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SALMO 51 (50) CON IL COMMENTO DI GIANFRANCO RAVASI (DA « IL GRANDE LIBRO DELLA BIBBIA » DI RAITRE)

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SALMO 51 (50) CON IL COMMENTO DI GIANFRANCO RAVASI (DA « IL GRANDE LIBRO DELLA BIBBIA » DI RAITRE)

Testo del salmo 51 (50)
Pietà di me, o Dio,
secondo la tua misericordia; *
nel tuo grande amore
cancella il mio peccato.

Lavami da tutte le mie colpe, *
mondami dal mio peccato.
Riconosco la mia colpa, *
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato, *
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;
perciò sei giusto quando parli, *
retto nel tuo giudizio.

Ecco, nella colpa sono stato generato, *
nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi la sincerità del cuore *
e nell’intimo m’insegni la sapienza.

Purificami con issopo e sarò mondato; *
lavami e sarò più bianco della neve.
Fammi sentire gioia e letizia, *
esulteranno le ossa che hai spezzato.

Distogli lo sguardo dai miei peccati, *
cancella tutte le mie colpe.
Crea in me, o Dio, un cuore puro, *
rinnova in me uno spirito saldo.

Non respingermi dalla tua presenza *
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato, *
sostieni in me un animo generoso.

Insegnerò agli erranti le tue vie *
e i peccatori a te ritorneranno.
Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, *
la mia lingua esalterà la tua giustizia.

Signore, apri le mie labbra *
e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio *
e, se offro olocausti, non li accetti.

Uno spirito contrito *
è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, *
tu, o Dio, non disprezzi.

Nel tuo amore
fa’ grazia a Sion, *
rialza le mura
di Gerusalemme.

Allora gradirai i sacrifici prescritti, *
l’olocausto e l’intera oblazione,
allora immoleranno vittime *
sopra il tuo altare.

Gloria al Padre e al Figlio *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre, *
nei secoli dei secoli. Amen.

Brano audio tratto da « Il Grande Libro della Bibbia ».
A cura di Guido Gola e Renzo Ceresa
Commento esegetico di Gianfranco Ravasi
Riflessioni di Carlo Maria Martini (in alcune parti)
Interpreti Paolo Bessegato, Giancarlo Dettori, Umberto Ceriani, Franca Nuti e Giulia Lazzarini.

