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DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO B) (01/04/2018)

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PASQUA: UN PASSAGGIO A VARI LIVELLI, DALL’ESODO EBRAICO ALLA RISURREZIONE FINALE

padre Antonio Rungi

Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore (Anno B) (01/04/2018)

Pasqua si sa, significa passaggio ed indica storicamente e biblicamente il passaggio da parte del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, alla Terra Promessa, la Palestina, meditante un lungo viaggio di 40 anni di gioie e travagli, per giungere alla meta indicata e scelta per la sua stabilità geografica e territoriale.
Per un cristiano, la Pasqua è la celebrazione della risurrezione del Signore, che passa dalla morte alla vita, dalla croce, alla gioia.
Per tutti la Pasqua è la festa della rinascita e della vita, di tutto ciò che ci indica la strada di un risveglio dopo il sonno dell’inverno e dopo il gelo dei giorni tristi del freddo.
La festa della Primavera, che è la Pasqua, ci pone di fronte a questo triplice passaggio di carattere biblico, teologico e naturale. E tutti questi tre passaggi sono indicati nella liturgia, a partire dalla veglia pasquale che si celebra in tutte le chiese nel sabato santo, a tarda ora, per preparare la festa della Domenica che è poi una Domenica speciale in quanto ricorda la risurrezione dai morti di nostro Signore Gesù Cristo.
Il significato di questo triplice esodo, uscita e passaggio lo troviamo sintetizzato nei testi biblici che fanno da supporto alla liturgia di questo giorno importantissimo e centrale nella religione cristiana.
Nella prima lettura della liturgia del giorno di Pasqua, tratta dagli Atti degli Apostoli è Pietro che sale in cattedra e da buon maestro, dopo l’esperienza della passione di Cristo, fortificato nella fede, si rivolge alla gente che lo stava per ascoltare con queste parole: “Dio ha risuscitato Gesù Cristo al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. Ed aggiunge: Egli ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». Sono questi i pilastri della fede nella risurrezione di Cristo: annunciare, testimoniare e perdonare.
Cristo va accolto nella fede partendo proprio da quel sepolcro vuoto. Una volta accolto va testimoniato con una vita degna di essere risorti con Lui a vita nuova. Ed infine questa risurrezione personale parte dalla consapevolezza che alla base del mistero del Cristo Morto e Risorto, c’è la misericordia di Dio nei confronti dell’umanità e da questa misericordia ripartire per portare amore e gioia, pace e riconciliazione in ogni luogo.
In fondo, è quello che scrive l’Apostolo Paolo nel breve brano della seconda lettura di oggi, tratta dalla sua Lettera ai Colossesi: essere risorti con Cristo, significa centrarsi sull’eternità, sulle cose che contano davvero, che hanno un valore eterno. Le cose di lassù non sono altre che la ricerca della vera gioia che viene da Dio e che parte dal cielo e ritorno al cielo. Le cose di quaggiù, quel del mondo della materia, che non ha cuore e vita, non possono dare vita e gioia per l’eternità. Magari possono soddisfare il cuore avaro di qualcuno, ma non certamente trasformare quel cuore freddo e gelido, in un cuore che palpita d’amore verso Dio e attaccamento alla vita. Infatti “quando Cristo, nostra vita, sarà manifestato, allora anche noi fare parte con lui nella gloria”. La dimensione eterna della risurrezione di Cristo e della nostra risurrezione finale è detta con chiarezza dal grande teologo dell’eterno, che è Paolo di Tarso.
Nel Vangelo di Giovanni è espressa con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti la risurrezione di Gesù. Dalle donne che vanno a sepolcro e non trovono il corpo di Gesù, all’allarme lanciato di fronte a quel corpo non più trovato, all’arrivo del primo gruppo degli apostoli fino alla professione della fede in Cristo Risorto che appare e conferma quello che aveva detto prima della sua passione e morte in croce. Il discernimento interiore per arrivare all’ammissione di questo dono e mistero avviene in pochi attimi e Pietro, anche questa volta, al centro della verità che va affermata e che riguarda appunto la risurrezione di Cristo, che è primizia della nuova creazione e della risurrezione finale di tutti gli uomini.
Questo triplice passaggio a cui accennavo all’inizio della riflessione per questo giorno santissimo di Pasqua, è chiarito nella preghiera della colletta di Pasqua: “O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto”.
Nel testo della sequenza che è la sintesi della teologia pasquale, espressa in canto e preghiera, noi eleviamo “alla vittima pasquale, il sacrificio di lode”, perché l’Agnello, mite ed umile, che è Cristo Signore, ha redento il suo gregge. Lui il vero Innocente di sempre e per sempre ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Ecco il grande mistero della nostra Pasqua e il significato più vero della Pasqua di Cristo.
Nella lotta tra morte e vita, è prevalsa la vita, la vita di Cristo, in quanto il Signore della vita era morto; ma ora, vivo trionfa. Cristo, nostra speranza, è risorto e ci precede in tutte le Galilee di questo mondo, per annunciare a tutti, che Egli è davvero risorto e in Lui possiamo, sperare, amare e perdonarci, possiamo guardare alla vita con il sorriso di Dio e con la gioia pasquale, che è rinascita e risurrezione per tutti, anche quando il dolore e la prova sembra bloccare il nostro passo sul calvario ai piedi della croce e del Crocifisso.

