(DOTTRINA PAOLINA) – estratto da » L’UOMO SECONDO LA BIBBIA »
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CAPITOLO NONO
IL NUOVO ADAMO
(DOTTRINA PAOLINA) – estratto da » L’UOMO SECONDO LA BIBBIA »
estratto da » L’UOMO SECONDO LA BIBBIA » – A. Gelin – Edizioni Ligel 1968
(Libera traduzione del testo francese)
Il personaggio di Adamo è collegato dalla Bibbia a tutta la storia della salvezza. Ne è come la bozza. Ma non sarebbe dare ad Adamo tutto il suo valore se lo si considerasse soltanto come un inizio; è un “tipo„ normativo, colui che ci presenta, realizzato in sé, ciò che il Signore attende da noi tutti: essere realmente la sua immagine. “Tipo„ normativo anche in un’altra direzione di pensiero che San Paolo ci rivelerà. Questo capitolo sarà una meditazione di san Paolo: è lui che ci ha detto chiaramente che il primo Adamo era il “tipo„ di un nuovo Adamo. Il Cristo Gesù è il “tipo„ dell’uomo biblico nella sua perfezione: c’è soltanto un uomo biblico, il Cristo. Adamo è il “tipo„ imperfetto di Cristo. Studiamo dunque il messaggio lasciato da san Paolo. E poiché questo originale teologo è come un genio assimilatore, all’ascolto di tutte le correnti e di tutte le vibrazioni dei mondi religiosi in cui si è formato e riformato (1), occorre riflettere inizialmente su ciò che ha potuto preparare nel pensiero di Paolo questa dottrina dei due Adamo.
I. GLI ANTECEDENTI DELLA DOTTRINA DEL NUOVO ADAMO
1. Attenzione accordata al personaggio Adamo nei circoli apocalittici.
I circoli apocalittici hanno molto riflettuto su Adamo. Ed è proprio nel loro ambiente che Paolo si è formato. La sua teologia, così come la si può riconoscere nei suoi scritti, è una teologia “apocalittica„. I circoli apocalittici avevano studiato il peccato di Adamo: era uno dei loro centri d’interesse. Essi hanno ribadito in termini a volte patetici un legame tra l’errore del primo padre e la situazione spirituale dell’umanità. Adamo, per loro, è un esempio, un cattivo esempio: è la facilità a lasciarsi trascinare da questo istinto malvagio che è in noi ed al quale egli stesso per primo ha ceduto poiché, dicono i rabbini, c’era un istinto malvagio in Adamo prima della sua colpa. È lui che ha introdotto la morte in questo mondo.
Ecco un testo ben caratteristico tratto dell’Apocalisse di Esdra (2) sulla conseguenza di Adamo: “Se il primo uomo Adamo ha peccato e ha fatto venire la morte su tutti in modo inopportuno, purtroppo anche su quelli che sono nati da lui, ogni uomo prepara per la sua anima la punizione futura ed a sua volta ciascuno sceglie per sé le glorie future „. Di conseguenza, Adamo fu causa soltanto per la sua anima; quanto a noi, ciascuno è a sua volta Adamo per sé.
C’è una presa di posizione molto netta: Adamo ha precipitato l’umanità in una cascata di disgrazie, con il fatto di avere peccato, con il fatto che è un esempio e che, per la sua colpa, l’umanità si trova indebolita. Queste disgrazie sono principalmente la morte ed altri mali che vengono elencati: non si parla più l’ebraico come all’inizio (L’Apocalisse di Esdra è scritta in greco. Ndt), si sanno meno cose rispetto all’inizio, ecc.… In fondo, nulla di più di quanto ci dica la Genesi.
