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BENEDETTO XVI – VIAGGIO APOSTOLICO A MALTA (2010)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100421.html

BENEDETTO XVI – VIAGGIO APOSTOLICO A MALTA (2010)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 21 aprile 2010

Cari fratelli e sorelle!

Come sapete, sabato e domenica scorsi ho compiuto un viaggio apostolico a Malta, sul quale oggi vorrei brevemente soffermarmi. Occasione della mia visita pastorale è stato il 1950° anniversario del naufragio dell’apostolo Paolo sulle coste dell’arcipelago maltese e della sua permanenza in quelle isole per circa tre mesi. E’ un avvenimento collocabile attorno all’anno 60 e raccontato con abbondanza di particolari nel libro degli Atti degli Apostoli (capp. 27-28). Come accadde a san Paolo, anch’io ho sperimentato la calorosa accoglienza dei Maltesi – davvero straordinaria – e per questo esprimo nuovamente la mia più viva e cordiale riconoscenza al Presidente della Repubblica, al Governo e alle altre Autorità dello Stato, e ringrazio fraternamente i Vescovi del Paese, con tutti coloro che hanno collaborato a preparare questo festoso incontro tra il Successore di Pietro e la popolazione maltese. La storia di questo popolo da quasi duemila anni è inseparabile dalla fede cattolica, che caratterizza la sua cultura e le sue tradizioni: si dice che a Malta vi siano ben 365 chiese, “una per ogni giorno dell’anno”, un segno visibile di questa profonda fede!
Tutto ebbe inizio con quel naufragio: dopo essere andata alla deriva per 14 giorni, spinta dai venti, la nave che trasportava a Roma l’apostolo Paolo e molte altre persone si incagliò in una secca dell’Isola di Malta. Per questo, dopo l’incontro molto cordiale con il Presidente della Repubblica, nella capitale La Valletta – che ha avuto la bella cornice del gioioso saluto di tanti ragazzi e ragazze – mi sono recato subito in pellegrinaggio alla cosiddetta “Grotta di San Paolo”, presso Rabat, per un momento intenso di preghiera. Lì ho potuto salutare anche un folto gruppo di missionari maltesi. Pensare a quel piccolo arcipelago al centro del Mediterraneo, e a come vi giunse il seme del Vangelo, suscita un senso di grande stupore per i misteriosi disegni della Provvidenza divina: viene spontaneo ringraziare il Signore e anche san Paolo, che, in mezzo a quella violenta tempesta, mantenne la fiducia e la speranza e le trasmise anche ai compagni di viaggio. Da quel naufragio, o, meglio, dalla successiva permanenza di Paolo a Malta, nacque una comunità cristiana fervente e solida, che dopo duemila anni è ancora fedele al Vangelo e si sforza di coniugarlo con le complesse questioni dell’epoca contemporanea. Questo naturalmente non è sempre facile, né scontato, ma la gente maltese sa trovare nella visione cristiana della vita le risposte alle nuove sfide. Ne è un segno, ad esempio, il fatto di aver mantenuto saldo il profondo rispetto per la vita non ancora nata e per la sacralità del matrimonio, scegliendo di non introdurre l’aborto e il divorzio nell’ordinamento giuridico del Paese.
Pertanto, il mio viaggio aveva lo scopo di confermare nella fede la Chiesa che è in Malta, una realtà molto vivace, ben compaginata e presente sul territorio di Malta e Gozo. Tutta questa comunità si era data appuntamento a Floriana, nel Piazzale dei Granai, davanti alla Chiesa di San Publio, dove ho celebrato la Santa Messa partecipata con grande fervore. E’ stato per me motivo di gioia, ed anche di consolazione sentire il particolare calore di quel popolo che dà il senso di una grande famiglia, accomunata dalla fede e dalla visione cristiana della vita. Dopo la Celebrazione, ho voluto incontrare alcune persone vittime di abusi da parte di esponenti del Clero. Ho condiviso con loro la sofferenza e, con commozione, ho pregato con loro, assicurando l’azione della Chiesa.