LA CENA DI GESÙ

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LA CENA DI GESÙ

Era il giorno del mese di Nissan in cui si doveva immolare l’agnello pasquale: era la Pèsach, il giorno di pasqua.
Già fin dalle prime luci dell’alba, appena svegliati, i discepoli s’avvicinarono a Gesù e gli chiesero: « Dove preferisci che prepariamo la cena pasquale? ».
Egli, ancora profumato di nardo, si rivolse a Simone e Giovanni: « Andate in città e passate dalla Porta della Fontana e non appena entrati » disse dando un’occhiata alla posizione del sole « vedrete un uomo che trasporta, compito da donna, una brocca d’acqua. Seguitelo dunque fino a casa e dite al suo padrone: « Il Maestro ti manda a dire: « Passerò la Pasqua da te. C’è una stanza in cui possa mangiare il Sèder con i miei discepoli? »". Egli allora quasi certamente vi mostrerà la sala grande del piano superiore che è sempre pronta e addobbata riccamente con tappeti e cuscini: là preparerete tutto in attesa del nostro arrivo. ».
I due si gettarono il mantello sulle spalle e presi i bastoni imboccarono la strada polverosa verso Gerusalemme dove fecero com’era stato loro detto.
Per preparare la cena di Pasqua comprarono al mercato le erbe amare (maròr), il vino di cedro, le spezie, la salsa per intingervi le verdure (haròset) e la farina per fare i pani azzimi (matztzàh). Comprarono anche l’agnello e lo sacrificarono subito al Tempio. Non appena furono tornati a casa, s’affrettarono ad arrostirlo prestando attenzione a non rompergli alcun osso, come prescritto dalla Legge. Prepararono, con cinque tipi d’erbe amare, l’insalata ed infine realizzarono numerose forme di pane azzimo, ossia senza il lievito, e mescolarono l’acqua al vino di cedro, com’era prassi a quei tempi.
Nel tardo pomeriggio, quand’ogni cosa era ormai quasi pronta, prepararono il charoseth (un dolce a base di mandorle, fichi, datteri, vino e cannella) che, in ricordo delle piramidi costruite in Egitto durante la schiavitù, si sforzavano di rendere di un marcato colore mattone.
Venuta la sera, il Maestro ed i restanti apostoli li raggiunsero a Gerusalemme e salirono al piano loro riservato. Una tavola di legno massiccio, a forma di « U » ed alta una trentina di centimetri, era in mezzo alla stanza con il lato aperto rivolto verso la porta d’ingresso mentre il posto a capotavola, per Gesù, era dall’altro capo, al centro del « ferro di cavallo ». Qualcuno iniziò a sedersi, altri restarono a chiacchierare in piedi. Simone e Giovanni lasciarono l’incarico di controllare la cottura della cena a qualcun’ altro e si sdraiarono: Simone a sinistra del Maestro mentre a destra, posto di solito occupato da Giuda di Kerioth, si mise Giovanni. I tre avrebbero mangiato sdraiati su di un unico basso lettino il cui lato dalla parte del tavolo raggiungeva alla stessa altezza dei piatti. Si sprofondarono ognuno sul proprio cuscino appoggiando il gomito sinistro e lasciando libera la mano destra per iniziare subito ad assaggiare qualche stuzzichino.
Alle sette iniziò ufficialmente la Pasqua ed alcuni servitori entrarono ed accesero i bracieri di bronzo in quanto l’aria iniziava a farsi fredda. L’agnello fu estratto dal forno caldo e, mentre gli apostoli professarono in coro il loro monoteismo: « Non c’è che un solo Dio: Iahweh. », venne posto sulla tavola, in mezzo ai piatti e ai calici. Le spezie, l’insalata, i pesci, il vino, la frutta ed il dolce erano già sul tavolo.
Tutti si sdraiarono e Gesù, terminata la purificazione delle mani, s’alzò da tavola e, mentre la prima coppa girava già tra i commensali, si tolse la tunica per non sporcarla dato che era una delle migliori che aveva. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Versò dell’acqua in un catino e poi cominciò, come un qualsiasi servo, a lavare i piedi ai propri discepoli che restarono attoniti a guardare.
