Archive pour mars, 2017

Resurrezione di Lazzaro

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Publié dans:immagini sacre |on 31 mars, 2017 |Pas de commentaires »

V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (02/04/2017)

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Vita, morte e Amore

padre Gian Franco Scarpitta

V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (02/04/2017)

La liturgia di oggi ci invita indirettamente al prosieguo della Parola della scorsa Domenica, perché a proposito della guarigione del cieco nato si interrogava espressamente Gesù intorno alle ragioni del suo malessere: « Chi ha peccato lui o i suoi genitori perché sia nato cieco? » Com’è noto era infatti convinzione comune nel popolo ebraico che ogni infermità fisica fosse stata causata da un peccato commesso da chi ne era interessato o dai suoi progenitori e che ad ogni malattia fosse associata una mancanza morale. La risposta di Gesù debella questa mentalità a dir poco demoralizzante e introduce l’argomento della fiducia in Dio anche nella prospettiva del dolore, come del resto si evince anche nella letteratura dell’intero testo di Giobbe. « Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio » invita infatti a considerare la malattia fisica come una circostanza in cui è possibile sperimentare la vicinanza di Dio all’uomo e la sua misericordia. Certamente il dolore fisico è assillante e, seppure da parte nostra non si possa approvare il ricorso alla pratica del « suicidio assistito »(peraltro accessibile ai soli che possano permettersi viaggi all’estero), sebbene la morale cattolica non può non condannare l’eutanasia e l’interruzione volontaria della vita biologica, non si può tuttavia restare indifferenti all’assillo atroce al quale sono costretti parecchi sofferenti di mali irrimediabili, la sofferenze lancinante che provano tanti soggetti costretti a rinunciare all’uso degli arti, il senso di disagio e di dipendenza che provano quanti sono costretti a dipendere dagli altri anche nei minimi movimenti, la spietatezza del dolore fisico e dell’angoscia che provano altri costretti alla perenne degenza a letto… La malattia è difficile a sopportarsi e solamente chi ne vive il dramma può veicolarne la pesantezza e l’atrocità. La suddetta espressione di Gesù costituisce un invito alla speranza nelle circostanze del male irrimediabile, un invito alla costanza nel dolore nella certezza che Dio non abbandona coloro che soffrono e che anzi la malattia è un’occasione di esperienza della vicinanza di Dio. Dio poi è sempre l’onnipotente e può ricompensare il nostro dolore anche con appropriati interventi miracolistici perché la « gloria di Dio è l’uomo vivente » (Ireneo).
Cosi pure, poco prima di descrivere l’evento della resurrezione di Lazzaro, Giovanni mette in bocca a Gesù un’altra espressione simile alla precedente: « Questa malattia (di Lazzaro) non è per la morte, ma per la gloria di Dio » a identificare che Dio vince anche quando alla malattia non c’è più un rimedio naturale. Come sul dolore, così Dio ha potere sulla morte. Anch’essa, nel suo Figlio Gesù Cristo, è occasione perché Dio manifesti le sue opere gloriose che vertono sempre alle finalità di misericordia e di amore. Anzi, la nostra fede