Se Malta dà il senso di una grande famiglia, non bisogna pensare che, a causa della sua conformazione geografica, sia una società “isolata” dal mondo. Non è così, e lo si vede, ad esempio, dai contatti che Malta intrattiene con vari Paesi e dal fatto che in molte Nazioni si trovano sacerdoti maltesi. Infatti, le famiglie e le parrocchie di Malta hanno saputo educare tanti giovani al senso di Dio e della Chiesa, così che molti di loro hanno risposto generosamente alla chiamata di Gesù e sono diventati presbiteri. Tra questi, numerosi hanno abbracciato l’impegno missionario ad gentes, in terre lontane, ereditando lo spirito apostolico che spingeva san Paolo a portare il Vangelo là dove ancora non era arrivato. E’ questo un aspetto che volentieri ho ribadito, che cioè “la fede si rafforza quando viene offerta agli altri” (Enc. Redemptoris missio, 2). Sul ceppo di questa fede, Malta si è sviluppata ed ora si apre a varie realtà economiche, sociali e culturali, alle quali offre un apporto prezioso.
E’ chiaro che Malta ha dovuto spesso difendersi nel corso dei secoli – e lo si vede dalle sue fortificazioni. La posizione strategica del piccolo arcipelago attirava ovviamente l’attenzione delle diverse potenze politiche e militari. E tuttavia, la vocazione più profonda di Malta è quella cristiana, vale a dire la vocazione universale della pace! La celebre croce di Malta, che tutti associano a quella Nazione, ha sventolato tante volte in mezzo a conflitti e contese; ma, grazie a Dio, non ha mai perso il suo significato autentico e perenne: è il segno dell’amore e della riconciliazione, e questa è la vera vocazione dei popoli che accolgono e abbracciano il messaggio cristiano!
Crocevia naturale, Malta è al centro di rotte di migrazione: uomini e donne, come un tempo san Paolo, approdano sulle coste maltesi, talvolta spinti da condizioni di vita assai ardue, da violenze e persecuzioni, e ciò comporta, naturalmente, problemi complessi sul piano umanitario, politico e giuridico, problemi che hanno soluzioni non facili, ma da ricercare con perseveranza e tenacia, concertando gli interventi a livello internazionale. Così è bene che si faccia in tutte le Nazioni che hanno i valori cristiani nelle radici delle loro Carte Costituzionali e delle loro culture.
La sfida di coniugare nella complessità dell’oggi la perenne validità del Vangelo è affascinante per tutti, ma specialmente per i giovani. Le nuove generazioni infatti la avvertono in modo più forte, e per questo ho voluto che anche a Malta, malgrado la brevità della mia visita, non mancasse l’incontro con i giovani. E’ stato un momento di profondo e intenso dialogo, reso ancora più bello dall’ambiente in cui si è svolto – il porto di Valletta – e dall’entusiasmo dei giovani. A loro non potevo non ricordare l’esperienza giovanile di san Paolo: un’esperienza straordinaria, unica, eppure capace di parlare alle nuove generazioni di ogni epoca, per quella radicale trasformazione seguita all’incontro con Cristo Risorto. Ho guardato dunque ai giovani di Malta come a dei potenziali eredi dell’avventura spirituale di san Paolo, chiamati come lui a scoprire la bellezza dell’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo; ad abbracciare il mistero della sua Croce; ad essere vincitori proprio nelle prove e nelle tribolazioni, a non avere paura delle “tempeste” della vita, e nemmeno dei naufragi, perché il disegno d’amore di Dio è più grande anche delle tempeste e dei naufragi.
Cari amici, questo, in sintesi, è stato il messaggio che ho portato a Malta. Ma, come accennavo, è stato tanto ciò che io stesso ho ricevuto da quella Chiesa, da quel popolo benedetto da Dio, che ha saputo collaborare validamente con la sua grazia. Per intercessione dell’apostolo Paolo, di san Giorgio Preca, sacerdote, primo santo maltese, e della Vergine Maria, che i fedeli di Malta e Gozo venerano con tanta devozione, possa sempre progredire nella pace e nella prosperità.

