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ILDEFONSO SCHUSTER – MF 30 AGOSTO – INOS BIFFI

http://www.internetica.it/neocatecumenali/Biffi-teologia.htm

ILDEFONSO SCHUSTER – MF 30 AGOSTO

NON BASTA LA DOTTRINA

INOS BIFFI, L’OSSERVATORE ROMANO 19 GENNAIO 2008

TEOLOGIA

Uno dei compiti principali del pastore d’anime, o diciamo semplicemente del sacerdote, è quello di presiedere e di iniziare alla liturgia. Ma questo è possibile solo se, a sua volta, egli è stato introdotto alla sua comprensione, o alla sua teologia e spiritualità; solo se ha capito il mistero che è chiamato a celebrare e illustrare, facendone il cuore stesso del suo ministero.
Possiamo ancora una volta ricordare il diffuso affanno con cui si va alla ricerca di strategie inedite per l’evangelizzazione e la formazione cristiana: in realtà la più efficace, la più valida e, aggiungiamo, la più nuova rimane quella che da sempre accompagna, per istituzione divina, la vita della Chiesa, cioè la celebrazione dei santi misteri, che segue e traduce l’evangelizzazione e l’accoglienza della fede.
Se la liturgia risulta priva d’interesse e non avvincente, la ragione non sta nel contenuto che si sia logorato: l’occhio e la sensibilità della fede lo avverte sempre vivido ed esuberante.
Solo che quest’occhio e questa sensibilità devono anzitutto contrassegnare lo spirito e lo stile di colui che celebra.
Penso, in questo momento, a un grande liturgo che la Chiesa ebbe nel secolo passato, il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, che edificava solo al vederlo celebrare. « La sua presenza dava a ogni celebrazione guidata da lui il senso quasi fisicamente percepibile della realtà salvifica che l’azione sacra efficacemente evocava. Non era un colosso, eppure la sua presidenza veniva percepita come qualcosa di determinante e di intenso.
La gente semplice correva a contemplare quest’uomo esiguo e fragile che, nelle vesti del liturgo, diventava un gigante. I suoi gesti erano sempre sciolti e misurati: non c’era niente di teatrale nella sua attitudine. Eppure il suo era davvero uno spettacolo, al tempo stesso spontaneo e affascinante. Intento insieme e assorto, era agli occhi di tutti un testimone eloquente dell’invisibile.
Si immergeva con naturalezza nel mondo del trascendente; tanto da sembrare più spaesato fuori, nella dimensione comune e secolare dell’esistenza. Non aveva bisogno di attardarsi nelle locuzioni e nei gesti per dare spessore e significanza ai riti. Nessuno era più sollecito di lui, che si muoveva entro i sacri misteri con la disinvoltura di chi si sente a casa. Niente perciò di quanto poteva dire o fare acquistava agli occhi dei fedeli maggiore rilevanza di questo « magistero visivo ».
Ciò che contava, ciò che era più prezioso, ciò che in definitiva si iscriveva nei cuori, era la sua testimonianza sacerdotale, che diventava per tutti la più autentica e valida delle « mistagogie »; diventava cioè un invito discreto ed efficace a entrare esistenzialmente nello splendore e nella gioia del mistero della salvezza » (cardinale Giacomo Biffi).
Ora, la prima condizione perché questo avvenga è la formazione teologica del presbitero, esattamente centrata sui punti fondamentali del dogma cristiano, da cui è generata la pietà.
L’impegno principale negli anni della preparazione al ministero non deve essere, infatti, quello di addestrare ai rapporti pre-pastorali, ma quello di iniziare – in un clima di silenzio, di studio prolungato e rigoroso e di orazione – all’assimilazione e alla contemplazione del mistero cristiano. Il resto verrà e sarà fecondo a suo tempo. Oggi, con discutibili e autorizzate motivazioni di avviamento all’apostolato, i seminaristi appaiono troppo distratti.
