisibile, ossia intellettuale e sensibile, presentiamo al Creatore anche una duplice venerazione: così come cantiamo con la mente e con le labbra, siamo battezzati con l’acqua e con lo Spirito, e siamo uniti al Cristo in modo duplice partecipando ai sacramenti e alla grazia dello Spirito.
Quindi, poiché « Dio è luce » intellettuale e poiché Cristo è chiamato nelle Scritture « sole di giustizia » e « Oriente » , occorre dedicargli l’Oriente per la venerazione. Infatti bisogna dedicare ogni cosa bella a Dio, dal quale ogni cosa è resa buona. Anche il divino Davide dice: « Cieli della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore, che cavalca sul cielo dei cieli, ad Oriente » . E ancora la Scrittura dice: « Dio piantò un giardino in Eden, ad Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato » ; ma poi lo scacciò dopo che aveva trasgredito, e « lo fece abitare di fronte al giardino delle delizie » , cioè ad Occidente.
Perciò noi veneriamo Dio desiderando l’antica patria e volgendo gli occhi ad essa. E la tenda di Mosè aveva il velo e il propiziatorio ad Oriente . La tribù di Giuda, come più onorevole, si accampava ad Oriente. Nel famoso tempio di Salomone la porta del Signore era posta ad Oriente . Invece il Signore, quando era in croce, guardava verso Occidente e così noi prestiamo venerazione volgendo lo sguardo verso di lui. Mentre era assunto in alto fu portato verso Oriente, e così gli apostoli lo venerarono: e così egli verrà nel modo con cui fu visto andare in cielo, come il Signore stesso disse: « Come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo » . E quindi noi aspettandolo prestiamo venerazione verso Oriente.
Questa è la tradizione non scritta degli apostoli: infatti molte cose essi ci hanno tramandato senza scriverle.

San Giovanni Climaco (sulla preghiera del cuore)

dal sito:

http://www.esicasmo.it/briancaninov.htm

SULLA PREGHIERA DEL CUORE – CHIESA ORTODOSSA

San Giovanni Climaco (†649)

            La vostra preghiera ignori ogni complessità: una sola parola bastò al pubblicano ed al figlio dissoluto per ottenere il perdono di Dio. Nella vostra preghiera non ci sia alcuna ricerca di parole: quante volte il balbettio semplice e monotono dei bambini commuove il padre! Non abbandonatevi a lunghi discorsi per non distrarre la mente nella ricerca delle parole. Una sola parola del pubblicano ottenne la misericordia di Dio; una sola parola piena di fede salvò il buon ladrone. La prolissità nella preghiera spesso riempie la mente d’immagini o la distrae; invece spesso una sola parola può causare il raccoglimento interiore. Se voi vi sentite consolati e commossi da una parola della vostra preghiera, fermatevi, perché il vostro angelo custode prega allora con voi.
            Non dovete avere troppa sicurezza nelle vostre forze, anche se avete raggiunto la purezza, ma piuttosto una profonda umiltà ed allora sentirete una maggior fiducia. Anche se siete giunti al sommo della scala delle virtù, pregate per domandare il perdono dei vostri peccati, obbedendo alle parole di San Paolo: “Io sono un peccatore, anzi sono il primo”[11]. L’olio ed il sale danno il sapore ai cibi, la castità e le lacrime le ali alla preghiera. Quando avrete conquistato la dolcezza e l’assenza dell’ira, non vi costerà molta fatica liberare la vostra anima dalla cattività.
            Finché non avremo consigliato la vera preghiera, saremo simili a quelli che insegnano ai bambini a compiere i primi passi. Impegnatevi ad elevare il vostro pensiero o piuttosto a rinchiuderlo nelle parole della vostra preghiera. Se la debolezza della fanciullezza la fa cadere, sollevatela. Infatti la mente è instabile per sua natura, ma Colui che può tutto consolidare, può rendere stabile anche la vostra mente. Se voi non cessate di combattere, colui che fissa i limiti al mare dello spirito verrà in voi e vi dirà: “Tu verrai fin qui, non oltre”[12]. È impossibile incatenare la mente, ma là dove si trova il Creatore dello spirito, tutto gli è sottomesso…
            Il primo grado della preghiera consiste nel cacciare con un pensiero o con una parola semplice e ferma le varie immagini nel momento stesso in cui sorgono. Il secondo consiste nel mantenere rivolto il nostro pensiero a ciò che diciamo e pensiamo. Il terzo è il rapimento dell’anima nel Signore. Diverso è il senso di esultanza che provano nella preghiera coloro che vivono in comunità e quello di quanti conducono vita solitaria. Il primo può essere ancora intaccato d’immagini, il secondo è pieno d’umiltà…
            L’eroe della preghiera sublime e perfetta dice: “Preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza…”[13]. I bambini non hanno idea di ciò; imperfetti, come siamo, con la qualità abbiamo bisogno anche della quantità. La seconda ci procura la prima…

Preghiamo con I Padri della Chiesa

dal sito

http://xoomer.virgilio.it/parrocchia_sg_civitavecchia/preghiere.htm

Preghiamo con I Padri della Chiesa

( a cura di Domenico Pennino)