ci illustra che nella stessa circostanza del morire troviamo la realizzazione dell’amore e della gioia piena, se è vero che « le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà »(Sap 3,1). Dicevamo: ce lo illustra la nostra fede. Determinate certezze sono in effetti materialmente inconcepibili quando siano guardate dal solo punto di vista umano senza che ci si soffermi sull’adesione alla rivelazione di Dio, senza che ci si immedesimi nel mistero della Resurrezione di Cristo assumendolo nella forma totalizzante della nostra vita. Senza cioè aprire il cuore alla speranza e alla certezza che ci proviene nient’altro che dalla Parola rivelata e dal Cristo morto e risuscitato. Senza la risorsa della fede l’esperienza del dolore e della morte può diventare frustrante e dar luogo anche alla disperazione e all’abbandono. Senza la fede radicata nel Risorto, l’esperienza della morte nella scomparsa prematura di un nostro caro può diventare deleteria non offrendo alcuna possibilità di appiglio. Nelle parole di Gesù: « Io sono la Resurrezione e la vita, chiunque vive e crede in me anche se muore vivrà » vi è la certezza della Rivelazione di quella che abbiamo riconosciuto nelle scorse Domeniche come la « Verità », la quale a sua volta diventa « Vita » e nel risorto possibilità di vittoria sulla morte. Il Dio dei vivi che ridona vitalità alle ossa inaridite che in forza dello Spirito vanno ricomponendosi e riacquistando carnagione e con questa la dinamicità (I Lettura), mostra nei confronti della disfatta e della morte un potere che solamente il suo Amore può giustificare e ciò soprattutto in un evento concreto: il Risorto Gesù Cristo suo Figlio. Questi certamente piange per la scomparsa dell’amico Lazzaro dando la prova che il dispiacere e lo smarrimento caratterizzano inesorabilmente la vita umana, ciononostante si accosta alla sua tomba ben sapendo che il cadavere è tumefatto « da quattro giorni » e maleodorante, si intrattiene in conversazione con il Padre Dio dei vivi e non dei morti e al suo invito Lazzaro esce prodigiosamente dal sepolcro nonostante il vincolo delle bende e del sudario. L’episodio della resurrezione di questo personaggio che desterà stupore anche in seguito, durante una cena, è emblematico dell’annuncio del Cristo vincitore sulla morte in nome dell’Amore, quale si presenterà una volta fuoriuscito dal sepolcro e la stessa rianimazione del cadavere dell’amico è un saggio della medesima resurrezione dopo la morte di croce. Essa ci ragguaglia che anche la morte è il luogo del manifestarsi delle grandi opere di Dio, in tal caso del prevalere della Vita sulla morte e appunto la fede ci dischiude a questa possibilità di speranza che diventa certezza. In Cristo non c’è morte che non diventi occasione di fede per aprirsi alla prospettiva della vita, perché nella fede siamo illuminati sul fatto che oltre alla morte c’è il Dio Amore. La fede non è tuttavia un concetto astratto o un’utopia o un farmaco atto a lenire il dolore per chi è morto, ma un vivere in sintonia con il Risorto e anzi un vivere anche noi la vita nell’ottica della risurrezione senza vivere da morti la vita.
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sto cambiando casa, per una decina di giorni non potrò lavorare…