Un’altra apocalisse di quei tempi, quella di Baruc, ci parla allo stesso modo. C’è dunque un’attenzione speciale rivolta ad Adamo nei cerchi apocalittici, nel momento in cui scrive Paolo: in particolare un chiarimento ed una riflessione sulla sua colpa. Da osservare del resto che il mistero del male è toccato soltanto superficialmente e che la dottrina del peccato non è per niente nella linea del nostro dogma cattolico del peccato originale, così come lo intendiamo partendo da San Paolo: ciascuno, secondo queste apocalissi, deve “giocare le sue carte„. “Ciascuno è Adamo per sé „. Adamo è soltanto un esempio che trascina ed una causa di debolezza per l’umanità.
2. L’idea dei “due Adamo„ nella speculazione di Filone.
Filone è un pensatore ebraico della “Dispersione„ che vive ad Alessandria. La sua speculazione si situa 40 anni prima della nostra era, quindi mentre Gesù è a Nazareth. Filone speculerà sui due resoconti della Genesi. Per introdurci al suo pensiero è curioso ricordare che uno scienziato come Lecomte du Noüy (1883-1947) (che nulla ha a che fare, ovviamente, con la critica biblica) ci ha presentato nel suo libro L’Avenir de l’esprit (Il futuro dello spirito), una distinzione simile a quella di Filone. Rileggiamo inizialmente la Bibbia: un primo testo della Genesi (quello che abbiamo collegato alla fonte P, fonte sacerdotale) ci trasmette solennemente la creazione del mondo intero, in un ordine qualitativo, in modo da presentarci alla fine la nascita di Adamo ed Eva come il vertice, l’apogeo della creazione: il suo re è introdotto per ultimo. Egli ci è presentato come immagine di Dio, tra Dio al quale non è identico e gli animali su cui deve predominare. E poi un secondo racconto molto psicologico, ma anche per certi versi molto ingenuo, ci rappresenta, al capitolo 2, Adamo creato, modellato da Dio e che poi prende moglie (la donna tratta del suo fianco): noi diciamo in modo critico che questo racconto appartiene al ciclo J, al ciclo jahvista, cioè alla prima sintesi storica trasmessa dalla Bibbia.
Ecco ora le “spiegazioni„ di Lecomte du Noüy a questa lettura. Il “primo Adamo„ era soltanto un abbozzo: era un essere inferiore creato soltanto per gli istinti di procreazione e di conservazione; non era ancora un uomo. Il “secondo Adamo„ al contrario, a cui Yahvé mette a disposizione un’opzione morale, è l’uomo capace di responsabilità, l’uomo vero.
Filone diceva già qualcosa d’analogo, ma in senso inverso. “Il primo Adamo„ (l’Adamo del capitolo primo), è l’uomo ad immagine di Dio, il “secondo Adamo„ (quello del capitolo due), è l’uomo modellato dalla terra. Il primo è l’uomo celeste (“ouranios„), il secondo è l’uomo terrestre. Filone ha comunque abbastanza diversificato le sue spiegazioni. Ma si vede bene che c’era una speculazione adamologica che affermava: il primo è l’uomo celeste, l’ideale dell’uomo, una specie di “idea platonica„ dell’uomo, che è stato creato; ed il secondo, l’uomo empirico, meno perfetto, terrestre, è creato in seguito come padre degli uomini. C’è dunque in Filone una distanza “cronologica„ tra il primo uomo, l’uomo celeste ed il secondo uomo, l’uomo terrestre. Forse troveremo qualcosa di ciò in San Paolo.
3. Il Vecchio Testamento ci presenta un’escatologia dell’uomo?
Il Vecchio Testamento ci ha fatto attendere un personaggio concepito come rappresentante ideale dell’umanità, l’Uomo con la U maiuscola? Sembra proprio che all’epoca di san Paolo l’espressione “l’Uomo„ fosse una designazione messianica.
Ecco un testo chiaramente contemporaneo di Paolo, quello di Ebrei 2,6 e seguenti. Noi sappiamo come l’autore rifletta sul famoso Salmo 8: “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio (un « élohim »), … tutto hai posto sotto i suoi piedi “(in particolare le bestie). Si riconoscono del resto là i commentari di Genesi 1,26. Ma questo salmo è citato da Ebrei 2, per applicarlo a Cristo:
Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell’uomo perché te ne curi? Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.