La vita del cristiano e della famiglia cristiana è un continuo progresso all’infinito nella penetrazione inesauribile del Mistero del Dio Uno e Trino, fonte e origine di ogni  unità, essere, verità, bontà e bellezza. Nel grembo fecondo della Chiesa vergine e madre, attraverso la mensa della Parola e del Sacramento, che ci rendono concorporei e consanguinei con Cristo, il cristiano e la famiglia devono immergersi nel mistero del Verbo Incarnato, lasciarsi trasformare, diventando “verba Verbi ”,  sperimentando con l’apostolo Paolo la fecondità del mysterium crucis: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.” (Gal. 2, 20)  Ed ancora l’Apostolo, senza tregua, incalza sulle necessarie e superlative conseguenze del nostro essere conformati al Figlio Eterno: “dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.” (cfr. Ef.4, 22-23). Indicandoci infine la sorgente inesauribile di grazia, esclama: “Cristo in voi, speranza della gloria, in lui vi sono tutti i tesori della sapienza e della scienza…in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza…Omnia possum in eo qui me confortat! Tutto posso in Colui che mi dà la forza! “(cfr.Col. 1, 27; 2, 3. 9; Fil. 4,13; 1Cor. 1, 24. 30-31). I Padri della Chiesa sulla linea di Paolo e di Giovanni hanno sostenuto l’importanza, il valore e la grazia della preghiera, nonchè la forza trasfigurante della contemplazione “ I concetti creano idoli di Dio solo lo stupore coglie qualcosa …Trovare Dio consiste nel cercarlo incessantemente, vedere Dio è non essere mai sazio di desiderarlo. Egli è l’eternamente  Cercato ( o Zetoumenoj )” sostiene Gregorio di Nissa. S. Agostino, invece, ha messo in rilievo l’inesauribile dinamismo della carità, anima della preghiera, che non può, non deve mai arrestarsi. La legge più importante per crescere nella vita  cristiana e nella vita di preghiera è quella di aggiungere sempre, camminare sempre, progredire sempre. Il progresso della carità è determinato in parte dall’intensità del desiderio. Perciò la tensione è la legge fondamentale e l’umiltà è il fondamento e il punto di partenza, mezzo e garanzia  di progresso nella vita cristiana.
“  Voi ricordate, fratelli miei, quella lettura del Vangelo secondo la quale due sorelle accolsero il Signore: Marta e Maria. Lo ricordate certamente; Marta si dedicava alle molte faccende del servizio e si agitava nella cura della casa. In effetti ricevette in casa, quali ospiti, il Signore e i suoi discepoli. Si affannava scrupolosamente attenta e con la massima devozione, perché presso di lei i santi non venissero turbati da alcuna mancanza di riguardo. Così, mentre era tutta presa dalle molte faccende, Maria, sua sorella, sedeva ai piedi dei Signore e ne scoltava la parola. Marta, che l’attività esasperava e vedeva quella seduta e del tutto incurante del suo affannarsi, si rivolse al Signore. Disse: Ti pare bene, Signore, che mia sorella mi abbia lasciata sola, mentre ecco, mi trovo tanto impegnata a servire? E il Signore: Marta, Marta, tu ti preoccupi di molte cose. Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarò tolta. Tu hai  scelto una parte buona, ma lei la parte migliore. Tu la buona (è cosa buona infatti darsi da fare nell’onorare i santi), ma lei ha scelto il meglio. Inoltre ciò che tu hai scelto passa. Tu servi chi ha fame, servi chi ha sete, provvedi letti a chi ha sonno, offri ospitalità a chi vuoi entrare in casa; tutte queste cose passano. Verrà l’ora in cui nessuno debba aver ame, in cui nessuno debba aver sete, nessuno debba dormire. Ne segue che ti sarà tolta la tua occupazione. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta. Non le sarà tolta. Ha scelto la contemplazione, ha scelto di vivere della Parola. Che sarà il vivere della Parola senza alcun suono di parola? Ora costei viveva della parola, ma della parola che ha suono. Sarà il vivere della Parola senza alcun suono di parola. La Parola è di per sé la vita. Saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è. Questa era la sola cosa: gustare la dolcezza del Signore. Non ci è possibile questo nella notte di questo mondo. Al mattino starò alla tua tresenza e ti contemplerò. Perciò l’Apostolo dice: Non ritengo ancora di esservi giunto. Questa cosa soltanto. Che cosa faccio allora? Dimentico del passato, e proteso a quello che mi sta davanti, mi volgo alla mèta. Proseguo ancora: fino al , premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù. Proseguo ancora, continuo a progredire, a camminare, mi trovo ancora sulla via, sempre proteso, non sono ancora giunto. Perciò, se anche tu cammini, e vai proteso in avanti, se pensi alle realtà future, dimentica le cose passate, non volgerti indietro a riguardarle, per non fermarti là dove hai posto il tuo sguardo. Ricordatevi della moglie di Lot. Quanti siamo perfetti, dobbiamo avere questo modo di pensare. Aveva detto: Non sono ancora arrivato alla perfezione; e dice: Quanti siamo perfetti dobbiamo avere questo modo di pensare. Io non ritengo di esservi giunto. Non perché io abbia già conquistato il premio o sia già arrivato alla perfezione.; e dice: Quanti siamo perfetti dobbiamo avere questo modo di pensare. Perfetti e non perfetti ad un tempo; perfetti come quelli che sono in cammino, non ancora perfetti come arrivati al possesso. E per farvi conoscere perché l’Apostolo chiami perfetti i viandanti: quelli che avanzano sulla via sono perfetti viandanti; e perché tu sappia che si riferiva ai viandanti, non agli arrivati, non a quanti già detengono il possesso, ascolta ciò che segue: Quanti siamo perfetti dobbiamo avere questo modo di pensare. E se in qualche cosa pensate diversamente, che non s’insinui per caso in voi il pensiero di essere qualcosa. Ora chi pensa di sé che vale qualcosa, mentre è un nulla, inganna se stesso . E chi crede di sapere qualcosa, non sa ancora in che modo bisogna sapere.  Quindi: E se in qualche cosa pensate diversamente, quasi dei bambini, Dio vi illuminerà anche su questo. Nondimeno, dal punto in cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare secondo la stessa linea. Perché Dio ci illumini anche su ciò che pensiamo diversamente, ed a cui siamo .rrivati, non fermiamoci là, ma continuiamo ad avanzare secondo la stessa linea. Considerate che siamo viandanti. Voi dite: Che significato ha « camminare »? Lo dico in breve: « Progredire ». Non vi capiti di non intendere e di camminare con maggior pigrizia. Fate progressi, fratelli miei, esaminatevi sempre, senza inganno, senza adulazione, senza acearezzarvi. Nel tuo intimo infatti non c’è con te uno alla cui presenza ti debba vergognare e ti possa vantare. Vi è colui al quale piace l’umiltà, egli sia a provarti. Anche tu metti a prova te stesso. Ti dispiaccia sempre ciò che sei, se vuoi guadagnare ciò che non sei. In realtà, dove ti sei compiaciuto di te, là sei rimasto. Se poi hai detto: Basta; sei addirittura perito. Aggiungi sempre, avanza sempre, progredisci sempre. Non fermarti lungo la via, non indietreggiàre, non deviare. Chi non va avanti, si ferma; torna indietro chi si volge di nuovo alle cose da cui si era allontanato; chi apostata, abbandona la via giusta. Uno zoppo sulla via va avanti meglio di chi corre fuori strada. Rivolti al Signore… (s.Agost.Disc. 169, 14, 17 – 15, 18). La ricerca del volto di Dio, la contemplazione e la vita vissuta, in relazione al più profondo mistero del Dio Uno e Trino nascosto, rivelatosi e comunicatosi però nella economia della salvezza, trasfigurano il cronos ( tempo cronologico) in kairos ( tempo soteriologico e di grazia) in tutto questo lavoro di studio e di accostamento vitale i Padri ponevano una rigorosa e rara unità di visuali.  Essi erano davvero teologi, parlvano di Dio perché parlvano con Dio, si purificavano per amore di Dio: Non c’è altro modo di conoscere Dio che vivere in Lui. Lasciamoci, allora, guidare da questi “Luminari delle Chiese” (s.Cirillo di Alessandria, Ep. 50 ).

