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LA CENA DI GESÙ
Era il giorno del mese di Nissan in cui si doveva immolare l’agnello pasquale: era la Pèsach, il giorno di pasqua.
Già fin dalle prime luci dell’alba, appena svegliati, i discepoli s’avvicinarono a Gesù e gli chiesero: « Dove preferisci che prepariamo la cena pasquale? ».
Egli, ancora profumato di nardo, si rivolse a Simone e Giovanni: « Andate in città e passate dalla Porta della Fontana e non appena entrati » disse dando un’occhiata alla posizione del sole « vedrete un uomo che trasporta, compito da donna, una brocca d’acqua. Seguitelo dunque fino a casa e dite al suo padrone: « Il Maestro ti manda a dire: « Passerò la Pasqua da te. C’è una stanza in cui possa mangiare il Sèder con i miei discepoli? »". Egli allora quasi certamente vi mostrerà la sala grande del piano superiore che è sempre pronta e addobbata riccamente con tappeti e cuscini: là preparerete tutto in attesa del nostro arrivo. ».
I due si gettarono il mantello sulle spalle e presi i bastoni imboccarono la strada polverosa verso Gerusalemme dove fecero com’era stato loro detto.
Per preparare la cena di Pasqua comprarono al mercato le erbe amare (maròr), il vino di cedro, le spezie, la salsa per intingervi le verdure (haròset) e la farina per fare i pani azzimi (matztzàh). Comprarono anche l’agnello e lo sacrificarono subito al Tempio. Non appena furono tornati a casa, s’affrettarono ad arrostirlo prestando attenzione a non rompergli alcun osso, come prescritto dalla Legge. Prepararono, con cinque tipi d’erbe amare, l’insalata ed infine realizzarono numerose forme di pane azzimo, ossia senza il lievito, e mescolarono l’acqua al vino di cedro, com’era prassi a quei tempi.
Nel tardo pomeriggio, quand’ogni cosa era ormai quasi pronta, prepararono il charoseth (un dolce a base di mandorle, fichi, datteri, vino e cannella) che, in ricordo delle piramidi costruite in Egitto durante la schiavitù, si sforzavano di rendere di un marcato colore mattone.
Venuta la sera, il Maestro ed i restanti apostoli li raggiunsero a Gerusalemme e salirono al piano loro riservato. Una tavola di legno massiccio, a forma di « U » ed alta una trentina di centimetri, era in mezzo alla stanza con il lato aperto rivolto verso la porta d’ingresso mentre il posto a capotavola, per Gesù, era dall’altro capo, al centro del « ferro di cavallo ». Qualcuno iniziò a sedersi, altri restarono a chiacchierare in piedi. Simone e Giovanni lasciarono l’incarico di controllare la cottura della cena a qualcun’ altro e si sdraiarono: Simone a sinistra del Maestro mentre a destra, posto di solito occupato da Giuda di Kerioth, si mise Giovanni. I tre avrebbero mangiato sdraiati su di un unico basso lettino il cui lato dalla parte del tavolo raggiungeva alla stessa altezza dei piatti. Si sprofondarono ognuno sul proprio cuscino appoggiando il gomito sinistro e lasciando libera la mano destra per iniziare subito ad assaggiare qualche stuzzichino.
Alle sette iniziò ufficialmente la Pasqua ed alcuni servitori entrarono ed accesero i bracieri di bronzo in quanto l’aria iniziava a farsi fredda. L’agnello fu estratto dal forno caldo e, mentre gli apostoli professarono in coro il loro monoteismo: « Non c’è che un solo Dio: Iahweh. », venne posto sulla tavola, in mezzo ai piatti e ai calici. Le spezie, l’insalata, i pesci, il vino, la frutta ed il dolce erano già sul tavolo.
Tutti si sdraiarono e Gesù, terminata la purificazione delle mani, s’alzò da tavola e, mentre la prima coppa girava già tra i commensali, si tolse la tunica per non sporcarla dato che era una delle migliori che aveva. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Versò dell’acqua in un catino e poi cominciò, come un qualsiasi servo, a lavare i piedi ai propri discepoli che restarono attoniti a guardare.
Arrivato all’altezza di Simone, questi lo guardò e disse « Signore, tu vorresti forse lavarmi i piedi? ». Gesù rispose: « Quello che sto’ facendo, forse, ora non lo puoi capire. ». Al che’ Simone borbottò sbuffando: « Non mi laverai mai i piedi! ». E Gesù: « Solo se ti laverò sarai un mio discepolo. ». Simone allora, per quanto ancora perplesso, ma preso già da nuovo entusiasmo, gli disse: « Signore, allora non lavarmi solo i piedi ma anche le mani e la testa! ».
Gesù aggiunse: « Non ne avete bisogno: voi siete del tutto puri. Siete stati completamente immersi in acqua durante il battesimo e non avete alcun bisogno di lavarvi altro se non i piedi che s’impolverano sulla strada. ». Dopo che ebbe finito di lavare loro i piedi, si rivestì e sedendosi disse loro: « Sapete ciò che ho fatto? Voi mi chiamate Signore, ma se io vi ho lavato i piedi, anche voi dunque dovete lavarvi i piedi a vicenda. Vi ho dato l’esempio, e ciò che ho fatto fatelo anche voi.
Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi l’ha mandato. Voi lo sapete e sarete benedetti se vi comporterete di conseguenza. ».
Cerfoglio e prezzemolo vengono intinti nella salsa per ricordare le amarezze della vita in Egitto. Poi Gesù prese il pane ed alzatolo lo benedisse: « Benedetto colui che ha creato i frutti della terra. ». Mentre tutti bevevano a turno dal primo calice, Gesù divise il pane azzimo, simbolo della loro fretta nel lasciare la terra d’Egitto, tra i commensali e ne conservò una piccola porzione, avvolta in un panno, da mangiare a fine pasto con la frutta.
Lessero l’haggadàh, la cronaca della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. « Ecco il pane della miseria che i nostri padri hanno mangiato in Egitto. Chi ha fame venga e ne mangi; chi ha bisogno venga e celebri la Pasqua con noi. ».
Giovanni, il più giovane del gruppo, chiese come da tradizione: « Perché questa notte è diversa dalle altre notti? Perché stanotte mangiamo solo pane azzimo ed erbe amare? Perché di solito non intingiamo nulla e stanotte invece lo facciamo per ben due volte ed inoltre mangiamo solo appoggiati? ».
E Gesù rispose seguendo il rito di Pasqua: « Il Signore mi ha favorito quando uscii dall’Egitto.
Il faraone s’ostinava a trattenerci e per questo il Signore fece morire tutti i loro primogeniti, sia dell’uomo sia dell’animale. Per questo motivo siamo soliti sacrificare al Signore ogni primogenito del gregge e riscattare ogni primogenito della famiglia.
E’ stata questa promessa che ha sostenuto noi ed i nostri padri! Molti nemici hanno tentato di sterminarci, ma l’Onnipotente ci ha sempre salvato da loro. ».
Dopo aver poi spiegato, con le parole del dodicesimo libro dell’Esodo, ciò che l’agnello e le erbe rappresentano, proseguì: « Di generazione in generazione ognuno di noi ha il dovere di considerarsi come fosse stato personalmente liberato dalla schiavitù in quanto il Signore ha liberato non solo i nostri padri ma, con loro, anche noi.
Il Signore ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorre latte e miele. Noi dobbiamo ringraziare, lodare e glorificare Colui che ha compiuto per noi tutto questo. ».
Poi fu servito il pranzo contornato dalle usuali benedizioni.
Mentre, sdraiati tra i cuscini ricamati, gustavano l’agnello pasquale ed i pesci del lago di Galilea ripieni di riso e di melagrana, Gesù guardò i suoi apostoli e soffermandosi ciascuno di loro il suo sguardo e poi disse loro: « Desideravo passare questa Pasqua con voi dal momento che non ne celebrerò più finché non si compirà il regno di Dio.
Come è scritto « Uno di voi pur mangiando lo stesso mio pane, e pur servendosi dal mio stesso piatto » disse indicando il piatto centrale di portata « si leverà contro di me. »".
I suoi discepoli, stupefatti e addolorati, si guardarono tra loro e, non sapendo a chi potesse riferirsi, incominciarono a domandarsi a vicenda chi mai di loro avrebbe potuto fare ciò. Giovanni che poggiava la testa sulla sua spalla, gli chiese: « Sono forse io? » ma egli scosse la testa per tranquillizzarlo. Simone, anch’egli preoccupato nella sua emotività, chiese a Giovanni: « Dì un po’, di chi sta’ parlando? » ma la risposta di Gesù si perse nel brusio che aleggiava sulla tavola assieme alla tristezza del giorno, tra le erbe amare ed il pane dell’afflizione.
Intinto nella salsa un boccone di pane lo porse, significativo atto d’amicizia ed affetto, a Giuda di Kerioth, figlio di Simone che era fratello di Caifa. Lo guardò e gli disse: « Quello che devi fare, fallo al più presto. » ma nessuno udì le sue parole.
Egli preso il boccone uscì nella notte e Gesù disse: « Ora le scritture si avvereranno ed il figlio dell’uomo sarà glorificato, e con lui anche Dio.
Miei cari, ancora per poco sarò con voi; poi mi cercherete, ma, come vi ho già detto, vado dove non potete venire.
Io vi ho amato così come mi ha amato il Padre. Rimanete nel mio amore! Se osserverete i miei insegnamenti, come io ho osservato i comandamenti di mio Padre, rimarrete nel mio amore. Vi dico questo affinché vi rimanga la mia gioia e la vostra gioia sia completa. Vi lascio solo questo comandamento: amatevi a vicenda così come vi ho amati io e così tutti sapranno che siete miei discepoli. ».
Poi vedendoli angosciati per queste sue parole di commiato sorrise e dolcemente aggiunse: « Non siate turbati. Credete in Dio ed in me. Nella casa di mio Padre vi sono molte dimore altrimenti non v’avrei annunciato che vado a prepararvi il posto. Quando il posto sarà pronto, ritornerò e vi porterò con me. ».
