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PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, UNITÀ E DIVERSITÀ NELLA CHIESA, III. UNITÀ E DIVERSITÀ NEL CORPUS PAOLINO

credo che  sia utile leggere almeno l’introduzione, dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19880411_unita-diversita_it.html#III._UNITÀ_E_DIVERSITÀ__NEL_CORPUS_PAOLINO

PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA

UNITÀ E DIVERSITÀ NELLA CHIESA

III.  UNITÀ E DIVERSITÀ NEL CORPUS PAOLINO

1. Le lettere cosiddette «proto-paoline»

Paolo si presenta come apostolos, l’infimo degli Apostoli (1Cor 15,9), ma apostolo al medesimo titolo (cf Gal 1-2), perché apostolo di Gesù Cristo (1Cor 1,1; 2Cor 1,1). La sua missione è quella di portare il Vangelo di Dio, annunziato dai Profeti, riguardante il Figlio risuscitato con potenza secondo lo Spirito di santificazione (Rm 1,1-4). Il problema dei rapporti tra le Chiese locali e l’universalità di un solo popolo di Dio non è trattato direttamente da Paolo; ma nelle sue lettere si trovano alcune discussioni e alcuni dati che possono aiutare la nostra riflessione sul problema: relazioni tra giudei e pagani, tra deboli e forti, tra poveri e ricchi, tra uomini e donne, rapporti dei fedeli con Paolo e con i suoi collaboratori, esistenza di parecchie Chiese domestiche (Rm 16,5; Fm 2), eresie, scismi e disordini, diversità di doni e di carismi…
Il nostro tema sarà illuminato in modo del tutto particolare dall’analisi di due situazioni concrete: 1. Come nella lettera ai Galati Paolo giudica le relazioni tra i pagani convertiti e i giudeo-cristiani? 2. Come nella 1 Corinzi e nella lettera ai Romani si vede la diversità nell’unità di queste due comunità?

1. In Gal 1-2, Paolo afferma l’unità dei credenti ponendo l’accento sull’unicità del Vangelo: la stessa grazia viene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati per strapparci da questo «mondo perverso» (1,3-4). L’espressione Ekklêsía tou Theou (1,13) probabilmente ha già una risonanza più che locale.

Tuttavia non ci sono solo parecchie Chiese in Galazia (1,2) e altrove, il che è segno di vitalità. Ci sono anche serie tensioni causate dai giudaizzanti che deformano il vangelo del Cristo. Paolo racconta ciò che avvenne quando, con Barnaba, egli condusse Tito a Gerusalemme. Là egli espose il suo Vangelo alle «persone ragguardevoli»: esse riconobbero l’apostolato che gli era stato affidato. I partecipanti accettarono due diverse evangelizzazio­ni: una per i circoncisi, affidata a Pietro, l’altra per gli incirconcisi, affidata a Paolo. In occasione del conflitto di Antiochia, Paolo dimostrò che per tutti la giustificazione viene dalla fede in Gesù Cristo e non dalle opere della Legge. Rimproverando a Pietro, che evitava di prendere parte ai pasti con gli etnico-cristiani, di non camminare più secondo la verità del Vangelo (Gal 2,14), Paolo difese per i suoi pagani convertiti la libertà di fronte alla Legge.

2. Le divisioni nella Chiesa di Corinto, ricordate in 1Cor 1-3, sono causate dalle differenze tra partiti. Paolo non le ritiene legittime. Ma in 1Cor 12 e Rm 12 Paolo descrive la diversità necessaria, usando l’immagine del corpo e delle membra. Lo Spirito distribuisce a ciascuno i suoi doni secondo la sua volontà: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6.15-22; Rm 14,2-3). Questa diversità, certamente voluta da Dio, non può diventare disordine. Dio, Gesù Cristo e lo Spirito devono garantire l’unità al livello fondamentale, ma la devono garantire anche, in altro modo e ciascuno a proprio titolo, il battesimo (Gal 3,27-28; Rm 6,3-4) e l’Eucaristia (1Cor 10,16-17), la fede (Rm 1,16; 3,22) e l’agape (1Cor 13; Rm 5,3-8).

3. Con l’appoggio di questi due esempi, possiamo delineare una sintesi paolina e iniziare una riflessione sui mezzi con i quali Dio assicura la coesione dei cristiani. In seguito sottolineeremo le esigenze di una diversità ben integrata.