ANNUNZIA, SIGNORE, LA TUA PAROLA
Sant’Ambrogio trasforma in orazione il Salmo 80, 8: “ Nell’oppressione mi hai invocato e io ti ho liberato; ti ho esaudito nel segreto della tempesta; ti ho messo alla prova nell’acqua di contraddizione “
Nei momenti di tribolazione, quando le lotte si scatenano intorno a noi e l’intimo è pervaso da paure, infuria terribile nei cuori la tempesta; siamo immersi nella contraddizione, quando i nostri pensieri ondeggiano come ribolle l’onda del mare, e nella profondità dell’animo nessuna forza spirituale sa placarli! Allora solo la parola di Cristo, che rimette i peccati, riesce a portare bonaccia.
Annunzia, Signore Gesù, questa parola:
la tua parola è medicina; la tua parola è raggio di sole;
la tua parola è lavacro per la nostra impurità; la tua parola è acqua sorgente.
Tu l’annunzi e la colpa viene lavata.
(Amb., Comm. 12 Salmi, 45, 3)

GUARDACI, SIGNORE GESÙ, PERCHE’ SAPPIAMO PIANGERE LE NOSTRE COLPE
Lo sguardo di Gesù e le lacrime di Pietro,  che ha rinnegato il Signore, ma poi si è amaramente pentito, stimolano sant’Ambrogio a una delle sue più ardenti preghiere. Il tema delle lacrime è sentito dal Santo con particolare vibrazione.
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Pietro si rattristò e pianse, perché sbagliò, come tutti sbagliano.
Lacrime preziose, che lavano la colpa!
Si mettono a piangere coloro ai quali Gesù volge il suo sguardo
Pietro negò una prima volta, e tuttavia non pianse, poiché il Signore non lo aveva guardato.
Negò una seconda volta, ma non pianse, poiché il Signore non lo aveva guardato ancora.
Rinnegò una terza volta e pianse un pianto amarissimo.
Guardaci, Signore Gesù, affinché sappiamo piangere il nostro peccato.
Dei santi anche la caduta ci è di vantaggio:
non ci ha danneggiati il rinnegamento di Pietro, ci ha invece giovato il suo ravvedimento.
Pietro pianse, con la più profonda amarezza,
per poter lavare con le lacrime la sua colpa.
Sciogli anche tu, fratello,
nelle lacrime la tua colpa, se vuoi meritare il perdono.
Se ti avviene di sbagliare, Cristo ti è accanto
come testimone delle tue segrete azioni
e ti guarda perché te ne ricordi e confessi il tuo errore.
Imita Pietro,
quando per la terza volta esclama:
“ Signore, tu sai che io ti voglio bene”
Tre volte aveva rinnegato, e per tre volte fa la sua professione.
Aveva rinnegato nella notte,
e alla luce del giorno dichiara il suo amore.
Insegnaci, o Pietro, quanto ti abbiano giovato le lacrime.
Eri caduto prima di piangere,
ma dopo aver pianto
fosti scelto per governare gli altri,
tu che prima non eri riuscito a governare te stesso.
(Amb. Exps. Ev. Luc., X, 87-90.92.)

