Archive pour novembre, 2015

Crucifixion of St. Andrew.

Crucifixion of St. Andrew. dans immagini sacre Martyrdom_of_andrew

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Publié dans:immagini sacre |on 30 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

30 NOVEMBRE SANT’ ANDREA – OMELIA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

http://www.maranatha.it/Ore/solenfeste/1130letPage.htm

30 NOVEMBRE SANT’ ANDREA (f) APOSTOLO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dalle «Omelie sul vangelo di Giovanni» di san Giovanni Crisostomo, vescovo    (Om. 19, 1; PG 59, 120-121)

Abbiamo trovato il Messia

Andrea, dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» (Gv 1, 41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall’altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento. Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia. Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente li amasse e come fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale. Guarda anche l’animo di Pietro, fin dall’inizio docile e pronto alla fede: immediatamente corre senza preoccuparsi di nient’altro. Infatti dice: «Lo condusse da Gesù» (Gv 1, 42). Nessuno certo condannerà la facile condiscendenza di Pietro nell’accogliere la parola del fratello senza aver prima esaminati a lungo le cose. E’ probabile infatti che il fratello gli abbia narrato i fatti con maggior precisione e più a lungo, mentre gli evangelisti compendiano ogni loro racconto preoccupandosi della brevità. D’altra parte non è detto nemmeno che abbia creduto senza porre domande, ma che Andrea «lo condusse da Gesù», affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente. C’era insieme infatti anche un altro discepolo e anche lui fu guidato nello stesso modo. Se Giovanni Battista dicendo: Ecco l’Agnello di Dio, e ancora: Ecco colui che battezza nello Spirito (cfr. Gv 1, 29. 33), lasciò che un più chiaro insegnamento su questo venisse da Cristo stesso, certamente con motivi ancor più validi si comportò in questo modo Andrea, non ritenendosi tale da dare una spiegazione completa ed esauriente. Per cui guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante

L’ISRAELE DI DIO (Rm)

http://camcris.altervista.org/medisrdio.html

L’ISRAELE DI DIO

Messaggio ai Cristiani a cura del past. Veglio, ministro della Chiesa cristiana evangelica di Trieste

INTRODUZIONE

Ringrazio il Signore perché ha voluto chiamare noi, gli ultimi, i più miseri, per comunicarci la sua parola, la verità. Egli ci ha detto che soltanto la verità ci renderà liberi e che se vogliamo avere libertà abbiamo bisogno della sua parola. Abbiamo bisogno di Gesù, che è la parola di Dio. Questa è la parola che ho ricevuto dal Signore.

Leggiamo quello che è scritto nella Lettera ai Romani, capitolo 11: 1Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch’io sono Israelita, della discendenza d’Abrahamo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: 3″Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita »? 4Ma che cosa gli rispose la voce divina? « Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal ». 5Così anche al presente, c’è un residuo eletto per grazia. 6Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia. 7Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto; mentre lo hanno ottenuto gli eletti; e gli altri sono stati induriti, 8com’è scritto: « Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchie per non udire, fino a questo giorno ». 9E Davide dice: « La loro mensa sia per loro una trappola, una rete, un inciampo e una retribuzione. 10Siano gli occhi loro oscurati perché non vedano e rendi curva la loro schiena per sempre ». 11Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia. 12Ora, se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione! 13Parlo a voi, stranieri; in quanto sono apostolo degli stranieri faccio onore al mio ministero, 14sperando in qualche maniera di provocare la gelosia di quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. 15Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? 16Se la primizia è santa, anche la massa è santa; se la radice è santa, anche i rami sono santi. 17Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell’olivo, 18non insuperbirti contro i rami; ma, se t’insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. 19Allora tu dirai: « Sono stati troncati i rami perché fossi innestato io ». 20Bene: essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede; non insuperbirti, ma temi. 21Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. 22Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; ma verso di te la bontà di Dio, purché tu perseveri nella sua bontà; altrimenti, anche tu sarai reciso. 23Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati; perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. 24Infatti se tu sei stato tagliato dall’olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell’olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo. 25Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; 26e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: « Il liberatore verrà da Sion. 27Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati ». 28Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili. 30Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti. 33Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! 34Infatti, « chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? 35 O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio? » 36Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.