Arrivato all’altezza di Simone, questi lo guardò e disse « Signore, tu vorresti forse lavarmi i piedi? ». Gesù rispose: « Quello che sto’ facendo, forse, ora non lo puoi capire. ». Al che’ Simone borbottò sbuffando: « Non mi laverai mai i piedi! ». E Gesù: « Solo se ti laverò sarai un mio discepolo. ». Simone allora, per quanto ancora perplesso, ma preso già da nuovo entusiasmo, gli disse: « Signore, allora non lavarmi solo i piedi ma anche le mani e la testa! ».
Gesù aggiunse: « Non ne avete bisogno: voi siete del tutto puri. Siete stati completamente immersi in acqua durante il battesimo e non avete alcun bisogno di lavarvi altro se non i piedi che s’impolverano sulla strada. ». Dopo che ebbe finito di lavare loro i piedi, si rivestì e sedendosi disse loro: « Sapete ciò che ho fatto? Voi mi chiamate Signore, ma se io vi ho lavato i piedi, anche voi dunque dovete lavarvi i piedi a vicenda. Vi ho dato l’esempio, e ciò che ho fatto fatelo anche voi.
Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi l’ha mandato. Voi lo sapete e sarete benedetti se vi comporterete di conseguenza. ».
Cerfoglio e prezzemolo vengono intinti nella salsa per ricordare le amarezze della vita in Egitto. Poi Gesù prese il pane ed alzatolo lo benedisse: « Benedetto colui che ha creato i frutti della terra. ». Mentre tutti bevevano a turno dal primo calice, Gesù divise il pane azzimo, simbolo della loro fretta nel lasciare la terra d’Egitto, tra i commensali e ne conservò una piccola porzione, avvolta in un panno, da mangiare a fine pasto con la frutta.
Lessero l’haggadàh, la cronaca della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. « Ecco il pane della miseria che i nostri padri hanno mangiato in Egitto. Chi ha fame venga e ne mangi; chi ha bisogno venga e celebri la Pasqua con noi. ».
Giovanni, il più giovane del gruppo, chiese come da tradizione: « Perché questa notte è diversa dalle altre notti? Perché stanotte mangiamo solo pane azzimo ed erbe amare? Perché di solito non intingiamo nulla e stanotte invece lo facciamo per ben due volte ed inoltre mangiamo solo appoggiati? ».
E Gesù rispose seguendo il rito di Pasqua: « Il Signore mi ha favorito quando uscii dall’Egitto.
Il faraone s’ostinava a trattenerci e per questo il Signore fece morire tutti i loro primogeniti, sia dell’uomo sia dell’animale. Per questo motivo siamo soliti sacrificare al Signore ogni primogenito del gregge e riscattare ogni primogenito della famiglia.
E’ stata questa promessa che ha sostenuto noi ed i nostri padri! Molti nemici hanno tentato di sterminarci, ma l’Onnipotente ci ha sempre salvato da loro. ».
Dopo aver poi spiegato, con le parole del dodicesimo libro dell’Esodo, ciò che l’agnello e le erbe rappresentano, proseguì: « Di generazione in generazione ognuno di noi ha il dovere di considerarsi come fosse stato personalmente liberato dalla schiavitù in quanto il Signore ha liberato non solo i nostri padri ma, con loro, anche noi.
Il Signore ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorre latte e miele. Noi dobbiamo ringraziare, lodare e glorificare Colui che ha compiuto per noi tutto questo. ».
Poi fu servito il pranzo contornato dalle usuali benedizioni.
Mentre, sdraiati tra i cuscini ricamati, gustavano l’agnello pasquale ed i pesci del lago di Galilea ripieni di riso e di melagrana, Gesù guardò i suoi apostoli e soffermandosi ciascuno di loro il suo sguardo e poi disse loro: « Desideravo passare questa Pasqua con voi dal momento che non ne celebrerò più finché non si compirà il regno di Dio.
Come è scritto « Uno di voi pur mangiando lo stesso mio pane, e pur servendosi dal mio stesso piatto » disse indicando il piatto centrale di portata « si leverà contro di me. »".