Publié dans:Papa Benedetto XVI - viaggi |on 11 octobre, 2017 |Pas de commentaires »

P. Samir: Il coraggio di Benedetto XVI sostiene le Chiese del Medio oriente e la Primavera araba

http://www.asianews.it/notizie-it/P.-Samir:-Il-coraggio-di-Benedetto-XVI-sostiene-le-Chiese-del-Medio-oriente-e-la-Primavera-araba-25780.html

LIBANO – VATICANO

(11/9/2012)

P. Samir: Il coraggio di Benedetto XVI sostiene le Chiese del Medio oriente e la Primavera araba

di Samir Khalil Samir (Padre Samir)

Pur con le tensioni nella vicina Siria e i venti di guerra fra Israele e Iran, il viaggio in Libano non è stato rimandato. Cristiani e musulmani lo aspettano. L’Esortazione apostolica deve favorire il rapporto fra clero e laici, l’ecumenismo, l’amicizia fra cristiani e musulmani, l’impegno per i poveri, l’educazione. Il Libano possibile modello per la Primavera araba: cittadinanza comune fra cristiani e musulmani, libertà di coscienza (e di convertirsi da una religione all’altra), oltre gli eccessi del permissivismo occidentale e del fondamentalismo islamico.
Beirut (AsiaNews) Tutto il Libano si prepara ad accogliere la visita di Benedetto XVI (14-16 settembre). Si preparano anzitutto i cristiani con incontri diocesani e nazionali fra giovani, coppie, famiglie, ecc. Il Paese brulica di bandiere libanesi e vaticane; lungo tutta l’autostrada che percorre la costa vi sono immagini del pontefice con frasi significative; cartelloni luminosi. Anche nella stampa, tutti i giorni, vi sono articoli di preparazione.
Tutti aspettano la sua parola di pace e di riconciliazione, anche se la situazione in Siria, a pochi passi da qui, è molto tesa. Nonostante ciò il governo sta facendo di tutto per garantire la sicurezza. Il fatto che il viaggio avvenga, che non sia stato rimandato o cancellato, è un elemento importante. Tanti ancora non ci credono, ma io lo confermo e dico: Questo venire di Benedetto XVI è già la prova che il papa sa del pericolo, ma non lo teme. E se dovesse succedere qualcosa – Dio non voglia – significa: Io condivido le vostre preoccupazioni e inquietudini.
In effetti, il pontefice e la Chiesa al Sinodo sul Medio oriente hanno sottolineato che i cristiani di questa regione non devono abbandonare questi luoghi perché « abbiamo una missione qui ». Ma se al primo rischio, il papa avesse cancellato il viaggio, sarebbe stata una contro-testimonianza. Invece il papa sembra affermare: La vostra situazione è difficile e lo sappiamo. Ma vogliamo aiutarvi e confermarvi che la vostra presenza è importante. Questo viaggio è un messaggio già per il fatto stesso che avviene.

Anche i musulmani attendono il papa
Vi sono parole di benvenuto al papa anche dalle personalità musulmane. I musulmani non sono indifferenti. La figura del papa e di questo in particolare, è sempre stata una figura pacifica, costruttiva, che predica la comprensione e la riconciliazione, la pace fra musulmani e cristiani. Il Libano poi, è un Paese piccolo e debole ed è contento di essere messo per alcuni giorni sotto i riflettori del mondo.
D’altra parte il Libano è anche il Paese arabo dove c’è più intesa fra cristiani e musulmani. Il fatto che il papa per dire qualcosa al Medio oriente scelga il Libano, significa che questo Paese ha anche una missione. E i musulmani libanesi sono consci di questo. Di fronte a problemi quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza, il rapporto con la modernità e l’occidente, essi hanno una posizione molto più moderata e aperta di tutti gli altri musulmani della regione.
In questo settore essi hanno una funzione trainante perchè sostenitori della convivenza. Tale posizione non è neppure facile perché anche in Libano i conflitti possono sorgere per un nonnulla. Vi sono provocazioni che vengono dall’estero: i problemi della Siria, la tensione con l’Iran, i fondamentalisti dalla Giordania o dall’Arabia saudita o del Qatar; i profughi dall’Iraq…
Eppure la comunità libanese mantiene la sua posizione. In questi ultimi anni, poi, i conflitti sono più fra musulmani, fra moderati – la stragrande maggioranza – e le tendenze salafite pur presenti in Libano. E la risposta è sempre per una moderazione, non a favore dell’estremismo. Ieri, durante una gita speleologica a Jaita, nel Metn, abbiamo visto centinaia di famiglie musulmane in visita. Anche loro simpatizzano per la venuta del papa.