Dio ci comunica realtà eterne. È scritto che la parola di Dio è sempre « Sì e amèn ». Egli non muta, non è una volta « sì » e l’altra « no » (2Corinzi, 1:19-20). Nel Signor Gesù non c’è né titubanza, né incertezza. Noi siamo insufficienti e imperfetti, per questo Dio ci dà secondo la misura della nostra fede (Romani, 12:6). Ci dà solo quello che possiamo portare e non ci costringe a credere quello che non riusciamo ad accettare. È scritto che i profeti profetizzano secondo la misura della loro fede, ciò significa che parlano di ciò che hanno ricevuto dal Signore nella misura in cui vi hanno creduto. Non possono dire di avere ricevuto da Dio ciò che non credono provenire dal Signore. Quello a cui non credono non lo considerano parola di Dio. Così è anche per tutti noi: quello che non crediamo non lo consideriamo parola di Dio. Il Signore ci parla in tante maniere, Dio ci sta dando tesori immensi, ricchezze meravigliose, infinite, ma noi siamo limitati, e nella nostra limitatezza riteniamo provenire dal Signore soltanto quello che riusciamo ad accettare. Dio non è avaro, ma noi siamo limitati e non siamo in grado di capire cose tanto grandi. Ma grazie a Dio abbiamo accolto la verità. Grazie a Dio abbiamo accettato Gesù, il fondamento della nostra fede e della nostra salvezza, e con Gesù la vita eterna. Su questo viene costruita l’opera di Dio. Tutta la nostra vita, tutto ciò che Dio ci dona viene messo pietra sopra pietra e così veniamo edificati in Cristo. Dio ci ha chiamati a libertà. Ma, se vogliamo piacere a Dio, non possiamo vivere una vita secondo la nostra volontà; dobbiamo vivere una vita conforme alla Sua volontà, conforme cioè a quello che Lui ci ha detto. Ora le cose che abbiamo conosciuto sono parziali: non imperfette ma parziali, perché noi, non siamo in grado di capire tutto. Come ci dice lo Spirito Santo per mezzo dell’apostolo Paolo: « Oggi noi contempliamo come in uno specchio » – cioè come di riflesso – le cose grandi di Dio, ma quando saremo col Signore, allora le vedremo direttamente, « faccia a faccia » (1Corinzi, 13:12). Allora vedremo le cose in una maniera molto più profonda, in una maniera completa. Riusciremo a comprendere la meravigliosa grandezza di Dio, perché vi saremo immersi. Saremo anche noi là, assieme a Lui. La Sacra Scrittura ci dice che non tutti i popoli sono popolo di Dio, ma soltanto uno: il Popolo di Israele. Noi abbiamo accettato Gesù, il Figlio di Dio, e in Lui siamo diventati anche noi figli di Dio. Per accettare Gesù, la Parola di Dio, abbiamo rinunciato (siamo morti) alla nostra vecchia vita e abbiamo cominciato a vivere la nuova vita che è Gesù Cristo stesso in noi. Gesù, che è la progenie d’Israele, è colui che vive in noi (come dice l’apostolo Paolo: « non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me »; Galati, 2:20). Essendo Gesù la discendenza d’Israele, tutti coloro che accettano Gesù diventano in lui l’Israele spirituale. Noi sappiamo che Israele non ha accettato Gesù. Il popolo d’Israele, ufficialmente, non ha accettato Gesù come il Messia, cioè l’Unto (Mashiach) di Dio. Non lo ha riconosciuto come figlio di Dio e non lo ha accettato come Salvatore; pertanto il popolo d’Israele non ha ottenuto la salvezza. Gesù è l’unica salvezza, l’unica via, l’unica verità e l’unica vita, l’unico attraverso cui si può essere salvati e ottenere la vita eterna. Certo, anche fra gli Israeliti ci sono coloro che hanno accettato Gesù: anche l’apostolo Pietro e l’apostolo Paolo erano israeliti, praticamente tutta la Chiesa di Gerusalemme era israelita. Quindi non è vero che nessuno del popolo d’Israele abbia accettato Gesù, anzi. Ma non la nazione d’Israele. In effetti, Israele sta ancora spettando il Messia. Ora, avendo rifiutato Gesù come figlio di Dio, ha rifiutato la salvezza e fino a oggi, quindi, il popolo d’Israele non è ancora salvato. Perciò noi che abbiamo accettato Gesù come nostro salvatore siamo diventati popolo di Dio, l’Israele spirituale, mentre il popolo d’Israele, che non ha ancora accettato Gesù, non è ancora entrato a far parte dell’Israele spirituale. Questa è solo la premessa.   L’ELEZIONE DI ISRAELE Abbiamo visto che è scritto: « Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia » (v. 11). Quindi, il popolo d’Israele non è inciampato per non rialzarsi più, non ha rifiutato per sempre Gesù l’Unto. Neanche Dio li ha rifiutati per sempre. Piuttosto: a causa del loro indurimento, del loro rifiuto, la salvezza è giunta agli altri popoli. Sin dall’inizio, prima ancora della distruzione del Tempio, i fratelli hanno subìto persecuzioni a causa della loro fede. Sono stati tutti dispersi; solo gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme (Atti, 8:4e 11:19), gli altri sono dovuti scappare in altre città e così facendo hanno diffuso la parola di Dio, annunciando Gesù in tutti i luoghi dove sono andati. Negli scritti del Nuovo Testamento troviamo che quando l’apostolo Paolo arrivava in una città, prima di tutto entrava nella Sinagoga e lì annunciava la buona notizia della salvezza in Gesù Cristo (Atti, 13:5,14,17:1-3). Ma quando, come purtroppo è avvenuto, questo annuncio è stato rifiutato dagli ebrei, allora Paolo si è rivolto agli altri popoli (ai Gentili). Dicendo agli israeliti: « Era necessario che a voi per primi si annunciasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri » (Atti, 13:46). E così è avvenuto, il vangelo è stato annunciato agli stranieri e molti hanno accettato Gesù. Quindi, a causa della caduta del popolo d’Israele, a causa del loro rifiuto, noi che siamo stranieri (estranei alle promesse, al patto, all’elezione) siamo stati raggiunti dalla Parola di Dio e abbiamo potuto ricevere la salvezza nel Signore Gesù e diventare così popolo di Dio. Ma il piano di Dio non si ferma qui. « Ora, – continua la Scrittura – se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione! Parlo a voi, stranieri; in quanto sono apostolo degli stranieri faccio onore al mio ministero, sperando in qualche maniera di provocare la gelosia di quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? » (vv. 13-15). Questa parola scuote profondamente. La loro caduta, il loro rifiuto è stato per noi la salvezza. Non c’era nessuno che offrisse salvezza, come non c’è tuttora nessuna religione, nessuna dottrina, che offra salvezza. Tanti parlano, predicano, insegnano a fare buone opere, penitenze, riti, purificazioni e tante altre cose, ma nessuno assicura: « facendo così sarai certamente salvato ». Dicono: « Facendo questo, diventerai migliore, sarai più gradito a Dio, riceverai l’illuminazione », ma, sino alla venuta del Signor Gesù – e ancora sino a oggi – non c’è stato nessun altro che abbia offerto la salvezza e la vita per l’eternità, gratuitamente. Solo il Signore Gesù. Solo chi accetta Gesù nel suo cuore può dire: « Sì, io sono salvato ». Perché Gesù Cristo è la salvezza. Chiunque ha accettato Gesù Cristo nel proprio cuore, ha ricevuto la salvezza. E così, chi ha accettato Gesù può dire agli altri: « Accetta Gesù nel tuo cuore e sarai salvato anche tu ». Non c’è un altro modo per essere salvati. Cosicché quando quei popoli – in quel tempo, come anche oggi – hanno udito questa parola così certa, così ferma, così chiara, hanno accettato, perché non avevano mai sentito dire che questo fosse possibile. Ma Israele ha rifiutato Gesù Cristo, e a causa di questo rifiuto noi stranieri abbiamo ottenuto grazia, perché abbiamo ricevuto la parola di Dio. E Gesù ci ha rinnovati completamente, abbiamo difatti rinunciato volentieri a tutto ciò che era vergognoso, peccaminoso, iniquo, cioè a tutto il nostro vecchio modo di vivere, le vecchie tradizioni, le nostre vecchie passioni e i vecchi piaceri; e adesso siamo nuove creature. Ora se il rifiuto dell’Unto Gesù da parte del popolo d’Israele è stato per noi la salvezza, e oggi abbiamo la gioia di poter vivere in comunione con Dio e abbiamo pace nel cuore, avendo avuta trasformata la nostra vita, se Dio ha fatto questo in noi a causa del rifiuto del popolo d’Israele, che cosa succederà quando anche il popolo d’Israele accetterà Gesù? Questo è ciò che dice la parola di Dio: « Se il loro rifiuto è stata la riconciliazione del mondo, che sarà la riammissione, se non un rivivere dai morti? » (v. 15). Visto che non c’è un modo per poter esprimere qualcosa di così grande, l’apostolo lo esprime con questa frase interrogativa. Che altro può essere, se non qualche cosa di meraviglioso? Se oggi noi cristiani abbiamo già così tanto, che cosa succederà quando Israele si ravvederà e accetterà Gesù? Essi ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro, le promesse e i padri, e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo (Romani, 9:4-5). Il popolo che ha la cultura di Dio, le tradizioni di Dio. (Mi riferisco alle tradizioni bibliche, non a quelle che ha assimilato dal mondo, corrompendosi, corruzione che poi ha anche pagato amaramente). Io ho visto che queste cose a noi mancano. Lo Spirito di Dio mi ha mostrato una cosa che non conoscevo: il popolo d’Israele ha una ricchezza che a noi cristiani manca. È vero, gli manca Gesù, e senza il figlio di Dio è privo della salvezza e della vita eterna. Ma quando Israele accetterà Gesù, la grande ricchezza che possiede diventerà patrimonio di tutto il popolo di Dio, ebrei e non ebrei. 