se riesco a mettere qualcosa, lo farò in data antecedente a questo, poi metto la data reale, ciao a tutti non dimenticatemi

Publié dans:cambio casa |on 19 mars, 2017 |Pas de commentaires »

La Samaritana

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Publié dans:immagini sacre |on 16 mars, 2017 |Pas de commentaires »

OMELIA III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (19/03/2017)

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Una sorgente intera in cambio di un sorso d’acqua

padre Ermes Ronchi

OMELIA III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (19/03/2017)

Vuoi riannodare i fili di un amore? Gesù, maestro del cuore, ci mostra il metodo di Dio, in uno dei racconti più ricchi e generativi del Vangelo.
Gesù siede stanco al pozzo di Sicar; giunge una donna senza nome e dalla vita fragile. È l’umanità, la sposa che se n’è andata dietro ad altri amori, e che Dio, lo sposo, vuole riconquistare. Perché il suo amore non è stanco, e non gli importano gli errori ma quanta sete abbiamo nel cuore, quanto desiderio.
Questo rapporto sponsale, la trama nuziale tra Dio e l’umanità è la chiave di volta della Bibbia, dal primo all’ultimo dei suoi 73 libri: dal momento che ti mette in vita, Dio ti invita alle nozze con lui. Ognuno a suo modo sposo.
Dammi da bere. Lo sposo ha sete, ma non di acqua, ha sete di essere amato.
Gesù inizia il suo corteggiamento (la fede è la risposta al corteggiamento di Dio) non rimproverando ma offrendo: se tu sapessi il dono…
Il dono è il tornante di questa storia d’amore, la parola portante della storia sacra. Dio non chiede, dona; non pretende, offre: Ti darò un’acqua che diventa sorgente. Una sorgente intera in cambio di un sorso d’acqua. Un simbolo bellissimo: la fonte è molto più di ciò che serve alla tua sete; è senza misura, senza fine, senza calcolo. Esuberante ed eccessiva. Immagine di Dio: il dono di Dio è Dio stesso che si dona. Con una finalità precisa: che torniamo tutti ad amarlo da innamorati, non da servi; da innamorati, non da sottomessi.
Vai a chiamare colui che ami. Gesù quando parla con le donne va diritto al centro, al pozzo del cuore; il suo è il loro stesso linguaggio, quello dei sentimenti, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere. Solo fra le donne Gesù non ha avuto nemici.
Il suo sguardo creatore cerca il positivo di quella donna, lo trova e lo mette in luce per due volte: hai detto bene; e alla fine della frase: in questo hai detto il vero. Trova verità e bene, il buono e il vero anche in quella vita accidentata. Vede la sincerità di un cuore vivo ed è su questo frammento d’oro che si appoggia il resto del dialogo.
Non ci sono rimproveri, non giudizi, non consigli, Gesù invece fa di quella donna un tempio. Mi domandi dove adorare Dio, su quale monte? Ma sei tu, in spirito e verità, il monte; tu il tempio in cui Dio viene.
E la donna lasciata la sua anfora, corre in città: c’è uno che mi ha detto tutto di me… La sua debolezza diventa la sua forza, le ferite di ieri feritoie di futuro. Sopra di esse costruisce la sua testimonianza di Dio.
Un racconto che vale per ciascuno di noi: non temere le tue debolezze, ma costruiscici sopra. Possono diventare la pietra d’angolo della tua casa, del tempio santo che è il tuo cuore.

Transfiguration of the Lord

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Publié dans:immagini sacre |on 9 mars, 2017 |Pas de commentaires »

II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (12/03/2017)

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Collocati come ponti tra due monti

padre Antonio Rungi

II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (12/03/2017)

