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CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – UFFICIO DELLE LETTURE – SECONDA LETTURA

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CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – UFFICIO DELLE LETTURE – SECONDA LETTURA

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 2, Panegirico di san Paolo, apostolo; PG 50, 477-480)

Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo Che cosa sia l’uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante, lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3, 13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invita tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil 2, 18). Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12, 10). Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2 Cor 2, 14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l’altrui freddezza e le ingiurie che l’onore, di cui invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l’offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa. Godere dell’amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l’amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l’ultimo di tutti, anzi un condannato, però con l’amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro. Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l’unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi. Il godere dell’amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All’infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO 2016 – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

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CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Paolo fuori le Mura

Lunedì, 25 gennaio 2016

«Io sono il più piccolo tra gli apostoli […] perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1 Cor 15,9-10). L’apostolo Paolo così riassume il significato della sua conversione. Essa, avvenuta dopo il folgorante incontro con Gesù Risorto (cfr 1 Cor 9,1) sulla strada da Gerusalemme a Damasco, non è prima di tutto un cambiamento morale, ma un’esperienza trasformante della grazia di Cristo, e al tempo stesso la chiamata ad una nuova missione, quella di annunciare a tutti quel Gesù che prima perseguitava perseguitando i suoi discepoli. In quel momento, infatti, Paolo comprende che tra il Cristo vivente in eterno e i suoi seguaci esiste un’unione reale e trascendente: Gesù vive ed è presente in loro ed essi vivono in Lui. La vocazione ad essere apostolo si fonda non sui meriti umani di Paolo, che si considera “infimo” e “indegno”, ma sulla bontà infinita di Dio, che lo ha scelto e gli ha affidato il ministero. Una simile comprensione di quanto accaduto sulla via di Damasco è testimoniata da san Paolo anche nella Prima Lettera a Timoteo: «Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù» (1,12-14). La sovrabbondante misericordia di Dio è la ragione unica sulla quale si fonda il ministero di Paolo, ed è allo stesso tempo ciò che l’Apostolo deve annunciare a tutti. L’esperienza di san Paolo è simile a quella delle comunità alle quali l’apostolo Pietro indirizza la sua Prima Lettera. San Pietro si rivolge ai membri di comunità piccole e fragili, esposte alla minaccia della persecuzione, e applica ad essi i titoli gloriosi attribuiti al popolo santo di Dio: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2,9). Per quei primi cristiani, come oggi per tutti noi battezzati, è motivo di conforto e di costante stupore sapere di essere stati scelti per far parte del disegno di salvezza di Dio, attuato in Gesù Cristo e nella Chiesa. “Perché, Signore, proprio me?”; “perché proprio noi?”. Attingiamo qui il mistero della misericordia e della scelta di Dio: il Padre ama tutti e vuole salvare tutti, e per questo chiama alcuni, “conquistandoli” con la sua grazia, perché attraverso di loro il suo amore possa raggiungere tutti. La missione dell’intero popolo di Dio è di annunciare le opere meravigliose del Signore, prima fra tutte il Mistero pasquale di Cristo, per mezzo del quale siamo passati dalle tenebre del peccato e della morte allo splendore della sua vita, nuova ed eterna (cfr 1 Pt 2,10). Alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, e che ci ha guidato durante questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, possiamo davvero dire che tutti noi credenti in Cristo siamo “chiamati ad annunciare le opere meravigliose di Dio” (cfr 1 Pt 2,9). Al di là delle differenze che ancora ci separano, riconosciamo con gioia che all’origine della vita cristiana c’è sempre una chiamata il cui autore è Dio stesso. Possiamo progredire sulla strada della piena comunione visibile tra i cristiani non solo quando ci avviciniamo gli uni agli altri, ma soprattutto nella misura in cui ci convertiamo al Signore, che per sua grazia ci sceglie e ci chiama ad essere suoi discepoli. E convertirsi significa lasciare che il Signore viva ed operi in noi. Per questo motivo, quando insieme i cristiani di diverse Chiese ascoltano la Parola di Dio e cercano di metterla in pratica, compiono davvero passi importanti verso l’unità. E non è solo la chiamata che ci unisce; ci accomuna anche la stessa missione: annunciare a tutti le opere meravigliose di Dio. Come san Paolo, e come i fedeli a cui scrive san Pietro, anche noi non possiamo non annunciare l’amore misericordioso che ci ha conquistati e che ci ha trasformati. Mentre siamo in cammino verso la piena comunione tra noi, possiamo già sviluppare molteplici forme di collaborazione, andare insieme e collaborare per favorire la diffusione del Vangelo. E camminando e lavorando insieme, ci rendiamo conto che siamo già uniti nel nome del Signore. L’unità si fa in cammino. In questo Anno giubilare straordinario della Misericordia, teniamo ben presente che non può esserci autentica ricerca dell’unità dei cristiani senza un pieno affidarsi alla misericordia del Padre. Chiediamo anzitutto perdono per il peccato delle nostre divisioni, che sono una ferita aperta nel Corpo di Cristo. Come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa Cattolica, voglio invocare misericordia e perdono per i comportamenti non evangelici tenuti da parte di cattolici nei confronti di cristiani di altre Chiese. Allo stesso tempo, invito tutti i fratelli e le sorelle cattolici a perdonare se, oggi o in passato, hanno subito offese da altri cristiani. Non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui ad inquinare i nostri rapporti. La misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni. In questo clima di intensa preghiera, saluto fraternamente Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, Sua Grazia David Moxon, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali di Roma, qui convenuti questa sera. Con loro siamo passati attraverso la Porta Santa di questa Basilica, per ricordare che l’unica porta che ci conduce alla salvezza è Gesù Cristo nostro Signore, il volto misericordioso del Padre. Rivolgo un cordiale saluto anche ai giovani ortodossi e ortodossi orientali che studiano qui a Roma con il sostegno del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, che opera presso il Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nonché agli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita qui a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica. Cari fratelli e sorelle, uniamoci oggi alla preghiera che Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «siano una sola cosa […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). L’unità è dono della misericordia di Dio Padre. Qui davanti alla tomba di san Paolo, apostolo e martire, custodita in questa splendida Basilica, sentiamo che la nostra umile richiesta è sostenuta dall’intercessione della moltitudine dei martiri cristiani di ieri e di oggi. Essi hanno risposto con generosità alla chiamata del Signore, hanno dato fedele testimonianza, con la loro vita, delle opere meravigliose che Dio ha compiuto per noi, e sperimentano già la piena comunione alla presenza di Dio Padre. Sostenuti dal loro esempio – questo esempio che fa proprio l’ecumenismo del sangue – e confortati dalla loro intercessione, rivolgiamo a Dio la nostra umile preghiera.