(Eb 2,6-10).
È Gesù, l’Uomo per eccellenza. Ma nel Vecchio Testamento troviamo anche questo stesso titolo come messianico. La traduzione dei Settanta parla dell’arrivo di un uomo: “Una stella spunta da Giacobbe e un Uomo sorge da Israele„ (Nm 24,7 e 17) (3). “Un uomo„: designazione messianica! Si ricollegherebbe a Genesi 1, 26, 27? al Salmo 8? Non ci sarebbero in questo Salmo 8, considerato come un salmo reale, le tracce di un’attesa, ovvero: un giorno sarà realizzato questo Uomo che attendiamo e che sarà il re perfetto di tutta la creazione?
Alcuni esegeti contemporanei, come Bentzen, hanno pensato che il Figlio dell’uomo di Daniele (7, 13) sarebbe come una rinascita dell’antica figura di questo dominatore della creazione (delle bestie in particolare). Non è anche lui vincitore delle bestie che simbolizzano i quattro imperi? (Impero di Babilonia, regno dei Medi, regno dei Persiani, regno di Alessandro Magno. Ndt). Questa figura, perlomeno, si prestava ammirevolmente a diventare una figura messianica personale e questa interpretazione è stata ratificata da Gesù che si è chiamato “il figlio dell’uomo„. Figlio dell’uomo, designazione misteriosa che corrispondeva ad Uomo (con la U maiuscola): ovvero, un membro dell’umanità, un figlio di Adamo, che avrebbe realizzato con un’eccellenza particolare, ciò che ci si attendeva fin dall’origine di questo Adamo, re del paradiso.
4. Il tema “dei due Adamo„ nella tradizione sinottica.
Ultima constatazione, probabilmente più pratica: il tema dei “due Adamo„ non è stato inventato da San Paolo; lo vediamo emergere chiaramente dalla primissima tradizione sinottica.
È Marco 1,13 che ci ricorda che Gesù visse fra le bestie selvagge, gli stessi che rispettavano Adamo, secondo le apocalissi. Vivere fra le bestie selvagge è una caratteristica messianica (in riferimento del resto al tema del Paradiso). Il capitolo 11 di Isaia ci garantisce che nei tempi messianici sarà come nel Paradiso: le bestie saranno tutte addomesticate, esse si capiranno tutte tra di loro:
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà (4).
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue (5).
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano
nel covo del serpente velenoso (6).
(Is 11,6-8).
Così si presenta Cristo in san Marco: è fra le bestie selvagge, a seguito di una prova da cui, a differenza di Adamo, egli è uscito vittorioso. È così che apre una nuova era, è così che riprende vittoriosamente l’avventura del primo uomo.
In san Luca è da osservare che la tentazione messianica descritta al capitolo 4 segue immediatamente la genealogia di Gesù che si conclude così: “Gesù era figlio di Giuseppe…, figlio di Adamo, figlio di Dio„ (Lc 3,23;38). “Figlio di Adamo, figlio di Dio„: questa giustapposizione della tentazione e di questa denominazione è estremamente suggestiva. Il Padre Lagrange ha detto: “Si dovrebbe capire, da ciò che precede, che Gesù era un secondo Adamo, ben superiore al primo (7). „ Forse san Luca, che ha tanto ricevuto da San Paolo, a sua volta gli ha trasmesso qualcosa: non soltanto una specie di conciliazione che derivava dal suo carattere così umanistico, ma anche alcune caratteristiche teologiche primitive. D’altronde tutto ciò non deve per niente per ridurre al minimo ciò che la presentazione paolina del nuovo Adamo avrà di originale: poiché san Paolo non ci presenterà il Cristo “nuovo Adamo„ soltanto in questo quadro simbolico (ed anche un po’ mitologico) della vittoria sulle bestie.