Cosa sono i salmi?
I Salmi, sono composizioni di diverso contenuto poetico e spirituale, nelle quali si riflette l’esperienza religiosa individuale e collettiva del popolo di Israele e la sua evoluzione nei vari contesti storici e culturali. Preghiera e poesia sono un unico respiro che sale al Signore come supplica, contemplazione e lode. E in questo respiro c’è tutta la varietà di sentimenti e atteggiamenti con cui l’uomo in preghiera esprime la sua fede e il suo rapporto con il Dio vivente.
Quanti sono i salmi?
Il Libro dei Salmi consta di 150 salmi ed è diviso in 5 parti come la « Torah »- o « Pentateuco ».
A seconda della edizione della Bibbia in cui il libro è inserito c’è una diversa numerazione dei 150 salmi.
Il testo masoretico ebraico ha una determinata numerazione che non corrisponde con quella greca dei LXX o della Vulgata (Latino).
Nella Bibbia Cattolica normalmente vi sono le due numerazioni: la prima è quella del TM e la seconda, tra parentesi, quella della LXX. Le Bibbie Ebraiche seguono la numerazione del TM. Le cattoliche seguono il TM e mettono tra parentesi la numerazione della LXX. I Protestanti seguono la LXX. Nella Liturgia delle Ore viene seguita la numerazione del TM.
Cos’è il Salterio?
Il salterio è il libro che contiene i salmi. Il termine « salterio » è la semplice traslitterazione della parola greca psalmòs, che significa un canto da eseguirsi con accompagnamento musicale e tutta la raccolta viene chiamata psalterion, termine greco che indica uno strumento a corde di cui ci si serve per accompagnare il canto. Per tale motivo i salmi andrebbero sempre cantati specialmente nella Liturgia.
Il Salterio è un dialogo d’amore con Dio nella storia.
Non bisogna mai dimenticare l’armonica sintesi tra l’aspetto personale e l’aspetto comunitario dei salmi, per cui si può senz’altro affermare che la storia del popolo d’Israele è la storia dei singoli. Il salmista, che è perseguitato, sa di non essere un caso isolato e indipendente dalla storia del suo popolo, della sua gente, per questo può fare riferimento alla “liberazione dall’Egitto“ per chiedere la sua personale liberazione.
Il salmo, originariamente comunitario, può essere usato per sé dal singolo israelita; come pure il salmo, originariamente del singolo, può essere applicato a tutta la comunità. Questa interscambiabilità tra preghiera personale e comunitaria, tra “io” e “noi” è la caratteristica propria della storia della salvezza che Dio dirige. Nella preghiera con i salmi devo sempre tener presente questa solidarietà che mi lega con tutto il popolo di Dio.
I salmi nella preghiera Liturgica. Il valore comunitario.
«Chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà, che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d’animo da quello espresso nel salmo, come accade quando chi è triste e nell’angoscia incontra un salmo di giubilo, o, al contrario, è felice e si trova di fronte a un canto di lamentazione. Nella preghiera puramente privata si può evitare questa dissonanza, perché vi è modo di scegliere il salmo più adatto al proprio stato d’animo. Nell’Ufficio divino, invece, si ha un determinato ciclo di salmi valevole per tutta la comunità ed eseguito non a titolo personale, ma a nome di tutta la Chiesa, anche quando si tratta di un orante che celebra qualche Ora da solo. Chi salmeggia a nome della Chiesa può sempre trovare un motivo di gioia o di tristezza, perché anche in questo fatto conserva il suo significato l’espressione dell’Apostolo: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15) e così la fragilità umana, ferita dall’amor proprio, viene risanata nella misura di quella carità per la quale lamenta e concorda con la voce che salmeggia» (n. 108).alleanza sia nel contenuto che nell’uso. I salmi sono il patto d’amore ieri con Israele e oggi con il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa.
I salmi in Pregaudio
Nelle lodi e nei vespri cantati, quelli che compaiono nella home, per intenderci, sono sempre introdotti da una didascalia per valorizzarne il contenuto spirituale e sempre accompagnati da un sottofondo musicale proprio per specificarne la musicalità. Infatti dall’origine era sempre accompagnato da uno strumento musicale. Di qui la parola psalmòs.
La fonte dei file audio della praylist “I Salmi: riflettere e pregare »
Citiamo la fonte autorevole che è Rai 3 e la sua trasmissione: “Il grande libro della Bibbia”
La lettura delle Sacre Scritture è un ciclo di trasmissioni iniziato nel 1994 con la lettura della Genesi dove il biblista Mons. Gianfranco Ravasi informa gli ascoltatori e dice: una esperienza unica per la radio perché finora, a quanto si è dato a sapere, nessuna radio mai al mondo ha tentato di leggere integralmente la Bibbia, che è il libro più tradotto e più venduto al mondo. Vi presentiamo in 70 puntate (la domenica) il grande libro delle Lodi di Israele e della preghiera cristiana, i Salmi, che sono 150 composizioni di diverso contenuto, nelle quali si riflette l’esperienza religiosa individuale e collettiva di un popolo e la sua evoluzione nei vari contesti storici e culturali.
Preghiamo chiunque voglia condividere altrove i file che sono pubblicati qui, di farlo allo stesso modo, gratuitamente, citando correttamente la fonte.

BENEDETTO XVI – UDIENZA – SALM0 143, 1-8 (2006)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060111.html

BENEDETTO XVI – UDIENZA – SALM0 143, 1-8 (2006)

UDIENZA GENERALE

Aula – Paolo VI
Mercoledì, 11 gennaio 2006

Salmo 143,1-8
Preghiera del Re per la vittoria e per la pace
Vespri – Giovedì 4a settimana

