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OMELIA PER LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE -14 SETTEMBRE

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OMELIA PER LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE -14 SETTEMBRE

Oristano, Chiesa di S. Francesco, 14 settembre 2018
14-09-2018OMELIA PER LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Cari fratelli e sorelle,

il titolo liturgico della festa odierna è propriamente: “Esaltazione della Santa Croce”. La prima domanda che ci poniamo, allora, è se abbia un senso parlare di esaltazione della croce, cioè d’uno strumento crudelissimo di morte infame. Per un verso, la Scrittura parla della croce come luogo di morte riservato a chi è maledetto da Dio e dagli uomini (Gal 3, 13: “maledetto chi è appeso al legno.” Cfr. Dt 21, 23). Inoltre, nella storia umana tanti uomini sono stati crocifissi, uccisi con violenza inaudita, perché giudicati pericolosi per la società da parte del potere religioso e politico. Si pensi alla crocifissione inflitta agli schiavi dell’antichità, alla tortura nelle carceri delle diverse comunità politiche rette da ideologie e tiranni.
Per un altro verso, i Vangeli ci riferiscono che lo stesso Gesù parla della croce come d’una “necessità” per il compimento della sua missione di Redentore degli uomini. San Marco scrive che Egli cominciò a insegnare ai suoi discepoli “che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (Mc 8, 31). San Giovanni considera la passione di Gesù come evento di gloria, la crocifissione come intronizzazione del Messia: egli è “il re dei Giudei” (Gv 19,19). Nel suo colloquio notturno con Nicodemo, Gesù disse che, come nel deserto era stato innalzato da Mosè un segno di salvezza per Israele (cfr. Nm 21,4-9), così sarebbe stato innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque guardasse a lui con fede e invocazione potesse trovare la vita. Infine, alla folla giunta a Gerusalemme per acclamarlo Messia predisse: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me. Questo diceva per indicare di quale morte doveva morire” (Gv 12, 32).
In buona sostanza, quindi, la croce, per un verso, viene maledetta come strumento di supplizio, per un altro verso, viene esaltata come via di redenzione. Nell’insegnamento di Gesù, prevale il significato di via di redenzione e simbolo di amore supremo. Infatti, non è la croce ad aver dato gloria a Gesù, ma è Gesù che ha dato gloria alla croce, avendola vissuta come simbolo d’una vita offerta per amore “fino all’estremo” (Gv 13,1). Proprio, per far comprendere questa verità ai cristiani e per non confinare la croce all’interno di una visione dolorista, scrive Enzo Bianchi, la Chiesa ha sentito il bisogno di celebrarla anche in un giorno diverso dal venerdì santo, al fine di raccontare la gloria che, grazie a essa, Gesù ha mostrato: la gloria dell’amore. Così nel IV secolo a Gerusalemme è sorta questa festa che la Chiesa cattolica e quella ortodossa celebrano ancora oggi il 14 settembre.
Un’altra domanda che ci poniamo è se si possa evangelizzare e convertire la gente in nome della croce e con il simbolo della croce. In realtà, il comando di Gesù a prendere la propria croce per seguirlo ed essere suo discepolo, secondo Benedetto XVI, è uno dei passi evangelici meno compresi nella storia del Cristianesimo. “Questa affermazione radicale ha finito per alimentare una spiritualità doloristica che nulla ha a che vedere con la chiamata alla gioia che contraddistingue la “buona notizia”, e che svilisce la portata delle parole di Cristo riducendole a un banale richiamo a sopportare con rassegnazione le sventure della vita”. Nella disputa sulla necessità o la legalità dell’esposizione del Crocifisso negli edifici pubblici si è insistito molto nel ribadire che la croce è il simbolo dell’amore e, di conseguenza, non dovrebbe offendere nessuno. La risposta alla nostra domanda, però, sulla possibilità di evangelizzare con il simbolo della croce ce la da in modo particolare l’Apostolo Paolo.
Nei suoi viaggi apostolici San Paolo è arrivato ad Atene e, girando per le strade della città, aveva notato che abbondavano le edicole sacre e i monumenti alle divinità. Partendo da questa constatazione della religiosità degli ateniesi si presentò all’Aeròpago, il collegio delle supreme magistrature dello Stato che custodiva le leggi, la pubblica moralità e i culti cittadini. Ai membri illustri di questo collegio iniziò a presentare il cuore del cristianesimo: la risurrezione di Gesù dai morti, facendo affidamento sulla sapienza umana. Ma questa sapienza non era arrivata a capire la possibilità d’una risurrezione dai morti. Non era arrivata neppure a capire la possibilità di amare un nemico e perdonare l’offesa. Perciò, i sapienti di Atene non accettarono il messaggio rivoluzionario di Paolo. “Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un’altra volta». Così Paolo abbandonò quella modalità di annuncio e decise di cambiare registro nella continuazione della sua missione. Scrivendo alla comunità di Corinto afferma: ”Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: “Distruggerò la sapienza dei sapienti /e annullerò l’intelligenza degli intelligenti”.
“Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1, 17-25).