II. PRINCIPALI TESTI PAOLINI SUL TEMA DEL NUOVO ADAMO
1. La prima epistola ai Corinzi (15, 21-22, 45-49).
a) L’occasione dell’epistola. Prima di abbordare questo passaggio per il nostro scopo, proviamo ad indicare l’occasione. Si tratta di una controversia sulla resurrezione. Ma a partire da una situazione molto concreta (del resto ci sono soltanto situazioni concrete in 1 Cor). La cristianità di Corinto era molto toccata, intorno al 55, dal numero di decessi verificatisi. A seguito di questi decessi giudicati prematuri si introdussero un certo numero di pratiche e si manifestò fra i Corinzi una certa mentalità. Alcuni, ricordandosi che il battesimo introduceva alla vita risuscitata, come dice Paolo (Rm 6), ricevevano il battesimo a beneficio delle loro morti. Altri, ricordandosi di essere greci e ragionando come gli Ateniesi il giorno in cui Paolo aveva parlato loro di “resurrezione dai morti„ (At 17,18), facevano fatica ad ammettere, sebbene cristiani, l’idea biblica di resurrezione: che ci si parli d’immortalità, bene! ma non di resurrezione (8). Era davanti al loro ellenismo impenitente che Paolo si trovava: “Come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? „ (1 Cor 15,12). Ci si immagina abbastanza bene nelle opinioni dei Corinzi questa punta di fiera ironia che noi troveremo negli gnostici, gli intellettuali. E si comprende la risposta di Paolo.
b) La solidarietà con Cristo. La risposta di Paolo consisterà nell’affermare vigorosamente la solidarietà totale del cristiano con Cristo. C’è soltanto un valore assoluto nel mondo spirituale, è Cristo Gesù. Noi siamo partecipi del suo destino. Il suo destino è allo stesso tempo esempio e fonte: noi vi dobbiamo partecipare. Il cristianesimo si definisce in termini di “koinonia„ (— di comunione): ecco perché la formula “in Christo„ basta per Paolo a designare l’associazione più intima concepibile del cristiano con Cristo spirituale che vivifica. Di conseguenza occorre passare per dove Cristo è passato. E’ risuscitato sì o no? È la sola questione che importa poiché condiziona tutto: la nostra fede ed il nostro destino; ciò che spiega l’insistenza di Paolo in questo capitolo 15: Cristo è risuscitato, noi risusciteremo. Se noi risuscitiamo, è poiché Cristo è risuscitato, se pensiamo che Cristo non sia risuscitato, la nostra fede è senza contenuto, essa è vuota (versetto 14). Negare il fatto fondamentale della Pasqua, è pretendere di conservare un’apparenza di fede, una fede senza contenuto.
Il capitolo 15 è di un’importanza eccezionale. Si tratta di eliminare con vigore una certa interpretazione platonica del nostro destino personale, una certa mentalità pre-gnostica. Paolo ha visto Cristo risuscitato: la sua testimonianza e la sua catechesi non sono inferiori a quelle degli altri Apostoli. Egli lo ha visto, sul cammino di Damasco, egli ha realizzato questo contatto inaudito con il Cristo glorioso. Lo ha visto e si serve, per descrivere questa visione, delle espressioni correnti nella tradizione farisaica (che non è senza legame con il libro di Daniele 12): i risorti hanno una specie di corpo che non è più il corpo terrestre (1 Cor 15,35;44).
c) Il parallelismo Adamo-Cristo. Ma Paolo supererà questa fase della semplice risposta alle difficoltà concrete per allargare la sua visione in una vasta antitesi. Ammiriamo qui questo doppio – genio di Paolo: genio storico e genio antitetico armoniosamente associati. Con lui non si resta mai fermi ad una piccola idea episodica: immediatamente la situa in una grandiosa visione storica e, per collegarla meglio, si serve del sua genio antitetico di “professore„. Ed ecco questa costruzione paolina.