I suoi discepoli, stupefatti e addolorati, si guardarono tra loro e, non sapendo a chi potesse riferirsi, incominciarono a domandarsi a vicenda chi mai di loro avrebbe potuto fare ciò. Giovanni che poggiava la testa sulla sua spalla, gli chiese: « Sono forse io? » ma egli scosse la testa per tranquillizzarlo. Simone, anch’egli preoccupato nella sua emotività, chiese a Giovanni: « Dì un po’, di chi sta’ parlando? » ma la risposta di Gesù si perse nel brusio che aleggiava sulla tavola assieme alla tristezza del giorno, tra le erbe amare ed il pane dell’afflizione.
Intinto nella salsa un boccone di pane lo porse, significativo atto d’amicizia ed affetto, a Giuda di Kerioth, figlio di Simone che era fratello di Caifa. Lo guardò e gli disse: « Quello che devi fare, fallo al più presto. » ma nessuno udì le sue parole.
Egli preso il boccone uscì nella notte e Gesù disse: « Ora le scritture si avvereranno ed il figlio dell’uomo sarà glorificato, e con lui anche Dio.
Miei cari, ancora per poco sarò con voi; poi mi cercherete, ma, come vi ho già detto, vado dove non potete venire.
Io vi ho amato così come mi ha amato il Padre. Rimanete nel mio amore! Se osserverete i miei insegnamenti, come io ho osservato i comandamenti di mio Padre, rimarrete nel mio amore. Vi dico questo affinché vi rimanga la mia gioia e la vostra gioia sia completa. Vi lascio solo questo comandamento: amatevi a vicenda così come vi ho amati io e così tutti sapranno che siete miei discepoli. ».
Poi vedendoli angosciati per queste sue parole di commiato sorrise e dolcemente aggiunse: « Non siate turbati. Credete in Dio ed in me. Nella casa di mio Padre vi sono molte dimore altrimenti non v’avrei annunciato che vado a prepararvi il posto. Quando il posto sarà pronto, ritornerò e vi porterò con me. ».
Chiese Simone: « Signore, dove’ è che vai? ». E Gesù: « Voi conoscete bene la strada che porta al posto dove vado. ». Lo interruppe Tommaso: « Ma Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la strada? ». Gesù rispose: « Ma Tommaso, sono io sono la strada: si va’ al Padre attraverso me. ».
Filippo, insistendo, chiese: « Mostraci il Padre. ». Gesù sorrise: « E’ molto che sono con voi e tu non mi hai ancora conosciuto, Filippo? Chi vede me, vede il Padre. Come puoi dire: « Mostraci il padre »? Io sono nel Padre ed il Padre è in me. Le parole che dico non le dico io ma il Padre che attraverso me compie le sue opere. Credete se non alle parole almeno alle opere che compio.
Vi assicuro che chi crede in me potrà eseguire le stesse opere che compio io ed anche di più grandi perché io vado al Padre ed intercederò per lui.
Non preoccupatevi: io pregherò il Padre affinché vi mandi chi potrà consolarvi e restare sempre con voi. Lo spirito di verità, che il mondo non può accogliere in quanto non lo riconosce, voi però lo conoscete perché è già in voi: è il vostro cuore che vi parla.
Ancora un po’ e lascerò il mondo, ma voi mi vedrete sempre, perché resto in voi e quel giorno saprete che io sono nel Padre, voi in me ed io in voi. ».
Un altro apostolo, anch’egli di nome Giuda, gli si rivolge dicendo: « Ma Signore, perché ti riveli solamente a noi e non a tutto il mondo? ». Gli rispose Gesù: « Chi mi ama, mi ascolterà anche se non è qui, ora, con noi ed il Padre sarà in lui perché le parole che ascoltate non sono mie, ma del Padre che mi ha inviato. ». Giuda lo osservò perplesso.
« Vi lascio la mia pace, e non è quella terrena. Non siate turbati perché ho ricordato che me ne vado per poter ritornare. Se mi amaste, godereste del fatto che torno al Padre, perché il Padre è più grande di me. Me ne andrò non perché il principe del mondo abbia alcun potere su di me, ma perché tutti sappiano che amo il Padre e agisco secondo il suo volere.
Ho detto queste cose ora che sono con voi. Ma lo spirito consolatore che ho invocato v’insegnerà tutto e farà sì che ricordiate tutto ciò che vi ho detto. ».

