Archive pour la catégorie 'CHIESA COPTA – ORTODOSSA E CATTOLICA'

NEL VATICANO DEI COPTI

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EC1201

NEL VATICANO DEI COPTI

di Giuseppe Caffulli | gennaio-febbraio 2012

Nel quartiere di Abbasya, cuore popolare del Cairo, la vita scorre nel consueto caos quotidiano: file interminabili di auto, carretti trainati da somarelli, scooter, autobus e biciclette. Un impasto inestricabile di modernità e passato che contraddistingue lo scorrere del tempo qui come in molte altre parti dell’immensa capitale egiziana.
Abbasya non è però un quartiere come gli altri, almeno per la minoranza cristiana del Paese. È infatti la sede del papa copto Shenuda III, che siede sulla cattedra di san Marco, l’evangelista che convertì l’Egitto agli albori del cristianesimo. Secondo la tradizione, Marco venne martirizzato ad Alessandria nel 63 d.C. L’Egitto divenne ben presto una nazione cristiana e Alessandria divenne uno dei principali centri di riflessione teologica. Nel deserto egiziano nacquero i primi modelli di vita monastica. Schiere di santi monaci nutrirono con la loro ascesi e spiritualità la vita delle Chiese locali prima, e la Chiesa universale poi. Ancora oggi, nonostante la diaspora sia una tragica realtà anche per l’Egitto, la comunità copta conta circa 8 milioni di fedeli (anche se alcune fonti parlano addirittura di 15 milioni).
Per cogliere il clima che si respira al Cairo, in occasione del Natale, nulla di meglio che fare una capatina ad Abbasya, in quello che si può considerare a tutti gli effetti il «Vaticano dei copti». La ricorrenza è particolarmente sentita in questa terra ora a maggioranza musulmana, perché proprio in Egitto Gesù trascorse parte della sua infanzia. Per richiamare i legami anche storici con il cristianesimo, l’ex-presidente Hosni Mubarak, nel 2002, proclamò il Natale festa nazionale.
Seguendo la Chiesa copta il calendario giuliano, il Natale viene festeggiato il 7 gennaio, che per i fedeli corrisponde al ventinovesimo giorno del mese di kyahk, quando termina un periodo di digiuno lungo 40 giorni.
Nella moderna cattedrale di San Marco (inaugurata dal patriarca Cirillo VI nel 1968) che si eleva sopra la cripta che custodisce le reliquie dell’Evangelista, non è raro imbattersi in concerti di canti natalizi e di musica copta. Anche se le spinte consumistiche iniziano a farsi sentire anche all’interno della società egiziana (nonostante la pesante crisi economica che da molti mesi attanaglia il Paese), il Natale resta tuttavia eminentemente una festa religiosa, vissuta con intensità e fervore all’interno delle famiglie e delle varie comunità cristiane.
L’appuntamento con la Messa della vigilia presso la cattedrale di San Marco è sempre uno dei momenti privilegiati per i cristiani della capitale. Il papa Shenuda celebra insieme a molti vescovi del Santo Sinodo la Messa di mezzanotte alla quale partecipano solitamente personaggi eminenti della comunità copta e rappresentanti del governo. Al termine della celebrazione natalizia presso la cattedrale e nelle tante chiese sparse nel Paese, le famiglie si ritrovano insieme a condividere i doni e a consumare il pasto di Natale, chiamato fatta, un piatto a base di pane, riso, aglio e carne bollita. Il mattino seguente, poi, si è soliti fare visita ad amici e parenti, recando in dono il kaik, un particolare tipo di dolce natalizio.
Nel grande quadrilatero che comprende la cattedrale, la sede del papa, e la cripta con le reliquie di san Marco, la preparazione al Natale coinvolge in special modo i giovani seminaristi che studiano presso il seminario principale della Chiesa copta. Per i copti del Cairo il seminario è un’istituzione preziosa: circa la metà dei sacerdoti in servizio oggi è stata formata nelle sue aule. Ma anche molti laici hanno avuto modo di seguire i corsi di teologia e di sacra Scrittura che vengono proposti durante tutto l’anno. Nelle varie celebrazioni che si susseguono da Natale fino all’Epifania (che si celebra il 19 gennaio) la liturgia è solenne e molto curata, e si rifà alle tre liturgie di san Basilio, san Gregorio e san Cirillo. Per comunicarsi durante la celebrazione del Natale, come per ogni altra Eucaristia, il fedele copto deve osservare il digiuno durante le 9 ore precedenti.
Tra le più recenti istituzioni volute da papa Shenuda III all’interno della sede patriarcale, non possiamo dimenticare il Centro di studi superiori. Oggi l’edificio è stato completamente rinnovato e ospita al suo interno un museo permanente dedicato ad antichi codici copti miniati e una moderna biblioteca specializzata in coptologia e Oriente cristiano. Studenti da tutto il Paese frequentano il centro, che si propone come il cuore culturale dei copti d’Egitto.
La situazione del Paese, con la crescita del fondamentalismo islamico, non smette di preoccupare la Chiesa copta. Le festività natalizie degli ultimi anni sono state segnate purtroppo dal sangue in più occasioni. E il cammino dell’Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak ha chiesto ai copti un pesante tributo. Per questa ragione in quest’ultimo Natale, dalle comunità cristiane dell’Egitto si è levata una preghiera particolare anche alla Madre di Dio, affinché guidi e governi con il suo sguardo le sorti di un Paese ricco di storia, risorse e spiritualità, ma che vive un delicato momento di trasformazione.