Chiese Simone: « Signore, dove’ è che vai? ». E Gesù: « Voi conoscete bene la strada che porta al posto dove vado. ». Lo interruppe Tommaso: « Ma Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la strada? ». Gesù rispose: « Ma Tommaso, sono io sono la strada: si va’ al Padre attraverso me. ».
Filippo, insistendo, chiese: « Mostraci il Padre. ». Gesù sorrise: « E’ molto che sono con voi e tu non mi hai ancora conosciuto, Filippo? Chi vede me, vede il Padre. Come puoi dire: « Mostraci il padre »? Io sono nel Padre ed il Padre è in me. Le parole che dico non le dico io ma il Padre che attraverso me compie le sue opere. Credete se non alle parole almeno alle opere che compio.
Vi assicuro che chi crede in me potrà eseguire le stesse opere che compio io ed anche di più grandi perché io vado al Padre ed intercederò per lui.
Non preoccupatevi: io pregherò il Padre affinché vi mandi chi potrà consolarvi e restare sempre con voi. Lo spirito di verità, che il mondo non può accogliere in quanto non lo riconosce, voi però lo conoscete perché è già in voi: è il vostro cuore che vi parla.
Ancora un po’ e lascerò il mondo, ma voi mi vedrete sempre, perché resto in voi e quel giorno saprete che io sono nel Padre, voi in me ed io in voi. ».
Un altro apostolo, anch’egli di nome Giuda, gli si rivolge dicendo: « Ma Signore, perché ti riveli solamente a noi e non a tutto il mondo? ». Gli rispose Gesù: « Chi mi ama, mi ascolterà anche se non è qui, ora, con noi ed il Padre sarà in lui perché le parole che ascoltate non sono mie, ma del Padre che mi ha inviato. ». Giuda lo osservò perplesso.
« Vi lascio la mia pace, e non è quella terrena. Non siate turbati perché ho ricordato che me ne vado per poter ritornare. Se mi amaste, godereste del fatto che torno al Padre, perché il Padre è più grande di me. Me ne andrò non perché il principe del mondo abbia alcun potere su di me, ma perché tutti sappiano che amo il Padre e agisco secondo il suo volere.
Ho detto queste cose ora che sono con voi. Ma lo spirito consolatore che ho invocato v’insegnerà tutto e farà sì che ricordiate tutto ciò che vi ho detto. ».
Durante la serata iniziarono a discutere su chi fosse il più importante tra loro. Egli intervenne dicendo: « Anche i tiranni si fanno chiamare « benefattori », voi però cercate d’agire diversamente. Chi è il più grande diventi come il più piccolo, ed i governanti diventino come servi. Chi è infatti più grande: chi siede a tavola o chi serve? Non è forse chi siede a tavola? Nonostante questo io sono qui ora come uno che serve. ».
Poi, cambiato argomento, aggiunse: « Quando vi mandai, senza borsa e senza scarpe, vi è forse mancato qualcosa? ». « Nulla. » mormorarono i discepoli. Allora egli proseguì: « Ora, però, se avete una borsa prendetela perché sta’ per avverarsi il passo della scrittura: « E’ stato messo nel numero dei malfattori « . ».
Tutti assieme intonarono poi la prima parte dell’Hallèl.
« Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore … ».
A fine cena Gesù prese l’ultimo pezzo di pane azzimo, l’afiqomàn, e, pronunciata la benedizione del pasto (« birkàth ha mazòn »), lo spezzò e lo offrì ai suoi discepoli: « Benedetto sii tu, eterno nostro Dio, re dell’universo che trai il pane dalla terra. Questo è il pane della sofferenza che i nostri padri mangiarono in Egitto. Tutti voi che avete fame, venite e mangiate; questo sono io che mio offro a voi. Tutti voi che siete bisognosi, venite e prendete la Pèsach. Fate questo in mio ricordo e celebratelo come « zikkaròn », come una memoria. ».
Allo stesso modo prese il terzo calice prescritto per la cena pasquale, il « calice della benedizione » e rese grazie a Dio, come aveva fatto anche con le altre coppe: « Benedetto sii tu eterno nostro Dio, re dell’universo, che hai creato il frutto della vite! ». Poi la diede loro affinché se la passassero tra loro e ne bevessero tutti.
« Come nel Sinai il sacrificio sancì l’alleanza di Dio con il suo popolo, questo calice serve ora a sigillare un altra alleanza: il mio sangue sarà versato per voi e per molti, come espiazione di ogni vostra precedente mancanza.
Vi assicuro che da ora in poi" non berrò più vino, fino al giorno in cui potrò farlo con voi nel regno di Dio. Ricordate ogni volta che ne berrete. ». Il pasto venne terminato portando alle labbra la quarta coppa, l’Hallèl.
Poiché era sera tardi, dopo aver cantato gli ultimi salmi di lode, uscirono e si diressero in direzione di Betania, verso il monte detto « degli ulivi », lungo la valle del fiume Cèdron. Avevano intenzione, come d’abitudine di fermarsi a dormire presso il « Gethsèmani »: il frantoio locale.