GUARDA ANCHE NOI, SIGNORE GESÙ
Commentando i giorni della creazione e parlando degli uccelli, sant’Ambrogio prolunga fino a tardi il suo discorso, che viene così a soffermarsi sul canto del gallo”gradevole nella notte” sulla caduta di Pietro, sullo sguardo di Gesù e sul pianto dell’Apostolo che ottiene il perdono.

Dopo il canto del gallo, Pietro, degno ormai di essere guardato da Cristo, passando dall’errore alla virtù, pianse con accorata amarezza
per detergere con le lacrime la propria colpa.
Guarda anche noi, Signore Gesù:
anche noi riconosceremo allora i nostri errori,
e con lacrime di pentimento
laveremo il nostro peccato
e meriteremo di esserne perdonati.
Concedimi, o Cristo, le lacrime di Pietro.
( Amb. Exam., VIII, 24, 88-89)

TU CI LAVI I PIEDI
È ancora la preghiera che Ambrogio innalza nella festa di Pasqua in cui è avvenuto il lavacro battesimale, il cui rito a Milano comprendeva anche la lavanda dei piedi.

Il mio Signore depone la veste, si cinge di un asciugatoio, versa dell’acqua nel catino e lava i piedi ai suoi discepoli: anche a noi egli vuole lavare i piedi; non solo a Pietro, ma anche a ciascun fedele dice:
«Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me ».
Vieni, Signore Gesù, deponi la veste che hai indossato per  me;
spògliati, per rivestirci della tua misericordia. Cingiti di un asciugatoio, per cingerci con il tuo dono, che è l’immortalità.
Metti dell’acqua nel catino, e lavaci non soltanto i piedi, ma anche il capo,
non solo i piedi del nostro corpo, ma anche quelli dell’anima. Voglio deporre
tutta la lordura della nostra fragilità.
Quanto è grande questo mistero! Quasi fossi un servitore lavi i piedi ai tuoi servi, e come Dio mandi dal cielo la rugiada.
Ma non solo tu ci lavi i piedi, ci inviti anche ad assiderci a tavola con te, e ci esorti
con l’esempio della tua condiscendenza: « Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono. Se vi ho lavato i piedi, io che sono il Signore e il Maestro, anche voi lavatevi i piedi l’un l’altro ».
Voglio lavare anch’io i piedi ai miei fratelli, voglio osservare il comandamento del Signore. Egli mi comandò di non aver vergogna, di non disdegnare di compiere quello che lui stesso aveva fatto prima di me; il mistero dell’umiltà mi è di vantaggio:
mentre detergo gli altri, purifico le mie macchie. ( Amb., De Spir. Sanc., I, 12-15)

CRISTO NON VIENE MENO A  NESSUNO
Perché Cristo non venga rapito bisogna essere svegli. Ma anche quelli che si sono addormentati si possono risvegliare e incontrare di nuovo il Signore.

Anche se tardi, si dèstino
quanti si sono lasciati vincere dal sonno,
quanti hanno perduto Cristo.
Cristo non è perduto al punto che non torni più indietro
— pur che lo si cerchi —.
Egli fa ritorno verso coloro che vegliano,
si manifesta a quelli che si destano. Egli è vicino a tutti.
E presente in ogni luogo, poiché riempie ogni cosa.
Cristo non viene meno a nessuno:
siamo noi a venir meno.
A nessuno egli manca, anzi per tutti sovrabbonda.
Infatti dilagò il peccato, perché fosse la grazia a sovrabbondare.
La grazia è Cristo, la vita è Cristo,
Cristo è la risurrezione.
Chi si desta lo trova accanto a sé.
( Amb., Exp. Ev. In Luc., V,116)

TU SOFFRI, SIGNORE, PER ME
La sofferenza di Gesù non deve essere motivo di scandalo. il Figlio di Dio ha assunto per noi integralmente la nostra natura umana: “Come uomo é turbato, come uomo piange, come uomo è crocefisso”

Cristo ha preso la mia tristezza:
non ho paura a parlare di tristezza, poiché predico la croce.
Mia è la tristezza che egli ha provato:
nessuno esulta nell’imminenza della morte.
Per  me patisce,
per  me è  triste,
per  me soffre.
Per  me e in me ha sofferto,
lui che per sé non aveva ragione di soffrire.
Tu soffri, dunque, Signore Gesù,
non per le tue, ma per le mie ferite;
non per la tua morte,
ma per la nostra infermità,
secondo la voce del profeta:
« Soffre per noi ».
(Amb. De fide, II, 7,53,55)

TU SOFFRI, SIGNORE,PER LE MIE FERITE
Contro gli ariani che nell’agonia di Gesù vedono la ragione per negare la sua divinità, sant Ambrogio sottolinea la verità di quel dolore sopportato per noi e in comunione con noi.
Il Salvatore per me si è rattristato e sperimenta il tedio della mia infermità.
Egli ha preso su di sé la mia amarezza, per donarmi la sua gioia;
è disceso sui nostri passi sino all’affanno della morte,
per farci risalire sui suoi passi sino alla vita.
Come ti potremmo imitare, Signore Gesù,
se non ti seguissimo come uomo, se non ti sapessimo morto, se non avessimo veduto le tue piaghe?
Egli « porta i nostri peccati e soffre per noi »:
tu, dunque, Signore, soffri, non per le tue, ma per le mie ferite,
non per la tua morte, ma per la nostra debolezza.
Tu soffrivi non per te, ma per me:
sì, hai conosciuto la debolezza, ma fu a motivo delle nostre colpe.
(Amb., Exp. Ev. in Luc. X, 56-57)