Le tensioni in Medio oriente
Il timore più grande per noi viene dalla situazione siriana. Ogni giorno vediamo siriani passare la frontiera, musulmani e cristiani, come profughi o come combattenti, per prolungare la lotta. Gli scontri avvenuti nel nord Libano, sono fra musulmani e musulmani. L’esercito cerca di isolarli perché entrambi i gruppi sono armati. Hezbollah, da parte loro, hanno cercato di avere un profilo basso, pieno di prudenza e saggezza. Hezbollah sostiene il regime siriano, ma non si è molto pronunciato, se non a parole.
Se le cose dovessero peggiorare in Siria, non si sa cosa potrebbe succedere in Libano. Speriamo che la venuta del papa tranquillizzi la situazione.
Vi sono anche tensioni fra Iran e Israele. Di continuo Teheran promette di distruggere Israele e Israele minaccia un raid aereo contro le centrali nucleari iraniane. A me sembra che le minacce iraniane contro Israele siano solo delle parole. L’Iran non ha mai attaccato Israele in modo diretto. E in un momento così delicato per l’Iran, non sarebbe saggio il farlo. Io temo più un attacco cosidetto « preventivo » di Israele. Spero che almeno durante questa visita, la presenza del papa porti qualche sentimento di pace. Un attacco di qualunque parte sull’altra sarebbe un errore assoluto: un attacco o una guerra preventiva non si giustificano. E non porterebbero alcun frutto, se non qualche massacro in più per la povera gente.
La tensione sta crescendo in Siria, con il governo che ha bombardato sabato scorso Aleppo con gli aerei Albatros. Allo stesso tempo, vi è stato un attacco dei ribelli in una caserma dove si reclutavano nuovi soldati. Ed è sempre la gente comune che paga con la vita. In Siria le cose vanno male perché ognuno pensa che si è vicini alla soluzione finale e alla vittoria per la propria parte. Spero che almeno durante questi giorni di visita del papa i due fronti attuino una tregua.
Del resto, il papa viene a proporre un sostegno morale e spirituale, e propone una riconciliazione fra tutti.
L’Esortazione apostolica e la missione
Il papa viene a pubblicare e a diffondere l’Esortazione apostolica che fa seguito al Sinodo per le Chiese del Medio oriente. Tutte le diocesi si stanno preparando alla visita con dibattiti, conferenze, basati proprio sui temi del Sinodo. Cosa porterà in più questa visita? Dipenderà certo da ciò che i cristiani metteranno in atto dopo la visita.
Per prima cosa bisognerà studiare il documento. I giornali aiuteranno da subito a leggere sintesi, citazioni, contenuti. Ma penso che saranno soprattutto le diocesi a doverlo studiare con incontri fra adulti, giovani, affrontando i problemi sociali ed ecumenici.
Per me, una delle tematiche più importanti dibattute al Sinodo e su cui l’Esortazione potrà spingere è la riforma del rapporto fra clero e laici. Qui in Medio oriente il rapporto fra sacerdote e la sua comunità di laici è un po’ quella fra padrone e servi. In confronto all’occidente, qui i laici sono molto più impegnati al servizio della Chiesa e della società, ma purtroppo i preti decidono, e tendono a comandare e chiedono ai laici solo di ubbidire. E’ tempo di dare più spazio ai laici nella missione della Chiesa.
Un secondo aspetto che si spera di potenziare è l’impegno ecumenico. I fedeli laici sono molto più aperti alla collaborazione ecumenica. Giorni fa ho celebrato un matrimonio ecumenico, fra una cattolica e un greco-ortodosso. C’ero io, il sacerdote ortodosso e poi un frate. Abbiamo fatto tutti i riti insieme alternandoci, con i canti dei due riti in arabo. I laici premono anche per unificare le feste, praticare un unico calendario per Pasqua, Natale, ecc.
Il terzo elemento è il rapporto coi musulmani. I rapporti con loro sono buoni, soprattutto se non cerchiamo di fare accordi teologici. La cosa più importante che si realizza in Libano è la libertà di coscienza, cioè la possibilità per un individuo di cambiare religione senza alcuna costrizione.
Ieri un giovane monaco che mi ha accompagnato ad una conferenza mi ha detto che si chiamava Muhammad. Davanti al mio stupore, lui ha raccontato che cinque anni fa si è convertito e poi è entrato in monastero. Con la sua famiglia vi sono ancora buone relazioni soprattutto coi fratelli e con la madre, ma non col padre.
All’incontro – che era sul rapporto fra cristiani e musulmani – erano presenti diversi uomini e donne convertite. Fra tutti, vi era anche uno che mi ha detto: « Io ero un terrorista musulmano. Poi, grazie a Tele Lumière [una televisione cattolica libanese], mi sono convertito. Grazie a Fratel Noor [il responsabile della tivu] sono cambiato. Ora lavoro alla stessa televisione ». Un’altra persona, di origine marocchina, mi ha raccontato che dopo la conversione, è venuta a vivere in Libano con la bambina, per le difficoltà sorte con i suoi familiari.
Vale la pena sottolineare che il Libano è l’unico Paese dove ci si può convertire da una religione all’altra senza rischiare di essere uccisi o fortemente emarginati dalla società. Nel Paese si ricorda ancora la conversione di p. Afif Osseiran (1919-1988), proveniente da una grande famiglia sciita, e il suo diventare sacerdote maronita, che si proclamava « buon musulmano e vero cristiano ». Si converti’ all’età di 25 anni, dopo aver letto il « Discorso sulla Montagna », e in particolare la parola « Ed io vi dico: Amate i vostri nemici » (Mt 7, ). Non ha mai rinnegato la sua doppia realtà! È morto 25 anni fa. La famiglia, tutta musulmana, ancora oggi, ogni anno partecipa a una messa a ricordo del loro defunto. Ciò che in Libano è possibile, è totalmente impossibile nel resto del mondo[1].
Il quarto punto programmatico, frutto del Sinodo e dell’Esortazione apostolica è la priorità verso i poveri. La Chiesa si impegna attraverso i laici, ma la critica che si fa è che i monaci o i vescovi sono troppo ricchi, o vivono in modo non povero. Tale critica è spesso valida. Spero che il Santo Padre suggerisca di vivere il Vangelo in modo più rigoroso e più vicino ai deboli.

