IL « GRANDE MISTERO» LA LETTURA DI Ef 5, 21-33 NELLA MULIERIS DIGNITATEM – ALBERT VANHOYE,
IL « GRANDE MISTERO» LA LETTURA DI Ef 5, 21-33 NELLA MULIERIS DIGNITATEM
ALBERT VANHOYE, S.J. Rettore della Facoltà di Sacra Scrittura nel Pont. Istituto Biblico dell’Università Gregoriana. Membro della Pont. Commissione Biblica Pubblicato in: AA.VV., Dignità e vocazione della donna: per una lettura della Mulieris Dignitatem. Testo e commenti. Città del Vaticano 1989.
Libreria Editrice Vaticana
I1 21 agosto scorso, la seconda lettura della celebrazione eucaristica domenicale era il celebre passo della Lettera agli Efesini che si rivolge alle mogli e ai mariti per esortarli a una condotta matrimoniale pienamente cristiana, cioè ispirata dal mistero pasquale di Cristo. Nel luogo dove mi trovavo, questa lettura suscitò vive reazioni. «Questo testo, osservava una persona, mette tutti a disagio, in particolare i sacerdoti che lo debbono commentare nell’omelia. Preferiscono non parlarne». Un’altra aggiungeva: «Se a leggerlo durante la messa fosse stata invitata Suor Tizia, femminista, sono certa che avrebbe rifiutato, perché questo testo è ritenuto inaccettabile dalle femministe». Il punto nevralgico era evidentemente l’esortazione indirizzata alle mogli, cioè di «essere sottomesse ai mariti» (E f 5, 22. 24). Fissati su questo punto molto contestato ai nostri tempi, molti uditori e uditrici non danno più la minima attenzione agli altri contenuti del brano, per quanto siano illuminanti e profondi. In tale situazione, la Lettera Apostolica Mulieris dignitatem ci offre un insegnamento quanto mai opportuno. Sapendo evidentemente che le reazioni negative provocate dai vv. 22-24 ostacolano una lettura proficua dell’insieme del testo, Giovanni Paolo II ha scelto di omettere questi versetti nella prima presentazione che egli fa del brano, all’inizio del cap. VII della Lettera Apostolica (n. 23). In questo posto, vengono letti soltanto i vv. 25-32. Tale scelta si giustifica perfettamente, dal fatto che il tema del capitolo non è la situazione delle mogli, ma «La Chiesa-Sposa di Cristo», secondo l’orientamento preso dal testo paolino, il quale presenta tutto «in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5, 32). Come l’apostolo in Ef 5, 25-32, così la Lettera Apostolica invita i cristiani a innalzare i loro sguardi al di sopra delle loro preoccupazioni e rivendicazioni immediate, per contemplare il «grande mistero» dell’amore estremo di Cristo per la Chiesa e dell’unione sponsale della Chiesa con Cristo. Senza contemplazione, il popolo non può che perire. Se i cristiani si lasciano intrappolare in problematiche sociologiche, non potranno mai trovare le soluzioni feconde, che lo Spirito di Cristo vuole ispirare. La contemplazione di Colui che è stato trafitto (Gv 19, 37) è la principale sorgente di luce e di forza, che permette di progredire nell’amore. «Cristo ha amato la Chiesa e ha consegnato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5, 25-26): ecco la rivelazione più profonda sul rapporto tra Dio e le persone umane e nel contempo sul senso delle relazioni tra uomo e donna. A tale proposito, la Lettera Apostolica non si stanca di tornare, con un senso di meraviglia e di esultanza, al «principio», quale viene descritto nel Libro della Genesi, né di ammirare l’armonia che esiste, nel disegno di Dio, tra l’inizio e la fine, tra la creazione e la redenzione. Sin dall’inizio, Dio ha creato l’uomo e la donna per una relazione di amore, la quale si esprime «mediante un dono sincero di sé» (Gaudium et Spes 24, citato più volte nella Lettera Apostolica). Questo disegno creatore trova il suo compimento e, allo stesso tempo, il suo superamento nel dono di sé che Cristo, per puro amore, attuò nel mistero pasquale a favore della sua Chiesa, che Egli voleva «farsi comparire davanti tutta gloriosa, senza macchia né ruga né alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 27). A sua volta, questo «grande mistero» dell’amore di Cristo e della Chiesa costituisce una rivelazione dell’essere intimo di Dio stesso. Infatti l’amore di Cristo per la Chiesa, che raggiunge il culmine nel dono dello Spirito Santo (cf. Gv 19, 30; 20, 22), rispecchia la sorgente eterna, dalla quale sgorga, cioè l’amore del Padre e del Figlio nello Spirito Santo (cf. Gv 14, 23-26; 15, 9). Soltanto alla fine di tutta questa contemplazione si rivela fino a che punto è vero che: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27). Come lo scrive il Santo Padre nel settimo paragrafo della Lettera: «Il fatto che l’uomo, creato come uomo e donna, sia immagine di Dio non significa solo che ciascuno di loro individualmente è simile a Dio, come essere razionale e libero. Significa anche che l’uomo e la donna, creati come “unità dei due” nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione di amore e in tal modo a rispecchiare nel mondo la comunione d’amore che è in Dio». Il rapporto di rivelazione è reciproco. Da una parte, l’unione d’amore tra marito e moglie manifesta, come immagine, la vita intima dei Dio-Amore (1 Gv 4, 16) e ci consente di conoscerla per analogia. D’altra parte, la rivelazione dell’amore divino attraverso il dono che Cristo fece di se stesso, negli eventi tragici della sua passione, manifesta in che senso deve orientarsi l’unione d’amore dell’uomo e della donna, cioè non nel senso sterile di una ricerca della propria soddisfazione, bensì nel senso fecondo di un amore oblativo: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa…» (Ef 5, 25-26). L’uomo non può mai considerare la donna come «oggetto di dominio e di possesso maschile» (Lett. Apost. n. 10). Egli deve combattere questa sua tendenza dominatrice, la quale renderebbe impossibile l’autentica comunione delle persone. Invece di voler «possedere» la moglie come un «oggetto», il marito deve sempre rispettare in lei la dignità di «soggetto», cioè di persona libera, con la quale egli si trova in rapporto di amore e di dono. Sull’esempio di Cristo, il marito sarà disposto non soltanto a dare se stesso nelle circostanze ordinarie della vita quotidiana, ma a sacrificare se stesso per sua moglie, quando si tratterà di affrontare eventuali prove. Infatti, la frase dell’apostolo, che torna a tre riprese nelle lettere paoline (Gal 2, 20; Ef 5, 2. 25), non si limita a dire che «Cristo ha amato e ha dato se stesso», ma adopera un verbo più espressivo: «Cristo ha amato e ha consegnato se stesso». All’aspetto di dono generoso questo verbo aggiunge l’idea di esposizione a gravi pericoli. Nella Bibbia, infatti, questo verbo viene regolarmente adoperato per significare un intervento ostile contro una persona o un popolo: vuol dire «dare in mano» ai nemici perché infliggano una sorte tremenda. Nei testi paolini, lo stesso verbo, usato paradossalmente con il pronome riflessivo, esprime la follia della croce: Gesù «ha consegnato se stesso» a una morte infame, per trasformare la sorte miserabile, meritata dai peccatori, in via regale del più grande amore. «Ci ha amati e ha consegnato se stesso per noi» (Ef 5, 2). Tale è l’ideale d’amore proposto dall’apostolo ai mariti cristiani. Chi lo prende sul serio, trova la forza di affrontare, con la grazia di Cristo, ogni possibile prova nella propria vita coniugale e di farne un’occasione di progresso nell’amore. Può sorprendere il fatto che, nel brano di Ef 5, 21-33, l’esortazione all’amore sia rivolta solo ai mariti e non ugualmente alle mogli. Una prima possibile spiegazione di questa mancanza è che l’uomo, più della donna, ha bisogno di tale esortazione. Per sua natura, la donna è più attenta alle relazioni tra le persone, più disposta ad amare e a dare se stessa. Invece l’uomo, generalmente, è più interessato a realizzare un’opera, a organizzare il mondo, a dominare. Per questo motivo, è spesso tentato di strumentalizzare le altre persone, considerandole come mezzi, invece di rispettarle come soggetti dotati di dignità uguale alla sua. Tutti sanno che in molti ambienti la moglie è stata tradizionalmente apprezzata con criteri economici! Conveniva quindi che l’esortazione all’amore prendesse dì mira i mariti. Un’altra spiegazione sembra più probabile ancora: l’attenzione dell’apostolo si è fermata ai mariti a causa del mistero che contemplava, cioè il mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa. In questo mistero, la parte pienamente rivelata è quella dell’amore di Cristo per la Chiesa. Cristo è andato fino all’estremo, «ha amato sino alla fine» (Gv 13, 1; cf. 19, 28-30). Invece, la Chiesa, chiamata a «camminare nella carità» (Ef 5, 1) e effettivamente messasi in cammino, non ha ancora amato sino alla fine. Ne risulta che, nell’analogia adoperata in Ef 5, 21-33, un modello perfetto di amore esiste per i mariti, ma non esiste ancora per le donne. Questo fatto, evidentemente, costituisce un limite di quest’analogia. La Lettera Apostolica non manca di osservare che ogni analogia ha sempre i suoi limiti (n. 25). *** Lo stesso principio vale ugualmente quando si tratta dell’altra parte dell’esortazione, quella che riguarda la sottomissione della moglie al marito, sull’esempio della sottomissione della Chiesa a Cristo. Abbiamo detto che questo è attualmente il punto che provoca reazioni allergiche. La Lettera Apostolica aiuta molto a ridimensionare il problema (n. 24). Per cominciare, Giovanni Paolo II osserva che il principio della sottomissione della moglie al marito era «profondamente radicato nel costume e nella tradizione religiosa del tempo», il che porta a relativizzarlo, adesso che i tempi sono cambiati. Ma, nota ancora il Santo Padre, l’apostolo stesso introduce già un cambiamento decisivo, poiché mostra che la