TESSALONICA E LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI (MEDITAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA)
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TESSALONICA E LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI (MEDITAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA)
La prima lettera ai Tessalonicesi è scritta da Paolo da Atene (“Abbiamo deciso di restare soli ad Atene ed abbiamo inviato Timoteo per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede”, 1 Tess 3, 1, come anche “così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia”, 1 Tess 1, 7). Paolo vi è giunto, come poi vedremo, poiché si è dovuto allontanare, scacciato, da Tessalonica e da Berea. Siamo prima, quindi, del suo arrivo a Corinto, dove sarà condotto davanti al proconsole Gallione che fu proconsole dell’Acaia negli anni 51/52 o 52/53. Gallione era fratello del filosofo Seneca. Sappiamo con certezza gli anni del suo proconsolato a Corinto da una iscrizione ritrovata a Delfi, nella quale è l’imperatore Claudio che, volendo dichiarare la sua benevolenza verso l’oracolo di Apollo Pizio, ci lascia anche testimonianza di Gallione, definito “suo proconsole ed amico”, e della datazione del suo incarico (“Claudio acclamato imperatore per la ventiseiesima volta”, il che corrisponde agli anni che abbiamo già indicato). Questo elemento è importantissimo, perché ci fornisce una delle date certe della cronologia neotestamentaria. Paolo giunge quindi da Atene a Corinto in un lasso di tempo che può andare dal 51 al 52 d.C. e la prima lettera ai Tessalonicesi, che è scritta poco prima di questo evento, viene così ad essere datata fra il 50 ed il 51 d.C. e risulta così essere, probabilmente, il primo scritto neotestamentario in ordine cronologico.
Leggiamo i primi due capitoli della lettera:
Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete. Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l’ira è arrivata al colmo sul loro capo. Quanto a noi, fratelli, dopo poco tempo che eravamo separati da voi, di persona ma non col cuore, eravamo nell’impazienza di rivedere il vostro volto, tanto il nostro desiderio era vivo. Perciò abbiamo desiderato una volta, anzi due volte, proprio io Paolo, di venire da voi, ma satana ce lo ha impedito. Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia.
Vorrei sottolineare innanzitutto la consapevolezza di S.Paolo di annunciare il “Vangelo”. Al v.1, 5 troviamo “il nostro vangelo”, al v. 2,2 “il vangelo di Dio”, al v. 2, 8 ancora “il vangelo di Dio”, al v. 2, 9 ancora la stessa espressione, al v. 3, 6 che non abbiamo letto troviamo “il lieto annunzio della vostra fede”, riferito alla notizia che la fede dei tessalonicesi continua salda e viva. Nelle lettere paoline troviamo il sostantivo “vangelo” più che non il verbo “evangelizzare”. Di tutte le presenze del termine “vangelo” nel Nuovo Testamento ben il 79% è nel corpus paolinum. E’ tipico di Paolo l’uso del sostantivo, anche per molte altre espressioni (vedi, ad esempio, la prevalenza della parola “fede” sul verbo “credere”). E’ anche la fatica del concetto che Paolo insegna ala Chiesa di tutti i tempi. In 2 Tim 4, 13 troviamo l’invito: “Portami i libri e le pergamene”, rivolto a Timoteo, perché Paolo possa ancora servirsene nelle nuove tappe del suo ministero. Nelle lettere non troviamo il racconto della vita di Cristo. Per Paolo certo al vita di Cristo è un fatto assolutamente reale, ma essa è data già per conosciuta. La parola “vangelo” non ha ancora il senso che avrà poi di “scritto che narra la vita di Gesù”. Esprime invece, semplicemente il “lieto annunzio che Cristo è morto e risorto per te”. Questo è il vangelo e Paolo a più riprese lo annuncia e lo ripete. L’accento è tutto sulla morte e sulla resurrezione (non ci si sofferma sui particolari, sulle parole di Gesù o sui suoi miracoli). Ma non solo! E’ la morte e la resurrezione “per”. Cristo è morto e risorto “per i nostri peccati”. Ecco tutto il vangelo, espresso in pochissime parole Ricordo un ragazzo molto disturbato mentalmente che pure mi diceva con verità e semplicità: “Lo sai, io credo questo: se tu credi che Gesù è morto per te, sei salvo”. Ecco tutto il vangelo.
Non possiamo non notare anche le espressioni paoline che sottolineano due aspetti complementari ed ugualmente essenziali dell’amore dell’apostolo e di ogni amore: quelli materni e quelli paterni, quelli femminili e quelli maschili. Rileggiamo i versetti 2, 7-8 e 2, 11:
Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari… E sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio
In queste espressioni vediamo tutta la dolcezza e la disponibilità con cui una madre è disposta a perdere la propria vita perché una creatura possa vivere, come tutta la forza e la chiarezza con cui un padre deve indicare quale è il cammino da percorrere, divenendo punto di riferimento per il figlio.
La comunità cristiana di Tessalonica è nata da pochissimo (la lettera ce la mostra solo alcuni mesi dopo la sua nascita), ma già la sua vita fa parlare di sé:
E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Ancora una volta ci misuriamo con il dono della fede che non si arresta, ma continuamente genera altri credenti. E’ il bene che, se vero, non può non diffondersi. “Bonum diffusivum sui”.