L’OLIVO C’è ancora qualcosa di meraviglioso. Rileggiamo la parola. « Se la primizia è santa, anche la massa è santa. Se la radice è santa, anche i rami sono santi. Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu che sei olivo selvatico sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non insuperbirti contro i rami naturali, ma se ti insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Allora tu dirai: sono stati troncati dei rami perché fossi innestato io. Bene, essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede. Non insuperbirti, ma temi, perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neanche te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio. La severità su quelli che sono caduti, ma verso di te la bontà di Dio, sempreché tu perseveri nella sua bontà, altrimenti anche tu sarai reciso. Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati. Perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. Infatti se tu che sei stato tagliato dall’olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell’olivo domestico, quanto più essi che sono i rami naturali saranno innestati nel loro proprio olivo. » (vv. 16-24). Ecco cosa ha preparato Dio. Questo indurimento d’Israele, durato per lungo tempo – duemila anni – ha fatto sì che la parola di Dio, cioè l’evangelo, la buona notizia, potesse venir annunciato per tutto il mondo, così che nessuno rimanesse senza la possibilità di conoscere la verità – cioè Gesù – e quindi di ricevere la salvezza e la vita eterna. Ora noi cristiani non dobbiamo giudicare gli israeliti. È vero che loro hanno perseguitato Gesù e gli apostoli, hanno rifiutato il Signore e la salvezza che egli offriva loro. Ma se ci mettiamo a giudicarli per questo, noi, nel nostro cuore per natura malvagio, siamo portati a giudicarli in modo sbagliato. Giudicando così, alcuni hanno gridato: « Perfidi Giudei! ». Per lunghi anni sono echeggiate queste terribili parole e, a causa di questo modo di interpretare e di giudicare le cose, tremende persecuzioni si sono abbattute sul popolo d’Israele. Da quello che è scritto, però, vediamo che lo Spirito ci dice: non ti inorgoglire. Ma come, proprio tu che a causa del loro indurimento hai ricevuto grazia, ora li stai trattando così duramente, giudicandoli e disprezzandoli in questa maniera? Non capisci che proprio il fatto che hanno indurito il loro cuore ha dato a te la possibilità di ricevere la verità? È vero che alcuni rami dell’olivo sono stati recisi per la loro incredulità, perché si può essere salvati solo credendo in Gesù Cristo e in nessun altro modo. Tutti allo stesso modo, ebrei e pagani, senza distinzione. Gesù è il Signore! Non uno dei signori: l’unico Signore. Quindi c’è solo una salvezza: Gesù Cristo, il Signore. Ma per quanto alcuni d’Israele, a causa della loro incredulità, siano stati recisi quali rami dell’olivo, non di meno Dio non si è dimenticato di loro. Invece, noi che eravamo parte dell’olivo selvatico, siamo stati innestati al loro posto. Così ora possiamo ricevere la grazia di Dio, cioè la sostanza grassa della radice dell’olivo. Partecipiamo, cioè, della grazia proveniente dalla salvezza che è in Cristo Gesù, l’olivo di Dio. Se loro sono stati recisi per la loro incredulità – perché non hanno accettato Gesù – e Dio ha potuto innestare noi al posto loro (e l’ha fatto davvero, perché proprio per questo noi abbiamo vita: Gesù ci ha fatto partecipi di questa grazia, e noi sappiamo che cosa è avvenuto nella nostra vita il giorno che lo abbiamo accettato, e come questa è stata veramente trasformata, non esteriormente ma in profondità dentro di noi, per poi manifestarsi anche fuori: noi lo sappiamo e possiamo testimoniarlo), se Dio è stato capace di un’opera così impossibile, innestando noi che eravamo pagani al posto dei rami recisi del popolo d’Israele, quanto più egli potrà prendere di nuovo i rami tagliati, ma naturali, e reinnestarli al loro posto. È opera più facile questa, piuttosto che ciò che il Signore ha fatto per noi. Non è difficile per l’Onnipotente reintegrare il popolo d’Israele nella grazia che ha preparato innanzitutto per loro (come è anche scritto in Romani, 1:6 e 2:10). Prima per loro e poi anche per noi, non solo per l’uno o solo per l’altro. Quindi loro non sono esclusi, anzi vengono prima di noi. Se non perseverano nell’incredulità, saranno innestati di nuovo nell’olivo, cioè in Gesù il Messia. Perché Dio ha la potenza di reinnestarli (v. 23). Vale la pena sottolinearlo: se Dio ha fatto questo con noi, tanto più può farlo con loro. Fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi. Infatti, è facile cadere nella presunzione, e quando questo avviene, ci si inorgoglisce e si giudica in modo errato. Non vorrei dimenticaste che « un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele finché non sia entrata la totalità degli stranieri » (v. 25). Quindi l’indurimento si è prodotto solamente in una parte e soltanto finché non sia entrata la totalità degli stranieri, cioè dei popoli non ebrei. Dio ci ha rivelato che siamo negli ultimi tempi, anzi ci ha rivelato che i tempi sono finiti. Sono stato mandato ad annunciare queste testuali parole: « I tempi sono finiti, ravvedetevi, convertitevi a Gesù Cristo ». Questa è parola di Dio. Perciò, se i tempi sono finiti, ecco che questo « finché non sia entrata la totalità degli stranieri » ora è avvenuto. Questa condizione si concretizza ora, alla fine dei tempi, quando ormai gli stranieri, tutti i popoli, hanno ricevuto la parola di Dio. E tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: il liberatore verrà da Sion. Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati. Per quanto concerne l’evangelo essi sono nemici: per causa vostra, però, per consentire a voi di venire salvati. Ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri. Perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (v. 26-29). Cioè, come dice un’altra traduzione: senza pentimento. Dio non si pente di quanto ha dato e noi sappiamo bene che le sue promesse sono per il popolo d’Israele. Noi cristiani non abbiamo soppiantato il popolo d’Israele, come alcuni pensano. Costoro credono che il popolo d’Israele sia stato reciso e che i cristiani siano diventati popolo d’Israele al loro posto. Ma Dio ha un solo popolo, da sempre. Il popolo d’Israele rimane il suo popolo e noi cristiani non l’abbiamo soppiantato: per grazia siamo stati integrati nel popolo di Dio. Certamente nessuno entrerà nel regno dei cieli senza convertirsi e accettare Gesù: su questo non ci possono essere dubbi. Ma ciò non toglie che tutti gli israeliti che accettano Gesù sono il vero popolo d’Israele. Non tutti gli israeliti sono « Israele », come è anche scritto (Romani, 9:6), ma soltanto coloro che credono: solamente coloro che hanno accettato Gesù sono il vero Israele. Perché ci sono tanti della progenie d’Israele che non credono e anzi rifiutano la fede. Questi non saranno salvati, pur essendo nati da genitori israeliti. Ma ciò non ci dà il diritto di dedurre che noi cristiani abbiamo soppiantato Israele. No, noi siamo diventati parte del popolo d’Israele! Siamo diventati parte dell’olivo: « Innestati », come è scritto. Alcuni rami sono stati tagliati; altri, però, non sono stati tagliati. Ma il tronco non è cambiato e le radici non sono mutate: la sacra Scrittura è la stessa, le promesse sono le stesse, le profezie sono le stesse, il Signore è lo stesso. Alcuni rami sono stati tagliati e noi siamo stati innestati al posto loro, ma l’albero è sempre quello. Noi cristiani quindi siamo stati innestati e siamo entrati a far parte del popolo d’Israele. Questo è fondamentale, fratelli: Israele non è stato rifiutato. Noi cristiani non dobbiamo diventare né dei soppiantatori, come Giacobbe, e neanche dei profani, come Esaù. E noi diventiamo tali quando nel nostro inorgoglimento pensiamo di essere diventati il vero Israele. Piuttosto, abbiate l’umiltà necessaria e abbassatevi, perché a Dio non viene difficile reinnestare i rami tagliati del popolo d’Israele; mentre a noi è detto che se non perseveriamo nella verità verremo a nostra volta tagliati. Come Dio non ha esitato a rigettare quelli d’Israele che non hanno creduto, così non esiterà a rigettare neanche noi, se ci inorgogliamo. Quindi, rimani umile e sii riconoscente, perché altrimenti anche tu sarai reciso (v. 22). Fate attenzione, quindi, a non innalzarvi e a non mettervi a giudicare Israele con un cuore altero e gonfio d’orgoglio. Noi cristiani abbiamo il Vangelo, è vero, ed essi sono stati effettivamente nemici del Vangelo: ma questo è avvenuto per causa nostra, come abbiamo visto, cioè perché noi fossimo salvati. Quindi, come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio e ora, per la loro disubbidienza, avete ottenuto misericordia – così, « anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia » (v. 31). Fratelli, è così difficile, ma è meraviglioso. Ecco ciò che dice: Voi che in passato eravate estranei alla vita di Dio, avete ottenuto misericordia, perché Israele ha indurito il suo cuore verso Gesù e non lo ha voluto accettare. Ma, come essi sono stati disobbedienti affinché voi accettaste Gesù, attraverso di voi ora, per la misericordia che voi avete ottenuta, anche loro accetteranno Gesù. Attraverso di voi, perché non c’è nessun altro che possa annunciare Gesù, se non coloro che credono in Gesù. Quindi loro, che aspettano ancora il Messia, hanno bisogno di ricevere la testimonianza da noi. Per la misericordia che è stata fatta a noi, anche loro otterranno misericordia. Così Dio ha deciso, perché nessuno si glori, perché tutti rimaniamo lì dov’è il nostro posto, cioè a terra, nella polvere, ai piedi del Signore. Dio, infatti, ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per fare misericordia a tutti (v. 32). Perché altrimenti Israele si sarebbe inorgoglito, come è successo in passato, perché aveva le promesse ed era il popolo eletto. Essendosi inorgogliti sono scaduti e non possono venire salvati, finché non accettano Gesù. Adesso devono ascoltare, sono costretti ad accettare Gesù attraverso noi cristiani. Ma neanche noi abbiamo motivo di inorgoglirci. Perché è a causa della loro disubbidienza che la salvezza è giunta a noi. Guardate che cosa hanno dovuto sopportare, perché noi fossimo salvati. Hanno dovuto sopportare sofferenze indicibili, perché hanno rifiutato Gesù e lo hanno consegnato ai pagani affinché fosse crocefisso. Questo li h