sottomissione «deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una sottomissione reciproca nel timore di Cristo» (ivi). Effettivamente, l’esortazione indirizzata alle mogli (Ef 5, 22-24) viene nella Lettera agli Efesini come una esemplificazione dell’atteggia- mento cristiano al quale tutti sono invitati: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5, 21). Similmente, nella Lettera ai Galati, dopo aver affermato fortemente la libertà cristiana, Paolo prosegue paradossalmente: «Mediante l’amore fatevi schiavi gli uni degli altri» (Gal 5, 13). Tra cristiani, non può mai esistere una relazione unilaterale di completa dominazione da una parte e di completa sottomissione dall’altra, perché Gesù ha decisamente proibito situazioni del genere: «Per voi non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve» (Lc 22, 26; cf. Mt 20, 24-28; Mc 10, 41-45; Gv 13, 13-15). La relazione cristiana è sempre di servizio reciproco (il che, tuttavia, non significa egualitarismo). Perciò il Santo Padre può sottolineare i limiti dell’analogia: «Mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la “sottomissione” non è unilaterale, bensì reciproca!» (MD, 24). In questo carattere reciproco della sottomissione, la Lettera Apostolica discerne l’elemento nuovo portato dal messaggio evangelico. Il principio della sottomissione della moglie al marito era tradizionale, «antico» La «novità evangelica» in materia è consistita nel proclamare la sottomissione reciproca. È chiaro che se la preoccupazione dell’apostolo fosse stata di mantenere il principio antico della sottomissione unilaterale della moglie al marito, egli non avrebbe messo all’inizio del brano l’affermazione della sottomissione reciproca e non avrebbe poi esortato i mariti all’amore oblativo; li avrebbe piuttosto incoraggiati ad esercitare la loro autorità con fermezza. L’assenza di correlazione tra l’esortazione rivolta alle mogli e quella rivolta ai mariti non manca di significato; essa manifesta a modo suo la novità evangelica. Oramai «tutte le ragioni in favore della “sottomissione” della donna all’uomo nel matrimonio debbono essere interpretate nel senso di una “reciproca sottomissione” di ambedue “nel timore di Cristo”» (MD, 24). Non basta però esprimere detta novità perché si traduca subito in realtà effettiva. La Lettera Apostolica lo fa accuratamente notare. «La consapevolezza che nel matrimonio c’è la reciproca “sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo”, – e non soltanto quella della moglie al marito -, deve farsi strada nei cuori, nelle coscienze, nel comportamento, nei costumi». Per trasformare realmente i rapporti tra le persone, su questo punto come su tanti altri, il fermento cristiano ha bisogno, – la storia purtroppo lo dimostra, – di tempi lunghissimi, tanto più che il lavoro è sempre da ricominciare, per ogni nuova generazione. «È questo un appello che non cessa di urgere, da allora, le generazioni che si succedono, un appello che gli uomini devono accogliere sempre di nuovo». In realtà, si tratta di un appello a una non facile conversione, personale e collettiva. Siamo però tanto abili a eludere le esigenze di conversione! Quando il testo di Ef 5, 21-32 viene proclamato in chiesa, quante persone notano l’esortazione iniziale alla «sottomissione reciproca»? Per lo più, gli uomini sono attenti a quanto viene richiesto dalle donne, la sottomissione ai mariti, e le donne sono attente a quanto viene richiesto dai mariti, l’amore generoso per le mogli. Ciascuno sottolinea l’esigenza che s’impone all’altro, a vantaggio suo, ignorando quella che riguarda lui stesso a vantaggio dell’altro. Nessuno, in fondo, accetta di sottomettersi all’altro. Eppure la novità evangelica non elimina l’esigenza di sottomissione, anche se la trasforma profondamente. In «sottomissione reciproca» c’è ancora «sottomissione». Il vangelo ha valorizzato immensamente la sottomissione volontaria, sbarazzandola da ogni traccia di servilismo e unendola strettamente all’amore. Ci fa capire che chi preferisce la propria volontà a quella della persona amata non sa ancora che cosa sia amare (cf. Gv 14, 21; 15, 10). Gesù ha manifestato il suo amore nell’obbedienza della croce (cf. Gv 14, 31; Fil 2, 8; Ebr 5, 8). Un cristiano, una cristiana, che accetta per amore una situazione di sottomissione e di servizio si trova più vicino a Cristo e ne dovrebbe provare una gioia profonda. Il «grande mistero» dell’unione di Cristo e della Chiesa, che si rispecchia nel sacramento del matrimonio, comprende questo aspetto realistico. La Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II invita le cristiane e i cristiani a meditarlo. Di fatto, chi vuole vivere nell’amore autentico ha bisogno anzitutto di aprirsi nella meditazione e nella preghiera al dinamismo di amore «mite e umile» (Mt 11, 29) messo in moto da Cristo.