–L’Esortazione apostolica e la Primavera araba
Attenzione alla povertà significa che il papa seminerà anche sul solco della Primavera araba. I movimenti che stanno cambiando il mondo medio-orientale sono partiti proprio dalla richiesta di maggiore dignità per i poveri e dallo scandalo della povertà che in molti di questi Paesi raggiunge il 40% della popolazione.
Ma la Primavera araba ha anche sottolineato valori come la libertà di coscienza, la libertà dalle dittature, la democrazia, l’uguaglianza fra cristiani e musulmani nella società, e fra uomini e donne. Credo che i cristiani dopo il Sinodo e dopo l’Esortazione apostolica potranno essere ancora più protagonisti, mantenendo la caratteristica di credenti, lavorando e lottando per le diverse libertà – di stampa, di associazione, di coscienza, di opinione… -. In occidente si affermano queste libertà, ma in modo spesso anarchico, che rasentano il libertinismo. Ciò ha spinto i musulmani a una chiusura verso l’occidente, affermando un maggior rigore e fondamentalismo.
La Primavera araba era un richiamo assoluto alla libertà, ma non a quella occidentale, che non conosce limiti e si esprime spesso solo con la libertà sessuale, l’esibizionismo, la provocazione. I cristiani con la loro visione della libertà, possono aiutare i musulmani a trovare una via media, che escluda il laicismo e gli eccessi dell’occidente da una parte, e il fondamentalismo dell’islam dall’altra.
Un altro punto che l’Esortazione dovrebbe potenziare è quello dell’educazione. In Libano circa il 50% dei ragazzi cristiani e musulmani fino a 12 anni vanno nelle scuole cattoliche. È molto importante dare un’educazione comune e garantire allo stesso tempo l’approfondimento della propria tradizione, musulmana o cristiana. La nostra università St Joseph ha il 35% di musulmani.
Infine, un desiderio: dopo la Primavera araba, in quasi tutti i Paesi interessati i tentativi di islamizzazione forzata hanno incontrato molta resistenza da parte della popolazione. Ciò avviene in Tunisia, in Marocco, Egitto e in una certa misura anche in Siria. I cristiani siriani temono una dittatura religiosa che potrebbe sostituire una dittatura politica. In realtà, secondo molte testimonianze, la tendenza radicale fra i ribelli e l’opposizione siriana costituiscono una minoranza. Non sembra giusto perciò temere, in Siria, il potere dei Fratelli musulmani o dei salafiti, anche se la prudenza è sempre richiesta. La tradizione siriana è in effetti segnata da una laicità ositiva.
Qui emerge ancora una volta il valore del Libano e della scelta del pontefice: il Libano come Paese multietnico e multireligioso, aperto a tutte le tradizioni, è in qualche misura un ideale per la Primavera araba, che sogna uno Stato laico, aperto a tutte le tradizioni religiose e culturali. E anche il Sinodo va lungo questa direzione, nella ricerca di una comune cittadinanza e non verso il fondamentalismo. Unendo le nostre forze potremo garantire un futuro buono per il Medio oriente. Inch’Allah!