Cari fratelli e sorelle,
esaltare la croce, in ultima analisi, vuol dire esaltare l’amore senza misura di Gesù. Questo amore viene esaltato, per esempio, da una mamma che dà la vita per il figlio, dalla moglie che cura il marito malato di sla, dal medico missionario che spende la vita per curare le malattie della gente povera, dal giovane che abbandona la carriera per il volontariato sociale. Lo esaltiamo anche noi quando ci segniamo con il segno della croce per aver scampato un pericolo, quando ci segniamo prima di intraprendere un viaggio o un nuovo lavoro, prima di prendere un pasto o di fare una preghiera. Quando facciamo il segno della croce è come se dicessimo: grazie o Gesù perché mi hai amato senza misura. Rendimi capace di amare come te amici e nemici, credenti e non credenti, buoni e cattivi. Fà che la croce non sia un distintivo identitario che divide e separa ma un simbolo del tuo amore che salva e unisce.
Amen

SANT’AGOSTINO – DOMANI 14 SETTEMBRE LA CHIESA INTERA CELEBRA LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE.

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SANT’AGOSTINO – DOMANI 14 SETTEMBRE LA CHIESA INTERA CELEBRA LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE.

Nel vangelo del giorno, ascolteremo una parte del dialogo tra Gesù e Nicodemo sulla “discesa” del Figlio che fa “ascendere” tutti noi al Padre. Una riflessione tratta dal Commento al Vangelo di Giovanni di Sant’Agostino.