1. Il nostro itinerario nel Salterio usato dalla Liturgia dei Vespri giunge ora a un inno regale, il Salmo 143, del quale è stata proclamata la prima parte: la Liturgia, infatti, propone questo canto suddividendolo in due momenti.
La prima parte (cfr vv. 1-8) rivela in modo netto la caratteristica letteraria di questa composizione: il Salmista ricorre a citazioni di altri testi salmici articolandoli in un nuovo progetto di canto e di preghiera.
Proprio perché il Salmo è di epoca successiva, è facile pensare che il re che viene esaltato abbia ormai i contorni non più del sovrano davidico, essendo la regalità ebraica conclusa con l’esilio babilonese del VI secolo a.C., bensì egli rappresenti la figura luminosa e gloriosa del Messia, la cui vittoria non è più un evento bellico-politico, ma un intervento di liberazione contro il male. Al « messia » – vocabolo ebraico che indica il « consacrato », come lo era il sovrano – subentra, così, il « Messia » per eccellenza, che, nella rilettura cristiana, ha il volto di Gesù Cristo, « figlio di Davide, figlio di Abramo » (Mt 1, 1).
2. L’inno si apre con una benedizione, ossia con un’esclamazione di lode rivolta al Signore, celebrato con una piccola litania di titoli salvifici: egli è la roccia sicura e stabile, è la grazia amorosa, è la fortezza protetta, il rifugio difensivo, la liberazione, lo scudo che tiene lontano ogni assalto del male (cfr Sal 143, 1-2). C’è anche l’immagine marziale del Dio che addestra alla lotta il suo fedele così che sappia affrontare le ostilità dell’ambiente, le potenze oscure del mondo.
Davanti al Signore onnipotente l’orante, pur nella sua dignità regale, si sente debole e fragile. Egli emette, allora, una professione di umiltà che è formulata, come si diceva, con le parole dei Salmi 8 e 38. Egli, sente, infatti, di essere « come un soffio », simile a un’ombra passeggera, esile e inconsistente, immerso nel flusso del tempo che scorre, segnato dal limite che è proprio della creatura (cfr Sal 143, 4).
3. Ecco, allora, la domanda: perché Dio si cura e si dà pensiero di questa creatura così misera e caduca? A questo interrogativo (cfr v. 3) risponde la grandiosa irruzione divina, la cosiddetta teofania che è accompagnata da un corteo di elementi cosmici e di eventi storici, orientati a celebrare la trascendenza del Re supremo dell’essere, dell’universo e della storia.
Ecco monti che fumano in eruzioni vulcaniche (cfr v. 5), folgori che sono simili a saette che disperdono i malvagi (cfr v. 6), ecco le « grandi acque » oceaniche che sono simbolo del caos dal quale è però salvato il re ad opera della stessa mano divina (cfr v. 7). Sullo sfondo rimangono gli empi che dicono « menzogne » e « giurano il falso » (cfr vv. 7-8), una raffigurazione concreta, secondo lo stile semitico, dell’idolatria, della perversione morale, del male che veramente si oppone a Dio e al suo fedele.
4. Noi ora, per la nostra meditazione, ci soffermeremo inizialmente sulla professione di umiltà che il Salmista compie e ci affideremo alle parole di Origene, il cui commento al nostro testo è giunto a noi nella versione latina di san Girolamo. « Il Salmista parla della fragilità del corpo e della condizione umana », perché « quanto alla condizione umana, l’uomo è un nulla. « Vanità delle vanità, tutto è vanità », disse l’Ecclesiaste ». Ma torna allora la domanda stupita e riconoscente: «  »Signore, che cos’è l’uomo per esserti manifestato a lui? »… Grande felicità per l’uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno ». Vale la pena meditare un po’ queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l’uomo e gli altri animali nel fatto che l’uomo è capace di conoscere Dio, il suo Creatore, che l’uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia. È importante, nel nostro tempo, che noi non dimentichiamo Dio, insieme con tutte le altre conoscenze che abbiamo acquisito nel frattempo, e sono tante! Esse diventano tutte problematiche, a volte pericolose, se manca la conoscenza fondamentale che dà senso e orientamento a tutto: la conoscenza di Dio Creatore.
Ritorniamo a Origene. Egli dice: « Non potrai salvare questa miseria che è l’uomo, se tu stesso non la prendi su di te. « Signore, piega il tuo cielo e scendi ». La tua pecora sbandata non potrà guarire se non sarà messa sulle tue spalle… Queste parole sono rivolte al Figlio: « Signore, piega il tuo cielo e scendi »… Sei disceso, hai abbassato i cieli e hai steso la tua mano dall’alto, e ti sei degnato di prendere su di te la carne dell’uomo, e molti credettero in te » (Origene – Gerolamo, 74 omelie sul libro dei Salmi, Milano 1993, pp. 512-515). Per noi cristiani Dio non è più, come nella filosofia precedente il cristianesimo, una ipotesi ma è una realtà, perché Dio « ha piegato il cielo ed è sceso ». Il cielo è Egli stesso, ed è sceso in mezzo a noi. Giustamente Origene vede nella parabola della pecorella smarrita, che il pastore prende sulle sue spalle, la parabola dell’Incarnazione di Dio. Sì, nell’Incarnazione Egli è sceso e ha preso sulle sue spalle la nostra carne, noi stessi. Così la conoscenza di Dio è divenuta realtà, è divenuta amicizia, comunione. Ringraziamo il Signore perché « ha piegato il suo cielo ed è sceso », ha preso sulle sue spalle la nostra carne e ci porta sulle strade della nostra vita.
Il Salmo, partito dalla nostra scoperta di essere deboli e lontani dallo splendore divino, giunge alla fine a questa grande sorpresa dell’azione divina: accanto a noi c’è Dio-Emmanuele, che per il cristiano ha il volto amoroso di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, fattosi uno di noi.