SORGENTE,  PRINCIPIO, AUTORE DELLA GIOIA
Te invoco, o Dio Verità, sorgente, principio, autore della verità di tutto ciò che è vero;  Dio Sapienza, sorgente, principio, autore della sapienza di tutto ciò che è sapiente; Dio che sei la vera, la suprema Vita, sorgente, principio, autore della vita di tutto ciò che vive veramente e sovranamente; Dio-Beatitudine, sorgente, principio, autore della gioia di tutto ciò che è felice; Dio del bene e del bello in tutto ciò che èbuono e bello; Dio-Luce intelligibile, sorgente, principio, autore della luce intelligibile in tutto ciò che brilla di questa luce; Dio il cui regno è questo universo che i sensi ignorano; Dio il cui regno traccia la legge ai regni di questo mondo; Dio dal quale allontanarsi è cadere, al quale ritornare è risorgere, nel quale rimanere è costruirsi solidamente. Uscire da te è morire, ritornare in te è rivivere, abitare in te è vivere. Nessuno ti perde se non viene ingannato, nessuno ti cerca se non è chiamato, nessuno ti trova se non è purificato. Abbandonarti è perdersi, cercarti è amare, vederti è possederti. Verso di te là fede ci spinge, la speranza ci guida, la carità a te ci unisce. Dio per mezzo del quale noi trionfiamo del nemico, a te rivolgo la mia preghiera! (Soliloquia I, 3a)
In questa preghiera troviamo un esempio tipico della lingua di Agostino; un latino semplice e rapido, con costruzioni sintattiche e grammaticali di estrema lucidità, nelle quali il pensiero e l’emozione religiosa e filosofica di Agostino accendono la parola trasformandola in poesia. È impossibile riuscire a tradurre in altra lingua questa perfetta fusione tra pensiero e parola. Riteniamo perciò utile, per chi comprende il latino, dare qui un breve esempio di questa arte agostiniana, trascrivendo in forma versificata il testo originale della preghiera iniziando dal capoverso: « Dio dal quale allontanarsi è cadere… »:

Deus a quo averti, cadere
in quem converti, resurgere
in quo manere, consistere est.

Deus a quo exire, emori
in quem redire, reviviscere
in quo habitare, vivere est.

Deus quem nemo amittit, nisi deceptus
quem nemo quaerit, nisi admonitus
quem nemo invenit, nisi purgatus.

Deus quem relinquere, hoc est quod perire
quem attendere, hoc est quod amare
quem videre, hoc est quod habere.

Deus Cui nos fides excitat spes erigit
charitas jungit.

Deus per quem vincimus inimicum
te deprecor.

DIO, GRAZIE A TE NOI NON MORIAMO COMPLETAMENTE
Dio, grazie a te noi non moriamo completamente. Tu ci ammonisci di essere vigilanti. Grazie a te distinguiamo il bene dal male, fuggiamo dal male e cerchiamo il bene, non cediamo alle avversità. Grazie a te possediamo l’arte di obbedire e l’arte di comandare. Grazie a te impariamo che talvolta ciò che crediamo nostro ci è estraneo, ed è nostro ciò che pensavamo estraneo. Grazie a te ci liberiamo dalle insidie e dagli attacchi del male. E’ per te che le piccole cose non ci diminuiscono. Per te ciò che di migliore è in noi non è soffocato da ciò che vi è di peggiore. Per te la morte è assorbita nella vittoria’ (I Corinti 15, 54). Dio che ci conduci verso dite, che ci spogli di ciò che non è per rivestirci di ciò che è, Dio tu ci rendi degni di essere esauditi. Tu ci fortifichi, ci fai conoscere tutta la verità. Tu suggerisci a noi quel bene che ci impedisce di diventare dei folli, e a nessuno permetti di renderci tali. Tu ci riconduci sulla via buona. Tu ci accompagni fino alla porta, e la spalanchi a coloro che bussano (Matteo 7, 8). Tu ci doni il pane della vita, e grazie a te abbiamo sete dell’acqua che disseta per sempre (Giovanni 6, 35). Tu convinci il mondo del peccato, della giustizia, del giudizio (ibid. 16, 8). Grazie a te non siamo turbati da coloro che non credono. Tu ci insegni a biasimare l’errore di coloro che credono che le anime non acquistino alcun merito dinanzi a te. Per te non diventiamo schiavi della debolezza e della malattia (Galati 4, 9). 0 Dio che ci purifichi e ci prepari alle divine ricompense, vieni verso di me propizio.
(Agost.. Soliloquia I, 3b)