Cristo ricomincia tutto, rinnova tutto: egli è la grande svolta della storia universale, è “l’una volta per tutte„ della storia della salvezza. L’umanità è per strada verso il suo destino e, durante il percorso, si ricollega a due uomini di cui porta l’immagine. Intendiamoci bene: un’immagine che non è semplicemente una copia limitata, bensì una forza che deriva dall’originale e che spinge a riprodurlo. Noi portiamo dentro di noi l’immagine dell’uomo terrestre e portiamo dentro di noi l’immagine dell’uomo celeste, come un dinamismo che trasforma. Noi non portiamo queste due immagini in sovrimpressione, bensì ci sottoponiamo al dinamismo vincitore della più forte. Il primo uomo, il secondo uomo: il primo introduce la morte nel mondo; il secondo vince la morte con la sua resurrezione. Adamo è incapace per sua natura di farci accedere ad una “economia„ di resurrezione: questa è caratteristica del secondo Adamo. Ma leggiamo il testo:
“Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita “(1 Cor 15,21-22).
Sta scritto infatti (Cfr. Gn 2,7) che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente (psyché), ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita (pneuma). Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste (1 Cor 15,45-49).
Riprendiamo più chiaramente questo parallelo: un uomo — un altro uomo; Adamo — Cristo; il primo Adamo — l’ultimo Adamo; un “essere vivente„ — uno “spirito datore di vita„. Il primo uomo che appartiene alla terra, che è di sostanza terrestre, fatto di terra, “di fango„ — il secondo uomo che appartiene al mondo celeste; il primo uomo che ha per caratteristica la carne, il sangue, la corruzione, tutto ciò che non è adatto al regno celeste — il secondo che è adatto e ci adatta a quel Regno. Questo passaggio traduce dunque, in modo ammirevolmente concentrato, il potere che ha il Cristo di conformare i credenti al suo corpo glorioso.
d) Le intenzioni profonde di Paolo. Quali sono, riassumendo, le intenzioni profonde di Paolo?
- Questo parallelismo risponde inizialmente alla tendenza innata del genio di Paolo verso l’universale. Quando i Giudei attendevano il Messia, lo hanno salutato come figlio di Davide. È esatto e Paolo lo sa bene, proprio lui che dirà ai Romani: “Cristo Gesù è nato dalla discendenza di Davide„ (Rm 1,3). Ma, parlando così, si rischiava di rappresentare in modo troppo ristretto l’opera di Gesù. Gesù nel mondo non prende origine soltanto da questo piccolo popolo giudaico, egli non è semplicemente il figlio di Davide. L’epistola agli Ebrei ha detto, forse fin da quel tempo (poiché questa epistola è molto vecchia), che Cristo è una replica di Melchìsedek. Ma Melchìsedek era un pagano: egli viveva prima che fosse organizzata l’istituzione teocratica e levitica di Israele; era il rappresentante di un sacerdozio umano, naturale. Ed è sorprendente constatare che si sia collegato Cristo, più che al sacerdozio aaronico, più che ad Israele, ad una figura pagana (monoteistico del resto). Paolo fa ancora meglio: tramite Davide, tramite Melchìsedek, egli si ricollega al primo uomo, risale fino ad Adamo. E’ quello un modo di coinvolgere l’universalismo: ci sono due poli nell’umanità, Adamo ed il nuovo Adamo. Ed ecco d’un tratto i titoli messianici tradizionali non aboliti, ma allargati, approfonditi e Cristo messo al suo posto unico.
- Seconda intenzione, accessoria a quella: forse un’intenzione polemica contro una speculazione del genere filoniano. Se non mira in modo particolare a Filone, per lo meno ad una mentalità simile. Ricordiamo l’essenziale della speculazione del filosofo giudeo di Alessandria: c’è il primo Adamo, Adamo ideale, immagine di Dio; dopo viene l’Adamo empirico di cui conosciamo le avventure grazie ai capitoli 2 e 3 della Genesi. Dice san Paolo: “Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale „ (1 Cor 15,46), è l’Adamo terrestre, l’Adamo “di fango„ e colui che viene per secondo, è l’Adamo spirituale, l’Adamo vivente immagine di Dio (eikôn), il Cristo. Viene cronologicamente per secondo, dopo alcune migliaia di anni (9) di una storia umana della salvezza. La speculazione filoniana è capovolta.
