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IL MATRIMONIO E LA TEOLOGIA DEL CORPO IN SAN PAOLO
Nel secondo millennio dalla nascita di San Paolo ormai tutti sanno che lui è il grande «teologo», ossia il profeta e il pensatore, del mistero della Redenzione . Per lui l’evento centrale dell’uomo, del mondo e della storia, è la liberazione dal peccato operata da Cristo con la sua immolazione sulla Croce (cf Rm 3,21-31). La salvezza dell’uomo in Cristo è il nucleo della sua predicazione. La premessa necessaria è l’esistenza di un peccato sia personale sia collettivo (cf. Rm 5, 8-19; 1Cor 15,21-22). La creazione intera, afferma l’Apostolo nella Lettera ai Romani, soffre e geme con dolori di parto, perché sta aspettando la manifestazione dei figli di Dio (cf. Rm 8,19-23). In questo contesto, squisitamente soteriologico, si inserisce la riflessione sull’uomo e sulla famiglia. L’uomo, che si riconosce fin dall’inizio peccatore, sa che il suo progenitore è Adamo, dal quale sono venuti il peccato e la morte; ma sa anche che il nuovo capo dell’umanità è Cristo .
L’incarnazione ci rivela che il corpo umano, proprio in quanto assunto da Cristo nell’ambito di un’umanità perfetta per esse¬re strumento e «mediatore» della Redenzione, il corpo umano non è una semplice «appendice» della salvezza individuale, ma lo strumento mediante cui si compie la salvezza di ogni uomo. Dio ci salva incarnandosi o, come dicono le antiche professioni di fede, «ominizzandosi» , quindi l’uomo deve far propria questa salvezza scoprendo due cose:
1. la prima è l’integrità della persona umana, in quanto composta da anima e corpo;
2. la seconda è il valore del corpo nell’ordine soprannaturale.
E in questo senso che il platonismo e qualsiasi dualismo che consideri il corpo come un peso, un freno, un carcere dell’ani¬ma, si allontanano radicalmente dal cristianesimo . L’ascetica platonica o pitagorica, e più ancora quella stoica, non hanno niente a che vedere con il senso cristiano della vita. San Paolo lo mette in luce con assoluta chiarezza: non ci salviamo eliminando il nostro corpo, come se dovessimo recuperare una per¬duta condizione angelica; ci salviamo, invece, dando il nostro corpo, sacrificandolo, impiegandolo per servire Dio e gli altri.
Ecco perché il corpo umano ha in sé una dimensione «oblativa», ossia «sponsale». Il corpo umano è fatto per essere generosamente «donato», non per essere annullato. Tutto ciò è particolarmente vero rispetto alla sessualità, che al corpo è indissolubilmente legata, e quindi alle forme che la sessualità umana assume: il matrimonio e il celibato. Perché il celibato non è una repressione della sessualità, ma un modo di esercitarla, concedendo una funzione prevalente non alla generazione fisica, ma a quella spirituale.
Il celibe non è una persona che rinuncia all’amore umano, bensì colui che ne sceglie una strada specifica: l’affetto universale, il cuore disponibile, una carità autentica piena di particolari concreti; una vera paternità o maternità, sollecita e attenta alle circostanze; una dedizione generosa, anche fisica; la grandezza d’animo, infine, di chi sa capire, aiutare, perdonare e sorreggere. E chiaro che quando parliamo di celibato non stiamo parlando necessariamente di uno «stato di vita» o della «vita di perfezione»; ma stiamo parlando della condizione di chi vuol vivere il celibato nella sua situazione nel mondo o di chi, senza averla cercata, accetta la condizione che la Provvidenza gli riserva .
Ovviamente ciò implica un concetto ampio di sessualità, ma chi ha detto che la sessualità umana si limita alla funzione ge¬nerativa? Non è forse l’uomo un essere che, quando «genera», non trasmette solo la vita biologica ma una vita «umana», ossia dotata di fattori intellettuali e volitivi che culminano nell’accet¬tazione di un ordine etico? Se ciò è vero dal punto di vista naturale lo è ancora di più da quello soprannaturale. Ecco quindi perché san Paolo ci offre un’occasione stupenda per scoprire in che modo il corpo umano partecipa al disegno divino della Redenzione.
Inoltre, a ben guardare, la vera dottrina paolina si discosta nettamente dalle due interpretazioni che storicamente ne sono state date, quella luterana e quella pelagiana. Infatti l’interpretazione luterana rimane eccessivamente legata alla condizione dell’uomo come peccatore e ignora, quindi, tutto il valore che l’incarnazione possiede come santificazione delle realtà umane. E una soteriologia esaltata ma falsa, perché pretende di salvare l’uomo «nonostante» la sua condizione umana. Inoltre, per forza di cose, la prospettiva luterana porta a una svalutazione della condizione umana di Cristo, avvicinandosi così alle antiche eresie di tipo docetista e monofisita. Si potrebbe quasi dire, e non mancano elementi storici per sostenerlo, che il luteranesimo non è lontano dal manicheismo.
L’altra ermeneutica del pensiero paolino è del tutto opposta: l’interpretazione pelagiana si sofferma solo sull’aspetto etico della dottrina dell’Apostolo, quasi che la salvezza dipenda dall’acquisizione delle virtù e non dalla grazia gratuita di Dio. San Paolo ricevette da Dio la missione di liberare l’uomo dalla schiavitù della legge di Mose e pertanto ne dichiarò decaduti i precetti. L’Apostolo insegnò inoltre che Cristo aveva stabilito una nuova legge: quella della carità. Eppure i pelagiani ritennero che san Paolo parlasse non di una legge spirituale, fondata sulla libera accettazione dell’amore che Dio ci offre, ma di una vera e propria legge, con nuovi precetti e nuove norme. Perciò essi affermavano di difendere la bontà del matrimonio, dei precetti, dell’uomo e della società, ma in realtà il loro era solamente un moralismo attivista, facile preda della riduzione a semplice filantropia. Al pelagianesimo si avvicina un certo modo di predicare che sottolinea esclusivamente lo sforzo e l’attività umani. Molto più affine alle opinioni di Pelagio è comunque l’atteggiamento, molto diffuso ai nostri tempi, che ignora, almeno in pratica, la realtà del peccato originale e ritiene che tutto ciò che è umano sia per ciò stesso buono e santo.