Alcuni fattori d’unità tipici di Israele esercitano ora solo una funzione molto attenuata. Senza negare la santità, la giustizia e la bontà della Torah (Rm 7,12), Paolo in altri testi sottolinea il suo carattere esclusivo e nazionale (cf Gal 2,14). Respinge come principio di unità la circoncisione e le regole alimentari. Pur riconoscendo nel culto un privilegio di Israele (Rm 9,4), Paolo parla poco del Tempio, perché i cristiani stessi sono santuario (naós) di Dio (1Cor 3,16-17; 2Cor 6,16). Gerusalemme ha importanza soltanto a titolo di Chiesa-madre, prova della fedeltà di Dio alla sua Alleanza. Questa Chiesa ha autorità per i capi riconosciuti che vi si trovano. Essi sono considerati le colonne (styloi) della comunione (Gal 2,9); senza l’accordo con loro, Paolo ritiene che avrebbe «corso invano» (Gal 2,2). Non si parla di «Terra santa». Il cristiano si collega ad Abramo e al popolo eletto per mezzo della fede nel Cristo.
Paolo insiste, invece, sull’apostolato (Gal 1,1; 1Cor 9,1). È una funzione di universalità e di unità che non è limitata a una Chiesa locale. L’apostolo Paolo stesso costituisce, senza alcun dubbio, un legame di unità tra le Chiese particolari. La predicazione di un Vangelo comune unifica tutti i credenti delle diverse Chiese (1Cor 15,11). Tanto il battesimo quanto l’eucaristia (e i pasti comunitari) operano la comunione tra i cristiani. Si può dedurre da 1Cor 11,23ss. che l’Eucaristia è fondamentalmente la stessa a Corinto, ad Antiochia o a Gerusalemme.

Ugualmente, la complementarietà dei carismi è mediatrice di unità. Senza la diversità dei doni, il funzionamento del corpo sarebbe impossibile. Le norme, stabilite da Paolo e talvolta molto uniformi, servono all’unità; su questo punto Paolo ritiene di avere un potere (exousía, 2Cor 10,8; 13,10), anche se non vuole servirsene sempre. E infine, la comunione (koinônía) tra gli apostoli (Gal 2,9) favorisce l’unità tra le diverse Chiese. La molteplicità di queste potrebbe provocare la divisione, e ciò renderebbe vano l’apostolato. Il «ricordarsi dei poveri» di Gerusalemme (Gal 2,10) manifesterà concretamente la comunione. La colletta di cui parlano le lettere sarà un atto che esprime la solidarietà dei cristiani in un senso eminentemente ecclesiale.

Per quanto concerne la diversità, Paolo accetta come ricchezza del corpo le differenze tra le membra. A tale livello non esiste l’uniformità. Paolo si fa tutto a tutti, «giudeo con i Giudei» e «con coloro che non hanno legge, come uno che è senza legge» (1Cor 9,19-22). Dalle autorità di Gerusalemme esige che sappiano discernere ciò che è essenziale e che deve restare identico per tutti i cristiani. Egli rifiuta, dunque, ogni settarismo conformista. Senza promuovere formalmente i valori umani che variano a seconda delle razze, delle regioni e delle culture, Paolo si sforza di liberare i suoi etnico-cristiani dall’inculturazione religiosa dei Giudei. Perciò ci si può domandare se, secondo le prospettive di Paolo, le diverse Chiese locali non dovrebbero distinguersi per i loro carismi particolari e contribuire, così, alla legittima e arricchente diversificazione della Chiesa una e universale.

2. Le lettere cosiddette «della prigionia»

Su due di queste lettere ci dobbiamo soffermare: Colossesi ed Efesini. Le loro prospettive non sono più quelle delle Lettere protopaoline. Il Cristo è il capo di una Chiesa che è il suo corpo. L’escatologia vi appare più «realizzata», la cristologia più cosmica.

1. Nella Lettera ai Colossesi, l’autorità di Paolo è sottolineata di fronte ai pericoli dell’eresia. Ma la diversità nell’unità è enunciata più d’una volta. Il Cristo è «il capo del corpo che è la Chiesa» (1,18), «il capo dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e di legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio» (2,19). I cristiani sono chiamati alla pace di un solo corpo (3,15). L’origine di questo vocabolario è più cosmologico che politico. In Colossesi, la Chiesa ha una vocazione nel mondo. In essa il Vangelo fruttifica e si sviluppa (1,6); esso è annunziato ad ogni creatura sotto il cielo (1,23). I Colossesi devono pregare perché Dio apra la porta alla predicazione (4,3-4). I precetti morali indicano uno stile di vita a ciascun membro della grande famiglia: mariti, genitori, padroni da un lato, e spose, figli, schiavi dall’altro (3,18-4,1). Al di sopra di tutto, i cristiani debbono «rivestirsi» dell’«agape» che «è il vincolo della perfezione» (3,14).