- Terza intenzione di Paolo: sottolineare l’importanza della resurrezione in questo parallelo: il nuovo Adamo è il risuscitato. Ed è perché è risuscitato che è diventato il nuovo Adamo. Egli appartiene di conseguenza al mondo celeste dove può attirarci. Il versetto 47: “Il secondo uomo viene dal cielo„, non è un’allusione all’Incarnazione. Questo versetto deve leggersi nella prospettiva di Rm 8,11: “E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi „. La resurrezione ed il dono dello Spirito che è collegato ad essa, fonti di vita nuova per l’umanità: ecco la verità che San Paolo ha intenzione di sottolineare.
- La quarta intenzione di Paolo è un’intenzione spirituale pratica. Noi non porteremo soltanto l’immagine dell’Adamo celeste alla Parusia, ma possiamo già, come anticipazione, essere gente sublime, abitanti del cielo. Poiché la vita della grazia è già la gloria del cielo: la Parusia sarà soltanto la rivelazione di questo stato invisibile ma reale: “E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste „ (1 Cor 15,49.
Ecco le quattro intenzioni principali di San Paolo: intenzione di rimettere Cristo al suo posto, in un universalismo straordinario, connotato del resto da questo titolo “Adamo„; intenzione secondaria di polemica contro Filone; intenzione di ribadire che, se Cristo è questo “pneuma„ che vivifica, capace di conformarci a lui, lo è in quanto risuscitato; intenzione morale infine: stimolarci a vivere fin d’ora nello stato portato dal secondo Adamo, ad abitare il cielo.
2. L’epistola ai Romani (5, 12-21).
Riguardo al testo precedente, ricordiamo che l’occasione era una controversia sulla resurrezione, ma, parlandoci, Paolo (che fa una ricapitolazione, come osserva san Giovanni Crisostomo) non aveva potuto impedire di evocare “per vie traverse„ tutta l’economia cristiana. In Romani 5, quest’economia cristiana è abbordata per sé stessa, nella sua ampiezza. Paolo vuole intraprendere una sintesi, una vasta relazione globale. Egli ne ha il tempo; è in un periodo di tranquillità. La seconda epistola ai Corinzi è stata appena scritta e, a Corinto, si sta godendo tre mesi di pace. Egli fa dei piani di viaggio (gli Atti ce ne parlano) e fa anche una messa a punto dottrinale: ci darà il quadro panoramico della storia della salvezza, un quadro che è in sostanza una meditazione sulla Scrittura. E, ciò che è notevole, non si vede emergere nessun testo preciso, tanto la Scrittura è diventata la sua carne ed il suo sangue (come sarà il caso di san Bernardo). Lui la conosce a memoria ed è capace di svelare il senso profondo della storia della salvezza.
È un teologo geniale che ci dà nella lettera ai Romani la sua sintesi di soteriologia, la sua sintesi sul mistero della nostra salvezza:
Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosé anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. (Rm 5,12-19).
Non voglio “disquisire„ su questo testo, ma semplicemente indicarne il movimento:
a) Il “peso„ e lo “slancio„. Si tratta di confrontare due economie, l’economia che chiamerei “del peso„ e quella che chiamerei “dello slancio„? L’economia del “peso„, quella di Adamo; l’economia dello “slancio„, quella di Cristo. Esse sono tutte e due caratterizzate da una solidarietà e da una sorta di fecondità ecumeniche: voglio dire che tutti vi partecipano. Ma in senso opposto. La fecondità di Adamo è, se si può dire, la “fecondità „ del peccato (occorrerebbe quasi mettere: Peccato): noi assistiamo allo scatenarsi della potenza “Peccato„, che è dotata di un tipo d’esistenza reale, come nel Vecchio Testamento. Questa potenza è all’opera nell’umanità, è un orribile “peso„ che trascina tutti gli uomini e che è iniziato e messo in circolazione dal peccato primordiale di uno solo che ci costituisce tutti in modo misterioso solidali della sua colpa: il Peccato prende origine in Adamo.