TU,  MIA GIOIA,  MIA RAGIONE,  MIA PATRIA!
Tu sei tutto e, allo stesso tempo, sei quanto ti ho detto nella mia preghiera. Vieni in mio aiuto, o unica sostanza vera e eterna, nella quale non c’è alcun disaccordo, alcuna confusione, alcun mutamento, alcuna manchevolezza, alcuna morte; ma sovrana vi regna la concordia, suprema evidenza e costanza, somma pienezza e vita; alla quale nulla manca e nella quale nulla è superfluo; presso la quale Colui che genera e Colui che viene generato sono una cosa sola. Te servono tutte le cose, a te ubbidisce ogni anima buona. Le tue leggi regolano il muoversi dei poli, fissano agli astri il loro corso, donano al giorno l’ardore del sole, alla notte il dolce chiarore della luna, assicurano all’universo l’equilibrio di cui è capace la materia sensibile. Le tue leggi stabilite per l’eternità non permettono che il moto instabile degli elementi mutevoli sia turbato, e impongono loro il corso regolare dei secoli come un freno per richiamarli a imitare la tua stabilità. Le tue leggi assicurano all’anima il libero arbitrio, ai buoni la ricompensa, ai cattivi il castigo, secondo un ordine necessariamente stabilito. Da te sgorgano per noi tutti i beni, e da noi allontani tutti i mali. Al di sopra dite non c’è nulla, nulla al di fuori dite, nulla senza dite. A te tutto è sottomesso, in te tutto è contenuto, verso dite tutto è orientato. Tu che hai fatto l’uomo a tua immagine e somiglianza, come riconosce ognuno che conosce se stesso, ascoltami. Ascoltami mio Dio, mio Signore, mio Re, mio Padre. Tu mia causa, tu mia speranza, mia gioia, mia ragione, mia patria, mia salvezza, mia luce, mia vita! Ascoltami in quel modo tutto tuo che solo  un  esiguo numero di uomini conosce. 
(Id.,Soliloquia I, 4)

ACCOGLI  IL TUO FIGLIO CHE E’ FUGGITO
Ora sei tu solo che io amo, te solo che seguo, te solo che cerco, te solo che mi sento pronto a servire, poiché tu solo governi con giustizia. E’ solo alla tua autorità che voglio sottomettermi. Ti prego, ordina tutto ciò che vuoi, ma guarisci e apri le mie orecchie perché io possa udire la tua voce. Guarisci e apri i miei occhi perché io possa vedere la tua volontà. Allontana da me ogni leggerezza di spirito perché possa riconoscerti.
Dimmi dove devo volgere il mio sguardo per poterti vedere, e avrò la speranza di fare ciò che tu vuoi. Ti prego, accogli il figlio tuo che è fuggito, o Dio amorevole più di ogni padre. Siano finite le pene che ho sofferto da parte dei nemici che tu tieni sotto i tuoi piedi; abbiano fine le menzogne con le quali mi hanno reso oggetto del loro scherno. Accogli ora il tuo servo che fugge lontano da essi; loro mi hanno accolto bene quando come straniero fuggivo lontano da te. Sento che solo da te io devo ritornare. Si apra, grande,
dinanzi a me la porta alla quale busso. Insegnami come devo fare per arrivare fino a te. Io non ho nulla se non la mia buona volontà. Null’altro so se non il disprezzo che merita tutto ciò che è mutevole e caduco, e la ricerca necessaria di ciò che non muta e che è eterno. Questo io lo faccio, o padre, poiché è la sola cosa che io ora conosco, ma non so un’altra cosa: come arrivare fino a te. Ispirami e guidami, traccia una strada davanti a me. Se è con la fede che ti trovano coloro che si rifugiano in te, donani la fede; se è con la forza, donami la forza; se è con la scienza, donami la scienza. Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. Quanto meravigliosa e unica è la tua bontà!
(Id.,Soliloquia I. 5)

SE  TU  CI  ABBANDONI  E’  LA  MORTE
Verso dite sono rivolto, ma ti chiedo anche di darmi i mezzi per tendere verso di te. Se tu ci abbandoni, è la morte! Ma tu non ci abbandonerai, perché sei la bontà somma che non si lascia cercare rettamente senza lasciarsi trovare. Rettamente ti cerca chi tu hai reso capace di cercarti in tal modo. Insegnami, o padre, a cercarti. Liberami dall’errore, perché in questa ricerca io non incontri altri che te. Se io non desidero nient’altro che te, possa trovartl o padre mio. Ma se c è in me qualche desiderio di altre cose, purificami tu stesso, e mettimi in grado di vederti. Quanto a questo mio corpo mortale, poiché non so quale utilità possa ricavarne per me e per coloro che amo, lo affido a te, a te padre sapientissimo e buono. Ti domanderò per lui ciò che tu stesso mi avrai suggerito, al momento opportuno. Voglio soltanto invocare la tua amorevolezza sovrana perché io mi possa rivolgere interamente verso di te e nulla mi costi di quanto a te mi conduce. Permetti che anche con questo corpo da condurre e da portare, io viva la temperanza, il coraggio, la giustizia, la prudenza, che ami e comprenda pienamente la tua sapienza, e mi renda degno della tua abitazione, e divenga abitante del tuo regno colmo di felicità.. (Id., Soliloquia I. 6)

LE  MIE TENEBRE  DIVENTERANNO  COME  UN  MERIGGIO
Tu mi giudichi, o Signore. E’  vero che “ nessuno degli uomini sa le cose degli uomini, all’infuori dello spirito dell’uomo che è dentro di lui ” (I Corinti 2, 11). Ma è pur vero che vi è qualcosa nell’uomo che neppure lo spirito dell’uomo sa, lo spirito che pure è dentro di lui, mentre tu o Signore, che lo creasti, sai tutte le cose sue. Ora, io che davanti a te mi umilio e mi ritengo “terra e cenere “ (Genesi 18, 27), tuttavia so dite qualche cosa che di me non so. Certo, ora vediamo attraverso uno specchio, come in enigma, non ancora faccia a faccia (I Corinti 13, 12). Perciò, durante questo tempo in cui vado peregrinando lontano da te sono più presente a me stesso che a te. E nondimeno so che ogni attentato contro di te è impossibile, mentre di me non so a quali tentazioni sia in grado di resistere. Eppure mi sorregge la speranza, perché “ fedele sei tu e non permetti che noi siamo tentati oltre le nostre forze perché possiamo sostenerla” (I Corinti 10, 13). Confesserò quello che so di me e quello che non so. Poiché quello che di me so, lo so perché tu m’illumini, e quello che di me non so, non lo saprò fino al momento in cui “le mie tenebre, davanti al tuo volto diventeranno come un meriggio” (Isaia 58, 10).                                                                                             
( Id.,Confessiones X, 5)