CRISTIANI «COPTI» E «MARONITI»: COSA INDICANO QUESTE DENOMINAZIONI?

http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_98.htm

CRISTIANI «COPTI» E «MARONITI»: COSA INDICANO QUESTE DENOMINAZIONI?

Sentiamo parlare, talvolta anche in circostanze drammatiche e dolorose, di Cristiani Copti e di Cristiani Maroniti. Credo che sarebbe opportuno avere una spiegazione in merito a queste denominazioni ed a ciò che rappresentano nel mondo cristiano.

Gian Gabriele Benedetti

Risponde don Grzegorz Sierzputowski, docente di ecumenismo

La chiesa in Egitto, fondata, secondo la tradizione, dall’evangelista Marco, emerge alla piena luce della storia verso la fine del II secolo con le figure di Panteno, Clemente, Origene. La forza della tradizione letteraria-teologica fa rivestire ai vescovi di Alessandria un ruolo importante nella vita della grande chiesa del IV e del V sec. Quest’affermazione vale innanzi tutto per Atanasio, il cui lungo ministero (328-373) e la cui lotta senza tregua contro l’arianesimo l’hanno confermato come strenuo difensore della fede ortodossa di Nicea.
Il concilio di Calcedonia (451) si è dimostrato l’evento decisivo nei rapporti della chiesa in Egitto con altre chiese. Dal punto di vista dei difensori di Calcedonia, la teologia alessandrina-egiziana era monofisita, cioè non distingueva, anzi confondeva, le due nature di Cristo, divina e umana, e riconosceva solamente un’unica natura (mia physis) di Gesù Cristo. Per i latini si trattava di eresia. Nel corso del secolo successivo a Calcedonia, furono intrapresi sforzi da parte degli imperatori, per conservare l’unità della chiesa e reprimere i tentativi autonomistici dei cristiani d’Egitto. Il dissenso raggiunse il punto di non ritorno intorno all’anno 536: il patriarca Teodosio I (536 – 566) dopo il rifiuto della definizione di fede del concilio di Calcedonia fu condannato, dall’imperatore Giustiniano, all’esilio durato trent’anni.
La chiesa egiziana non riconosceva la validità dei sacramenti amministrati dai «calcedoniani», considerati eretici, e rifiutava le ordinazioni amministrate dal patriarca imposto da Costantinopoli. Tale situazione causò il graduale svuotamento della gerarchia non calcedoniana in Egitto e la successiva crisi condusse all’istituzione di una gerarchia separata, nata dall’attività missionaria di Giacomo Baradai, vescovo di Edessa, ordinato dal patriarca Teodosio. Baradai visitò ampie zone del Medio Oriente consacrando, secondo la tradizione, circa trenta vescovi e ordinando migliaia di preti. Istituì quindi, una gerarchia monofisita, che faceva da controparte a quella ortodossa già esistente. La chiesa orientale ortodossa (non calcedoniana), a partire dalla grande missione di Giacomo Baradai, ha portato il nome di «chiesa giacobita» fino ai tempi recenti.
La conquista dell’Egitto da parte degli arabi (641-642) segnò la fine degli sforzi bizantini di mantenere l’unità della chiesa e aprì una nuova epoca. Rimarrà attraverso i secoli, fino a oggi, il patriarca copto (dal vocabolo arabo qibt, qobt, risalente al greco Ai[gýpt]ios – «egizio»), non calcedoniano e il patriarca melchita (voce araba, dall’aramaico malakijjah, che indica «i cristiani dell’imperatore»), greco ortodosso.
Una caratteristica peculiare della chiesa egiziana è il movimento monastico, sia nella forma dell’eremitaggio, padre del quale è sant’Antonio Abate, sia in quella cenobitica con Pacomio. Già prima della metà del IV sec. parecchie migliaia di persone, uomini e donne, avevano cominciato a condurre la vita monastica, attirando molti da altre parti dell’impero romano, per avere un’esperienza di questa nuova forma di vita cristiana. La lingua liturgica della chiesa egiziana era all’inizio il greco e si continuò a utilizzare questa lingua nella liturgia per molti anni, almeno in parte, anche dopo l’invasione araba. La lingua copta fu introdotta nella liturgia a partire dal VII sec.
Attualmente la chiesa copta ortodossa in Egitto conta circa otto milioni di fedeli ed è la comunità cristiana più grande del Medio Oriente.

La chiesa maronita invece è una delle germinazioni della chiesa antiochena sorta come entità religiosa attorno all’antico monastero di Beth Maron, presso la tomba-santuario dell’eremita san Marone (350-433). È una chiesa di tradizione calcedonese, possiede un proprio patriarca «di Antiochia e di tutto l’Oriente» con una successione che dagli inizi del secolo VIII prosegue ininterrotta fino ai nostri giorni. La chiesa maronita ha conservato nei secoli un carattere autonomo anche durante l’epoca musulmana, con l’uso della liturgia propria e il clero sposato, oltre a rapporti amichevoli con Roma. Una forte tradizione tra i maroniti afferma che, in realtà, la loro chiesa non ruppe mai la comunione con la Santa Sede. La liturgia maronita è di origine siro-occidentale, ma fu influenzata dalla tradizione siro-orientale e quella latina. È celebrata prevalentemente in arabo.
Con le 10 diocesi (circa 770 parrocchie) e altre sette giurisdizioni nel medio oriente la chiesa maronita è la più grande chiesa del Libano rappresentando il 37% dei cristiani e il 17% della popolazione nazionale. Possiede una forte diaspora in diversi paesi del Nord e sud America e in Australia. Il patriarca di Antiochia dei maroniti con la sede in Bkerke vicino a Beirut estende la giurisdizione su circa 3.200.000 cristiani.