 

CAPITOLO PRIMO – LA PERSONALITÀ DI SAULO/PAOLO

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CAPITOLO PRIMO – LA PERSONALITÀ DI SAULO/PAOLO

Carlo Ghidelli  – Arcivescovo di Lanciano – Orlona

Fin dall’inizio del nostro cammino penso sia utile delineare, sia pure a grandi tratti, la personalità di Paolo apostolo: una personalità certamente poliedrica e complessa, che tuttavia si lascia « leggere » anche da noi, dal momento che egli ha trovato in Cristo il centro unificatore di tutte le sue passioni, di tutte le sue esperienze. Il suo « biglietto da visita » lo troviamo in Filippesi 3,5-7. Se parlo di « passioni » lo faccio di proposito perché Saulo, diventato Paolo, non ha certamente cambiato temperamento o carattere ma, con l’aiuto della grazia, ha saputo orientare tutte le sue energie fisiche e spirituali verso una nuova meta: conquistare Cristo dopo essere stato conquistato da Cristo (cfr. Fil3,8). Sta tutto qui il segreto della felicità per ogni essere umano: cercare e possibilmente trovare un centro unificato re attorno al quale far girare tutta la propria vita. Allora tutto, o quasi tutto, diventa più chiaro, tutto finisce col piacere e riusciamo a superare anche le prove più terribili che immancabilmente la vita riserva. I tratti della personalità di Paolo mi sembra di poterli riassumere così: anzitutto egli era una persona estremamente volitiva. Solo una persona come lui poteva reggere all’urto subito a Damasco, dove la sua umanità è stata messa a dura prova. Qui però emerge anche la sua grande onestà; gli premeva mettersi a servizio della verità e ora, avendola scoperta, si sente in dovere di cambiare strada: questa è onestà a prova di bomba. Questa forza di volontà Paolo la esprime anche quando entra in polemica con i suoi avversari, non certo per odio verso di loro, ma piuttosto per un amore incondizionato alla verità. Di questo amore Paolo è testimone credibile. Infatti, esortando i cristiani di Efeso a costruire la Chiesa nell’unità, scrive: «Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo»(Ef 4,14-15). «Fare la verità nella carità»: così suona il testo greco che potrebbe essere tradotto « inverare la carità », o ancora « vivere nell’amore autentico », nel senso che questi due sommi valori non possono vivere l’uno senza l’altro. In secondo luogo a Paolo dobbiamo riconoscere un temperamento passionale: direi che lo è stato nel bene e nel male. Riferendosi al suo passato scrive: «lo che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento» (1Tm 1,13). Ebbene, la violenza di un tempo Paolo l’ha poi messa a servizio del Vangelo, dimostrando di saper sopportare le prove più tremende (si veda ad esempio 2Cor 11,16 ss.). È proprio per questo suo temperamento passionale che l’apostolo delle genti ha speso il resto dei suoi anni in una serie interminabile di viaggi missionari, che ne caratterizzano il servizio apostolico. Attraverso gli scritti di Paolo possiamo rilevare una persona dall’intelligenza veramente eccezionale: all’occorrenza egli sa entrare in polemica con gli avversari, negatori della verità, come sa discorrere serenamente con chi è disposto al dialogo per amore della verità; sa interpretare correttamente le profezie dell’Antico Testamento mostrandone l’attualizzazione in Cristo, come sa dimostrare la ragionevolezza del credere in Cristo e la libertà dell’atto di fede; sa confutare chi pretende di dire la verità mentre sta seminando menzogna e zizzania, come sa esortare con la parola ma anche e soprattutto con l’esempio di una vita totalmente dedita al Vangelo; sa scrivere pagine di alta ispirazione poetica, come sa addentrarsi in discussioni teologiche specialistiche. Intelligenza acuta, quella di Paolo: dono di natura e di grazia, difficilmente eguagliabile, che egli ha saputo finalmente mettere a servizio della verità. Infine Paolo ha dimostrato di essere un amico fedele: mi si passi questa espressione. Intendo dire che, una volta conosciuto Cristo Signore attraverso una rivelazione dal carattere miracoloso, egli non ha mai cessato di coltivare questa amicizia straordinària, e di onoraria anche a costo di pagare di persona: lo ha dimostrato in diverse circostanze fino al martirio. A questo proposito è molto bello ascoltare la sua testimonianza diretta: « Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno» (2Tm 4,6-8). Parole estremamente lucide, quasi una profezia di quanto accadrà, non molti anni dopo, a Roma, quando sarà decapitato (intorno all’anno 64), degno compagno di Pietro: il loro sangue infatti, versato per amore di Cristo, è stato seme fecondo per la Chiesa di Roma. Con queste pennellate essenziali penso di aver colto e presentato un po’ anche la psicologia di Paolo, cioè qualcosa del suo modo di essere e di vivere, qualcosa del suo modo di pensare e di parlare, qualcosa del suo modo di agire e di reagire, qualcosa del suo modo di amare e di « odiare »: tutto questo emerge – e non può non emergere – dai suoi scritti perché questi, lo si voglia o no, tradiscono in modo evidente la psicologia dell’autore. 