Dal Commento al Vangelo di Giovanni di Sant’Agostino
Nessuno è salito in cielo, fuorché colui che dal cielo discese, il Figlio dell’uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Egli dunque era qui ed era anche in cielo: era qui con la carne, era in cielo con la divinità; o meglio, con la divinità era dappertutto. Egli è nato dalla madre, senza allontanarsi dal Padre. Sappiamo che in Cristo vi sono due nascite, una divina, l’altra umana; una per mezzo della quale siamo stati creati, l’altra per mezzo della quale veniamo redenti. Ambedue mirabili: la prima senza madre, la seconda senza padre. Ma poiché aveva preso il corpo da Adamo, dato che Maria proviene da Adamo, e questo medesimo corpo avrebbe risuscitato, ecco la realtà terrena alla quale si riferiva, quando disse: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo risusciterò (Gv 2, 19). Si riferiva invece a cose celesti, quando disse: Nessuno può vedere il regno di Dio, se non rinasce dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3, 5). Sì, o fratelli, Dio ha voluto essere figlio dell’uomo, ed ha voluto che gli uomini siano figli di Dio. Egli è disceso per noi e noi ascendiamo per mezzo di lui. Solo infatti discende e ascende colui che ha detto: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende. Non ascenderanno dunque in cielo coloro che egli fa figli di Dio? Certo che ascenderanno; ci è stato promesso in modo solenne: Saranno come gli angeli di Dio in cielo (Mt 22, 30). In che senso, allora, nessuno ascende al cielo se non chi ne è disceso? Infatti uno solo è disceso, e uno solo è asceso. E gli altri? Che cosa pensare, se non che saranno membra di lui, così che sarà uno solo ad ascendere in cielo? Per questo il Signore dice: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende, il Figlio dell’uomo che è in cielo. Ti meraviglia perché era qui e anche in cielo? Fece altrettanto per i suoi discepoli. Ascolta l’apostolo Paolo che dice: La nostra patria è in cielo (Fil 3, 20). Se un uomo com’era l’apostolo Paolo camminava in terra col corpo mentre spiritualmente abitava in cielo, non era possibile al Dio del cielo e della terra, essere contemporaneamente in cielo e in terra?
9. Se dunque nessuno, fuorché Cristo, è disceso dal cielo, e nessuno, fuorché lui, vi ascende, che speranza c’è per gli altri? Questa: che il Signore è disceso precisamente perché in lui e con lui siano una persona sola coloro che per mezzo di lui saliranno in cielo…
10. Cristo infatti discese e morì, e con la sua morte ci liberò dalla morte: morendo, ha distrutto la morte. E voi, fratelli, sapete che la morte entrò nel mondo per l’invidia del diavolo. La Scrittura afferma che Dio non ha fatto la morte, né gode che periscano i viventi. Egli creò ogni cosa perché esistesse (Sap 1, 13-14). Ma per l’invidia del diavolo – aggiunge – la morte entrò nel mondo (Sap 2, 24). L’uomo non sarebbe giunto alla morte propinatagli dal diavolo, se si fosse trattato di costringervelo con la forza; perché il diavolo non aveva la potenza di costringerlo, ma solo l’astuzia per sedurlo. Senza il tuo consenso il diavolo sarebbe rimasto impotente: è stato il tuo consenso, o uomo, che ti ha condotto alla morte. Nati mortali da un mortale, divenuti mortali da immortali che eravamo. Per la loro origine da Adamo tutti gli uomini sono mortali; ma Gesù, figlio di Dio, Verbo di Dio per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, Figlio unigenito uguale al Padre, si è fatto mortale: il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 3 14).
11. Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 14-15). Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia. Ma ascoltino anche quelli che non hanno letto l’episodio, e quanti che, pur avendolo letto o ascoltato, lo hanno dimenticato. Il popolo d’Israele cadeva nel deserto morsicato dai serpenti, e l’ecatombe cresceva paurosamente. Era un flagello con cui Dio li colpiva per correggerli e ammaestrarli. Ma proprio in quella circostanza apparve un grande segno della realtà futura. Lo afferma il Signore stesso in questo passo, sicché non è possibile dare di questo fatto un’interpretazione diversa da quello che ci indica la Verità riferendolo a sé. Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l’attenzione del popolo d’Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9). Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E’ stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente. Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare? Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? (1 Cor 15, 55). Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo crocifisso; poiché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Come coloro che volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. E mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto: affinché abbia la vita eterna. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa: che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna.
12. Poiché Dio non mandò suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 17). Dunque il medico, per quanto dipende da lui, viene per guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è venuto nel mondo: perché è stato chiamato Salvatore del mondo, se non perché è venuto per salvarlo, e non per giudicarlo? Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso. Che dico: ti giudicherai? Ascolta: Chi crede in lui non è giudicato; chi invece non crede… (e qui cosa ti saresti aspettato se non: viene giudicato? ma dice:) è già stato giudicato. Il giudizio non è stato ancora pubblicato, ma è già avvenuto. Il Signore infatti sa già chi sono i suoi (2 Tim 2, 19), sa chi rimane fedele fino alla corona e chi si ostina fino al fuoco dell’inferno; distingue nella sua aia il grano dalla paglia; distingue la messe dalla zizzania. Chi non crede è già stato giudicato. E perché è stato giudicato? Perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio (Gv 3, 18).
14. Correte, o miei fratelli, affinché non vi sorprendano le tenebre (cf. Gv 12, 35); siate vigilanti in ordine alla vostra salvezza, siate vigilanti finché siete in tempo. Nessuno arrivi in ritardo al tempio di Dio, nessuno sia pigro nel servizio divino. Siate tutti perseveranti nell’orazione, fedeli nella costante devozione. Siate vigilanti finché è giorno; il giorno risplende; Cristo è il giorno. Egli è pronto a perdonare coloro che riconoscono la loro colpa; ma anche a punire quelli che si difendono ritenendosi giusti, quelli che credono di essere qualcosa mentre sono niente. Chi cammina nel suo amore e nella sua misericordia, non si accontenta di liberarsi dai peccati gravi e mortali, quali sono il delitto, l’omicidio, il furto, l’adulterio; ma opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi, come i peccati di lingua, di pensiero o d’intemperanza nelle cose lecite, e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte. Sono piccole le gocce che riempiono i fiumi; sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono numerosi, pesano e schiacciano. Una piccola falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l’acqua a poco a poco, produce lo stesso effetto di un’ondata irrompente: continuando ad entrare poco alla volta, senza mai essere eliminata affonda la nave. E che significa eliminare, se non fare in modo con opere buone – gemendo, digiunando, facendo elemosine, perdonando – di non essere sommersi dai peccati? Il cammino di questa vita è duro e irto di prove: quando le cose vanno bene non bisogna esaltarsi, quando vanno male non bisogna abbattersi. La felicità che il Signore ti concede in questa vita, è per consolarti, non per corromperti. E se in questa vita ti colpisce, lo fa per correggerti, non per perderti. Accetta il padre che ti corregge, se non vuoi provare il giudice che punisce. Son cose che vi diciamo tutti i giorni, e vanno ripetute spesso perché sono buone e fanno bene.

