SIAMO GIÀ RISORTI CON CRISTO
SIAMO GIÀ RISORTI CON CRISTO
(Chiesa Valdese)
Essendo stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati, mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. E con lui Dio ha vivificato voi, che eravate morti nei peccati e nell’incirconcisione della carne, perdonandovi tutti i peccati. Egli ha annientato il documento fatto di ordinamenti, che era contro di noi e che ci era nemico, e l’ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo quindi spogliato le potestà e i principati, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro in lui. (Colossesi 2,12-15)
Cari fratelli e care sorelle,
il testo che abbiamo letto va messo in relazione agli altri testi dell’apostolo Paolo, per notare uno sviluppo teologico nel suo pensiero.
Che il cristiano sia unito alla morte e sepoltura di Cristo nel battesimo, è un dato che viene sottolineto anche nelle altre lettere di Paolo. Per esempio in Rm 6, 4-5: «[4]Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. [5]Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.»
Nella lettera ai Romani la morte e sepoltura con Cristo è un fatto risalente al passato, cioè al momento in cui avvenne il battesimo, mentre la risurrezione rimane un fatto atteso nel futuro.
La lettera ai Colossesi, invece, e per la prima volta nel NT, parla della risurrezione come uno stato già ottenuto nel battesimo. Perciò si pone la domanda, perché in Colossesi abbia mutato la prospettiva della risurrezione. In Rm 6,1-14; e 1Cor 15, la risurrezione del credente implica la glorificazione del corpo. In Colossesi, invece, si dissocia la gloria futura dalla risurrezione con Cristo. Si tratta di cambiamento di linguaggio, ma non propriamente della teologia, perché il battezzato è unito alla risurrezione di Cristo “mediante la fede nella potenza di Dio” (Col 2,12); e dove si parla di fede significa tensione verso il compimento della salvezza nel futuro. Qui in Colosssesi 2,12 senza mezzi termini Paolo afferma: in lui siete anche stati insieme risuscitati.
Questo è un punto che merita attenzione per la nostra meditazione di oggi.
Vorrei avere la preparazione di un teologo per scorrere con agilità le pagine bibliche che servono per approfondire questo tema. Sopportate la mia modesta frequentazione delle scritture. Cominciamo col ricordarci che nella bibbia la morte è presentata come esito del peccato, da qualche parte è scritto che il frutto del peccato è la morte. Ma non solo la morte, anche la sofferenza e l’handcap vengono visti come frutto del peccato. I farisei chiedono a Gesù chi ha peccato a proposito del nato cieco. Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” (Giovanni 9:1-41. Gesù non accetta questa visione, ma questa convinzione resta a lungo. Una domanda che rimane senza risposta: se la morte è il frutto del peccato e se Dio perdona i nostri peccati, perché si muore ancora? E i primi cristiani erano convinti di non dover morire e di aspettare il regno di Dio senza provare l’esperienza della morte.
Sapevano che Gesù era senza peccato, che era vissuto sempre unito allo spirito del Padre, ma allora perché la sua morte? Avevano risolto questo enorme problema con l’idea che Gesù si fosse caricato del peccato di tutto il genere umano e che avesse dovuto provare l’ignominia della croce proprio per espiare il nostro peccato, quasi che avessimo fatto a lui una procura speciale.
E secondo questa procura Gesù ci sostituisce nella morte e restituisce a noi il frutto della sua fedeltà, cioè la sua resurrezione diventa anche la nostra resurrezione. Ci è richiesta fede nella potenza di Dio, credere che Dio compie verso di noi lo stesso miracolo d’amore, liberandoci dal peso e dall’ansia della nostra morte, facendoci partecipi della resurrezione di Gesù.
E con lui Dio ha vivificato voi, cioè Dio ha ridato vita e fiato umano anche a noi, in Gesù Dio vede anche noi che siamo la sua chiesa e riceviamo la vita della risurrezione nel nuovo regno di Dio. Molto spesso il messaggio cristiano viene presentato come smania di salvezza contro il rischio della perdizione. Cari fratelli e care sorelle, personalmente cerco un rapporto con Dio che travalichi questa prospettiva, mi sembra quasi poco dignitoso presentarmi davanti a lui col piagnisteo per ottenere la salvezza eterna. L’evento straordinario a cui siamo chiamati a partecipare è la vita stessa di Dio, come Gesù ha vissuto unito al Padre così anche noi dobbiamo vivere uniti al Padre. Sarei tentato di dire che Dio non ha riguardi personali nemmeno nei confronti di Gesù suo figlio. Anche noi siamo suoi figli, da lui perdonati e già risuscitati a vita nuova. Questo è un messaggio più facile da capire, spero. Quante persone hanno sprecato la propria vita, cercando consolazione nel gioco, nell’alcool, nella droga, nei tradimenti, negli imbrogli! Spesso sento dire: se potessi tornare indietro! Ecco la nostra occasione, possiamo tornare indietro, cioè possiamo rinascere, possiamo cominciare da capo: le cose vecchie sono passate. Siamo chiamati a vivere una vita nuova, siamo chiamati a vivere come ha vissuto Gesù, una cosa sola con Dio. I grandi mistici della storia cristiana hanno scoperto la gioia di essere uniti a Dio, fino al punto da identificarsi col Signore: non sono più io che vivo ma è Dio che vive in me. Paolo arriva a dire: siate miei imitatori come io lo sono di Cristo. Mi sembra una bella prospettiva da cui guardare il significato dell’essere cristiani oggi. Ve l’immaginate una società di credenti che vivono fino in fondo la propria fede, uniti a Cristo Gesù, uniti a Dio? E se cominciamo da noi? E’ un dato di fatto che come cristiani restiamo invisibili, perché ci comportiamo come tutti gli altri, mancano gesti concreti di rottura rispetto alla nostra società, che richiede un comportamento ligio al rispetto umano, agli usi, alle tradizioni familiari.
Cari fratelli e care sorelle, sarebbe bello annotarsi la data della pasqua 2018 come l’inizio di un nostro impegno concreto a vivere in maniera diversa i giorni della nostra esistenza. Forse non avevamo fatto attenzione al fatto che in Cristo Dio ha risuscitato anche noi, se crediamo alla sua potenza di trarre vita dalla morte, di rendere vivi e viventi quelli che sembrano condannati alla morte.
Dio ha cancellato e resi vani tutti i decreti comportamentali, impossibili da osservare e quindi motivo di discredito e condanna per chi confida nella loro osservanza.
Dio ci ha reso creature nuove, libere da ogni catena, cerca solo il nostro cuore, non come muscolo, ma come simbolo del nostro amore e della nostra unione con lui.
Un teologo a me familiare mi ha spiegato che se viviamo uniti a Dio già da ora, non conosceremo il trauma della morte, in quanto continueremo a essere con Dio per tutta l’eternità. La morte umana sarà solo l’abbandono della buccia che avvolge il frutto della migliore creazione voluta da Dio per noi. Cari fratelli e care sorelle, riflettiamo sulla nostra vita, sul nostro cammino, sulla possibilità di ricominciare ancora una volta, se avvertiamo di avere deviato dalla fede che abbiamo ricevuto e secondo la quale noi siamo morti con Gesù e con lui siamo stati risuscitati per vivere in eterno la vita stessa di Dio. Amen.
Franco D’Amico – culto dell’8 aprile 2018