Durante la serata iniziarono a discutere su chi fosse il più importante tra loro. Egli intervenne dicendo: « Anche i tiranni si fanno chiamare « benefattori », voi però cercate d’agire diversamente. Chi è il più grande diventi come il più piccolo, ed i governanti diventino come servi. Chi è infatti più grande: chi siede a tavola o chi serve? Non è forse chi siede a tavola? Nonostante questo io sono qui ora come uno che serve. ».
Poi, cambiato argomento, aggiunse: « Quando vi mandai, senza borsa e senza scarpe, vi è forse mancato qualcosa? ». « Nulla. » mormorarono i discepoli. Allora egli proseguì: « Ora, però, se avete una borsa prendetela perché sta’ per avverarsi il passo della scrittura: « E’ stato messo nel numero dei malfattori « . ».
Tutti assieme intonarono poi la prima parte dell’Hallèl.
« Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore … ».
A fine cena Gesù prese l’ultimo pezzo di pane azzimo, l’afiqomàn, e, pronunciata la benedizione del pasto (« birkàth ha mazòn »), lo spezzò e lo offrì ai suoi discepoli: « Benedetto sii tu, eterno nostro Dio, re dell’universo che trai il pane dalla terra. Questo è il pane della sofferenza che i nostri padri mangiarono in Egitto. Tutti voi che avete fame, venite e mangiate; questo sono io che mio offro a voi. Tutti voi che siete bisognosi, venite e prendete la Pèsach. Fate questo in mio ricordo e celebratelo come « zikkaròn », come una memoria. ».
Allo stesso modo prese il terzo calice prescritto per la cena pasquale, il « calice della benedizione » e rese grazie a Dio, come aveva fatto anche con le altre coppe: « Benedetto sii tu eterno nostro Dio, re dell’universo, che hai creato il frutto della vite! ». Poi la diede loro affinché se la passassero tra loro e ne bevessero tutti.
« Come nel Sinai il sacrificio sancì l’alleanza di Dio con il suo popolo, questo calice serve ora a sigillare un altra alleanza: il mio sangue sarà versato per voi e per molti, come espiazione di ogni vostra precedente mancanza.
Vi assicuro che da ora in poi" non berrò più vino, fino al giorno in cui potrò farlo con voi nel regno di Dio. Ricordate ogni volta che ne berrete. ». Il pasto venne terminato portando alle labbra la quarta coppa, l’Hallèl.
Poiché era sera tardi, dopo aver cantato gli ultimi salmi di lode, uscirono e si diressero in direzione di Betania, verso il monte detto « degli ulivi », lungo la valle del fiume Cèdron. Avevano intenzione, come d’abitudine di fermarsi a dormire presso il « Gethsèmani »: il frantoio locale.