CAPITOLO SECONDO – L’INCONTRO DI DAMASCO (2008)

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CAPITOLO SECONDO – L’INCONTRO DI DAMASCO (2008)

Carlo Ghidelli – Arcivescovo di Lanciano – Orlona

Una delle prime cose che, nel corso dei miei studi biblici, ho imparato su san Paolo è l’importanza fondamentale dell’evento di Damasco, l’incontro sconvolgente di Saulo con Gesù di Nazaret, per entrare nel segreto di Paolo, per comprendere tutta la sua riflessione teologica e per cogliere il mistero di grazia che in lui si manifesta, cioè per fare anche noi il cammino di fede che ha fatto lui. È lui stesso che ce ne parla, in termini ancora così caldi e commoventi, nella Lettera ai cristiani della Galazia. La sua testimonianza personale ci aiuta a farci un’idea chiara e distinta di quell’incontro: essenzialmente è stata una rivelazione (apokalupsis: Gall,16), un confronto che ha cambiato i connotati spirituali di Saulo. Da allora Saulo non è più Saulo; Saulo è diventato un uomo nuovo, una nuova creatura, amico di Gesù, missionario del Vangelo, fratello universale. Un noto studioso contemporaneo ha potuto scrivere che, per comprendere la teologia di Paolo, non è sufficiente partire da Tarso, città nella quale egli è nato e ha ricevuto la sua prima formazione; non basta partire da Gerusalemme, città nella quale Saulo è stato educato e ha potuto confrontarsi con gli apostoli, con Pietro in modo speciale; non è sufficiente partire da Antiochia, città che è stata punto di riferimento di tutti i suoi viaggi missionari. Certo, queste città hanno avuto tutte la loro importanza nella formazione di Paolo e tutte in qualche modo hanno contribuito alla sua crescita morale e spirituale. Ma per entrare nel pensiero di Paolo e per comprendere il suo approccio a Cristo e al mistero della salvezza è assolutamente necessario partire da Damasco, perché Damasco costituisce il momento della sua prima illuminazione e il cambiamento di rotta che ha determinato tutto il resto della sua vita. Una semplice rilettura di quell’evento (cfr. At 9,1-19; 22,1-21; 26,1-23) ci mette in diretto contatto con la parola di Dio o, meglio, con colui che, mediante la Bibbia, ci rivolge personalmente la sua Parola. Comprenderemo allora l’importanza dell’incontro di Damasco nella vita di Paolo: un fulmine a ciel sereno, si direbbe, o meglio una meravigliosa e imprevedibile irruzione della grazia di Dio nella sua vita burrascosa e disordinata. A Damasco Paolo ha compreso che tra Gesù e i cristiani vi era, e vi è tuttora, una identità spirituale, sacramentale, nella quale sta il segreto e il fondamento del nostro essere Chiesa, del nostro amore alla Chiesa: « lo sono quel Gesù che tu perseguiti» (At 9,5). Dunque: nella persona dei suoi discepoli è il Signore a essere perseguitato. La Chiesa è il corpo di Cristo, è il prolungamento della sua umanità, è la sposa amata di Cristo. Non si può separare la Chiesa da Cristo, come non si può separare una persona dal suo corpo, come non si può dividere la sposa dallo sposo: sarebbe una violenza assurda. Qui sta il segreto di tutta la spiritualità paolina. A Damasco Paolo ha compreso che Gesù di Nazaret è il vero Messia, quello indicato dai profeti dell’Antico Testamento e destinato a diventare il Salvatore dell’intera umanità, perché tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi sono peccatori e attendono la liberazione dalla schiavitù del peccato. Avendo identificato Gesù nella sua dignità messianica e nella sua divinità, Paolo non poté non legarsi a lui con tutte le sue forze, con tutta la sua capacità di amare, per una convinzione in lui