14 SETTEMBRE – ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

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14 SETTEMBRE – ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

dom Prosper Guéranger

Il senso della festa della Croce. « Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce ». Le parole dell’Apostolo, che leggiamo nell’Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell’era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l’orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l’Incarnazione e la morte sulla Croce.

Il supplizio della Croce. Non era la croce considerata dagli antichi come « il supplizio più terribile e più infamante » (Cicerone, In Verrem II)? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l’atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l’asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

Il culto della Croce. Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito, il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa). Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore. È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce, festa che ha un’origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

Origine della festa. La data del 14 settembre segna l’anniversario di una dedicazione che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo. Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell’Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall’imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto. L’anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50  vescovi assistevano ogni anno alla solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

Doppio oggetto della festa. Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell’antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell’olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

Diffusione della festa. La cerimonia prese un’importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano. I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l’imperatore Eraclio e Roma l’ebbe nel corso del secolo VII. Sotto papa Sergio († 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l’adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservato un’orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparì dagli usi romani, ma l’orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l’adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche chiese.

Nuovo splendore della festa. Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del S. Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

Carattere nuovo della festa. Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l’antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell’Impero.  Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l’Esaltazione del Figlio dell’Uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo. Essendo stata l’adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant’Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo. O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un’altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci! Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l’inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell’inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno. Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa’, te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l’uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1072-1076

 

PER LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE – 2008 – CUSTODIA DI TERRA SANTA

http://it.custodia.org/default.asp?id=2761&id_n=8369

OMELIA DI FRA ARTEMIO VÌTORES PER LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE – 2008

Fratelli e sorelle:

Celebriamo oggi la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. La sua origine è la solennità liturgica con la quale il 14 settembre del 335 furono inaugurati a Gerusalemme i grandiosi edifici sacri fatti costruire dall’Imperatore Costantino nei luoghi stessi del Calvario e del Sepolcro glorioso di Cristo. Questa festa celebrata sempre con grande solennità e con numerose manifestazioni di gioia, sostituiva nella mente cristiana la festa ebraica dei Tabernacoli, che si celebra appunto in questa epoca. Molti degli elementi di questa festa ebraica sono passati alla liturgia cristiana della Dedicazione della Chiesa. Questa era la festa della Dedicazione della Chiesa per eccellenza: la Basilica del Santo Sepolcro. I testi biblici che abbiamo ascoltato ci parlano del valore salvifico della Croce. Gesù, per la sua umiliazione fino alla morte e alla morte di croce, è stato esaltato fino al diventare il Signore del cielo e della terra. Tutti coloro che guardano e seguono la Croce di Cristo saranno guariti e avranno la vita eterna.

La croce, centro della nostra fede
Oggi celebriamo festa dell’Esaltazione della Santa Croce; tutti i giorni orniamo la croce, la baciamo, la portiamo al collo, la esaltiamo… Noi cristiani, siamo matti? Lo aveva annunciato Paolo: la croce è “scandalo per i giudei e stoltezza per i greci”. Il “Vangelo della Croce” era, e continua ad essere, un assurdo totale per il mondo (cf. 1Cor 1,18-25). E, tuttavia, noi celebriamo la festa della croce di Cristo, cantiamo il “Vexilla Regis”. Lo stesso Padre nostro San Francesco, diceva a chi lo vedeva piangere: “Piango la Passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo” (Leggenda dei Tre Compagni, V,14: FF 1413). Perché questo? Perché per noi la croce di Gesù è il centro e il fondamento della nostra fede, perché Cristo è morto per il nostro amore e per la nostra salvezza. Cristo, dice Paolo, “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me » (Gal 2,20). Cristo è morto perché noi abbiamo la vita: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (GV 3,16). “Per riscattare lo schiavo – cantiamo nell’Exultet, nel Annuncio Pasquale, – hai consegnato il Figlio”.

