Archive pour avril, 2021

Pietro e Paolo

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 11 avril, 2021 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – Il consiglio di Paolo (2015)

http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2015/documents/papa-francesco-cotidie_20150901_il-consiglio-di-paolo.html

PAPA FRANCESCO – Il consiglio di Paolo

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Martedì, 1° settembre 2015

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.198, 02/09/2015)

La testimonianza di Giobbe e l’affresco del Giudizio universale dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina sono due icone che possono ravvivare la nostra certezza dell’incontro personale con il Signore. Le ha riproposte il Papa rilanciando a ciascuno il consiglio, rivolto da Paolo ai cristiani di Tessalonica, di «confortarsi a vicenda», e cioè di «parlare della venuta del Signore», l’unica cosa che conta, senza perdere tempo in chiacchiere da sagrestia. Nella messa celebrata martedì mattina 1º settembre, nella cappella della Casa Santa Marta, il Pontefice ha suggerito anche una serie di domande per un esame di coscienza su come stiamo vivendo l’attesa del Signore.
Francesco ha preso le mosse per la sua meditazione proprio del passo liturgico della prima lettera che «l’apostolo Paolo scrive alla comunità di Tessalonica» (5, 1-6. 9-11). Forse, ha fatto notare, «questa lettera è la prima che lui ha scritto» e l’ha indirizzata a «una comunità un po’ inquieta» perché preoccupata di «come e quando» sarebbe stato e sarebbe venuto il giorno del ritorno del Signore. Tanto che già nel brano letto il giorno prima, ha precisato il Papa, san Paolo è costretto a raccomandare di non essere «tristi come quelli che non hanno speranza». Infatti la comunità si chiedeva: «Cosa succede ai morti, dove vanno i morti?». E ancora: «Quando viene il Signore?». E qualcuno rispondeva: «No, viene subito! E se viene subito, non lavoriamo!».
Così Paolo, uomo «concreto», deve rivolgersi ai cristiani di Tessalonica con un’espressione forte: «Ma, chi non lavora, che non mangi». Insomma, ha affermato il Papa, a questa «comunità un po’ così» l’apostolo «deve insegnare la strada della pace». E sempre il passo dell’epistola del giorno precedente ammoniva di non essere «tristi perché il Signore verrà e i vostri morti sono con lui». Ma Paolo va poi anche oltre: «E così per sempre saremo con il Signore». Questa affermazione, ha detto Francesco, «è una consolazione grande» ed «è quello che ci aspetta, tutti noi». Inoltre, ha aggiunto, «il brano di ieri finiva con un consiglio: confortatevi, dunque, a vicenda con queste parole».
Ma «anche oggi — ha detto il Papa — il brano che abbiamo letto finisce con lo stesso verbo: confortatevi a vicenda». È infatti «proprio il conforto che dà la speranza: il Signore verrà, e verrà quando lui vorrà venire, quando lui vedrà che sarà giunto il tempo». Nessuno può dire quando sarà: Paolo scrive addirittura che il Signore «verrà come un ladro, come le doglie a una donna incinta: viene!». E in questa prospettiva «noi cosa dobbiamo fare?». Paolo suggerisce, appunto, questo consiglio: «Confortatevi, confortatevi a vicenda». Invita cioè a parlarne insieme. «Ma io — ha chiesto Francesco — vi domando: noi parliamo del fatto che il Signore verrà, che noi incontreremo lui?». Oppure «parliamo di tante cose, anche di teologie, di cose di Chiesa, di preti, di suore, di monsignori, tutto questo?». E, ha aggiunto, «il nostro conforto, è questa speranza?».
Il consiglio di Paolo è quello di confortarsi a vicenda, confortarsi in comunità. E sulla questione Francesco ha proposto un vero esame di coscienza: «Nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, si parla del fatto che siamo in attesa del Signore che viene o si chiacchiera di questo, di quello, di quella, per passare un po’ il tempo e non annoiarsi troppo? Qual è il mio conforto? È questa speranza? Io sono sicuro che il Signore verrà a cercarmi e a portarmi con lui? Ho questa certezza?».
Il Papa ha poi ripetuto le parole del salmo responsoriale (26): «Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi». E ha subito proposto un’altra domanda: «Ma tu hai quella certezza di contemplare il Signore?». A questo proposito Francesco ha voluto far riferimento a «quel finale tanto bello del capitolo 19 del Libro di Giobbe», spiegando che «Giobbe soffriva tanto», eppure «in mezzo ai suoi dolori, alle sue piaghe, alle sue incomprensioni, alla sofferenza di non capire perché gli accadeva questo, diceva: ma io sono certo, io so che il mio Redentore è vivo; io so che Dio è vivo e io lo vedrò, e lo vedrò con questi occhi».
Una testimonianza che interpella ciascuno di noi. E così il Papa ha proposto ancora una riflessione diretta: «Io ci credo, a questo? O meglio non pensare? Pensiamo a un’altra cosa, perché questa certezza che il Signore verrà a trovarmi, a portarmi con lui… E questa è la nostra pace, questo è il nostro conforto, questa è la nostra speranza».
«È vero, lui verrà a giudicare — ha aggiunto — e quando andiamo alla Sistina vediamo quella bella scena del Giudizio finale: è vero!». Ma «pensiamo anche che lui verrà a trovarmi perché io lo veda con questi occhi, lo abbracci e sia sempre con lui. Questa è la speranza che l’apostolo Pietro ci dice di spiegare con la nostra vita agli altri, di dare testimonianza di speranza».
Dunque questo è il vero conforto: «Sono certo — questa è la vera certezza — di contemplare la bontà del Signore». Perciò, ha proseguito il Papa rilanciando il consiglio di Paolo, «confortatevi a vicenda con le buone opere e siate d’aiuto gli uni agli altri. E così andremo avanti». Del resto, proprio «nella preghiera all’inizio della messa — ha ricordato — abbiamo chiesto al Signore che lui sviluppi il germe che ha seminato in noi, quel seme di bontà, quel seme di grazia».
Francesco ha proseguito l’omelia chiedendo «al Signore la grazia che quel seme di speranza che ha seminato nel nostro cuore si sviluppi, cresca fino all’incontro definitivo con lui», per poter affermare: «Io sono certo che vedrò il Signore»; «io sono certo che il Signore vive»; «io sono certo che il Signore verrà a trovarmi». È questo «l’orizzonte della nostra vita». Dunque, ha concluso, «chiediamo questa grazia al Signore e confortiamoci gli uni gli altri con le buone opere e le buone parole, su questa strada».