profondamente radicata: «So a chi ho creduto e sono certo che egli è capace di conservare fino a quel giorno il deposito che mi è stato affidato» (2Tm 1,12). A Damasco Paolo ha compreso che fino a quel momento egli aveva camminato su una strada sbagliata, una strada che non doveva più battere. Quello è stato il momento della sua conversione, cioè del suo distacco da una vita contrassegnata dalla paura e dall’odio per volgersi a una vita improntata alla fiducia e all’amore. «Quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore» (Fil 3,7-8). La conversione di Paolo ha davvero qualcosa di straordinario, che raramente si è verificato nella storia bimillenaria del cristianesimo. A Damasco Paolo ha compreso di dover cambiare vita e di dover aderire in pieno, mediante la fede, alla persona di Gesù: lui solo doveva diventare l’oggetto del suo amore, il centro della sua predicazione. In effetti tutte le Lettere di Paolo, che sono il riflesso letterario della sua viva voce, hanno una impostazione cristocentrica evidentissima: «lo ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso» scrive ai cristiani di Corinto (1Cor 2,2). Quello cui Paolo tende con tutte le sue forze non è un Cristo evanescente, ma proprio quel Gesù che porta in sé le stimmate della crocifissione. Ogni ipotesi alternativa a questa, Paolo la respinge fortemente. Lo afferma, sia pure in tono ironico, nella sua Seconda lettera ai cristiani di Corinto: «Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro Vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo» (2Cor 11,4). A Damasco Paolo ha avuto il dono di comprendere che nella vita quello che vale di più non èl’affermazione di se stessi a scapito degli altri, bensì il dono di sé a colui per amore del quale possiamo amare il prossimo, chiunque esso sia. I.:amore del prossimo allora diventa inseparabile dall’amore di Gesù, così come l’amore di Gesù porta necessariamente all’amore verso il prossimo. Su questo tema Paolo ha composto un « inno alla carità » che raggiunge le vette della poesia e della mistica: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1Cor13,4-7). A Damasco Paolo ha compreso che c’è Qualcuno al di sopra di tutti che merita di essere servito e amato sopra ogni altra cosa o persona: Gesù di Nazaret. Il suo nome, cioè la sua persona, è «al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9). Egli, Paolo, doveva farlo conoscere a tutti: « perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Signore è Gesù Cristo a gloria di Dio Padre» (Fil 2,10-11). Qui possiamo intravedere la coscienza missionaria di Paolo che tende a portare Gesù agli altri e gli altri a Gesù. A Damasco Paolo si è visto costretto a cambiare l’orientamento della sua vita e lo ha fatto in modo così netto e forte da lasciare intravedere che in quel preciso momento in lui ha trionfato solo la grazia di Dio. Tutto sta rinchiuso in quel « ma » con il quale egli imprime una svolta al racconto della sua conversione: «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi… Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare in me suo Figlio perché lo annunziassi ai pagani…» (Gal 1,13-16). Ognuno di noi può fare tutti i progetti che vuole, può anche illudersi di poter fare tutto da solo, ma quando Dio decide di entrare nella sua vita, allora tutto cambia e cambia in meglio.

SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (2013)

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CELEBRAZIONE DEI VESPRI A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

Basilica di San Paolo fuori le Mura Venerdì, 25 gennaio 2013

Cari fratelli e sorelle!