[1] Cfr Jacques Keryell, Afif Osseiran (1919-1988). Un chemin de vie (Paris: Le Cerf, 2009).

BENEDETTO XVI: LA RELIGIONE È UNA FORZA DI PACE

dal sito:

http://www.zenit.org/article-28476?l=italian

BENEDETTO XVI: LA RELIGIONE È UNA FORZA DI PACE

La violenza la travisa e contribuisce alla sua distruzione

ASSISI, giovedì, 27 ottobre 2011 (ZENIT.org).- La religione è una forza di pace, e la violenza spesso compiuta in nome delle convinzioni religiose in realtà le travisa e ne provoca la distruzione.
Papa Benedetto XVI lo ha sottolineato questo giovedì nel discorso che ha pronunciato nella Basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi aprendo la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, sul tema “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”.
“A che punto è oggi la causa della pace?”, si è chiesto ricordando che 25 anni fa il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta i rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per pregare a questo scopo.
“Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro”, ha indicato. Simbolo di ciò era il muro di Berlino, che cadde tre anni dopo, nel 1989, senza spargimento di sangue.
“La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale”, ha osservato il Papa, indicando che si trattò di una “vittoria della libertà”, “una vittoria della pace”.
Da allora, ha tuttavia riconosciuto, “il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza”.
Nuove forme di violenza
Secondo Benedetto XVI, si possono individuare due nuove forme di violenza, “diametralmente opposte nella loro motivazione”.
In primo luogo c’è il terrorismo, “nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite”.
“Spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del ‘bene’ perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza”.
“Questa non è la vera natura della religione”, ha dichiarato il Pontefice. “È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione”.
“Nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura”.
“È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo”.
“La Chiesa cattolica – ha aggiunto – non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo”.
Un secondo tipo di violenza, ha proseguito il Papa, “è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò”.
I nemici della religione “pretendono” la sua scomparsa, “ma il ‘no’ a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso”.
“L’assenza di Dio”, ha avvertito, “porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo”.
Cercare la verità
“Accanto alle due realtà di religione e anti-religione”, Benedetto XVI ha segnalato anche “un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio”.
Queste persone non affermano semplicemente “Non esiste alcun Dio”, ma “soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui”, essendo “pellegrini della verità”..
Con il loro atteggiamento, “tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista”, ma “chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri”.
“Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio”, ha avvertito.
La loro lotta interiore e il loro interrogarsi sono dunque “anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile”.
“Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi”, ha confessato Benedetto XVI.
Si tratta, ha concluso, “del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto”.