Passando ai contenuti: il cuore di tutta la formazione teologica deve riguardare la figura di Cristo e in particolare la professione della sua divinità, tanto maggiormente necessaria, quanto più oggi rischia di essere annebbiata. Un movimento di riduzione della figura di Gesù di Nazaret nei confini puramente umani, o una specie di inquietante arianesimo sembrano serpeggiare, come se l’assoluta originalità di Cristo sia il suo essere uomo, e non invece il suo essere un vero uomo che è personalmente Dio, quindi l’unico Rivelatore e, per tutti e in ogni tempo, l’unica via di salvezza.
Del resto, è quello che immediatamente appare dai Vangeli, che nascono dallo stupore suscitato da Colui nel quale, con l’ovvia umanità, constatano una dimensione inattesa e insospettata, quella che lo colloca sul piano stesso della divinità.
Non stupisce che in questo inquietante e serpeggiante offuscamento gli stessi miracoli di Gesù siano intesi come puri simboli, a cui la stessa risurrezione del Signore viene ricondotta.
Il secondo grande dogma al quale va iniziato chi studia teologia riguarda la Chiesa, « Opera di Dio », Corpo di Cristo e suo « sacramento », e quindi sua concreta visibilità, sua iniziale e fondamentale riuscita.
Anche al riguardo non si fatica a incontrare concezioni ecclesiologiche non affatto cattoliche, che interpretano la Chiesa come un insieme di fragili ed effimeri tentativi di esperienza cristiana, differenti l’uno dall’altro, ma alla fine equivalenti, invece che l’imprescindibile e storica mediazione di salvezza per ogni uomo.
Basterebbe vedere con quale leggerezza ne viene contestata l’unità e la santità e con quale compiacenza se ne faccia oggetto di denigrazione, che parrebbe la condizione per essere « profeti », dimenticando che ogni ferita alla Chiesa tocca Gesù Cristo stesso.
Poi viene la formazione teologica relativa ai sacramenti, dove è in atto l’opera della salvezza, a motivo della presenza in essi di Gesù Cristo e del suo Spirito, dai quali i segni ricevono efficacia.
In realtà, un’autentica e stabile educazione al dogma – che non può certo equivalere a una semplice e sterile ripetizione scolastica – deve abbracciare tutte le sue branche, e quindi anche la mariologia, la dottrina del peccato originale, i « Novissimi », con la preoccupazione di ascoltare e di comprendere la splendida Tradizione della fede, che è diventato d’uso emarginare per ascoltare le voci nuove, di teologi e di filosofi, che non raramente seducono con alcune loro dottrine brillanti, ma che, a una riflessione critica, dissolvono l’originalità della Rivelazione.
Ci si potrebbe anche chiedere se riguardo appunto alla mariologia e al peccato originale l’insegnamento sia dappertutto conforme alla dottrina di fede definita.
Si avverte subito che, senza questa formazione dogmatica del pastore d’anime, anche la celebrazione risulterà alterata e priva della sua sostanza, per cui consisterà non in una celebrazione da parte della Chiesa, Sposa di Cristo, della Grazia che redime e che ricrea; né in uno sguardo ammirato e adorante del disegno divino; né in un ministero svolto in persona Christi, e che introduce nel mondo soprannaturale; né in un elogio e in un ringraziamento per l’iniziativa di Dio per la salvezza dell’uomo; equivarrà, invece, alla celebrazione di una iniziativa dell’uomo, a una sua auto-glorificazione.
Senza dubbio, pur fondamentale, l’istruzione dottrinale non basta per l’iniziazione liturgica: occorrono l’esercizio e la coltivazione del gusto e della proprietà, che nulla hanno a che fare con un superficiale liturgismo estetico, ma che sono tanto più necessari quanto più sublime è il livello sul quale i pastori d’anime saranno chiamati a operare e quanto più prezioso è il dono che passa attraverso la loro mediazione rituale.
In ogni caso, se si incontrassero dei ministri della liturgia demotivati, indifferenti, trascurati, la prima ragione andrebbe individuata in una carenza di tipo teologico, nel senso che o si è rimasti alla periferia del dogma, o lo si è per qualche verso contaminato, in particolare per quanto concerne la figura di Gesù Cristo, l’immagine della Chiesa e la concezione dei sacramenti.
Da qui la grave responsabilità di quanti sovrintendono a questa educazione teologica.