E’ sempre una gioia e una grazia speciale ritrovarsi insieme, intorno alla tomba dell’apostolo Paolo, per concludere la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Saluto con affetto i Cardinali presenti, in primo luogo il Cardinale Harvey, Arciprete di questa Basilica, e con lui l’Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto il Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e tutti i collaboratori del Dicastero. Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarca ecumenico, al Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, come pure gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano. Saluto infine tutti i presenti convenuti a pregare per l’unità tra tutti i discepoli di Cristo. Questa celebrazione si inserisce nel contesto dell’Anno della fede, iniziato l’11 ottobre scorso, cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II. La comunione nella stessa fede è la base per l’ecumenismo. L’unità, infatti, è donata da Dio come inseparabile dalla fede; lo esprime in maniera efficace san Paolo: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). La professione della fede battesimale in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica, già unisce i cristiani. Senza la fede – che è primariamente dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo – tutto il movimento ecumenico si ridurrebbe ad una forma di “contratto” cui aderire per un interesse comune. Il Concilio Vaticano II ricorda che i cristiani «con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità» (Decr. Unitatis redintegratio, 7). Le questioni dottrinali che ancora ci dividono non devono essere trascurate o minimizzate. Esse vanno piuttosto affrontate con coraggio, in uno spirito di fraternità e di rispetto reciproco. Il dialogo, quando riflette la priorità della fede, permette di aprirsi all’azione di Dio con la ferma fiducia che da soli non possiamo costruire l’unità, ma è lo Spirito Santo che ci guida verso la piena comunione, e fa cogliere la ricchezza spirituale presente nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali. Nella società attuale sembra che il messaggio cristiano incida sempre meno nella vita personale e comunitaria; e questo rappresenta una sfida per tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali. L’unità è in se stessa un mezzo privilegiato, quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore, o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Lo scandalo della divisione che intaccava l’attività missionaria fu l’impulso che diede inizio al movimento ecumenico quale oggi lo conosciamo. La piena e visibile comunione tra i cristiani va intesa, infatti, come una caratteristica fondamentale per una testimonianza ancora più chiara. Mentre siamo in cammino verso la piena unità, è necessario allora perseguire una collaborazione concreta tra i discepoli di Cristo per la causa della trasmissione della fede al mondo contemporaneo. Oggi c’è grande bisogno di riconciliazione, di dialogo e di comprensione reciproca, in una prospettiva non moralistica, ma proprio in nome dell’autenticità cristiana per una presenza più incisiva nella realtà del nostro tempo. La vera fede in Dio poi è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia. Nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che oggi si conclude, il tema offerto alla nostra meditazione era: «Quel che il Signore esige da noi», ispirato alle parole del profeta Michea, che abbiamo ascoltato (cfr 6,6-8). Esso è stato proposto dallo Student Christian Movement in India, in collaborazione con la All India Catholic University Federation ed il National Council of Churches in India, che hanno preparato anche i sussidi per la riflessione e la preghiera. A quanti hanno collaborato desidero esprimere la mia viva gratitudine e, con grande affetto, assicuro la mia preghiera a tutti i cristiani dell’India, che a volte sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in condizioni difficili. «Camminare umilmente con Dio» (cfr Mi 6,8) significa anzitutto camminare nella radicalità della fede, come Abramo, fidandosi di Dio, anzi riponendo in Lui ogni nostra speranza e aspirazione, ma significa anche camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e la discriminazione sociale e religiosa che dividono e danneggiano l’intera società. Come afferma san Paolo, i cristiani devono offrire per primi un luminoso esempio nella ricerca della riconciliazione e della comunione in Cristo, che superi ogni tipo di divisione. Nella Lettera ai Galati, l’Apostolo delle genti afferma: «Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (3,27-28). La nostra ricerca di unità nella verità e nell’amore, infine, non deve mai perdere di vista la percezione che l’unità dei cristiani è opera e dono dello Spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi. Pertanto, l’ecumenismo spirituale, specialmente la preghiera, è il cuore dell’impegno ecumenico (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 8). Tuttavia, l’ecumenismo non darà frutti duraturi se non sarà accompagnato da gesti concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la guarigione dei ricordi e dei rapporti. Come afferma il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, «non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione» (n. 7). Un’autentica conversione, come quella suggerita dal profeta Michea e di cui l’apostolo Paolo è un significativo esempio, ci porterà più vicino a Dio, al centro della nostra vita, in modo da avvicinarci maggiormente anche gli uni agli altri. È questo un elemento fondamentale del nostro impegno ecumenico. Il rinnovamento della vita interiore del nostro cuore e della nostra mente, che si riflette nella vita quotidiana, è cruciale in ogni dialogo e cammino di riconciliazione, facendo dell’ecumenismo un impegno reciproco di comprensione, rispetto e amore, «affinché il mondo creda» (Gv 17,21). Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia la Vergine Maria, modello impareggiabile di evangelizzazione, affinché la Chiesa, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Cost. Lumen gentium, 1), annunci con franchezza, anche nel nostro tempo, Cristo Salvatore. Amen.