 

Il dubbio di Tommaso

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 8 avril, 2021 |Pas de commentaires »

OMELIA (11-04-2021) – CON TOMMASO OTTO GIORNI DOPO

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OMELIA (11-04-2021) – CON TOMMASO OTTO GIORNI DOPO

mons. Roberto Brunelli

Otto giorni dopo avere celebrato la risurrezione di Gesù, quindi oggi, si legge il vangelo (Giovanni 20,19-31) che riferisce quanto accadde otto giorni dopo la prima manifestazione del Risorto ai suoi apostoli. « Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’ Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo’. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: ?Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ?Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco: e non essere incredulo, ma credente!’ ».
Tommaso è l’umanissima voce di tutti noi, che vorremmo dare alla fede il fondamento scientifico delle prove verificabili; vorremmo vedere e toccare con mano quanto la fede propone di credere, e non scioglie i nostri dubbi l’assicurazione del Risorto al suo discepolo: « Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! ».
La fede non contraddice la scienza ma non è la scienza, proprio perché riguarda realtà che vanno oltre quelle sperimentabili e si offrono a chi apre mente e cuore ad accogliere quanto la scienza non potrà mai dimostrare. E tuttavia la misericordia di Dio non lascia senza umani sostegni chi è disposto a valutare onestamente, senza pregiudizi, le ragioni della fede: quanti segni, quanti indizi intorno a noi ne manifestano la bontà, la bellezza, la ragionevolezza! Tra gli altri se ne possono ricordarne due, che fanno riflettere chi scrive queste note e forse anche chi le leggerà.
Il primo è dato dallo stuolo di uomini e donne che la fede, solo la fede ha fatto vivere al limite dell’umana perfezione. Sono i santi: da pregare, ma soprattutto da imitare da parte di chi vuole esprimere il meglio di sé, di chi vuole fare della propria vita non un cumulo di fallimenti o di banalità, ma un capolavoro. Anche chi non crede è portato ad ammirare i santi per l’umana grandezza del loro coraggio, talora attestato sino al martirio, o della loro generosità, nello spendersi totalmente per gli altri: viene allora da chiedersi chi o che cosa ha dato loro le motivazioni per comportarsi così.
Una seconda ragione, tra quante sostengono la fondatezza della fede, è l’esistenza della Chiesa. In duemila anni essa è andata costantemente espandendosi, malgrado le persecuzioni, le tenaci opposizioni, gli errori di chi era designato a guidarla, l’opacità quando non la malizia di tanti dei suoi stessi componenti. Duemila anni, durante i quali essa ha visto tramontare tante ideologie avverse e cadere tanti regimi che parevano invincibili. La Chiesa non ha eserciti né polizia, non è composta né tantomeno guidata da supereroi e anzi mostra ad ogni passo la sua umana fragilità: se ciò nonostante è ancora qui, una ragione ci dev’essere, e non può essere altra se non la volontà di Chi l’ha fondata.
Proprio l’odierno brano del vangelo di Giovanni riferisce che, comparendo ai suoi discepoli dopo la risurrezione, tra l’altro Gesù ha detto: « Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi ». E prima di tornare al Padre suo ha aggiunto: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Matteo 28,20). Non l’ha detto a uomini di genio o campioni di coraggio e fedeltà; l’ha detto a semplici pescatori, che qualche giorno prima l’avevano rinnegato o abbandonato, e lo ripete da duemila anni, a uomini e donne che nel complesso non sono migliori di loro. Se la loro debolezza, i loro tradimenti e le forze avverse non hanno prevalso, non si vede quale spiegazione possa darsi al di fuori del fatto che sopra di loro, a tenerli in piedi, c’è Lui, che proprio per questo può rinnovare anche oggi l’invito rivolto a Tommaso: « Non essere incredulo, ma credente! ».