 

LA DEVOZIONE MARIANA DELLA CHIESA COPTA D’EGITTO

http://www.stpauls.it/madre/0701md/0701md11.htm

LA DEVOZIONE MARIANA DELLA CHIESA COPTA D’EGITTO

 di GEORGE GHARIB

I Copti, a motivo della dimora della Santa Famiglia in Egitto, durata almeno due anni, amano considerare la propria Patria un prolungamento della Terra Santa, venerando particolarmente la Madre di Dio.
  La Chiesa Copta d’Egitto appartiene al gruppo di antiche Chiese Orientali, la cui conversione alla fede cristiana risale ai primi tempi del Cristianesimo. L’Egitto difatti è un Paese di antica cristianità; e una tradizione vuole che fondatore e primo Vescovo sia stato l’evangelista San Marco.
Capitale del Paese era allora Alessandria, una delle più importanti città del Mediterraneo: qui sorse attorno al 180, per opera di San Panteno siculo, la « Scuola alessandrina », resa illustre da Clemente Alessandrino (+ 215), Origene (+ 254) ed altri. L’autorità del suo Vescovo, che per primo portò il titolo di ‘Papa’, si estese presto a tutto l’Egitto ed oltre, fino in Etiopia. Tra i suoi Vescovi più celebri meritano menzione Sant’Atanasio (+ 373), campione del primo Concilio Ecumenico di Nicea del 325, e San Cirillo (+ 444), principale difensore del titolo « Theotókos » dato a Maria nel terzo Concilio Ecumenico di Efeso del 431.
L’Egitto fu anche teatro delle prime persecuzioni contro i Cristiani; per questo i suoi martiri non si contano, e tra essi si annovera lo stesso evangelista Marco. Fu anche il primo teatro di vita eremitica e cenobitica, sorte nei deserti egiziani: basti ricordare i nomi di San Paolo di Tebe, di Sant’Antonio Abate e di Shenouda.
Nel secolo V, quando il Concilio di Calcedonia del 451 condannò Dioscoro, successore di Cirillo sulla sede alessandrina, per l’eresia del Monofisismo, l’episcopato egiziano si divise in due tronconi: la grande maggioranza, seguita da numeroso clero, monaci e popolo, solidarizzò con lui divenendo monofisita; mentre una minoranza di elleni o ellenizati, specialmente tra il clero ed i funzionari di Alessandria, aderì alle conclusioni del Concilio: quanti si opponevano al Concilio furono chiamati ‘Copti’ [dal greco ‘Aigyptios’ o egiziano]; gli altri furono chiamati ‘Melkiti’, o seguaci del ‘Melek’, l’Imperatore di Bisanzio che aveva radunato il Concilio.
Tale divisione portò presto alla costituzione di due gerarchie, e pertanto di due Chiese distinte: la prima è la Chiesa Melkita, calcedonense, che entrò sempre più nell’orbita della Chiesa Bizantina; l’altra, anticalcedonense e monofisita, è la Chiesa Copta, che qui ci interessa conoscere.

Chiesa Copta ortodossa e Movimento ecumenico
La Chiesa Copta ha vissuto un lungo periodo di isolamento e di ripiegamento su di sé, reso più cupo con la conquista araba musulmana dell’Egitto. Tuttavia essa, da un secolo a questa parte, sta vivendo un nuovo e felice risveglio sul piano culturale, spirituale, pastorale ed ecumenico.
Fuga in Egitto, dal Libro d’Ore in uso a Poitiers, sec. XVI – Cod. Mediceo Palatino 10 c57v., Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.
Fuga in Egitto, dal Libro d’Ore in uso a Poitiers, sec. XVI – Cod. Mediceo Palatino 10 c57v.,
Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.