 

GIOVANNI PAOLO II – “QUANTI SIETE STATI BATTEZZATI IN CRISTO, VI SIETE RIVESTITI DI CRISTO” (GAL 3, 27) – 25.1.’84

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CELEBRAZIONE ECUMENICA A SAN PAOLO FUORI LE MURA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 25 gennaio 1984

“QUANTI SIETE STATI BATTEZZATI IN CRISTO, VI SIETE RIVESTITI DI CRISTO” (GAL 3, 27).

1. San Paolo, l’apostolo delle genti, riassume con questa espressione il mistero della redenzione dell’uomo, dell’incorporazione a Cristo, della creazione dell’uomo a somiglianza del Figlio di Dio, che è “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15). Infatti “voi tutti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo” (Gal 3, 26). Ed è per mezzo del Battesimo che si è resi partecipi della sua morte e della sua risurrezione, cioè della vita divina. Questo avvenimento di grazia sovrabbondante cancella tutte le divisioni etnico-religiose, le discriminazioni a causa della condizione sociale, della razza e del sesso. “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Gesù Cristo ha realizzato questa unità per mezzo del sacrificio della croce, su cui offrì se stesso per il perdono, per il riscatto e per la vita dell’umanità intera. Egli è morto “per radunare insieme nell’unità i figli di Dio dispersi” (Gv 11, 52). È il mistero dell’amore di Dio, che ha creato l’uomo e lo chiama alla salvezza definitiva. Su questo argomento è attirata la nostra attenzione oggi, festa della conversione di san Paolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che cade nell’Anno Giubilare della Redenzione. Durante quest’anno la celebrazione speciale della redenzione dell’uomo operata da Cristo rende più lucida e impegnativa l’esigenza della piena riconciliazione di tutti i cristiani, accomunati dalla grazia dell’unico Battesimo. 2. “Il Battesimo, infatti, costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige fra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati” (Unitatis redintegratio, 22). Le tragiche divisioni introdotte tra i cristiani non distruggono questa unità fondamentale; impediscono però la piena realizzazione delle intrinseche esigenze emananti dal Battesimo. Le divisioni mortificano il Battesimo; esso infatti “è ordinato all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica” (Unitatis redintegratio, 22). Il Concilio Vaticano II, del quale ricorre oggi il 25° anniversario del primo annuncio dato in questa Basilica, con un’immagine di particolare delicatezza, ha descritto questi due aspetti, entrambi profondamente veri e cioè che la divisione è una realtà peccaminosa che tuttavia non distrugge l’unità profonda generata dalla Grazia. Anche qui si usa l’immagine della veste, della veste di Cristo. Le divisioni, si afferma, “hanno intaccata l’inconsutile tunica di Cristo” (Unitatis redintegratio, 13). Se la veste di Cristo rimane “inconsutile”, tuttavia essa è stata intaccata. “È stato forse diviso il Cristo – chiede con espressione drammatica san Paolo ai cristiani di Corinto – oppure è stato crocifisso Paolo per voi?” (1 Cor 1, 13). La croce di Cristo, che salva tutti, è un costante appello al superamento di ogni divisione. L’opera di Cristo per l’umanità, la sua croce e la missione, da lui affidata alla Chiesa, di fare discepoli e battezzare tutte le genti (cf. Mt 28, 19-20), chiamano tutti i battezzati a tendere alla piena unità nella fede e nella vita sacramentale, superando ogni divisione e frattura. 3. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si celebra sempre più concordemente fra cattolici, ortodossi e protestanti. Essa è diffusa ormai nel mondo intero. Il Signore ascolti questa invocazione unanime e renda fecondi gli sforzi sinceri di studio e di dialogo, che si fanno tra i cristiani per il ristabilimento della piena unità. L’unità resta sempre un dono di Dio, perché essa implica il perdono dei peccati, la purificazione dei cuori, la comunione alla vita divina. Si esige però anche lo sforzo dell’uomo e la perseveranza in un cammino intrapreso “per grazia dello Spirito Santo” (Unitatis redintegratio, 1). Di anno in anno, la Settimana di preghiera