Per quanto riguarda il matrimonio e la sessualità, la visione luterana ha condotto e conduce al puritanesimo e quindi a pro¬porre, come modello di santità, una condotta «angelica». Il che porta inevitabilmente alla sua perversione, ossia alla convinzione che il peccato sia inevitabile e irresistibile. Invece l’ottica pelagiana rivaluta ed esalta, con apparente ottimismo, l’amore umano e l’unione coniugale. Ma, trascinata dal suo stesso slancio umanitario, finisce per deformare quegli stessi valori che vuole difendere. L’enfasi posta sull’amore reciproco dei coniugi, per esempio, ha fatto dimenticare la realtà della concupiscenza, il valore del celibato e la necessaria relazione dell’amore coniugale con la procreazione e l’educazione dei figli. Si potrebbe addirittura sostenere, senza tema di esagerare, che l’accettazione indiscriminata di qualsiasi metodo contraccettivo, purché marito e moglie si amino, è frutto di una certa mentalità pelagiana, rafforzata dal materialismo e dal pansessualismo imperanti. Il pelagianesimo, come il luteranesimo, offre di Cristo un’immagine deformata: Cristo è fondamentalmente «uomo», in consonanza con una visione di tipo subordinazionista o adozionista . Al più si può riconoscere che Cristo è sommamente santo e rivela all’uomo l’elemento divino presente nell’uomo. La soteriologia pelagiana, di conseguenza, è una soteriologia già realizzata: la Creazione e la Salvezza si implicano necessariamente.
Occorre dunque ritornare all’autentico pensiero di san Paolo che, non dimentichiamolo, è un pensiero ispirato. Orbene, nel vero pensiero paolino il corpo umano fa blocco unico con l’anima; anzi ciò che san Paolo prende in considerazione è l’uomo tutto intero, l’uomo così com’è, nella sua unità sostanziale di anima e corpo; e, aggiungiamo, di «pneuma», cioè di spirito, di presenza di Dio, di azione della grazia. Perciò nulla è più lontano dalla dottrina dell’Apostolo della sua versione manichea, quasi che san Paolo disprezzasse il corpo; e nulla è più distante da san Paolo della sua versione pelagiana, che lo riduce a un predicatore moraleggiante. Invece san Paolo è ben cosciente del dramma dell’uomo, ossia del dramma scatenato dal peccato originale che provoca in lui una divisione radicale e lo spinge a fare il male che non vuole, allontanandolo dal bene che vuole (cf. Rm 7,15-20).
Eppure l’Apostolo sa bene che gli uomini possono salvarsi solo come uomini e non come angeli, perché Gesù è un uomo, come uomo era Adamo. Ecco quindi che il corpo prende parte alla Redenzione. Primo come termine d’arrivo o «ricettacolo» della salvezza e della gloria: il nostro corpo è destinato a essere santificato e, dopo la morte, a resuscitare con Cristo e a ricevere la gloria (cf. 1 Cor 15,20-28). La grazia che proviene dall’incarnazione penetra tutta la realtà umana e ci converte in figli di Dio (cf. Rm 8, 3-17) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1Cor 3, 16; 6,19) fino alla nostra più profonda radice: «Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (1Cor 6,20; cf. Rm 12,1).
Non si tratta solo di una funzione ricettiva, il corpo ci serve come strumento per manifestare ciò che è il vin¬colo della perfezione (cf. Col 3,14): quella carità nella quale si riassumono la Legge e i Profeti (cf. Rm 13,8). Per l’Apostolo vivere la carità vuol dire assumere un atteggiamento attivo, dar¬si agli altri, aiutarli nelle loro necessità spirituali e materiali . Quindi è affetto, comprensione, aiuto, sostegno: «Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Il corpo è lo strumento naturale e indispensabile di questa sollecitudine amorosa.
Ma c’è di più. La condizione del cristiano è quella di chi si è «sposato» con Cristo (cf. 2Cor 11,2). Ciò implica che dobbiamo dare a Dio non solo i nostri pensieri ma tutto il nostro essere: affetti, parole, opere. Il modello, che non è solo modello ma anche causa, è Cristo. Dobbiamo imparare o meglio dobbiamo lasciarci «cristificare». Si tratta di vivere con la vita di Cristo, di giungere alla perfetta identificazione con il Figlio di Dio. «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Se è Cristo colui che vive in me, allora il mio corpo ha lo stesso ruolo del Corpo di Cristo, è parte sostanzia¬le della sua umanità e, quindi, strumento della Redenzione. Ecco perché si può dire che il corpo umano è «sacramentalizzabile», ossia è soggetto idoneo a fondare tutta l’economia sacra¬mentale, che è appunto formata da un elemento invisibile, la grazia, e da un elemento sensibile, l’uomo. Ne risulta rivalutato il sacramento del matrimonio, che ha come materia il corpo dei coniugi, proprio perché è un sacramento nel quale l’amore umano, avvolto dall’amore di Cristo per la Chiesa, diventa strumento che realizza il Regno. Ecco, in rapida sintesi, gli aspetti concettuali di questa «teologia del corpo» presente negli scritti paolini.