La Chiesa Copta conta adesso da otto a dodici milioni di fedeli circa, e costituisce la più numerosa Comunità cristiana del Medio Oriente. L’organizzazione ecclesiastica comprende attualmente un Patriarcato con residenza al Cairo e ventitre Diocesi, di cui venti in Egitto, due nel Sudan e una a Gerusalemme. I Vescovi sono una sessantina, le Parrocchie 1200. Dei numerosi Monasteri che popolavano un giorno i deserti della Tebaide o le rive del Nilo, non ne sopravvivono oggi che otto: due nella Valle del Nilo, due nella regione del Mar Rosso e quattro nella regione di Wadi Natrun, mentre si sta ricostruendo quello di Abu Mina, presso Alessandria. Oltre a questi Monasteri maschili, vi sono al Cairo quattro Monasteri femminili, che contano complessivamente duecento monache.
Dal secolo XVIII vi è pure stato un Movimento di unione con Roma, che ha portato alla costituzione della Chiesa Copta cattolica, la quale segue la medesima liturgia dei fratelli Ortodossi. L’attuale Patriarca cattolico risiede pure lui al Cairo; i suoi fedeli sono circa centocinquantamila.
La Chiesa Copta ortodossa è impegnata nel Movimento ecumenico su diversi piani: con le Chiese sorelle Non-calcedonensi, con il Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra e con la Chiesa Cattolica. Per quanto riguarda quest’ultima, in occasione del loro incontro di Roma nel 1973, Papa Paolo VI e il Patriarca copto Shenouda III hanno istituito una Commissione mista di dialogo, affidandole il compito di « guidare lo studio comune nel campo della tradizione ecclesiastica, della patristica, della liturgia, della teologia, della storia, dei problemi pratici, in modo che, per mezzo di un lavoro comune, in uno spirito di reciproco rispetto, ci sia possibile cercare di risolvere le divergenze esistenti tra le nostre Chiese, per essere in grado di proclamare insieme il Vangelo in una maniera che corrisponda all’autentico messaggio del Signore e ai bisogni e alle attese del mondo » [Dichiarazione comune del 10 Maggio 1973].
Questa « Dichiarazione comune » conteneva una confessione comune nel mistero del Verbo Incarnato. Il 12 Febbraio del 1988, una forma più condensata è stata firmata di comune accordo. Così suona: « Crediamo che nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità. La sua umanità e la sua divinità, egli le fece senza mescolanza, senza commistione, senza confusione. La sua divinità non fu separata dalla sua umanità in alcun momento, nemmeno per un istante. Nello stesso tempo, noi anatematizziamo tanto la dottrina di Nestorio quanto quella di Eutiche ».
La Chiesa Copta possiede una propria Letteratura, Liturgia, e Diritto canonico. La Liturgia, ricca e solenne come tutte le liturgie orientali, ha mantenuto in modo sensibile l’impronta delle sue origini monastiche. La lingua liturgica tradizionale è quella copta, derivata dall’egiziano antico. Tuttavia, nel corso dei secoli si è introdotta la lingua araba che tende sempre più a soppiantare il copto.

Riferimenti mariani nella Chiesa Copta
La venerazione dei Copti per la Madre di Dio è molto estesa e risale ai tempi più antichi. È in Egitto che si incontra per la prima volta il termine « Theotókos », solennemente difeso dal grande Cirillo contro le negazioni di Nestorio nel Concilio di Efeso. In Egitto anche è stata scoperta l’Antifona mariana « Sub tuum praesidium », la più antica invocazione mariana che si conosca.
I Copti, a motivo della dimora della Sacra Famiglia in Egitto, durata almeno due anni, amano considerare la propria patria un prolungamento della Terra Santa. Essi ripercorrono gli spostamenti che la loro tradizione attribuisce alla Sacra Famiglia in Egitto, senza preoccuparsi dei problemi di storicità; e sono riusciti a creare dei Pellegrinaggi le cui tappe sono punteggiate da numerosi e significativi Santuari mariani. Secondo i Copti, una benedizione speciale data dalla Madre di Dio durante il suo soggiorno in Egitto, spiegherebbe la fioritura della vita monastica; e fu questa la ragione della consacrazione a Maria di molti Monasteri dopo il Concilio di Efeso. Attualmente le Chiese dedicate a Maria sono più di 160, tra cui alcune considerate veri e propri Santuari mariani perché ricordano soggiorni ivi fatti da Maria e miracoli da lei operati. In alcune di esse ci sono icone miracolose della Vergine, reputate opera di San Luca.
I Copti possiedono un’abbondante letteratura mariana espressa in Omelie, in Inni e Preghiere, distribuiti nei numerosi Libri liturgici in uso presso la loro Chiesa. Vi si nota un particolare culto per gli apocrifi mariani dell’Infanzia, a causa del soggiorno della Sacra Famiglia in Egitto e delle luci nuove e interessate che essi gettano su tale soggiorno.
Molte Omelie della tradizione copta hanno contenuto mariologico. Alcune sono tradotte dal greco o dal siriaco; altre sono dovute a Padri della Chiesa Copta. Molte altre sono pseudepigrafiche, composte per lo più sotto l’occupazione araba che non consentiva la creazione letteraria e teologica. Ogni occasione era per loro buona per illustrare il mistero liturgico evocato o per tessere l’elogio della persona festeggiata. Fonte immediata di ispirazione è, di solito, la liturgia stessa con i suoi testi e con le sue manifestazioni etniche e folkloristiche.
Maria offre argomenti inesauribili alla trama dei loro discorsi. I Copti dispongono di varie collezioni di Omelie patristiche, sia manoscritte che edite. L’autenticità è solo affermata, ma non controllata. I nomi più ricorrenti sono Cirillo di Gerusalemme, Efrem Siro, Macario l’Egiziano, Giovanni Crisostomo, Cirillo di Alessandria, Giacomo di Sarug, Teofilo di Alessandria, e altri.
I Libri liturgici che contengono argomenti e testi mariani sono: i Calendari, il Sinassario, il Messale, l’Orologio, i Sacramentari, il Pontificale, il Difnar, la Salmodia annuale, la Salmodia di Kiahk, il Libro delle glorificazioni. Esistono anche antologie in onore della Vergine, lodi litaniche, preghiere, glosse e altro.
Fra gli Inni mariani spiccano le cosiddette « Theotokie », che hanno molta affinità con quelle della Chiesa greca. I Copti le attribuiscono ad autori quali Atanasio, Efrem Siro, Giacomo di Sarug e altri. Sono contenute nel libro della « Salmodia annuale », e riprese su larga scala nel libro della « Salmodia di Kiahk » per il mese mariano in preparazione alla festa del Natale. Gli altri Libri liturgici contengono altri testi mariani, come vedremo in seguito.
La Chiesa Copta celebra numerose feste mariane; il numero è molto elastico. Essi parlano volentieri di 32 feste. Fra queste ci sono quelle di consacrazione di molte Chiese mariane, e un ciclo completo che riguarda le diverse tappe della vita della Santa Vergine: Concezione, Natività, Presentazione al Tempio, Annunciazione, Natale, Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Morte e Assunzione.
La festa del Natale è considerata insieme festa di Cristo che nasce e di Maria che lo genera al mondo; per questo il lungo digiuno che precede la festa del Natale è chiamato « digiuno della Vergine » e costituisce una specie di « mese mariano ».
I Copti distinguono anche due feste della « fine della vita di Maria », separate da un lasso di tempo di 206 giorni: la festa della Dormizione, o morte, e quella della sua gloriosa Assunzione al Cielo.