Gesù regna dalla Croce
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), giacché con la sua morte Gesù ha iniziato a “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Cristo, nel Calvario, fu crocifisso per la salvezza di tutti, per la tua salvezza, per la mia salvezza, e questa è la sua gloria, il suo trionfo: è stato crocifisso come uomo, è stato glorificato come Dio”, diceva San Gerolamo. E’ quello che dicono le parole scritte in greco sull’altare della Crocifissione: “hai realizzato la salvezza dal centro della terra” (Sal 44,12), giacché dalla croce ha riunito a tutte le nazioni (cf. Gv 12,32). Il Golgota è quindi così importante che ancora oggi, come succedeva nel passato, il sacerdote incaricato di custodire il Luogo Santo del Calvario viene chiamato “Presbitero del Golgota” oppure “Custode della Croce”. La Croce ci fa conoscere Dio: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), giacché la croce è la rivelazione più evidente dell’amore di Dio. E così si capiscono le parole che cantiamo il Venerdì Santo: “Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo” (“Ecce lingum crucis…”).

Onorare il Crocifisso
Sulla Croce del Calvario non c’è un malfattore, ma “Gesù il Nazareno, il Re dei giudei” (Gv 19,19). Pilato, senza volerlo, proclama la regalità di Cristo. Egli è il Re del mondo. “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12,23), diceva Gesù. E oggi tutti i cristiani adoriamo il legno santo, il legno della croce dove è stato appeso il Figlio di Dio. “Vexilla Regis prodeunt”, canteremo, “le insigne del Re avanzano”; diremmo ancora: “l’albero decorato e radiante, ornato con la porpora reale”, cioè il sangue prezioso di Cristo. Ripetiamo le parole che San Cirillo di Gerusalemme diceva ai suoi ascoltatori, precisamente qui: “Non ci vergogniamo di confessare la nostra fede nel Crocifisso”. Facciamo sempre il segno della croce. “è un gran mezzo di difesa”. Perché il Re crocifisso qui, sul Calvario, è il nostro Re, diceva Sant’Agostino; “Al suo trono vengono gli uomini di tutte le classi e stati. A Lui vengono i poveri e i ricchi, analfabete e saggi, uomini e donne, signori e servi, adulti e bambini, A lui vengo giudei e greci, romani e barbari. Egli non dominò il mondo con il ferro, ma con il legno della croce”. Perciò, continua San Cirillo di Gerusalemme: celebriamo “la vittoria che il Signore ha riportato qui, soprattutto in questo Santo Golgota, che noi vediamo e tocchiamo con la mano… Non ti vergognare di confessare la Croce…perché la Croce non è causa infamia ma coronata di Gloria”. Non nascondere la croce, giacché, continua il Santo, “colui che è stato crocifisso è adesso sopra in cielo! Forse ci potevamo vergognare se, una volta crocifisso e posto nel sepolcro, fosse rimasto rinchiuso in esso; ma Egli, dopo essere stato crocifisso qui, sul Golgota, è salito al cielo”.

“Salve, o Croce, unica nostra speranza”
Soltanto così cominceremo a capire che croce eretta sul Calvario non è l’annuncio di un fallimento, di una vita di sofferenza e di morte, ma essa è un messaggio trionfale di vita. E potremo dire con Paolo: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14), perché “tutto posso in colui che mi da la forza” (Fil 4,13). Cantiamo: “Rifulge il mistero della croce” (“Fulget crucis mysterium!”). E con più forza: “Salve, o Croce, unica nostra speranza”.

Gesù, crocifisso, modello del discepolo
“Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”, dice Gesù (Mt 10,38). Ci chiede che gli imitiamo, che lo seguiamo, prendendo ogni giorno la nostra croce. In questo possiamo gloriarci, diceva Francesco, se portiamo “alle nostre spalle ogni giorno la santa croce del nostro Signore Gesù Cristo”, giacché, dice Pietro, “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). Sappiamo che non è facile essere cristiano. Lo aveva predetto Gesù stesso: “Voi avrete tribolazioni nel mondo” (Gv 16,33), giacché “se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18). Ma siate sicuri: “chi perde la sua vita” “la salverà” (cf. Mc 7,35). Non dobbiamo avere paura delle opposizioni, delle persecuzioni, di niente. Lo ha detto Gesù a ciascuno di noi: “abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Arriveremo alla santità, dice il Concilio, se seguiamo “Cristo povero, umile e caricato con la croce, per meritare la partecipazione alla sua gloria” (LG 41).