ci fa constatare, assieme alle difficoltà che ancora permangono, anche buoni progressi verso l’intesa ecumenica. E il cuore si riscalda per la gioia, e lo spirito si rafforza per la speranza. Siano rese grazie a Dio. Quest’anno il Comitato misto fra i rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sceglie il tema e prepara i testi per l’annuale preghiera per l’unità, ha fatto notare che si pongono in evidenza “convergenze teologiche notevoli circa la natura dell’unità cristiana, il Battesimo e l’Eucaristia, il ministero e l’autorità nella Chiesa”. Ciò è fonte di gioia profonda per chiunque crede veramente nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il faticoso cammino verso l’unità voluta da Cristo per i suoi discepoli diventa così concreta espressione della comune volontà di ubbidire al Signore fino in fondo. In questa prospettiva bisogna perseverare con sempre maggiore intensità nella preghiera, consolidare l’azione ecumenica e rafforzare la tensione verso la piena unità. 4. Le contingenze sempre più inquietanti del nostro tempo, i conflitti armati aperti qua e là nel mondo, i rischi di una catastrofe nucleare, la paura dell’uomo, sempre più minacciato, costituiscono un nuovo stimolo per i cristiani a trovare una riconciliazione piena per portare il loro effettivo contributo ai bisogni dell’uomo. Il profeta Isaia apre la nostra mente alla visione del monte del tempio del Signore, a cui affluiranno tutte le genti. Allora “forgeranno le loro spade in vomeri, e le loro lance in falci” (Is 2, 4). La forza sprecata nell’avversione e nella distruzione sarà adoperata per i veri bisogni della vita. In cammino verso questa meta “nella luce del Signore” (Is 2, 5), fondandosi sul comune Battesimo, i cristiani sin da oggi possono congiungere le loro forze per dare insieme una comune testimonianza di fede nell’azione di servizio a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Le sofferenze del mondo di oggi sono una realtà che ci interroga. Sempre san Paolo, con il suo discorso vivo, attuale ed esigente, ci dice: “Prendete parte alle necessità dei fratelli” (Rm 12, 13). La collaborazione pratica tra i cristiani delle varie confessioni è possibile e ad essa il Concilio Vaticano II conferisce anche una potenza di evangelizzazione: “La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quell’unione che già vige tra di loro, e pone in più chiara luce il volto di Cristo servo” (Unitatis redintegratio, 12). Le iniziative di sensibilizzazione, come quella che si apre oggi nell’ambito di questa Abbazia, sono utili a formare una coscienza di partecipazione e di comunione per le sorti dell’umanità. Ad un livello più generale la Santa Sede ha un Gruppo consultivo con il Consiglio ecumenico delle Chiese sulla collaborazione circa il pensiero e l’azione sociale, il quale è ricco di possibilità in questo campo. 5. Alla vigilia del suo sacrificio sulla croce, Gesù affidò al Padre i suoi discepoli e tutti coloro che per le loro parole avrebbero creduto in lui. Egli pregò: “Che siano una cosa sola, perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Domandò una unità senza alcuna ombra, una unità piena, totale, vitale. Egli invocò: “Che siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 23). Lo sforzo dei cristiani verso la piena unità deve perciò continuare, finché non si giunga alla meta indicata da Gesù Cristo. E occorre perseverare nello studio approfondito delle questioni, che ancora dividono i cristiani, nel dialogo franco e leale, nell’azione congiunta, e in particolare nella preghiera che sostiene, fortifica e orienta. Il Concilio Vaticano II ha consigliato la preghiera in comune con gli altri cristiani: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità” (Unitatis redintegratio, 8). 6. A tutti voi qui presenti, a tutti i battezzati del mondo intero, dico con tutto il cuore: la pace e la grazia di Dio siano sempre con voi! Il Signore sia sempre con noi tutti e ci guidi sulle vie che portano all’unità, affinché per mezzo di essa possiamo portare più efficacemente a tutti gli uomini il Vangelo di amore, di riconciliazione e di pace. Amen.