La liturgia della parola di Dio della seconda domenica di Quaresima ci offre l’occasione e l’opportunità di riflettere su due temi portanti della spiritualità cristiana: la vocazione e la trasfigurazione. Nella prima lettura, infatti, si parla della vocazione di Abramo, nella seconda di quella dell’Apostolo Paolo e nel Vangelo ci viene narrato il racconto della trasfigurazione del Signore sul Monte Tabor. La Quaresima è d’altra parte tempo favorevole per trasfigurarci ad immagine e somiglianza di Cristo crocifisso e glorioso. Nella preghiera iniziale della santa messa di oggi ci rivolgiamo al Padre con queste umili parole: « O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria ». La Quaresima che è tempo privilegiato per ascoltare meglio e più intensamente la parola di Dio ci aiuti a porre al centro della nostra giornata e della nostra vita ciò che davvero conta davanti a Dio e agli uomini.
Per realizzare questo sogno è necessario avere la stessa disponibilità e la stessa fede di Abramo che accolse la parola del Signore e lasciò ogni cosa, compresa la sua terra, per seguire la chiamata di Dio: « «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò…. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore ».
Lasciare tutto e partire. Quando il Signore chiama e si comprende esattamente la sua voce, non c’è cosa, persona e legame che ti possa costringere a rimanere piuttosto che andare. Abramo ascolta la voce del Signore e parte, senza alcuna meta, seguendo l’itinerario che Dio gli indicherà. Non la strada di Abramo, ma la strada di Dio si apre davanti al suo cammino e lui sempre più sicuro non va verso l’incognito e il buio, ma verso il certo e la luce, perché è la luce di Dio che lo guida, è la luce della fede. Perciò egli è nostro padre nella fede. Nella vocazione di Abramo, padre del popolo di Dio, troviamo il prototipo di ogni chiamata alla fede. Le nostre umane decisioni vanno costruite sulla parola di Dio che, come ci ricorda il Salmo 32, è retta e fedele ed ama la giustizia e il diritto.
Anche san Paolo nel brano di oggi, tratto dalla sua lettera all’amico Tito, parla della vocazione e della missione che è per la propria santificazione e per annunciare il Vangelo della salvezza e della redenzione. « Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo. Per portare avanti la causa del vangelo bisogna avere un grande spirito di sacrificio, di rinuncia e di patimenti. Per il Vangelo si soffre frequentemente in ogni angolo della terra, dove la testimonianza della vita cristiana rappresenta un forte appello, per tutti, alla rettitudine morale. Solo con la grazia di Dio e della Sua vicinanza a noi è possibile portare avanti progetti di evangelizzazione, soprattutto in quei luoghi, dove maggiori sono le resistente e gli ostacoli. Il Signore doni lo stesso coraggio e zelo apostolico di Paolo Apostolo, maestro nel campo missionario, anche nell’oggi della Chiesa e del mondo contemporanei.
Nel Vangelo di oggi, tratto da San Matteo, leggiamo il testo della trasfigurazione. Gesù e tre apostoli salgono sul monte Tabor. Gesù all’improvviso cambia il suo volto che diventa luminoso, raggiante ed anche il vestito assume un colore bianco che più di quello non poteva essere. Gesù si trasfigura e con lui appaiono anche due testimoni dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia che discorrevano con Lui. I tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, rimangono estasiati da quella visione di paradiso e chiedono al Signore di rimanere lì.
Intanto una voce dal cielo dichiara senza ombra di dubbio che Gesù è il Figlio di Dio, il prediletto del Padre, nel quale il Padre stesso ha posto il suo compiacimento; per cui dobbiamo ascoltare la voce di Cristo, perché è la stessa voce di Dio che ci insegna a seguire il bene e ad evitare il male. All’udire la voce di Dio, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Rimangono nel paura di cosa poteva mai accedere di lì a poco. Ed infatti, Gesù si avvicinò a loro, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». In questo contatto rassicurante, gli apostoli riprendono consapevolezza di chi sono e dove si trovano e con chi stanno. E allora alzano gli occhi verso l’alto, ma non videro più nessuno. Con loro era rimasto Gesù solo, con il Quale erano saliti sul monte della trasfigurazione. Ma si trattava, ora, di riprendere il cammino, di ridiscendere, di ritornale alla normalità. E nel cammin facendo verso la valle delle umane quotidianità e sofferenze è Gesù che parla e raccomanda loro di non parlare a nessuno di quello che avevano visto, lassù, sul monte della gloria «prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Gesù stesso prepara così gli apostoli all’imminente scandalo della croce ed invita i tre prescelti a seguirlo anche sull’altro monte, quella più difficile da scalare per tutti ed è il Monte Calvario, il Golgota, dove Gesù verrà crocifisso e morirà per la redenzione dell’umanità.
E’ interessante in questa seconda domenica di Quaresima, pensare che noi siamo collocati come ponti tra due monti: il monte Tabor e il monte Calvario. Nella vita che si svolge nel tempo noi dobbiamo realizzare questo raccordo stradale o viadotto della grazia e dell’abbandono fiduciale a un Dio che nel suo Figlio prediletto ci dona la gioia del suo perdono, facendoci toccare con mano la bellezza della grazia. Il tutto però passa necessariamente attraverso quel monte del Calvario che è il monte dell’amore misericordioso di Dio nei confronti dell’umanità, perché su quel monte è stato crocifisso l’Amore per ricominciare a vivere nell’amore proprio partendo dalla passione e morte in croce di nostro Signore. Salendo il monte del Calvario con Gesù che va al patibolo della croce, possiamo capire dove sta il vero Tabor della nostra vita. Sta proprio nell’essere vicino al Cristo e vederlo trasfigurato dall’amore che si fa dono nella croce e con la croce.
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