Publié dans:Tempo di Pasqua |on 8 avril, 2021 |Pas de commentaires »

Pasqua 2021

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 4 avril, 2021 |Pas de commentaires »

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – Sabato Santo, 3 aprile 2021

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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – Sabato Santo, 3 aprile 2021

Basilica di San Pietro – Altare della Cattedra

Le donne pensavano di trovare la salma da ungere, invece hanno trovato una tomba vuota. Erano andate a piangere un morto, invece hanno ascoltato un annuncio di vita. Per questo, dice il Vangelo, quelle donne «erano piene di spavento e di stupore» (Mc 16,8), piene di spavento, timorose e piene di stupore. Stupore: in questo caso è un timore misto a gioia, che sorprende il loro cuore nel vedere la grande pietra del sepolcro rotolata via e dentro un giovane con una veste bianca. È la meraviglia di ascoltare quelle parole: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto» (v. 6). E poi quell’invito: «Egli vi precede in Galilea, là lo vedrete» (v. 7). Accogliamo anche noi questo invito, l’invito di Pasqua: andiamo in Galilea dove il Signore Risorto ci precede. Ma cosa significa “andare in Galilea”?
Andare in Galilea significa, anzitutto, ricominciare. Per i discepoli è ritornare nel luogo dove per la prima volta il Signore li ha cercati e li ha chiamati a seguirlo. È il luogo del primo incontro e il luogo del primo amore. Da quel momento, lasciate le reti, essi hanno seguito Gesù, ascoltando la sua predicazione e assistendo ai prodigi che compiva. Eppure, pur stando sempre con Lui, non lo hanno compreso fino in fondo, spesso hanno frainteso le sue parole e davanti alla croce sono scappati, lasciandolo solo. Malgrado questo fallimento, il Signore Risorto si presenta come Colui che, ancora una volta, li precede in Galilea; li precede, cioè sta davanti a loro. Li chiama e li richiama a seguirlo, senza mai stancarsi. Il Risorto sta dicendo loro: “Ripartiamo da dove abbiamo iniziato. Ricominciamo. Vi voglio nuovamente con me, nonostante e oltre tutti i fallimenti”. In questa Galilea impariamo lo stupore dell’amore infinito del Signore, che traccia sentieri nuovi dentro le strade delle nostre sconfitte. E così è il Signore: traccia sentieri nuovi dentro le strade delle nostre sconfitte. Lui è così e ci invita in Galilea per fare questo.
Ecco il primo annuncio di Pasqua che vorrei consegnarvi: è possibile ricominciare sempre, perché sempre c’è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti. Anche dalle macerie del nostro cuore – ognuno di noi sa, conosce le macerie del proprio cuore – anche dalle macerie del nostro cuore Dio può costruire un’opera d’arte, anche dai frammenti rovinosi della nostra umanità Dio prepara una storia nuova. Egli ci precede sempre: nella croce della sofferenza, della desolazione e della morte, così come nella gloria di una vita che risorge, di una storia che cambia, di una speranza che rinasce. E in questi mesi bui di pandemia sentiamo il Signore risorto che ci invita a ricominciare, a non perdere mai la speranza.
Andare in Galilea, in secondo luogo, significa percorrere vie nuove. È muoversi nella direzione contraria al sepolcro. Le donne cercano Gesù alla tomba, vanno cioè a fare memoria di ciò che hanno vissuto con Lui e che ora è perduto per sempre. Vanno a rimestare la loro tristezza. È l’immagine di una fede che è diventata commemorazione di un fatto bello ma finito, solo da ricordare. Tanti – anche noi – vivono la “fede dei ricordi”, come se Gesù fosse un personaggio del passato, un amico di gioventù ormai lontano, un fatto accaduto tanto tempo fa, quando da bambino frequentavo il catechismo. Una fede fatta di abitudini, di cose del passato, di bei ricordi dell’infanzia, che