 

ANCHE A GERUSALEMME LA DUREZZA DELLA STORIA SALMI 123 – 124

 

http://www.atma-o-jibon.org/italiano8/stancari_salmi2.htm

ANCHE A GERUSALEMME LA DUREZZA DELLA STORIA SALMI 123 – 124

La città delude

Il pellegrino ha contemplato e benedetto la città. Ora essa è a portata di mano. C’è un’ultima valle da scendere e risalire e, mentre sta risalendo lungo la china, guarda verso Gerusalemme e si accorge che ormai può toccarla. Allora alza lo sguardo ed è come se esso non si fermasse più ad osservare la meta tanto desiderata.
Il v. 1 di questo Salmo è brevissimo, ma densissimo. Precisa che lo sguardo del pellegrino è orientato verso colui che abita nei cieli. Eppure alla fine del Salmo precedente lodava Gerusalemme perché in essa è la casa del Signore! Tra i due brani si nota un salto. È come se il contatto con Gerusalemme disturbasse il nostro viandante. Ora che è così vicino da poterla toccare, un senso di ripulsa lo assale. Non per questo si arresta o perde l’orientamento, ma il suo gesto – gesto di chi distoglie lo sguardo – ha un senso di amaro disincanto. La meta diventa motivo di sofferenza, addirittura di scandalo.
Oltre tutto succede quello che è normale in ogni luogo di pellegrinaggio: chi viene da lontano, povero e devoto, è subito trattato come un cliente da imbrogliare.. con la massima devozione! Nel caso migliore viene deriso e ci si approfitta di lui.
Così il pellegrino si accorge subito che il contesto non è in sintonia con l’intensa partecipazione interiore, con la preparazione affettuosa e devota che ha caratterizzato il suo lungo viaggio. Si accorge di trovarsi in un contesto dove egli è considerato uno straniero e che Gerusalemme è occupata.
Anche questo non è in sé una novità sorprendente. La storia della salvezza parla spesso della città invasa da culti idolatrici e stranieri. Gerusalemme, la Bella, l’Eletta, la Benedetta, è inquinata.

SALMO 123

1 Canto delle ascensioni. Di Davide.

A te levo i miei occhi,
a te che abiti nei cieli.

2 Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni;
come gli occhi della schiava,
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.

3 Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
già troppo ci hanno colmato di scherni,

4 noi siamo troppo sazi
degli scherni dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.