George Gharib

APPELLO DEL METROPOLITA DI ALEPPO: « RIPORTATE LA PACE IN SIRIA! »

http://www.zenit.org/article-32136?l=italian

APPELLO DEL METROPOLITA DI ALEPPO: « RIPORTATE LA PACE IN SIRIA! »

In un messaggio inviato a ZENIT, Mar Gregorios Yohanna Abramo, Metropolita di Aleppo, della Arcidiocesi Ortodossa di Siria, racconta la drammatica situazione del paese, proponendo una soluzione al conflitto in atto

di Mar Gregorios Yohanna Abramo

ALEPPO, venerdì, 17 agosto 2012 (ZENIT.org) – I media hanno diffuso la notizia che Aleppo è stata attaccata e bombardata, e questa è una parte essenziale della mia diocesi. Ero turbato e ho pensato che questo è il momento giusto per stare con la mia gente in Aleppo.
So che è pericoloso e così difficile, ma questo è uno dei doveri di un pastore. Ringrazio tutti coloro che hanno scritto messaggi di consolazione e di solidarietà per la nostra attuale situazione di stallo in Siria. Mi scuso per il ritardo nella mia risposta, ma le comunicazioni elettroniche sono diventae intermittenti e difficili.
La carenza di carburante, elettricità, acqua, pane, gas, benzina e auto, oltre alle paralisi dei mercati e la disoccupazione si aggiunge alla mancanza di sicurezza e caos.
Assistiamo ad un fenomeno senza precedenti in Siria, è il rapimento di persone alla luce del sole. E’ fortunato chi riesce a negoziare il riscatto. Inoltre, ci sono i blocchi stradali che i banditi hanno messo su tutte le autostrade siriane.
Questo rende ogni viaggio molto rischioso e ha creato uno stato di orrore, disgusto e grande incertezza. Non è più possibile godere della convivenza pacifica che una volta era l’orgoglio della Siria.
Sono riuscito a lasciare Aleppo e a partecipare alla preghiera per la pace nel mondo al Vertice dei rappresentanti delle religioni del mondo a Enryakuji nel tempio sul Monte Hiei, a Kyoto in Giappone il 3 e 4 agosto.
La situazione attuale in Siria è drammatica. Più di 30.000 persone sono state uccise, i feriti sono circa 200.000 feriti, con migliaia di famiglie tra sfollati e rifugiati.
In questo momento non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel. Inutile dire che sono molto triste, preoccupato e ho paura per quello che è successo in Siria mia nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Anche se mantengo la speranza che una soluzione pacifica verrà trovata.
Vi invito a condividere con me ferventi preghiere per una soluzione pacifica della crisi siriana, per la sicurezza, e la stabilità. Speriamo che la Siria del futuro sarà un luogo sicuro e confortevole per tutti i siriani a prescindere dalle loro differenze religiose, culturali, linguistiche o etniche.
Dalla metà di marzo del 2011, il mio paese la Siria, che è nota al mondo per la sua ricca storia, la cultura ed il sano ed esemplare pluralismo, sta vivendo oggi un caos senza precedenti. Tutto è cominciato con un movimento di protesta pacifica contro una corruzione che dagli anni ottanta è diventata dilagante.
Una lunga e inaccettabile serie di pratiche illecite manifestata da parte di alcuni funzionari siriani, hanno portato ad diffusa corruzione che ha infestato molti dipartimenti dello Stato. Questo ha causato una profonda insoddisfazione tra i cittadini siriani. Il giogo della corruzione persistente ha scatenato il movimento di protesta.
Nel frattempo ci sono state ondate di cambiamento in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Le rivolte sono stati descritte come una « primavera araba », che ha avuto un effetto domino. Molti siriani hanno pensato che fosse il momento giusto per sradicare la corruzione, e cambiare il sistema.
Nel bel mezzo delle rivolte popolari si è innescata la violenza, con omicidi, rapimenti, atti di vandalismo, saccheggi, incendio degli edifici governativi e impianti di pubblica utilità. La violenza ha sconvolto e ridotto in frantumi il tessuto demografico e la antica convivenza.
Così la città di Homs è diventata una città fantasma; con molti quartieri deserte e parte in rovina. All’interno di questi quartieri, molte case religiose di culto sono stati rovinati, in particolare sette antiche chiese cristiane.
Migliaia di persone hanno perso la casa, molti hanno urgente bisogno e cure mediche, con gli aiuti umanitari che hanno difficoltà a essere recapitati e che sono ancora scarsi.