IL MAGISTERO DEL NATALE – DON ALBERIONE E EDITH STEIN: CONVERGENZE

http://www.stpauls.it/coopera00/1098cp/1098cp04.htm

IL MAGISTERO DEL NATALE – DON ALBERIONE E EDITH STEIN: CONVERGENZE

di ROSARIO F. ESPOSITO

La prima cattedra di Gesù Maestro è la mangiatoia: il nostro fondatore e la filosofa ebreo-tedesca fondamentalmente concordano in questa teoria. G.D.P.H. è una sigla a prima vista complicata: essa è fissata nello stemma originario della Società San Paolo ed appare in testa a molte delle nostre prime pubblicazioni. In latino significa Gloria Deo Pax Hominibus, ed è il coro che gli angeli eseguirono sulla grotta di Betlemme, cioè Gloria a Dio e pace agli uomini. Presenta la dimensione verticale e quella orizzontale della vita e dell’apostolato della Famiglia Paolina in tutte le sue componenti. UN TEMPO la sigla GDPH era familiare nei diversi gruppi della Famiglia Paolina. Chi ha memoria dello stemma tradizionale disegnato negli anni 30 ed accuratamente commentato dal Primo Maestro nel Carissimi in S. Paolo (p. 207) sa che l’iscrizione delle parole di Betlemme nel cartiglio dello stemma è da lui così illustrato: « Gloria a Dio Pace agli uomini: sono le finalità per cui Gesù Cristo venne a salvarci. Per la Famiglia Paolina non vi sono altri fini ». È difficile aspirare ad una maggiore dignità: si tratta del proposito di totale identificazione con il Divin Maestro. Non a caso in molte circostanze don Alberione promosse l’impegno della cristificazione del battezzato, e tanto più del consacrato. Nell’Apostolato dell’edizione (2 ed., 1950, ora in corso di ristampa) alle pp. 15-16 egli nell’abituale stile scheletrico scrive: « Fine: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Ecco il fine specifico dell’apostolato dell’edizione. Quello stesso programma lo cantarono gli angeli sulla capanna di Betlemme: Gloria Deo Pax Hominibus: il programma di Gesù Cristo e della sua vita perenne nella Chiesa. Fine altissimo dunque, fine divino. L’apostolato dell’edizione ha perciò un solo ideale: far regnare Dio nelle anime, ravvivando in esse la fede, se occorre instillandovela: sottomettere a Dio le volontà, portandole all’osservanza della sua legge ». Nell’Ut perfectus sit homo Dei (vol. I, 375) attesta:  » La nostra vita è sempre iniziata in Gesù Cristo e come Gesù Cristo nel presepio: Gloria ecc. Posso accertare tutti che tutto, solo, sempre è stato fatto alla luce del Tabernacolo ed in obbedienza. Le approvazioni sono buone e possono portare alla santità, e sono conformi ai bisogni dei tempi ». Un collegamento spirituale salta agli occhi: Gesù volle nascere a Betlemme, che significa Casa del pane; anche nel Tabernacolo il Cristo è stabilmente presente tra gli uomini sotto la specie del pane consacrato. In questa impostazione della vita e della testimonianza cristiana mi sembra interessante mettere in evidenza la vicinanza del messaggio di don Alberione con quello di santa Edith Stein, la martire di Auschwitz canonizzata lo scorso 11 ottobre. Lei è famosa per l’impostazione della sua teologia sulla scienza della croce, e su questa spiritualità gli studiosi sono molto ricchi di apporti e riflessioni. In questo caso vogliamo invece sostare sulla sua spiritualità natalizia, che è incredibilmente ricca e profonda. Il Natale della filosofa è in intima correlazione con tutto il mistero cristologico, particolarmente col Calvario e col Tabernacolo, e questo mette in evidenza un’intima concordanza col messaggio di don Alberione, il cui pensiero è ben noto nella Famiglia Paolina, della quale i Cooperatori costituiscono una componente essenziale. Intendiamo rinfrescare questa memoria richiamando alcuni testi particolarmente significativi che evidenziano la dimensione magisteriale del Natale. Dedico anzitutto un po’ di spazio a quello di Santa Edith di Auschwitz.