AMO UNA LUCE, UN PROFUMO, UN  AMPLESSO
Signore, io ti amo. Non ho dubbi, sono certo che ti amo. Tu hai percosso il mio cuore con la tua parola e ti ho amato.   Il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, né cessano di dirlo a tutti, “affinché non trovino scuse” (Romani 1, 20). Più profondamente sentirai tu misericordia di colui per il quale avrai avuto misericordia, e userai una più profonda misericordia a colui con il quale sarai stato misericordioso; altrimenti il cielo e la terra dicono le tue lodi ai sordi (cfr. Romani 9, 15). Ma cosa amo, amando te? Non una bellezza corporea, non una avvenenza passeggera, non un fulgore come quello della luce piacevole per quei miei occhi, non dolci melodie di canti d’ogni specie, non soave profumo di fiori, di unguenti, di aromi, non manna di miele, non membra felici all’amplesso carnale. Non queste cose io amo, amando il mio Dio. E tuttavia, amo una luce, una voce, un profumo, un cibo, un amplesso, quando amo te mio Dio, luce, voce, profumo, cibo, amplesso dell’uomo interiore che è in me, dove risplende alla mia anima una luce che in nessun luogo può essere contenuta, dove risuona una voce che il tempo non rapisce, dove è diffuso un profumo che il vento non disperde, dove gusto un sapore che la voracità non diminuisce, dove mi stringe un amplesso che la sazietà mai non discioglie. Questo io amo, quando amo te, mio Dio.
(Id., Confessiones X,  6)

Ritorno anelante alla tua sorgente
O verità, luce dell’anima mia, non permettere che mi parlino le mie tenebre. Mi abbandonai ad esse e mi trovaal buio. Ma anche di lì, sì anche dal buio, ti ho amato. Ho sentito la tua voce dentro di me ( Ezechiele 5, 12) che mi invitava a ritornare. L’ho sentita poco per il frastuono prodotto dalle passioni ribelli. Ed ecco, ora ritorno ardente e anelante alla tua sorgente. Fa’ che nessuno mi trattenga. Che io mi disseti e viva. Non devo essere io la mia vita. Da me sono vissuto male, sono stato per me causa di morte. In te, invece, rivivo. Tu parlami, ammaestrami.                                                                                                    (Con fessiones XII, 10)

SABATO 19 SETTEMBRE – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 19 SETTEMBRE – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
(Nn. 28-30; CSEL 3, 287-289)

Bisogna pregare non soltanto con le parole, ma anche con i fatti.
Quale meraviglia, fratelli dilettissimi, se il «Padre nostro» è la preghiera che ci ha insegnato Dio? Egli col suo insegnamento ha compendiato ogni nostra preghiera in queste parole di salvezza. Questo era già stato predetto tramite il profeta Isaia, quando pieno di Spirito Santo aveva parlato della maestà e della misericordia di Dio e della parola che tutto contiene e tutto riassume in chiave di salvezza. Il profeta aveva anche affermato che Dio si sarebbe rivolto a tutta la terra con piccole frasi pregnanti. E, in effetti, quando la Parola di Dio, cioè nostro Signore Gesù Cristo, venne a tutti gli uomini, e quando, radunati insieme i dotti e gli ignoranti, ebbe divulgato a ogni sesso e a ogni età i precetti di salvezza, fece un grande compendio dei suoi precetti, perché la memoria dei discepoli non si affaticasse nella dottrina celeste, ma imparasse subito ciò che era necessario alla semplice fede. Così, insegnando che cosa sia la vita eterna, racchiuse con grande e divina brevità il mistero della vita, dicendo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico e vero Dio, e colui che hai mandato. Gesù Cristo» (Gv 17, 3). Similmente, volendo stralciare dall’insieme della legge e dei profeti i precetti principali e fondamentali, disse: «Ascolta, Israele: il Signore tuo Dio è l’unico Dio»; e ancora: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. Questo è il primo precetto, e il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti è racchiusa tutta la legge e i profeti» (Mc 12, 29-31). E di nuovo: Tutti quei beni che volete che gli uomini facciano a voi, fateli anche voi a loro. Questa è infatti la legge e i profeti (cfr. Mt 7, 12).
Dio ci ha insegnato a pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò (cfr. Lc 5, 16); e ancora: Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a Dio (cfr. Lc 6, 12).
Certo il Signore pregava e intercedeva non per sé — che cosa infatti deve domandare per sé un innocente? — ma per i nostri peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro: «Ecco che Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» (Lc 22, 31-32). E dopo questo supplica il Padre per tutti dicendo: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 20-21).
Grande fu la bontà di Dio per la nostra salvezza, grande la sua misericordia! Egli non si accontentò di redimerci col suo sangue, ma in più volle ancora pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio mentre pregava: che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola; così anche noi rimaniamo nella stessa unità.