Alla fine di luglio, altre città in Siria sono state attaccate, come Aleppo dove abbiamo trascorso giorni e notti preoccupati per il futuro dell’intera popolazione.
Gli scenari che si prefigurano sono agghiaggianti: Guerra civile; sanzioni delle Nazioni Unite; Un intervento militare sotto la copertura del Consiglio di sicurezza dell’ONU; collasso completo delle istituzioni statali; divisione della nazione in etnie e religioni.
Tuttavia sembra che tutti i siriani siano d’accordo per mantenere in una nazione unita. I rivoltosi chiedono più libertà, chiedono maggiore giustizia sociale, uno stato di diritto, più potere alla società civile, l’unità e la co-esistenza. Essi hanno convenuto di lavorare insieme e di opporci a coloro che vogliono diffondere il caos e l’anarchia che minano il legame del tessuto nazionale e distruggere il concetto di unità nazionale.
Una soluzione che potrebbe rivelarsi sostenibile, plausibile ed efficace per affrontare le ragioni del movimento di protesta, è quella di ristabilire uno stato di diritto per portare sicurezza, e stabilità.
Finora, l’iniziativa più importante per ristabilire la pace e la stabilità in Siria è stata quella Kofi Annan, il quale chiedeva di realizzare un cessate il fuoco duraturo tra le parti in conflitto in Siria, per ristabilire la sicurezza e la normalità nella vita quotidiana dei siriani.
Annan ha chiesto di poter portare aiuto umanitario necessario, ed entrare liberamente e rapidamente, soprattutto nelle zone più sensibili.
Alla Croce Rossa e alla Mezzaluna Rossa dovrebbe essere consentito di fornire l’assistenza umanitaria per tutti i bisognosi e in tutti i settori. Inoltre Annan ha chiesto di poter rimpatriare tutti i cittadini che hanno subito spostamenti forzati, interni ed esterni e la libertà di immigrazione.
L’obiettivo principale dei negoziati è di liberare la Siria dalle grinfie del male, che sta strangolando la società siriana.
Per il ritorno della pace e della stabilità in Siria, è necessario un Consiglio Nazionale che comprenda l’intero spettro del mosaico siriano. Un accordo tra le fazioni belligeranti per garantire parità di diritti per tutti i cittadini. Ricomporre le divisioni dell’esercito e il ripristino della sua unità.
Stabilire un codice di condotta per i servizi di sicurezza siriani per assicurare che gli errori del passato non si ripeta Più importante di tutto è il ripristino della fiducia e il rispetto reciproco tra tutti i cittadini.
Il Consiglio nazionale dovrebbe essere responsabile di un governo di unità nazionale, che abbraccia tutte le parti, compresa l’opposizione sia all’interno che all’esterno della Siria.
Il Nuovo governo dovrà: garantire elezioni libere ed eque per il nuovo parlamento. Istituire una commissione in grado di sviluppare una costituzione moderna e permanente, per assicurare l’eliminazione del concetto di egemonia di individui, partiti politici o religiosi, una norma già sperimentata in molti paesi arabi.
Disporre l’elezione di un nuovo presidente sotto la nuova costituzione, un leader che possa tutelare gli interessi della Siria, e riportarlo allo stato sicuro, sicuro, stabile, pacifico e democratico.
Infine, un appello a tutti i cittadini onesti e nobili della Siria, per gli amanti della pace in tutto il mondo, e soprattutto dei partecipanti all’incontro a Monte Hiei, per aiutare a fermare lo spargimento di sangue in Siria, per riportare la pace, la prosperità, la dignità e il conforto per il paese e la sua gente.
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I cristiani copti dopo Shenouda (di Samir Khalil Samir)

http://www.asianews.it/notizie-it/I-cristiani-copti-dopo-Shenouda-24280.html

20/03/2012

EGITTO

I cristiani copti dopo Shenouda

di Samir Khalil Samir

Il defunto patriarca ha governato la sua Chiesa per 40 anni. Sono cresciute spiritualità, vocazioni, partecipazione ai riti, ma è stato frenato l’ecumenismo e l’impegno dei laici. Le schermaglie sui matrimoni misti con i cattolici. Nazionalista e anti-israeliano, Shenouda si è scontrato con Sadat che lo ha imprigionato. Un’alleanza con Mubarak per far costruire nuove chiese. L’urgenza della missione nella società e a difesa della donna. L’Egitto fra dittatura militare e fondamentalismo.

Beirut (AsiaNews) – La morte di Shenouda III, al governo della Chiesa copta per più di 40 anni, mi spinge a un bilancio della vita di questa Chiesa, sui suoi rapporti con le altre Chiese, con l’islam e con la politica egiziana.