Publié dans:Papa Benedetto XVI - viaggi |on 27 octobre, 2011 |Pas de commentaires »

DISCORSO DEL PAPA AI RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA

dal sito:

http://www.zenit.org/article-28044?l=italian

DISCORSO DEL PAPA AI RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA

BERLINO, giovedì, 22 settembre 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo del discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo giovedì pomeriggio incontrando una quindicina di rappresentanti della Comunità ebraica nel Bundestag di Berlino.
* * *
Illustri Signore e Signori!
Sono contento di questo incontro con Voi qui a Berlino. Ringrazio di cuore il Presidente, Dr. Dieter Graumann, per le gentili parole di benvenuto. Esse mi manifestano quanto sia cresciuta la fiducia tra il Popolo ebraico e la Chiesa cattolica, che hanno in comune una parte non irrilevante delle loro tradizioni fondamentali. Al tempo stesso, tutti noi sappiamo bene che una comunione amorevole e comprensiva tra Israele e la Chiesa, nel rispetto reciproco per l’essere dell’altro, deve ulteriormente crescere ed è da includere in modo profondo nell’annuncio della fede.
Durante la mia visita nella Sinagoga di Colonia sei anni fa, il rabbino Teitelbaum parlò della memoria come di una delle colonne, di cui si ha bisogno per fondare su di esse un futuro pacifico. E oggi mi trovo in un luogo centrale della memoria, di una memoria spaventosa: da qui fu progettata ed organizzata la Shoah, l’eliminazione dei concittadini ebrei in Europa. Prima del terrore nazista in Germania viveva circa mezzo milione di ebrei, che costituivano una componente stabile della società tedesca. Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania fu considerata come il « Paese della Shoah » in cui, in fondo, non si poteva più vivere. All’inizio quasi non c’era più alcun sforzo per rifondare le antiche comunità ebraiche, anche se dall’Est arrivavano continuamente persone singole e famiglie di ebrei. Molti di loro volevano emigrare e costruirsi una nuova esistenza, soprattutto negli Stati Uniti o in Israele.
In questo luogo bisogna anche richiamare alla memoria il pogrom della « notte dei cristalli » dal 9 al 10 novembre 1938. Pochi percepirono tutta la portata di tale atto di umano disprezzo come lo percepì il prevosto del Duomo di Berlino, Bernhard Lichtenberg, che, dal pulpito della cattedrale di Sant’Edvige, gridò: « Fuori il Tempio è in fiamme – è anch’esso una casa di Dio ». Il regime di terrore del nazionalsocialismo si fondava su un mito razzista, di cui faceva parte il rifiuto del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, del Dio di Gesù Cristo e delle persone credenti in Lui. L’ »onnipotente » Adolf Hitler era un idolo pagano, che voleva porsi come sostituto del Dio biblico, Creatore e Padre di tutti gli uomini. Con il rifiuto del rispetto per questo Dio unico si perde sempre anche il rispetto per la dignità dell’uomo. Di che cosa sia capace l’uomo che rifiuta Dio e quale volto possa assumere un popolo nel « no » a tale Dio, l’hanno rivelato le orribili immagini provenienti dai campi di concentramento alla fine della guerra.
Di fronte a questa memoria vi è da constatare, con gratitudine, che da qualche decennio si manifesta un nuovo sviluppo circa il quale si può addirittura parlare di una rifioritura della vita ebraica in Germania. È da sottolineare che in questo tempo la comunità ebraica si è resa benemerita in modo particolare nell’opera di integrazione di immigrati est-europei.