2. La lettera agli Efesini ha sviluppato ulteriormente questa esortazione. Nel codice familiare di 5,21-6,9, l’unione tra il Cristo (capo, sposo, salvatore) e la Chiesa, suo corpo-sposa, serve d’esempio alle relazioni tra marito e moglie. Lo Spirito fa abitare, per la fede, il Cristo nei cuori dei cristiani, in modo che essi sono radicati e fondati nella carità (3,16-17). Dio fa conoscere «il mistero della sua volontà per ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (1,9-10). Il Paolo della lettera agli Efesini, che si autodefinisce «l’infimo fra tutti i santi», ha ricevuto la grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo (3,8). È la rivelazione della presenza attiva di Dio nel mondo.
Anche in Efesini, la Chiesa è il corpo di Cristo che ne è il capo. A questa Chiesa egli ha dato una grande diversità di ministeri per edificare il suo corpo (4,7.11-12). Da lui «tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (4,16). La Chiesa è anche paragonata a una costruzione-tempio, che ha per fondamento gli apostoli e i profeti, e per pietra angolare (akrogôniaios) il Cristo (2,20). Senza alcun dubbio il Cristo è la nostra pace. Egli della divisione tra Giudei e pagani ha fatto un’unità, un solo popolo. Per mezzo della sua croce Egli ha riconciliati tutti e due con Dio in un solo corpo (2,14-22). L’autore esorta i suoi cristiani: «Cercate di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati…; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (4,3-6). Sebbene non usi l’espressione «una sola Chiesa», egli afferma con forza l’unità del corpo che è la Chiesa.

3. Le lettere cosiddette «pastorali»

Per le Chiese locali di Efeso e di Creta, si nota in queste lettere un’evoluzione della situazione descritta negli altri scritti del Corpus paolino. Vi si trova un’organizzazione più articolata dei ministeri. La fede è presentata meno come un atto che come un «deposito» che si deve conservare, come una dottrina alla quale bisogna restare fedeli. La Chiesa è presentata meno come un soma («corpo») che come un oikos («casa»).

L’autore non parla esplicitamente dei rapporti tra queste Chiese e la Chiesa universale. Tuttavia bisogna notare come è accettata l’autorità di Paolo che trascende le varie località: a questo titolo è riconosciuta l’autorità dei suoi delegati, Timoteo e Tito. A Timoteo il dono della grazia è stato conferito per un intervento profetico, accompagnato dall’imposizione delle mani dal collegio degli anziani (1Tm 4,14) e da Paolo (2Tm 1,6). Timoteo stesso imporrà le mani ad altri. Qui dunque appare una specie di successione nell’esercizio dell’autorità legittima (vedi anche 2Tm 2,2).

Senza poter affermare che un’identica situazione sia esistita nelle altre comunità, si notano grandi somiglianze nelle due Chiese di Efeso e di Creta. Esse arrivano sino all’uniformità. Così Timoteo, che conosce le Scritture dalla sua giovinezza, deve difendere, come Tito, la fede e la sana dottrina dagli errori (1Tm 6,20-21; 2Tm 3,13; Tt 1,9; 3,10). Tutti e due debbono completare l’organizzazione delle Chiese. Tito, secondo le istruzioni di Paolo, stabilirà degli anziani in ogni città (Tt 1,5). Si trovano degli anziani anche in 1Tm 5,17-19. Le qualità richieste per il vescovo sono le medesime in 1Tm 3,2-7 e in Tt 1,7-9. Timoteo deve vigilare sulle qualità dei diaconi (1Tm 3,8-10; 12-13) ed anche delle donne (diaconesse?) in 3,11. Infine, essi devono esortare i loro cristiani secondo le direttive paoline affinché tutti, in ogni classe sociale (1Tm 5 e 6; Tt 2,1-10), si comportino in modo irreprensibile.
In tal modo l’unità della Chiesa, già debitamente strutturata, sarà custodita e mantenuta. I cristiani sono «la casa di Dio, la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). I cristiani fanno parte del popolo che appartiene a Gesù Cristo grazie al suo sacrificio (Tt 2,14).

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