A lato c’è l’economia dello “slancio„, rispetto alla quale l’altra era tipica in senso opposto. Anche là c’è una fecondità che deriva da un’unica fonte e fecondità “ecumenica„. Ma questo parallelismo è in realtà un parallelismo di superiorità perché la grazia è un contributo divino, mentre il peccato era di contributo diabolico. C’era il polo negativo, ecco ora l’umanità polarizzata positivamente. Il punto di partenza della ricostruzione era certamente più difficoltoso di quello della decadenza. Ma la grazia è un contributo divino: accanto ai numerosi peccati, c’è Dio all’opera in Cristo.
Ecco lo straordinario talento antitetico di Paolo che vuole elaborare uno schema di questo parallelismo il più perfetto possibile: Adamo fonte — Cristo fonte. Per lasciare ad Adamo il suo ruolo di fonte, egli non ha esaminato da dove venisse la potenza Peccato, ha depurato completamente la “fonte„, perché Adamo deve essere in contrasto perfetto e in esatto “repoussoir„ (9 bis) con Cristo: l’ombra di Adamo è su Cristo e la luce di Cristo illumina per contrasto la figura primitiva di Adamo. Non ci si sorprenda più di tanto: Paolo sapeva bene che Adamo non era solo, che il demonio era all’opera nel suo peccato (Cfr. “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo„ Sap 2,24); ci sono anche presso di lui allusioni al ruolo di Eva (2 Cor 11,3): lui sapeva bene che lei era lì per qualche motivo (10). Lui sa il ruolo del demonio e sa il ruolo di Eva. Ma c’è nel suo parallelismo che sembra ignorare queste “pressioni„ subite da Adamo, qualcosa di arduo e di spontaneo che appartiene al “genere letterario„ che Paolo ha adottato: voleva presentarci in vigoroso contrasto queste due fonti, feconde diversamente, feconde in senso opposto, ma feconde per tutta la razza umana.
b) L’obbedienza di Cristo. Seconda caratteristica essenziale (si dovrebbe piuttosto dire esistenziale) è la definizione del nuovo Adamo (sempre in contrasto con il vecchio Adamo), partendo dal suo atteggiamento; ciò viene alla fine del resoconto (Rm 5,19). Il nuovo Adamo si definisce tramite la sua obbedienza e si oppone con ciò alla disobbedienza del suo “tipo„. Il cristianesimo primitivo è stato unanime nel vedere nell’obbedienza l’atteggiamento costante di Cristo a partire dalla sua entrata nel mondo (Eb 10,9). Egli viene per obbedire ed Eb 5,8 è particolarmente suggestivo in questo senso: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì „. La sua missione è una missione d’obbedienza: il quarto Vangelo ripete costantemente che Cristo è venuto a compiere gli ordini di suo Padre. Obbedienza di Cristo nell’agonia: “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu„ (Mc 14,36). Obbedienza di Cristo sulla Croce: “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!» „ (Gv 19,30).
Paolo coglie volentieri l’obbedienza di Cristo al suo più alto grado di perfezione, cioè sulla Croce (il testo seguente lo mostrerà): la Croce è il massimo dell’obbedienza, un momento in cui Cristo si manifesta interamente. Noi conosciamo questi momenti nelle nostre vite. Le occasioni d’eroismo non sono di tutti i giorni, ma ci sono dei momenti in cui ci si dona ed in cui ci si rivela a fondo. Per San Paolo, la vita di Cristo è centrata su quest’atto d’obbedienza della Croce. La vita di Adamo, secondo la Scrittura, è centrata sulla sua disobbedienza.
San Paolo aveva dunque due intenzioni: sottolineare ed illustrare con un contrasto la fecondità ecumenica di Cristo, fonte unica della salvezza, insistere in seguito sul segno distintivo della sua vita quaggiù, ricondotto all’unità dell’atto della Croce che è un atto d’obbedienza.