Scendere dal Golgota al mondo
Oggi, qui, sul Golgota, abbiamo capito il valore della morte di Cristo in Croce: il suo amore crocifisso è stato la nostra salvezza. Non è il momento di mettersi a ridere di Gesù, come quelli personaggi del Vangelo, che gridavano: “scenda adesso dalla croce, perché vediamo e crediamo” (Mc 15, 32). Noi non possiamo fare altro che, in ginocchio, ripetere le parole di San Francesco: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo,… e ti benediciamo, perché per la tua Santa Croce hai redento il mondo”. Amen. Ed esclamare col Centurione: “Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). E dopo, bisogna ritornare al mondo partendo da questo Calvario. Nel 1207, Francesco, – racconta San Bonaventura -, nella Chiesetta di San Damiano, “pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere di una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con le orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: “Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!” (FF 1038). Si trattava della Chiesa che “Cristo acquistò col suo sangue”, dice il testo. E così Francesco, “munendosi col segno della croce”, incominciò la sua missione. Egli poté ripetere con Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Così hanno fatto i cristiani; così hanno fatto i francescani quando, arrivati in Terra Santa, hanno visto che non c’erano Santuari, non c’erano cristiani e non c’erano le campane del Santo Sepolcro: la Chiesa di Terra Santa era completamente in rovina! Tutti hanno avuto davanti ai loro occhi, come noi, Maria, la Madonna Addolorata. La Madre stava qui, presso la Croce. Non è arrivata al Calvario per caso, ma ha percorso, passo a passo, il cammino del suo Figlio. E adesso è qui, come Madre e discepola. La Madre di Gesù e la Madre di tutti i suoi discepoli è sempre al nostro servizio.