Devozione a Dio, sospetto e solidarietà
Dopo il v. 1, con il valore introduttivo di una dichiarazione così esplicita di desiderio di Colui che rimane Puro, Libero e Splendente nella Santità, il v. 2 contiene uno svolgimento meditativo. Di nuovo il pellegrino, con prudenza, guarda Gerusalemme, la sua realtà che si impone.
Ripensa e prende posizione. Dice quello che succede; e si descrive in rapporto alla città che vede: un servo che rimane vigilante in attesa di quel gesto con cui il padrone gli comunicherà il da fare. È atteggiamento di grande devozione e affetto, accompagnato da un tono di allarme, da un brivido di sospetto. C’è una tensione che cancella la nota di letizia che aveva accompagnato l’ultimo tratto del viaggio. Gli occhi sono fissi, calamitati. Solo un gesto del padrone e quest’uomo sfodererà gli artigli come un cane fedele in difesa dell’amato.
Così egli guarda al Signore, e non solo lui!
Nel v. 1 si esprimeva in prima persona singolare, nel v. 2 parla in prima persona plurale. Questo passaggio dal singolare al plurale non è indifferente. Non è solo, ci sono altri con lui. È confermata quell’esperienza di comunione che il Salmo precedente ha illustrato ed esaltato, anche se lo è sul versante del sospetto, dell’allarme e della tensione. Comunque il pellegrino anche così si riconosce parte di una realtà comunitaria.
Insieme si noti l’ultimo rigo del v. 2: «finché abbia pietà di noi…». La pietà di cui si parla è l’atto del chinarsi. Dio si piegherà su di noi per occuparsi di noi e sollevarci. Quella tensione che si esprimeva – generata da fervore e intransigente coerenza – si stempera in modo da trasformarsi in una vera e propria invocazione che esprime uno stato di miseria e debolezza estrema. Se il Signore non si piega sulla nostra bassezza nulla sarà possibile ancora per questi pellegrini stranieri in casa e per questo solidali. Si aspettavano pace e solidarietà dalla intera comunità di Israele.
Sono delusi e consolati solo dalla presenza di altri simili a loro. In questo uso del «noi» si percepisce la convinzione profonda che esiste una solidarietà anche nei confronti di coloro che accolgono male o imbrogliano i pellegrini. Questi sono ignari dei raggiri che li coinvolgono, li scoprono quando sono danneggiati e derisi. Allora dicono «noi», si riconoscono tra loro, sfortunati e poveri. Eppure in questo «noi» non sono del tutto assenti anche coloro che fanno da avversari e forestieri.
Il nostro pellegrino incontra a Gerusalemme gente che fa finta di essere straniera in quel luogo. Allora egli si rivolge al Signore e si dichiara totalmente fiducioso, per tutti, nella pietà che viene da Lui.
Un grido
Così gli ultimi due versetti del Salmo riportano un grido. È come se a nome di tutti il pellegrino dicesse: «Basta! Non ne posso più!».
Il Salmo si era aperto con il levare lo sguardo al Signore, ora il pellegrino lo implora di chinarsi su persecutori e perseguitati. La sua sazietà – il non poterne più – è relativa agli scherni subiti, ma anche a quelli restituiti, perché il testo originale – su questo il nostro testo non ci aiuta a capire – fa comprendere che coloro che approfittano di Gerusalemme per i loro bassi interessi non sono le sole fonti di disgusto. Il pellegrino dice anche: «Noi siamo troppo sazi… del disprezzo» per i «superbi» (v. 4): il disprezzo con il quale noi rispondiamo loro. È sazi età per una infame violenza reciproca, di cui ci si ingozza fino alla nausea. In ogni caso il Salmo si conclude con questa semplice e perentoria dichiarazione: « Basta!».
A sua volta anche Gesù dirà «Basta!. (Lc 22,38) a chi lo invita alla violenza.
Siamo così al Salmo 124.

SALMO 124

1 Canto delle ascensioni. Di Davide.

Se il Signore non fosse stato con noi, .
- lo dica Israele -

2 se il Signore non fosse stato con noi,
quando uomini ci assalirono,

3 ci avrebbero inghiottiti vivi,
nel furore della loro ira.

4 Le acque ci avrebbero travolti;
un torrente ci avrebbe sommersi,

5 ci avrebbero travolti
acque impetuose.

