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PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (02/02/2020)
Vedere l’invisibile, toccare l’intangibile
don Luciano Cantini
Per presentarlo al Signore
Gerusalemme, non è soltanto una città, è un simbolo, un luogo di incontro fra diverse civiltà, diversi modi di pensare, città santa per eccellenza, per tanti popoli e di diverse fedi dove le tre religioni del ceppo biblico ritrovano le proprie origini e le proprie verità. Con la sua unicità, oggi, ci dice che le diverse religioni possono, anzi debbano poter convivere una a fianco dell’altra. La sua storia si perde nelle radici dell’umanità e si proietta nella eternità oltre la fine della storia nella Gerusalemme celeste (Ap 21, 1-22), la nuova città, descritta da Ezechiele (dal capitolo 40 al 48), che è senza tempio, meglio è tutta tempio, tutta dimora di Dio. Al tempo di Gesù la città era dominata dall’altura del tempio, brulicava quotidianamente di pellegrini, sacerdoti, addetti, mercanti. Una folla chiassosa e indaffarata. Quasi nascosti e anonimi, Maria e Giuseppe portano il loro piccolo per adempiere le prescrizioni e compiere l’offerta alla porta detta di Nicanore che metteva in comunicazione il cortile con quello più interno dedicato agli uomini, era un luogo di passaggio fondamentale per il culto, da lì passavano gli uomini che assistevano ai sacrifici, i sacerdoti, i leviti addetti a ricevere le offerte e riconsegnarle, un viavai di persone e cose; quella porta era raggiungibile dalle donne, il punto più vicino al santuario per concludere il periodo di purificazione dopo il parto come chiesto dalla Legge. Nella confusione di quel luogo emerge con evidenza l’azione dello Spirito Santo che fa incontrare i tre pellegrini con Simeone e Anna.
C’era un uomo
Simeone è raffigurato spesso come anziano con indosso abiti sacerdotali, ma Luca lo descrive come uomo giusto e pio, non un sacerdote ma semplicemente un uomo di Gerusalemme che si lasciava guidare dallo Spirito Santo. Luca lo dice ben per tre volte: era su di lui, gli aveva preannunciato, lo ha mosso. È incredibile come la docilità dell’uomo permetta di andare oltre il visibile e diventare strumento di manifestazione del progetto di Dio. La vita e` una tensione verso il futuro, l’uomo e` aspettativa che nel presente lancia i suoi barlumi. Di Simeone, dice san Luca che «aspettava la consolazione d’Israele», sapeva di poter vedere ciò che ora ha visto e afferma: i miei occhi hanno visto la tua salvezza. Quel bambino non era molto diverso dagli altri portati al tempio e quella giovane coppia non era differente dalle altre ma gli occhi di Simeone hanno visto ciò che il suo cuore aveva visto in precedenza. Lui ha visto il Cristo “prima” nella dimensione dell’attesa e gli ha permesso di riconoscerlo il quel bambino portato al tempio dai suoi genitori e di vederlo “dopo” splendente di luce per le Genti e di gloria per il suo popolo.
C’era anche una profetessa
Anna sopraggiunta in quel momento si unisce a Simeone, vede il bambino, e si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. I loro occhi potevano essere velati dalla sofferenza, dalla solitudine, dalla rassegnazione, dalla delusione della speranza; quegli occhi potevano guardare altrove, cercare barlumi di felicità, potevano affievolirsi, limitandosi a vedere solo da vicino. Invece, Simeone e Anna sanno attendere per una vita intera, hanno la certezza che la “Promessa” non è vuota e conservano così uno sguardo di speranza, i loro occhi sono capaci di vedere oltre. Sono gli occhi della Fede che vedono oltre ciò che gli altri vedono.
Fecero ritorno in Galilea
L’incontro con Simeone e Anna sembra, nel racconto di Luca, precedere l’azione rituale prevista dalla Legge. Siamo tentati di comprendere il giudaismo come espressione degli Scribi e dei Farisei, dei sacerdoti e degli anziani del popolo; la fede e la speranza di Simeone e Anna testimoniano da dimensione della fedeltà alla Alleanza del popolo d’Israele che precede ogni azione rituale. Non hanno una dottrina da insegnare o una teologia da manifestare, neanche una liturgia da celebrare, sono soltanto testimoni che Dio ancora opera la sua salvezza. Il tempio è frequentato ogni giorno da tante persone, che si avvicendano tra preghiere e liturgie. Eppure, solo Simeone e Anna hanno fede, occhi che vedono, senza appartenere alla gerarchia, o a qualche gruppo o movimento. Luca non spende una parola per raccontare quanto aveva annunciato offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore; lo Spirito Santo aveva già mostrato il compimento e la prospettiva, così l’autore del vangelo sorvola dicendo quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore.
Ancora oggi possiamo immergerci in solenni liturgie, preghiere e devozioni senza scorgere la presenza luminosa di Dio; avere occhi solo per le cose ovvie, abbagliati dall’abitudine o dall’indifferenza, attenti solo a se stessi e i propri bisogni. La fede cambia gli occhi: ci permette di vigilare nell’attesa, senza smettere di cercare e di sognare l’infinito di Dio in ogni cosa e riconoscerlo negli anfratti nascosti della storia e del mondo.