Fra Artemio Vitores
Vicario custodiale

L’ESALTAZIONE DELLA CROCE NELLA TRADIZIONE SIRO-OCCIDENTALE DI MANUEL NIN

http://www.reginamundi.info/rassegna-stampa-cattolica/stampa.asp?codice=930

CATTOLICESIMO: TU SEI L’ALBERO DELLA VITA

L’ESALTAZIONE DELLA CROCE NELLA TRADIZIONE SIRO-OCCIDENTALE DI MANUEL NIN

Il 14 settembre, come tutte le altre tradizioni liturgiche di oriente e di occidente, anche quella siro-occidentale celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce. La festa ha un’origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione, che venne edificata sulla tomba del Signore nel 335, e con la celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell’imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino.
I testi dell’ufficiatura sottolineano chiaramente in primo luogo il tema della croce come arma di vittoria per i cristiani: « Segnato il nostro volto con l’immagine preziosa della croce, tu ci fai la grazia, o Dio, di essere preservati dal nemico e di vincere le sue suggestioni. La croce santa sia per noi un’arma invincibile contro il nemico ».
La festa coinvolge nella lode tutta la creazione che la inneggia alla croce come luogo dove avviene la salvezza, con delle espressioni cristologiche proprie della tradizione siriaca: « Celebrando l’esaltazione della croce cosparsa con le gocce del sangue vivificante del Verbo di Dio incarnato, gli eserciti del cielo intonano la lode ed esultano per la salvezza del genere umano. Venite popoli, adorate la croce di salvezza, per cui il mondo ha ottenuto la nuova vita ».
Nell’ufficiatura del vespro la liturgia siro-occidentale collega in primo luogo l’esaltazione della croce con gli imperatori Costantino ed Elena, ma soprattutto con la vita della Chiesa stessa che la regge come vanto e sostegno: « Oggi la croce è apparsa a Costantino ed Elena come segno di vittoria. Oggi gli apostoli si rallegrano e con Paolo cantano: Il nostro vanto è la croce di nostro Signore Gesù Cristo. Oggi i martiri e i confessori esultano perché tu, o Cristo, appeso sulla croce, sei la loro ricompensa. Oggi la santa Chiesa si rallegra perché è la regina assisa alla tua destra vestita con la tua croce ».
In parecchi inni Efrem il Siro parla della croce di Cristo come timone della nave che è la Chiesa e che Cristo, il pilota, conduce a porto tranquillo. In un secondo momento, introducendo sempre la parola « oggi », la liturgia della festa si sofferma su una lettura in chiave cristologica di una lunga serie di fatti veterotestamentari che prefigurano la redenzione di Cristo operata per mezzo della sua croce: « Oggi Abramo esulta perché il mistero della croce gli fu rivelato per mezzo dell’agnello che vide impigliato nel cespuglio. Oggi Mosè, il primo dei profeti, si rallegra perché ha tracciato il segno della croce con le sue mani stese e oranti in forma di croce. Oggi Eliseo il profeta è nella gioia per il legno gettato nell’acqua e che fece galleggiare il ferro pesante, tipo della nostra natura umana che tu, o Cristo, hai innalzato e onorato per mezzo della tua croce ».
La croce ancora viene cantata nella liturgia siro-occidentale come albero di vita, rifugio dei cristiani, compimento di tutti i misteri della Chiesa, saggezza dei credenti.
Uno dei testi del vespro della festa associa nella lode, senza distinzione, Cristo e la croce stessa con gli stessi titoli cristologici dati e all’uno e all’altra: « Signore, re della gloria, ti lodiamo perché hai fatto della croce il vanto di coloro che credono in te. Tu sei l’albero della vita per coloro che in te sperano, e sei anche l’albero che mai appassisce, medico e rimedio di coloro che appassiscono nel peccato. Tu sei l’albero della vita piantato nel bel mezzo del paradiso e porti tutti alla terra della promessa. Tu sei lo scettro di forza mandato da Sion contro i nemici vinti con la tua croce. Tu sei il mistero segreto e nascosto, manifestato a tutti gli uomini ».
L’ufficiatura notturna della festa, divisa in tre parti, prevede il canto di due salmi per ognuna di esse: i salmi 43 e 60 per la prima; 135 e 138 per la seconda, e il lungo cantico di Abacuc (3, 1-19) per la terza. In quest’ufficiatura notturna troviamo ben sei inni di sant’Efrem il Siro, due per ognuna delle parti, in cui l’autore canta il mistero della croce di Cristo con delle immagini e dei simboli sviluppati nella sua poesia teologica, dove il legno della croce è sempre fonte di un lungo sviluppo simbolico.
Efrem accosta volentieri Cristo innalzato sulla croce al carro dei cherubini descritto dal profeta Ezechiele: « Cavalca la croce, sebbene, invisibilmente, cavalcasse il carro, quello dei cherubini. Rimasero svergognati i crocifissori che lo fecero montare sul legno glorioso rivestito di simboli. Ho visto la bellezza di Adamo, immagine di Colui che lo ha plasmato e la bellezza della croce, cavalcatura del Figlio del suo Signore ».
Ancora Efrem allarga la simbologia della croce alla spada del cherubino collocato alle porte del paradiso, e la presenta anche come la lancia che uccide la morte: « Beato sei anche tu, legno vivente, che fosti una lancia invisibile per la morte. Quella lancia infatti aveva colpito il Figlio: trafitto da essa, con essa egli uccise la morte. La sua lancia ha allontanato la lancia, poiché il suo perdono ha strappato il nostro documento di debito. Il paradiso gioì perché erano tornati gli espulsi. Sia benedetto, Lui che mediante la sua croce ha forzato il passaggio verso il paradiso ».
Sant’Efrem mette in parallelo, in uno dei suoi inni e con delle immagini poetiche molto belle, i due alberi, quello del paradiso e quello della croce: « E poiché Adamo si era avvicinato all’albero, si precipitò poi verso il fico. Divenne simile al fico, delle cui foglie era coperto. Florido di foglie a modo di un legno, Adamo venne presso il legno glorioso, da esso si rivestì di gloria, da esso acquistò splendore, da esso udì la verità, che sarebbe di nuovo entrato nell’Eden ».
Infine, in uno degli inni sulla crocifissione, Efrem ancora canta il tema evangelico del prendere la propria croce e seguire Cristo, rivolgendosi a Simone di Cirene che porta la croce di Cristo e a Simone Pietro che muore anche lui in croce: « Beato anche tu, Simone, che hai portato durante la vita la croce dietro al nostro Re. Sono fieri coloro che portano le insegne dei re ma svanirono i re con le loro insegne. Beate le tue mani che si alzarono e portarono in processione la croce che si chinò e ti donò la vita. Il tuo fardello ti ha portato nella dimora della vita e ti ha trasferito là, poiché è il vascello del Regno ».

da Osservatore Romano del 14/09/2010

La rassegna stampa di Regina Mundi: Cattolicesimo

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