Farsi piccoli per diventare grandi Parecchi anni dopo la morte di Edith Stein fu pubblicato un saggio della martire dedicato al mistero del Natale (Rivista di vita spirituale, novembre 1987, p. 565). Vi si legge: « Il Divino Bambino si è fatto maestro e ci ha detto ciò che dobbiamo fare… Bisogna vivere l’intera vita in quotidiana comunicazione con Dio, ascoltare le sue parole e seguirle ». Nei Cammini verso la tranquillità interiore la martire dice: « L’infanzia spirituale consiste nel farsi piccoli e, nello stesso tempo, nel diventare grandi. La vita eucaristica consiste nell’uscire totalmente dalla meschinità della propria esistenza personale per nascere all’immensità della vita di Cristo… Il cammino di Betlemme ci porta immancabilmente al Golgota. Quando la Vergine ha presentato il Bambino al Tempio, le viene annunciato che una spada le avrebbe trapassato l’anima… È l’annuncio dei dolori e della lotta tra la luce e le tenebre, la quale inizia già nella mangiatoia ». E al momento in cui congedava alcuni amici che le avevano fatto visita mentre era sul punto di salire sul treno che l’avrebbe portata alla camera a gas, disse loro: « Qualunque cosa accada, sono pronta a tutto. Il Bambino Gesù è anche qui in mezzo a noi ». In una lettera del 2 febbraio 1942, santa Edith esprime alcune considerazioni relative al S. Bambino di Praga. Collega il messaggio natalizio con quello del Regno di Dio, che convive felicemente con la dottrina della sua consorella carmelitana S. Teresa di Lisieux, recentemente dichiarata Dottore della Chiesa: la « piccola via » convive ed opera in armonia con la filosofia e l’intellettualità, ed accentua la dimensione « politica » della sequela del Cristo. « Ieri meditavo davanti al quadro del Gesù Bambino di Praga e mi è venuto da pensare che lui porta le insegne imperiali e non a caso avrà voluto agire proprio a Praga, che per secoli è stata la sede degli imperatori tedeschi, cioè del S. R. Impero… Il Bambino Gesù è venuto proprio quando il dominio politico di Praga stava per finire. Non è lui l’Imperatore segreto che un giorno porrà fine a tutte le guerre? È lui che tiene in mano le redini, anche quando sembra che regnino gli uomini ».

Una parentela teologica e ascetica È ben chiaro che tra la filosofa ebrea giunta all’onore degli altari ed il fondatore della Famiglia Paolina non c’è stato nessun contatto diretto, né risulta che don Alberione abbia letto qualche opera della Stein, ma la parentela teologica ed ascetica tra i due personaggi è profonda e ricca di testimonianze. Si tratta solo di esplorarne i cammini e di proporli all’attenzione degli studiosi e degli ammiratori così numerosi nel mondo. In don Alberione il richiamo al magistero di Betlemme si può dire che costituisca un fatto di ordinaria amministrazione. Il riferimento a questo mistero gaudioso però non è isolato in sé stesso, ma è strutturalmente impegnato ad evidenziare l’interazione con tutti gli altri misteri della vita del Cristo, come pure il collegamento tra i vari trattati della teologia, in maniera che non si affermi nemmeno l’ombra della settorializzazione o della frammentazione, ma si pongano le basi della sospirata unificazione delle scienze, cominciando da quelle sacre. Lo stesso impegno di interdisciplinarità è presente nel pensiero della filosofa di Auschwitz. Nelle prime righe dell’Abundantes divitiae gratiae suae (art. 1), tracciando le scaturigini della sua vita spirituale e dello spirito della Famiglia Paolina, don Alberione si riferisce a due testi biblici fondamentali. Il primo è appunto il canto degli angeli, che possiamo permetterci di citare anche solo in sigla: GDPH. L’altro è il salmo 50, cioè il Miserere. In una predica ciclostilata del 1933 egli diceva: « Il presepio per noi è Via, Verità e Vita, come il Crocifisso e l’Ultima Cena. Il Divino Maestro dalla sua cattedra della greppia ci ammaestri, ci renda docili e piccoli discepoli ». Poco più oltre afferma: « Dal presepio parte tutta la luce, quindi tutta la teologia mistica, ascetica, pastorale, morale, dogmatica. Il vero Maestro è Gesù Cristo ». A suo modo di vedere, la predicazione fatta attraverso gli strumenti tecnologici ed elettronici della comunicazione sociale deve modellarsi sullo schema comunicativo di Betlemme. Nella già citata predica del 1933 diceva ancora: « Il regno di Dio incomincia sempre come il granello di senapa. Così pure tutte le opere che sono soprannaturali e che sono destinate a durare. Beato chi parte dal presepio ». Soggiungeva poi: l’umanità brancolava nel buio, ma « è venuto a visitarci un sole dall’alto per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte… noi conosciamo la via, è il presepio ». L’argomento di base nella sua riflessione teologica ed apostolica è questo: Gesù prima di parlare, agì. Come dicono i Ss. Padri, cominciò a fare, nei trent’anni della vita nascosta, poi insegnò nei tre anni della via pubblica attraverso la predicazione ed i miracoli.

Una scuola aperta a Betlemme

Il magistero natalizio del Primo Maestro esige di essere illustrato con molto impegno. Dovendo rimanere in limiti ristretti, ricordo che esso trova un’occasione particolarmente favorevole negli auguri natalizi contenuti in tratti rapidi e vigorosi. Essi sono riprodotti nella raccolta Carissimi in San Paolo (p. 1472-1480). Nel 1952 scriveva: « Il Bambino Gesù ci accolga tutti benignamente nella scuola aperta a Betlemme, perché nell’anno liturgico possiamo meglio conoscerlo, amarlo più intimamente e imitarlo nelle virtù religiose ».