L’Osservatore Romano – 19 gennaio 2008

Publié dans:c.CARDINALI, MILANO |on 29 août, 2013 |Pas de commentaires »

VOLTARE PAGINA E RIPARTIRE DALLA BELLEZZA (PRIMA PARTE) (Il Papa a Milano)

http://www.zenit.org/article-31013?l=italian

VOLTARE PAGINA E RIPARTIRE DALLA BELLEZZA (PRIMA PARTE)

Un commento alla visita del Papa a Milano

di Massimo Introvigne
ROMA, lunedì, 4 giugno 2012 (ZENIT.org).- «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi». Quando il 1° giugno 2012 Benedetto XVI al Teatro alla Scala di Milano ha ricordato queste parole di Ludwig van Beethoven (1770-1827) nel recitativo dell’Inno alla Gioia, molti vi hanno visto un segno e un simbolo di tutta la visita apostolica del Papa nel capoluogo lombardo. Come, dopo la «terribile dissonanza» che annuncia la parte finale dell’Inno alla Gioia, le parole di Beethoven «in un certo senso, “voltano pagina”», così anche la Chiesa con la gioiosa visita del Pontefice a Milano ha idealmente voltato pagina dopo giornate di difficoltà e di polemiche. Certamente il Papa non poteva né voleva ignorare un contesto di crisi, all’esterno e all’interno della Chiesa. Tuttavia, più che un’analisi della crisi, in questo viaggio ha voluto trasmettere un messaggio di speranza, un richiamo alla bellezza che brilla di fronte al male del mondo e introduce alla verità e al bene.
1. La bellezza dell’arte
Bellezza, anzitutto, dell’opera d’arte, che il Papa musicologo nel dialogo con le famiglie del 2 giugno al Parco di Bresso ha evocato con riferimento alla sua giovinezza, dove in casa al sabato si preparava la Messa domenicale con particolare attenzione alla musica. «Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – [Wolfgang Amadeus] Mozart [1756-1791], [Franz Peter] Schubert [1797-1828], [Franz Joseph] Haydn [1732-1809] – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo».
Quanto alla musica di Beethoven – come aveva fatto per altri musicisti in occasione di concerti in suo onore – il Pontefice ne ha parlato alla Scala in termini non generici, e senza nascondere il fatto che l’Inno alla Gioia non è propriamente un inno cristiano. «È una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: “la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio” (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione».
Ha senso, si è chiesto Benedetto XVI, celebrare la bellezza di un’opera d’arte dedicata alla gioia, in un’Italia in cui tanti piangono le vittime del terremoto? Le parole che Beethoven riprende dall’Inno alla gioia di Friedrich Schiller (1759-1805) «suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi?».
Interrogativi drammatici, che l’uomo si pone ogni volta che si trova di fronte al dolore, alla morte, ai disastri naturali. E allora la retorica di Schiller non basta.
«In quest’ora – ha detto il Papa – le parole di Beethoven, “Amici, non questi toni …”, le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti». «Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza». È il Dio cristiano.
2. La bellezza della santità
La bellezza di cui ha parlato Benedetto XVI a Milano non è solo quella dell’arte. È la bellezza della vita santa, evocata sia come memoria nel ricordo dei santi milanesi sia come proposta ai ragazzi della Cresima. Già nel primo saluto a Milano in Piazza Duomo il 1° giugno, il Papa ha ricordato i santi che sono stati vescovi e arcivescovi di Milano: sant’Ambrogio (339 o 340-397), san Carlo Borromeo (1538-1584), il beato Andrea Carlo Ferrari (1850-1921), il beato Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), il servo di Dio Paolo VI (1897-1978), «buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II», cui Benedetto XVI ha voluto affiancare un altro vescovo di Milano asceso al soglio di Pietro, Pio XI (1857-1939), «alla cui determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano».
Venuto a Milano per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, tra tanti santi milanesi il Papa ha pure tenuto a «ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla [1922-1962], sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità». E di tutti questi santi il Pontefice ha voluto sottolineare lo speciale legame con Roma e l’indomita fedeltà al Papa, fin da sant’Ambrogio. «Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – “c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina” (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: “Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa” (Explanatio Psalmi 40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito».
Ai ragazzi della Cresima, il Papa – come aveva già fatto in Gran Bretagna, rivolgendosi agli studenti delle scuole cattoliche il 17 settembre 2010 – ha chiesto di essere santi: «Siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo: certamente! Lo dice anche sant’Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in una sua opera, dove scrive: “Ogni età è matura per Cristo” (De virginitate, 40). E soprattutto lo dimostra la testimonianza di tanti Santi vostri coetanei, come Domenico Savio [1842-1857], o Maria Goretti [1890-1902]. La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti». Si può anche ricordare a questo proposito l’impegno personale di Benedetto XVI per la ripresa della causa di beatificazione di Antonietta Meo, «Nennolina» (1930-1937), proclamata venerabile nel 2007 superando obiezioni su una presunta impossibilità di diventare santi a sette anni.
Ai cresimandi il Papa ha indicato pure la via verso la bellezza della santità: i doni dello Spirito Santo, «realtà stupende» e oggi tanto spesso purtroppo dimenticate. Vale dunque la pena di ricordarli. Il primo è la sapienza, «che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, “sale della terra”». Il secondo è l’intelletto, «così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede». Terzo: il consiglio, «che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi». Quarto dono: la fortezza, «per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio». Quinto: il dono della scienza, «non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile». Sesto dono: la pietà, «che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto». E il settimo dono, forse il più difficile da capire per un giovane oggi, è il timore di Dio, da non confondersi con la paura. Il «timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio».

Publié dans:MILANO |on 4 juin, 2012 |Pas de commentaires »

Il discorso di Benedetto XVI in piazza Duomo

 http://www.zenit.org/article-30990?l=italian

« LA VOSTRA STORIA È RICCHISSIMA DI CULTURA E DI FEDE »

Il discorso di Benedetto XVI in piazza Duomo

ROMA, venerdì, 1 giugno 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il discorso pronunciato questo pomeriggio a Milano da Papa Benedetto XVI durante l’incontro con la cittadinanza in piazza Duomo, la prima tappa della sua visita pastorale al capoluogo lombardo in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie.
Il Santo Padre è arrivato alle ore 17.00 all’aeroporto di Milano-Linate, dove è stato accolto dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, dal presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, cardinale Ennio Antonelli, e dal cardinale arcivescovo emerito di Milano, Dionigi Tettamanzi.
In rappresentanza del Governo Italiano, ad accogliere il Pontefice è stato il ministro per la Cooperazione internazionale, il professor Andrea Riccardi.
***
Signor Sindaco,
Distinte Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Milano!
Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio o la televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita.
Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città. Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale Carlo Maria Martini.
Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle famiglie – provenienti da tutto il mondo – che partecipano al VII Incontro Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nella nostra preghiera e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà.
Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.
Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità.
Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico « ben essere », a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario, conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente « laica » e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.
Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione.

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