non mi tocca più, non mi interpella più. Andare in Galilea, invece, significa imparare che la fede, per essere viva, deve rimettersi in strada. Deve ravvivare ogni giorno l’inizio del cammino, lo stupore del primo incontro. E poi affidarsi, senza la presunzione di sapere già tutto, ma con l’umiltà di chi si lascia sorprendere dalle vie di Dio. Noi abbiamo paura delle sorprese di Dio; di solito siamo paurosi che Dio ci sorprenda. E oggi il Signore ci invita a lasciarci sorprendere. Andiamo in Galilea a scoprire che Dio non può essere sistemato tra i ricordi dell’infanzia ma è vivo, sorprende sempre. Risorto, non finisce mai di stupirci.
Ecco il secondo annuncio di Pasqua: la fede non è un repertorio del passato, Gesù non è un personaggio superato. Egli è vivo, qui e ora. Cammina con te ogni giorno, nella situazione che stai vivendo, nella prova che stai attraversando, nei sogni che ti porti dentro. Apre vie nuove dove ti sembra che non ci siano, ti spinge ad andare controcorrente rispetto al rimpianto e al “già visto”. Anche se tutto ti sembra perduto, per favore apriti con stupore alla sua novità: ti sorprenderà.
Andare in Galilea significa, inoltre, andare ai confini. Perché la Galilea è il luogo più distante: in quella regione composita e variegata abitano quanti sono più lontani dalla purezza rituale di Gerusalemme. Eppure Gesù ha iniziato da lì la sua missione, rivolgendo l’annuncio a chi porta avanti con fatica la vita quotidiana, rivolgendo l’annuncio agli esclusi, ai fragili, ai poveri, per essere volto e presenza di Dio, che va a cercare senza stancarsi chi è scoraggiato o perduto, che si muove fino ai confini dell’esistenza perché ai suoi occhi nessuno è ultimo, nessuno escluso. Lì il Risorto chiede ai suoi di andare, anche oggi ci chiede di andare in Galilea, in questa “Galilea” reale. È il luogo della vita quotidiana, sono le strade che percorriamo ogni giorno, sono gli angoli delle nostre città in cui il Signore ci precede e si rende presente, proprio nella vita di chi ci passa accanto e condivide con noi il tempo, la casa, il lavoro, le fatiche e le speranze. In Galilea impariamo che possiamo trovare il Risorto nel volto dei fratelli, nell’entusiasmo di chi sogna e nella rassegnazione di chi è scoraggiato, nei sorrisi di chi gioisce e nelle lacrime di chi soffre, soprattutto nei poveri e in chi è messo ai margini. Ci stupiremo di come la grandezza di Dio si svela nella piccolezza, di come la sua bellezza splende nei semplici e nei poveri.
Ecco, allora, il terzo annuncio di Pasqua: Gesù, il Risorto, ci ama senza confini e visita ogni nostra situazione di vita. Egli ha piantato la sua presenza nel cuore del mondo e invita anche noi a superare le barriere, vincere i pregiudizi, avvicinare chi ci sta accanto ogni giorno, per riscoprire la grazia della quotidianità. Riconosciamolo presente nelle nostre Galilee, nella vita di tutti i giorni. Con Lui, la vita cambierà. Perché oltre tutte le sconfitte, il male e la violenza, oltre ogni sofferenza e oltre la morte, il Risorto vive e il Risorto conduce la storia.
Sorella, fratello se in questa notte porti nel cuore un’ora buia, un giorno che non è ancora spuntato, una luce sepolta, un sogno infranto, vai, apri il cuore con stupore all’annuncio della Pasqua: “Non avere paura, è risorto! Ti attende in Galilea”. Le tue attese non resteranno incompiute, le tue lacrime saranno asciugate, le tue paure saranno vinte dalla speranza. Perché, sai, il Signore ti precede sempre, cammina sempre davanti a te. E, con Lui, sempre la vita ricomincia.

Publié dans:PASQUA 2021 |on 4 avril, 2021 |Pas de commentaires »

Venerdì Santo

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Publié dans:immagini sacre |on 2 avril, 2021 |Pas de commentaires »
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