La missione di Maria Nel 1955 metteva in relazione questo mistero con l’opera della Madonna, emblema di quella di tutti i comunicatori, che in realtà perpetuano nel tempo la missione della Madre di Dio: « Maria nostra madre e maestra dal presepio compie il suo sublime apostolato offrendo all’umanità Gesù Maestro divino. Che tutti lo accolgano, che tutti siano arricchiti dei frutti dell’incarnazione e della redenzione ». In altra occasione accentuò il fatto che Cristo non volle annunciare direttamente il programma redentivo, ma ne affidò l’incarico agli angeli nella notte della sua nascita. I comunicatori trovano in Maria e in questi celesti messaggeri i loro maestri ed i loro modelli. Devono calcare le loro orme nelle diverse situazioni di spazio e di tempo. Nell’augurio del 1957 la visione magisteriale del Natale è inquadrata in maniera ancora più articolata, nella cornice della vita e della predicazione del Cristo: « La pace tra gli uomini si realizza a misura che l’umanità entra nella scuola di Gesù Maestro, il quale questa scuola l’ha aperta nella grotta di Betlemme, l’ha continuata a Nazareth, nella vita pubblica, nella vita dolorosa, nella vita gloriosa, e la continua nel Tabernacolo. La medesima scuola si perpetua visibilmente nella Chiesa, che è maestra di fede, di morale, di liturgia. Chi fedelmente la segue si trova certamente sulla via della pace e della felicità eterna ».

Publié dans:DON ALBERIONE, EDITH STEIN, NATALE 2015 |on 30 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

ANCHE DIO VUOLE UN FIGLIO

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=762

ANCHE DIO VUOLE UN FIGLIO

Anche Dio voleva un figlio, voleva che la bella e drammatica vita umana potesse essere vissuta nella grandezza della Trinità. Amava tanto l’uomo che non si poteva più accontentare di mandare angeli o di incaricare profeti per dir loro il suo amore appassionato.

Una clinica, la banca del seme, un po’ di ovuli imprestati, garanzia assoluta, razza e colore desiderati, nove mesi di monitoraggio quasi a vista ed ecco il figlio che assolutamente volevi. Non hai dovuto entrare a patti con nessuno, hai solo dato la stura in sequenza a tutti i tuoi diritti. Questo mi spetta, quest’altro fa parte della mia dignità di donna che vuol diventare madre, questo è un fatto del tutto personale e privato in cui nessuno deve intervenire a legiferare, il corpo è mio e lo gestisco come mio inviolabile diritto. Ho una casa, ho una culla, ho una infinita voglia di accarezzare e baciare, di stringere e di coccolare. Mi faccio un figlio.

I desideri di Dio
Anche Dio voleva un figlio, voleva che la bella e drammatica vita umana potesse essere vissuta nella grandezza della Trinità. Amava tanto l’uomo che non si poteva più accontentare di mandare angeli o di incaricare profeti per dir loro il suo amore appassionato. Ma Dio non accampa diritti, il suo desiderio di avere un Figlio passa nelle trame delicate dell’amore. All’inizio è l’amore trinitario: «Chi manderò io e chi andrà per noi»? È la domanda che apre nell’amore assoluto di Dio una risposta di generosità infinita: «Eccomi manda me», dice il figlio, disponendosi a diventare uomo, desiderando mostrare all’uomo la bontà immensa del Padre, la sua delicatezza infinita per l’uomo, la sua attesa di un compimento della creazione, bloccata dal peccato. Nella risposta del Figlio comincia a risuonare quell’abbà, papà, che caratterizzerà la vita di Gesù.

Ha bisogno di una madre
Ma l’amore di Dio ha ancora un altro delicato percorso da fare. Avrebbe a disposizione tutto il creato per realizzare i suoi piani, ma vuol avere bisogno di una madre e si mette nelle mani di una ragazza ebrea. Pensata da sempre, pura da sempre, ombra di peccato non ha, non sta invischiata nella fila del contagio del male. Dio l’ha nella sua mente da sempre, ma l’ha pensata libera: ha la bellezza di un diamante, ma è viva; ha lo splendore di un capolavoro, ma non è una statua, è una persona. E Dio di fronte alla libertà della persona umana ha un imperativo assoluto: non la tocca, non la toglie, non la riduce, ma la esalta sempre. Questo grande rispetto della libertà dell’uomo gli costerà la passione e la morte di Gesù, gli costa ogni giorno il cumulo di sofferenze degli uomini, gli odi, le guerre, i terrorismi, le ritorsioni, il male nella sua oscurità.

Il sì di Maria e di Giuseppe
Ebbene Dio manda un angelo a Maria: va’ e chiedile la libertà massima di diventare Madre di Gesù. E lei dice: «Eccomi, sì, con tutta la mia vita». E a Giuseppe, lo sposo di Maria chiede l’impossibile, ma glielo chiede: «Giuseppe, non temere, è da sempre che sto pensando alla tua onestà, alla tua giustizia, alla tua grinta, al dolcissimo amore che ti lega a Maria. Mi ha affascinato la tua delicatissima relazione con Maria. In questo vostro amore meraviglioso, noi, la Trinità, vogliamo deporre Gesù, il Figlio di Dio. Quel bambino è la Parola, che era fin dal principio, è il nostro essere persona umana».

Una storia di amore
Ogni amore umano tra uomo e donna chiama in causa l’amore di Dio, ne è una degna, ma velata immagine. È Dio che si dà a vedere nell’intensità di amore tra i due. Per Giuseppe e Maria in questo amore non c’è solo l’immagine, ma compare proprio Lui, la sorgente dell’amore, il suo senso, la completezza, la pienezza, Gesù.
Quel bambino di gesso che depositeremo nel presepio è solo il simbolo di questa storia infinita di amore, questo intreccio di volontà e di attese, di dialoghi e di accoglienza. La nostra vita umana, tutta la nostra biotecnologia ha continuamente da misurarsi sull’amore, se vuol continuare a essere vita.