Shenouda III, nato a Abnub nella provincia di Asiut il  3 agosto 1923, col nome Nazîr Gayyed Rufa’il, ha studiato storia e archeologia all’università del Cairo, e teologia alla Facoltà di Teologia fino al 1946. Poi ci ha insegnato per alcuni anni, e si è fatto monaco nel 1954 nel Monasterio dei Suryani (Dayr al-Suryan) che è nel deserto di Nitria o Scete, a circa 120 km del Cairo sulla via verso Alessandria. Questo monastero è collegato a quello di Dayr Anba Bishoy (Monastero di Abba Bishoy). Da patriarca, Shenouda sceglierà tutti i vescovi delle diocesi egiziane da questi due luoghi.
Nel 1962 è stato nominato vescovo degli Studi Ecclesiastici dal 116° patriarca Cirillo VI, e ha preso il nome di Shenouda. Infine, il 14 novembre 1971 il Sinodo lo ha eletto patriarca della Chiesa Copta Ortodossa, un anno dopo la morte di Gamal Abd el-Nasser avvenuta nel settembre del 1970.
In effetti, il patriarca nella Chiesa copta è sempre un monaco, come pure i vescovi. E quando scelgono un laico per essere vescovo, lo fanno passare per alcuni mesi in un monastero, prima di ordinarlo vescovo.
Come patriaca, Shenouda ha vissuto il suo governo con Sadat e Mubarak. Durante questi anni ha dato un impulso spirituale molto forte alla Chiesa copta attraverso le sue conferenze settimanali che durano ormai da quasi 40 anni. Ogni mercoledì c’era questa conferenza di più di un’ora insieme a domande e risposte, e dibattito con i fedeli. Ogni volta vi erano alcune migliaia ad assistervi. Più tardi, queste sue conferenze sono state trasferite in video e in cassetta e diffuse sui mass media.
Egli è anche autore di almeno 50 libri che toccano tutte le questioni religiose, sotto un angolo spirituale. Era un monaco che conosceva la tradizione e la Bibbia a memoria. Talvolta sapeva dire il capitolo e perfino il versetto di una citazione. Conosceva la letteratura spirituale monastica e la vita dei santi, attingendo in abbondanza nelle sue prediche e scritti. Non è stato un teologo, che ha fatto avanzare la ricerca in campo dogmatico, ma ha dato un grande contributo spirituale.
Ha anche contribuito a un rinnovamento delle diocesi, fondandone molte nuove e rimpicciolendo quelle esistenti. Questo ha permesso ai vescovi di avere un contatto più quotidiano con i fedeli per una pastorale più incisiva. Allo stesso tempo, qualcuno pensa che questa sia stata una mossa per eleggere e consacrare molti vescovi suoi sostenitori e per avere la maggioranza nel Sinodo copto.
La sua fama da vescovo era già grande, cresciuta poi con la sua elezione a Patriarca (« Baba Shenouda »). L’ho conosciuto quando era vescovo: lavoravamo insieme nel Consiglio ecumenico delle Chiese per il Medio oriente (MECC). Abbiamo avuto sempre una buonissima relazione, anche se non eravamo d’accordo su tutto. Sono stato anche incaricato dello « Youth Ecumenical Service » (YES) per i giovani delle diverse confessioni in tutto l’Egitto. Il patriarca amava venire a tutte le occasioni. Fino all’ultimo le nostre relazioni sono state dirette e amichevoli. Mi diceva: « Tu sei più giovane, sei come mio figlio, ascolta quello che ti devo dire… ». Aveva molta stima dei miei studi sulla storia della Chiesa, anche se – diceva – « non dobbiamo attuare tutto quello che è nella tradizione ».
I suoi punti di vista erano costruttivi, molto rispettosi della differenza che c’era fra noi. Forse questo è dovuto al fatto che io non appartenevo alla Chiesa copta ortodossa. Con i suoi, invece, era noto per le sue decisioni autoritarie.
Questa sua politica ha comunque portato a un rafforzamento della formazione dei fedeli in Egitto. Avendo consacrato vescovi molto giovani (35-40 anni) e dotti, tutti suoi discepoli, ha potuto diffondere la sua visione in tutto il Paese.
Con i laici vi è stata qualche situazione delicata. Shenouda aveva coscienza di avere la responsabilità di tutto nella Chiesa e quindi alcuni laici erano molto mortificati.
Durante il suo patriarcato si sono moltiplicate le vocazioni religiose e quelle al clero. Ha potenziato la pastorale degli studenti, domandando ai giovani di avere sempre un direttore spirituale, e di praticare la confessione. Si è anche diffusa la pratica della comunione, ma dopo la confessione. Talvolta vi erano sacerdoti che prima di dare la comunione a un giovane, gli domandava se si era confessato e con chi… Per la spiritualità e la devozione della Chiesa copta ha fatto molto, facendo aumentare anche la pratica della liturgia domenicale.
Vi sono stati pure conflitti con i laici, e divergenze di vista con altri confratelli nell’episcopato, ma tutto si è sempre risolto.