 

SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – OMELIA PAPA FRANCESC (2015)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2015/documents/papa-francesco_20150125_vespri-conversione-san-paolo.html

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Paolo fuori le Mura

Domenica, 25 gennaio 2015

In viaggio dalla Giudea verso la Galilea, Gesù passa attraverso la Samaria. Egli non ha difficoltà ad incontrare i samaritani giudicati eretici, scismatici, separati dai giudei. Il suo atteggiamento ci fa capire che il confronto con chi è differente da noi può farci crescere. Gesù, stanco per il viaggio, non esita a chiedere da bere alla donna samaritana. La sua sete, lo sappiamo, va ben oltre quella fisica: essa è anche sete di incontro, desiderio di aprire un dialogo con quella donna, offrendole così la possibilità di un cammino di conversione interiore. Gesù è paziente, rispetta la persona che gli sta davanti, si rivela a lei progressivamente. Il suo esempio incoraggia a cercare un confronto sereno con l’altro. Per capirsi e crescere nella carità e nella verità, occorre fermarsi, accogliersi e ascoltarsi. In tal modo, si comincia già a sperimentare l’unità. L’unità si fa nel cammino, non è mai ferma. L’unità si fa camminando. La donna di Sicar interroga Gesù sul vero luogo dell’adorazione di Dio. Gesù non si schiera a favore del monte o del tempio, ma va oltre, va all’essenziale abbattendo ogni muro di separazione. Egli rimanda alla verità dell’adorazione: «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Gv 4,24). Tante controversie tra cristiani, ereditate dal passato, si possono superare mettendo da parte ogni atteggiamento polemico o apologetico e cercando insieme di cogliere in profondità ciò che ci unisce, e cioè la chiamata a partecipare al mistero di amore del Padre rivelato a noi dal Figlio per mezzo dello Spirito Santo. L’unità dei cristiani – ne siamo convinti – non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell’uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti, riconcilia le diversità. Gradualmente, la donna samaritana comprende che Colui che le ha chiesto da bere è in grado di dissetarla. Gesù si presenta a lei come la sorgente da cui scaturisce l’acqua viva che estingue per sempre la sua sete (cfr Gv 4,13-14). L’esistenza umana rivela aspirazioni sconfinate: ricerca di verità, sete di amore, di giustizia e di libertà. Sono desideri appagati solo in parte, perché dal profondo del suo essere l’uomo si muove verso un “di più”, un assoluto capace di soddisfare la sua sete in modo definitivo. La risposta a queste aspirazioni viene data da Dio in Gesù Cristo, nel suo mistero pasquale. Dal costato squarciato di Gesù sono sgorgati sangue ed acqua (cfr Gv 19,34): Egli è la sorgente da cui scaturisce l’acqua dello Spirito Santo, cioè «l’amore di Dio riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5) nel giorno del Battesimo. Per opera dello Spirito siamo diventati una sola cosa con Cristo, figli nel Figlio, veri adoratori del Padre. Questo mistero d’amore è la ragione più profonda dell’unità che lega tutti i cristiani e che è molto più grande delle divisioni avvenute nel corso della storia. Per questo motivo, nella misura in cui ci avviciniamo con umiltà al Signore Gesù Cristo, ci avviciniamo anche tra di noi. L’incontro con Gesù trasforma la Samaritana in una missionaria. Avendo ricevuto un dono più grande e più importante dell’acqua del pozzo, la donna lascia lì la sua brocca (cfr Gv 4,28) e corre a raccontare ai suoi concittadini che ha incontrato il Cristo (cfr Gv 4,29). L’incontro con Lui le ha restituito il senso e la gioia di vivere, e lei sente il desiderio di comunicarlo. Oggi esiste una moltitudine di uomini e donne stanchi e assetati, che chiedono a noi cristiani di dare loro da bere. È una richiesta alla quale non ci si può sottrarre. Nella chiamata ad essere evangelizzatori, tutte le Chiese e Comunità ecclesiali trovano un ambito essenziale per una più stretta collaborazione. Per poter svolgere efficacemente tale compito, occorre evitare di chiudersi nei propri particolarismi ed esclusivismi, come pure di imporre uniformità secondo piani meramente umani (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 131). Il comune impegno ad annunciare il Vangelo permette di superare ogni forma di proselitismo e la tentazione di competizione. Siamo tutti al servizio dell’unico e medesimo Vangelo! E in questo momento di preghiera per l’unità, vorrei ricordare i nostri martiri di oggi. Essi danno testimonianza di Gesù Cristo e vengono perseguitati e uccisi perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono. Sono cristiani e per questo perseguitati. Questo è, fratelli e sorelle, l’ecumenismo del sangue. Ricordando questa testimonianza dei nostri martiri di oggi, e con questa gioiosa certezza, rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, a Sua Grazia David Moxon, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali qui convenuti nella Festa della Conversione di San Paolo. Inoltre, mi è gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si svolgerà nei prossimi giorni a Roma. Saluto anche gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey e i giovani che beneficiano di borse di studio offerte dal Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese ortodosse, operante presso il Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Sono presenti oggi anche religiosi e religiose appartenenti a diverse Chiese e Comunità ecclesiali che hanno partecipato in questi giorni ad un Convegno ecumenico, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in occasione dell’Anno della vita consacrata. La vita religiosa come profezia del mondo futuro è chiamata ad offrire nel nostro tempo testimonianza di quella comunione in Cristo che va oltre ogni differenza, e che è fatta di scelte concrete di accoglienza e dialogo. Di conseguenza, la ricerca dell’unità dei cristiani non può essere appannaggio solo di qualche singolo o comunità religiosa particolarmente sensibile a tale problematica. La reciproca conoscenza delle diverse tradizioni di vita consacrata ed un fecondo scambio di esperienze può essere utile per la vitalità di ogni forma di vita religiosa nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali. Cari fratelli e sorelle, oggi noi, che siamo assetati di pace e di fraternità, invochiamo con cuore fiducioso dal Padre celeste, mediante Gesù Cristo unico Sacerdote e mediatore e per intercessione della Vergine Maria, dell’Apostolo Paolo e di tutti i santi, il dono della piena comunione di tutti i cristiani, affinché possa risplendere «il sacro mistero dell’unità della Chiesa» (Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, 2), quale segno e strumento di riconciliazione per il mondo intero. Così sia.

Publié dans:FESTE DI SAN PAOLO, PAPA FRANCESCO |on 13 janvier, 2016 |Pas de commentaires »
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