(Teologo Borèl) Novembre 2004 – autore: mons. Domenico Sigalini

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Genealogy,Tree, Arbre

Genealogy,Tree, Arbre dans immagini sacre 15%20PARIS%20TREE%20OF%20JESSE

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Publié dans:immagini sacre, STUDI DI VARIO TIPO |on 27 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

1 TESSALONICESI 3,12-4,2

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BRANO BIBLICO SCELTO

1 TESSALONICESI 3,12-4,2

Fratelli, 12  il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come è il nostro amore verso di voi, 13 per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. 1 Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. 2 Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

COMMENTO 1 Tessalonicesi 3,12-4,2

Il comportamento cristiano La 1 Tessalonicesi contiene, dopo l’indirizzo (1,1), una prima parte che consiste in un lungo ringraziamento, intercalato da ricordi che sono a loro volta motivo di ulteriori ringraziamenti (1,2-3,13). Essa prosegue poi con una seconda parte (4,1-5,24) nella quale, dopo una breve introduzione (4,1-2) caratterizzata dall’uso dei verbi «supplicare» (erôtaô) ed «esortare» (parakaloô), si affronta una serie di temi concreti scanditi dalla ricorrenza della formula introduttoria «riguardo a» (4,9; 4,13; 5,1). La lettera termina con i saluti e gli auguri dell’apostolo (5,25-28). Il testo liturgico riporta due brani: la conclusione del ringraziamento iniziale, che consiste in una preghiera a Dio per i tessalonicesi (3,12-13), e l’introduzione alle esortazioni che costituiscono il tema della seconda parte della lettera (4,1-2). Dopo aver chiesto a Dio che gli conceda di ritornare a Tessalonica per rivedere i destinatari della lettera (cfr. 3,11), Paolo intercede per loro: «Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi» (v. 12). Già essi hanno dato prova di un amore impegnato (cfr. 1,3), ma resta ancora molta strada da fare. L’oggetto della intercessione è la crescita e la sovrabbondanza nell’amore vicendevole e verso tutti; come modello Paolo indica ancora una volta il suo stesso amore verso di loro, fatto di dedizione incondizionata e di cura premurosa (3,12; cfr 2,7-8.11). Paolo fa poi un’altra richiesta che è collegata alla precedente in quanto ne indica la motivazione: «per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (v. 13). Lo sguardo si rivolge qui al momento della seconda «venuta» (parousia) del Signore Gesù, il quale sarà scortato dai suoi santi, cioè dalle schiere angeliche (cfr. 1Ts 2,13). Paolo chiede a Dio, in vista di quell’evento, di rendere saldi e irreprensibili i loro cuori nella santità, che già hanno ricevuto nel battesimo. Ciò deve avvenire «davanti a Dio Padre». Un vero amore fraterno, che si apre a tutti, anche a coloro che non fanno parte della comunità, rappresenta la migliore preparazione e la più solida garanzia per l’incontro decisivo dell’ultimo giorno. L’attesa della venuta finale di Cristo non consiste quindi in un pigro aspettare ma in un impegno costante per costruire rapporti nuovi basati sull’amore. In questa preghiera, che chiude la prima parte della lettera, sono segnalati quegli atteggiamenti di amore, santità e irreprensibilità che costituiranno il tema della seconda. Con il c. 4 inizia la seconda parte della lettera, intessuta di esortazioni, ammonimenti, istruzioni, parole di conforto. Paolo si introduce con queste parole: «Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più» (v 4,1). L’intenzione parenetica appare subito in apertura nella formula «vi preghiamo (erôtômen) ed esortiamo (parakaloumen) nel Signore Gesù». In stretto collegamento con quanto ha appena detto, Paolo esorta anzitutto i tessalonicesi a progredire nel cammino già intrapreso. Essi sanno come devono comportarsi e già si comportano così: evidentemente a Tessalonica non si riscontrano inconvenienti né modi di vita riprovevoli. Perciò Paolo non deve far altro che invitarli a continuare nella strada intrapresa, incoraggiandoli a progredire sempre di più. Poi aggiunge: «Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù» (v 2). Essi devono essere sempre consapevoli che le norme (parangeliai, istruzioni) che lui ha dato loro provengono in altima analisi dal Signore. Questa formula non indica semplicemente che Paolo insegna con autorità ricevuta da Cristo, ma anche che trasmette l’insegnamento del Risorto, tramandato dalla tradizione e avvalorato dalla sua presenza viva e costante.

Linee interpretative I due brani che costituiscono il testo liturgico si agganciano l’un all’altro facendo da collegamento tra le due parti della lettera, il ringraziamento e le direttive pratiche. Essi hanno in comune il tema della crescita nella vita cristiana, che rappresenta il logico sviluppo del dono che i tessalonicesi hanno ricevuto nel battesimo. È in questa prospettiva che l’apostolo si sente autorizzato a dare loro degli orientamenti di vita. Nei due brani è caratteristico il passaggio dall’indicativo all’imperativo. Solo perché hanno ricevuto un dono che li ha trasformati, essi “devono” e possono ora condurre una vita diversa. La conversione deve innescare un dinamismo nuovo, che porta a un continuo progresso nel rapporto con Dio e con i fratelli. Il dono di Dio, pur essendo completamente gratuito, non esclude, anzi richiede la collaborazione dell’uomo. In altre parole, Dio non si serve dell’uomo come di uno strumento passivo; al contrario il fatto che lui intervenga per primo serve a potenziare nell’uomo l’esercizio della propria libertà e creatività. L’adesione a Cristo e alla comunità è la strada maestra di uno sviluppo integrale della persona umana.

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