VENERDÌ 18 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 18 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
(Nn. 23-24; CSEL 3, 284-285)

Noi che siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio
Cristo vuole che noi chiediamo a Dio il perdono dei nostri peccati, ma ha condizionato il perdono divino al condono dei debiti che gli altri hanno con noi. Dobbiamo dunque ricordare che non è possibile ottenere ciò che chiediamo per i nostri peccati, se anche noi non avremo fatto altrettanto verso chi ha peccato contro di noi. Per questo in un passo del vangelo si dice: Con la stessa misura con la quale avrete misurato, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 7, 22). Quel servo che, pur avendo avuto il condono di tutto il suo debito dal padrone, non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno, venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse ciò che gli era stato regalato dal padrone.
Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro, che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati» (Mc 11, 25). Nessuna scusa ti rimarrà nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il criterio che tu stesso hai usato con gli altri e ciò che avrai fatto agli altri lo riceverai a tua volta. Dio infatti ha prescritto che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali egli vuole che perseveriamo, cioé nella condizione di rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio, e coloro che hanno un solo spirito, abbiano pure un’unica anima e un unico sentimento. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall’altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Anche nei sacrifici che per primi Abele e Caino offrirono, Dio non guardava ai loro doni, ma ai loro cuori, sicché nell’offerta gli era accetto chi gli era gradito nel cuore. Abele, uomo di pace e di giustizia, offre un sacrificio a Dio nell’innocenza, e così insegna che anche gli altri, quando fanno un’offerta all’altare, devono accostarsi con il timore di Dio, con il cuore semplice, con la legge della giustizia, con la pace e la concordia. Abele è tale nel sacrificio che offre a Dio; in seguito si è fatto egli stesso sacrificio a Dio, In tal modo, divenuto il primo dei martiri, poté iniziare, con la gloria del suo sangue, la passione del Signore, perché aveva posseduto la giustizia e la pace del Signore. Solo coloro che agiranno così saranno coronati dal Signore. Solo costoro nel giorno del giudizio condivideranno la gloria del Signore.
Al contrario chi vive in discordia, chi è in disunione e non ha pace con i fratelli, secondo quanto attestano il beato Apostolo e la Sacra Scrittura, non potrà sfuggire alle pene riservate ai fautori della discordia fraterna, neppure se sarà ucciso per il nome di Cristo, poiché sta scritto: «Colui che odia il proprio fratello è omicida» (1 Gv 3, 15), e l’omicida non raggiunge il regno dei cieli e non vive con Dio. Non può essere con Cristo chi ha preferito essere imitatore di Giuda piuttosto che di Cristo.

Responsorio   Cfr. Ef 4, 1. 3. 4; Rm 15, 5. 6
R. Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, conservate l’unità dello Spirito nel vincolo della pace. * Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati.
V. Dio vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, perché con un solo animo e una sola voce rendiate gloria a Dio.
R. Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati.

GIOVEDÌ 17 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

GIOVEDÌ 17 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
(Nn. 18. 22; CSEL 3, 280-281, 283-284)

Dopo il cibo, si chiede il perdono del peccato
Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l’uno e l’altro significato, nell’economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è . E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.
Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).
Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. E’ evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. E’ un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. E’ lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.
Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.
Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l’animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.
Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c’é in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1 Gv 1, 8). Nella sua lettera ha unito assieme l’una e l’altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono
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MERCOLEDÌ 16 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 16 GIUGNO 2010 – XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
(Nn. 13-15; CSEL 3, 275-278)

Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà
«Venga il tuo regno». Domandiamo che venga a noi il regno di Dio, così come chiediamo che sia santificato in noi il suo nome. Ma ci può essere un tempo in cui Dio non regna? O quando presso di lui può cominciare ciò che sempre fu e mai cessò di esistere? Non è questo che noi chiediamo, ma piuttosto che venga il nostro regno, quello che Dio ci ha promesso, e che ci è stato acquistato dal sangue e dalla passione di Cristo, perché noi, che prima siamo stati schiavi del mondo, possiamo in seguito regnare sotto la signoria di Cristo. Così egli stesso promette, dicendo: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25, 34).
In verità, fratelli carissimi, lo stesso Cristo può essere il regno di Dio di cui ogni giorno chiediamo la venuta, di cui desideriamo vedere, al più presto, l’arrivo per noi. Egli infatti è la risurrezione, poiché in lui risorgiamo. Per questo egli può essere inteso come il regno di Dio, giacché in lui regneremo. Giustamente dunque chiediamo il regno di Dio, cioè il regno celeste, poiché vi è anche un regno terrestre. Ma chi ha ormai rinunziato al mondo del male, è superiore tanto ai suoi onori quanto al suo regno.
Proseguendo nella preghiera diciamo: «Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra», non tanto perché faccia Dio che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi invece che non facciamo ciò che Dio vuole, perché contro di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il volere divino. Per questo preghiamo e chiediamo che si faccia in noi la volontà di Dio. E perché questa si faccia in noi abbiamo bisogno della volontà di Dio, cioè della sua potenza e protezione, poiché nessuno è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche il Signore, mostrando che anche in lui c’era la debolezza propria dell’uomo, disse: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26, 39). E offrendo l’esempio ai suoi discepoli perché non facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu».
La volontà di Dio dunque è quella che Cristo ha eseguito e ha insegnato. E’ umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità. Volontà di Dio è non fare dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.
Questo significa voler essere coeredi di Cristo, questo è fare il comando di Dio, questo è adempiere la volontà del Padre.

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