3. Filippesi 2,6-11.
Questo testo famoso è in tutte le testimonianze: “Si è umiliato, si è annientato, “svuotò„ sé stesso… Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome “. È l’epopea di Cristo: dal cielo all’annientamento; dell’annientamento all’esaltazione. L’epopea di Adamo la si indovina in filigrana, è come sottostante. Adamo, al contrario di Cristo, ha voluto elevarsi indebitamente, mentre era soltanto un uomo; di conseguenza è stato precipitato nella disgrazia. Questa prospettiva è quella di san Tommaso e di questo grande esegeta cattolico, di supposta simpatia giansenista del XVII° secolo, Estio (Willem Hessels van Est, 1542-1613. Ndt), che non si è molto impegnato come commentatore di San Paolo.
Cosa si può prendere in considerazione di questo testo? Il processo di auto-glorificazione del primo Adamo è opposto al processo di “povertà„ del secondo: “egli ha impoverito sé stesso„. Da ricco si è fatto “povero„. È tutta quest’idea dello “anawa„, della povertà spirituale, dell’apertura a Dio e dell’umiltà che trova là il suo significato. Ho quasi voglia di dire: è tutto il subconscio di Paolo che vi affiora. La sua vita non è stata forse una lotta per l’umiltà contro l’auto-glorificazione? Una parola ritorna continuamente presso di lui, è “glorificarsi„; la ripete incessantemente: “Non occorre glorificarsi, occorre glorificarsi nella Croce di Cristo„. Si direbbe un’ossessione presso di lui, un’ossessione da cui vuole liberarsi dispiegandola a gran giorno: non glorificarsi! È la testimonianza di un dramma… e di una vittoria, grazie a Cristo!
III. IL TEMA DEL “NUOVO UOMO„
Il tema del “nuovo uomo„ è una designazione concreta della natura umana rinnovata dall’influenza di Cristo che vivifica: noi siamo uniformati a Cristo risuscitato, siamo uomini nuovi. Mons. Cerfaux ha detto in modo splendido: “L’espressione uomo nuovo è una metamorfosi (In francese un “avatar”. Ndt) dell’espressione nuovo Adamo„. Cristo non è chiamato da nessuna parte in San Paolo il “nuovo uomo„: la prima volta che è nominato così è nelle epistole di sant’Ignazio d’Antiochia, non molto tempo dopo, è vero. Ma infine, Adamo vuole dire uomo. Questo tema del “nuovo uomo„ si colloca in tre sfere:
a) La sfera sacramentale. Il “nuovo uomo„ è formato nel battesimo
(Rm 6,6; Gal 6,15).
b) La sfera etica. La vera rinascita dell’uomo è ora garantita grazie a Cristo: questa rifusione messianica dell’uomo annunciata dai profeti che doveva consistere nell’infusione di un cuore nuovo, di uno spirito nuovo (Geremia — Ezechiele — Salmo 51). È l’influenza di Cristo che si spiegherà nell’uomo nuovo, o piuttosto che farà dispiegare nell’uomo nuovo l’immagine di Dio: “Vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo (uomo), che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato „ (Col 3,9-10) (11).
L’essenziale è di coincidere con il nuovo uomo che è in noi, con il Cristo in procinto di trasformarci. Come? L’epistola al Colossesi ce lo dice, come pure l’epistola agli Efesini: “Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni… vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo …„. (Col 3,8-11) (12). È il programma cristiano, il programma di questo Adamo ad immagine di Dio che noi realizziamo.
c) La sfera ecclesiastica. L’epistola agli Efesini (2, 14 ss) presenta bene quest’aspetto comunitario: le due parti dell’umanità, Giudei e pagani, formano un Uomo nuovo collettivo.
Così è tutto un programma di rinnovamento profondo che sta alla base dell’espressione “Nuovo Adamo„, “Nuovo uomo„. L’uomo biblico ha trovato in Cristo il suo modello, il suo appoggio, la sua perfezione.
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