Publié dans:PASQUA |on 20 mars, 2018 |Pas de commentaires »

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2016/documents/papa-francesco_20160326_omelia-veglia-pasquale.html

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana

Sabato Santo, 26 marzo 2016

«Pietro corse al sepolcro» (Lc 24,12). Quali pensieri potevano agitare la mente e il cuore di Pietro durante quella corsa? Il Vangelo ci dice che gli Undici, tra cui Pietro, non avevano creduto alla testimonianza delle donne, al loro annuncio pasquale. Anzi, «quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento» (v. 11). Nel cuore di Pietro c’era pertanto il dubbio, accompagnato da tanti pensieri negativi: la tristezza per la morte del Maestro amato e la delusione per averlo rinnegato tre volte durante la Passione. C’è però un particolare che segna la sua svolta: Pietro, dopo aver ascoltato le donne e non aver creduto loro, «tuttavia si alzò» (v. 12). Non rimase seduto a pensare, non restò chiuso in casa come gli altri. Non si lasciò intrappolare dall’atmosfera cupa di quei giorni, né travolgere dai suoi dubbi; non si fece assorbire dai rimorsi, dalla paura e dalle chiacchiere continue che non portano a nulla. Cercò Gesù, non se stesso. Preferì la via dell’incontro e della fiducia e, così com’era, si alzò e corse verso il sepolcro, da dove poi ritornò «pieno di stupore» (v. 12). Questo è stato l’inizio della “risurrezione” di Pietro, la risurrezione del suo cuore. Senza cedere alla tristezza e all’oscurità, ha dato spazio alla voce della speranza: ha lasciato che la luce di Dio gli entrasse nel cuore, senza soffocarla. Anche le donne, che erano uscite al mattino presto per compiere un’opera di misericordia, per portare gli aromi alla tomba, avevano vissuto la stessa esperienza. Erano «impaurite e con il volto chinato a terra», ma furono scosse all’udire le parole degli angeli: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (cfr v. 5). Anche noi, come Pietro e le donne, non possiamo trovare la vita restando tristi e senza speranza e rimanendo imprigionati in noi stessi. Ma apriamo al Signore i nostri sepolcri sigillati – ognuno di noi li conosce -, perché Gesù entri e dia vita; portiamo a Lui le pietre dei rancori e i macigni del passato, i pesanti massi delle debolezze e delle cadute. Egli desidera venire e prenderci per mano, per trarci fuori dall’angoscia. Ma questa è la prima pietra da far rotolare via questa notte: la mancanza di speranza che ci chiude in noi stessi. Che il Signore ci liberi da questa terribile trappola, dall’essere cristiani senza speranza, che vivono come se il Signore non fosse risorto e il centro della vita fossero i nostri problemi. Vediamo e vedremo continuamente dei problemi vicino a noi e dentro di noi. Ci saranno sempre, ma questa notte occorre illuminare tali problemi con la luce del Risorto, in certo senso “evangelizzarli”. Evangelizzare i problemi. Le oscurità e le paure non devono attirare lo sguardo dell’anima e prendere possesso del cuore, ma ascoltiamo la parola dell’Angelo: il Signore «non è qui, è risorto!» (v. 6); Egli è la nostra gioia più grande, è sempre al nostro fianco e non ci deluderà mai. Questo è il fondamento della speranza, che non è semplice ottimismo, e nemmeno un atteggiamento psicologico o un buon invito a farsi coraggio. La speranza cristiana è un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui. Questa speranza non delude perché lo Spirito Santo è stato effuso nei nostri cuori (cfr Rm 5,5). Il Consolatore non fa apparire tutto bello, non elimina il male con la bacchetta magica, ma infonde la vera forza della vita, che non è l’assenza di problemi, ma la certezza di essere amati e perdonati sempre da Cristo, che per noi ha vinto il peccato, ha vinto la morte, ha vinto la paura. Oggi è la festa della nostra speranza, la celebrazione di questa certezza: niente e nessuno potranno mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8,39). Il Signore è vivo e vuole essere cercato tra i vivi. Dopo averlo incontrato, ciascuno viene inviato da Lui a portare l’annuncio di Pasqua, a suscitare e risuscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, in chi fatica a trovare la luce della vita. Ce n’è tanto bisogno oggi. Dimentichi di noi stessi, come servi gioiosi della speranza, siamo chiamati ad annunciare il Risorto con la vita e mediante l’amore; altrimenti saremmo una struttura internazionale con un grande numero di adepti e delle buone regole, ma incapace di donare la speranza di cui il mondo è assetato. Come possiamo nutrire la nostra speranza? La Liturgia di questa notte ci dà un buon consiglio. Ci insegna a fare memoria delle opere di Dio. Le letture ci hanno narrato, infatti, la sua fedeltà, la storia del suo amore verso di noi. La Parola di Dio viva è capace di coinvolgerci in questa storia di amore, alimentando la speranza e ravvivando la gioia. Ce lo ricorda anche il Vangelo che abbiamo ascoltato: gli angeli, per infondere speranza alle donne, dicono: «Ricordatevi come [Gesù] vi parlò» (v. 6). Fare memoria delle parole di Gesù, fare memoria di tutto quello che Lui ha fatto nella nostra vita. Non dimentichiamo la sua Parola e le sue opere, altrimenti perderemo la speranza e diventeremo cristiani senza speranza; facciamo invece memoria del Signore, della sua bontà e delle sue parole di vita che ci hanno toccato; ricordiamole e facciamole nostre, per essere sentinelle del mattino che sanno scorgere i segni del Risorto. Cari fratelli e sorelle, Cristo è risorto! E noi abbiamo la possibilità di aprirci e ricevere il suo dono di speranza. Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino; la memoria delle sue opere e delle sue parole sia luce sfolgorante, che orienta i nostri passi nella fiducia, verso quella Pasqua che non avrà fine.

 

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