Con vivo apprezzamento vorrei accennare anche al dialogo della Chiesa cattolica con l’Ebraismo, un dialogo che si sta approfondendo. La Chiesa sente una grande vicinanza al Popolo ebraico. Con la Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II si è cominciato a « percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia » (cfr Discorso nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010). Ciò vale per l’intera Chiesa cattolica, nella quale il beato Papa Giovanni Paolo II si è impegnato in modo particolarmente intenso a favore di questo nuovo cammino. Ciò vale ovviamente anche per la Chiesa cattolica in Germania che è ben consapevole della sua responsabilità particolare in questa materia. Nell’ambito pubblico si nota soprattutto la « Settimana della fraternità » che viene organizzata ogni anno nella prima settimana di marzo dalle associazioni locali per la collaborazione cristiano-ebraica.
Da parte cattolica ci sono inoltre incontri annuali tra Vescovi e Rabbini, come anche colloqui strutturati con il Consiglio centrale degli ebrei. Già negli anni Settanta, il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK) si è distinto con la fondazione di un forum « Ebrei e Cristiani », che nel corso degli anni ha prodotto, in modo competente, molti documenti utili. Non si deve trascurare poi lo storico incontro per il dialogo ebreo-cristiano [tenuto in Germania] del marzo 2006, con la partecipazione del Cardinale Walter Kasper. Questo raduno ha portato molti frutti fin nei tempi recenti.
Accanto a queste lodevoli iniziative concrete mi sembra che noi cristiani dobbiamo anche renderci sempre più conto della nostra affinità interiore con l’Ebraismo. Per i cristiani non può esserci una frattura nell’evento salvifico. La salvezza viene, appunto, dai Giudei (cfr Gv 4,22). Laddove il conflitto di Gesù con il Giudaismo del suo tempo è visto in modo superficiale, come un distacco dall’Antica Alleanza, si finisce per ridurlo a un’idea di liberazione che considera la Torà soltanto come l’osservanza servile di riti e prescrizioni esteriori. Di fatto, però, il Discorso della montagna non abolisce la Legge mosaica, ma svela le sue possibilità nascoste e fa emergere nuove esigenze; ci rimanda al fondamento più profondo dell’agire umano, al cuore, dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano fede, speranza e amore.
Il messaggio di speranza, che i libri della Bibbia ebraica e dell’Antico Testamento cristiano trasmettono, è stato assimilato e sviluppato da giudei e da cristiani in modo diverso. « Dopo secoli di contrapposizione, riconosciamo come nostro compito il far sì che questi due modi della nuova lettura degli scritti biblici – quella cristiana e quella giudaica – entrino in dialogo tra loro, per comprendere rettamente la volontà e la parola di Dio » (Gesù di Nazaret. Seconda Parte: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 45). In una società sempre più secolarizzata, questo dialogo deve rinforzare la comune speranza in Dio. Senza tale speranza la società perde la sua umanità.
Tutto sommato possiamo constatare che lo scambio tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo in Germania ha già portato frutti promettenti. Sono cresciuti rapporti durevoli e fiduciosi. Certamente ebrei e cristiani hanno una responsabilità comune per lo sviluppo della società, la quale possiede sempre anche una dimensione religiosa. Possano tutti gli interessati continuare insieme questo cammino. Per questo l’Unico e l’Onnipotente – Ha Kadosch Baruch Hu – doni la sua Benedizione.

Publié dans:Papa Benedetto XVI - viaggi |on 23 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

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