6 Sia benedetto il Signore,
che non ci ha lasciati,
in preda ai loro denti.

7 Noi siamo stati liberati come un uccello
dal laccio dei cacciatori:
il laccio si è spezzato
e noi siamo scampati.

8 Il nostro aiuto è nel nome del Signore
che ha fatto cielo e terra.

Un orizzonte di grazia per ogni cammino
Il testo suppone l’intervento di un solista e del coro. « Se il Signore non fosse stato con noi» – dice il solista – e il coro ripete il ritornello «lo dica Israele se il Signore non fosse stato con noi…».
Questa ricostruzione liturgica rinvia a un contesto vivo nel quale si fa udire la voce di un personaggio in una assemblea. Immaginiamo di ricostruirlo così: siamo alla sera di quell’importante giorno dell’arrivo alla città. L’ingresso vero e proprio non è ancora avvenuto. Al bivacco ciascuno dei convenuti racconta le proprie avventure davanti al fuoco, a turno. Anche il nostro pellegrino racconta le sue.
Ora è possibile trovare degli interlocutori attenti o almeno gentili. Ciascuno si apre e un coro commenta, sommesso: « Se il Signore non fosse stato con noi non saremmo qui… ».
I racconti sono diversi: ciascuno ha percorso una sua strada e le situazioni sono originali, eppure il ritornello ricapitola e fonde in un orizzonte di grazia ciascuna vicenda. Così esse si re interpretano l’una con l’altra: « Tutti siamo qui perché il Signore è stato con noi!».
L’aneddotica personale e di gruppo, le barzellette, le fantasie, i racconti che ingigantiscono avventure… tutto serve a dire che si è lì ed è possibile raccontarsi e ascoltarsi perché «il Signore è stato con noi». In contatto con le mura di Gerusalemme ci si ritrova tutti condotti alla meta.
Si noti l’espressione alla prima persona plurale: «con noi». Si potrebbe anche tradurre diversamente: «Se il Signore non fosse stato per noi» oppure «in noi» (così il testo greco e la Vulgata: «in nobis»). Non solo il Signore è colui che ha accompagnato con il suo intervento prodigioso il viaggio. Egli era presente nei viandanti.
In questa direzione suggerivano di pensare anche i Salmi 121 e 122, che abbiamo già letto. Ora è possibile dichiararlo espressamente: era Lui che sosteneva i passi, che gestiva il quotidiano della fatica; Lui rendeva prodigiosa la piatta realtà di ogni momento. Se non fosse stato così non si sarebbe arrivati. Non c’è nessun momento – neppure il più trascurabile e non raccontato – che non sia stato pieno di valore impagabile, perché il Signore ne ha pagato il prezzo.
La liberazione dagli inferi genera benedizione
La prima sezione del Salmo, fino al v. 5 dice come il nostro pellegrino racconta di sé. La seconda sezione si sviluppa in forma di preghiera e di benedizione.
Noi che abbiamo letto il Salmo 121 possiamo pensare che il suo viaggio non sia stato ricco di quegli incontri spaventosi di cui parla adesso. Può darsi anche che tenda a ingigantire le cose, ma importa poco: anche se non fosse successo niente, la ragione per cui il viaggio si è compiuto è intrinsecamente straordinaria. È una ragione che non ha una consistenza autonoma indipendentemente dal fatto che il Signore vi si è impegnato e manifestato. Lui ha riempito, in modo gratuito, di senso e di valore quell’itinerario grigio che si era intrapreso.
Dice allora che «uomini ci assalirono» con la «loro ira…». Racconta un’aggressione, in due immagini: una belva feroce digrigna i denti e una massa d’acqua esce dal proprio alveo. Sono immagini anche contraddittorie: la furia della fiamma dell’ira e una marea travolgente. Sono entrambe immagini infernali, comunque.
L’inferno della vita avrebbe racchiuso in sé il viandante, lo avrebbe bloccato, insabbiato e intrappolato. Gli uomini sono da esso ridotti a misurarsi come protagonisti di una sua iniziativa fallita. Il Signore strappa da questo inferno; un inferno sperimentato e ricordato con pena. Il Signore non ha permesso che fosse questa l’esperienza disperante e definitiva.
Allora «Sia benedetto il Signore…». Egli ci ha liberati. Queste sono le cose grandi del Signore, eppure tanto semplici. Le scene invocate sono quasi infantili: un uccellino liberato, un frullio d’ali e non c’è più. Le grandi cose sono semplici: «non ci ha lasciati, in preda ai loro denti.. .».
Tutti concludono come nel Salmo 121. Si passa ancora da «Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,2) al «nostro aiuto». Lui ha condotto tutti in uno spazio libero, per volar via. Lui fa di questa piccola storia mia una storia raccontabile. Essa diventa parte della storia comune, commento alla storia degli altri e comprensibile solo con la loro, davanti allo sguardo di Dio. Tutti sono così al termine di un viaggio che si è compiuto solo perché «il Signore è stato con noi».

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