Rapporti con le altre Chiese cristiane
I rapporti con le altre Chiese hanno avuto più problemi. Verso i protestanti non è mai stato molto caloroso. Diceva che « dobbiamo imparare dai protestanti lo studio della Bibbia », ma è stato sempre lontano dalla collaborazione. Con i cattolici il rapporto era migliore.
Nel ’73 ha fatto una visita al papa Paolo VI e addirittura hanno firmato il primo documento ufficiale di accordo fra la Chiesa cattolica e una Chiesa ortodossa. Ci si è accordati soprattutto a non fare reciproco proselitismo. Il proselitismo è un’accusa che le Chiese ortodosse hanno fatto spesso contro i cattolici. L’accordo prevedeva che se vi fossero dei casi, Shenouda avrebbe chiamato Roma, la quale sarebbe intervenuta a sanare la situazione.
Una volta, nell’Alto Egitto, vicino a Dayrut, in un villaggio ortodosso a 300 km a sud del Cairo, da anni dimenticato dal vescovo ortodosso, lo hanno minacciato: « Se non venite, ci faremo musulmani ». Ma prima sono venuti alla chiesa cattolica del villaggio vicino e hanno chiesto di poter diventare cattolici. Il parroco e il vescovo della diocesi di Asyut li hanno sconsigliati, esortandoli a rimanere ortodossi. A una nuova minaccia che si sarebbero fatti musulmani, il vescovo ha ceduto e ha mandato un sacerdote cattolico nel villaggio. Questo fatto però ha suscitato problemi fra Shenouda e Roma che ha portato a un accordo: gli ortodossi avrebbero trovato una soluzione per il villaggio entro sei mesi. Passato questo periodo, niente era successo; allora i fedeli – almeno alcuni di loro – sono entrati nella Chiesa cattolica. Di per sé non c’era la voglia di proselitismo, ma solo il desiderio di curare questi cristiani, che altrimenti sarebbero divenuti musulmani.
Le cose fra cattolici e ortodossi sono peggiorate dopo qualche anno dalla sua elezione a Patriarca per le regole che lui ha imposto sui matrimoni misti. In oriente i matrimoni fra ortodossi e cattolici sono frequenti e non suscitano problemi nelle famiglie perché la fede è comune, pur nelle differenze di riti e tradizioni. L’uso tradizionale, in tutto l’Oriente, è che il matrimonio si celebri nella chiesa dello sposo; i figli seguono la tradizione del padre, ma è possibile che si trovino accordi fra loro. In ogni caso, le due parti rimangono nella loro confessione cristiana. Shenouda ha deciso che se ci fossero dei matrimoni misti, la parte cattolica doveva essere ri-battezzata nella Chiesa copta ortodossa. In pratica, la parte cattolica significa le donne cattoliche. Il suo teologo, dopo averlo sostenuto un po’, gli ha fatto notare che la tradizione patristica non prevede un nuovo battesimo, ma lui, testardo, ha mantenuto questa regola fino ad ora.
Va detto che i suoi sacerdoti si mostravano spesso più aperti di lui. Nell’ecumenismo quindi era un conservatore e non ha fatto fare molti progressi all’unità fra cattolici e ortodossi.
Nel 1984 egli ha anche criticato il patriarca siro ortodosso, Zakkha Iwas, perché questi ha firmato, il 23 giugno, un accordo con la Chiesa cattolica (con Giovanni Paolo II). La dichiarazione comune che ne era venuta, era molto avanzata: prevedeva libertà nel matrimonio, la comunione reciproca e perfino la comunanza nella formazione dei preti, tanto che ancora oggi molti sacerdoti siro-ortodossi studiano nei seminari o nelle facoltà di teologia cattolici.
Quando Shenouda ha saputo di questo accordo, ha rimproverato Zakkha, di aver osato tanto, senza interpellarlo. Va ricordato che i Siro-ortodossi, i Copti e gli Armeni sono legati fra loro perché sono Chiese pre-calcedoniane. Sua Beatitudine Zakka gli ha risposto che le loro Chiese sono sorelle, ma indipendenti. Inoltre, gli ha fatto notare che lo stesso Shenouda aveva firmato l’accordo con i cattolici nel 1973 senza interpellare le altre due Chiese.

Rapporto con l’Islam
Nel rapporto con l’islam, il patriarca Shenouda ha fatto molti incontri con l’imam di Al Azhar. Conosceva bene il Corano e  la lingua araba: ha scritto perfino dei poemi in lingua araba. Sapeva trattare con i musulmani, senza cedere sull’aspetto dogmatico; piuttosto abile anche a non provocare i musulmani.
Sebbene nel periodo del suo governo sono continuati attacchi a chiese, uccisioni di cristiani e violenze da parte dei fondamentalisti, egli è riuscito a mantenere rapporti cordiali con il mondo musulmano, senza tuttavia cedere sui punti importanti.

Rapporti con Anwar as-Sadat
Con lo Stato si è trovato sempre in una situazione molto delicata. Egli è divenuto patriarca sotto Anwar Sadat. Dal punto di vista politico, Shenouda aveva una posizione molto netta sui rapporti fra Egitto e Israele. È sempre stato contro un accordo fra i due Paesi.
Quando Sadat è andato a Gerusalemme, ha tenuto il suo discorso alla Knesset e ha varato gli accordi diplomatici, Shenouda ha condannato questa politica. Forse questa mossa aveva motivi tattici: la Chiesa copta è una minoranza (non supera il 10% della popolazione) e i musulmani considerano sempre i cristiani come gli alleati dell’occidente (e di Israele). La sua scelta gli permetteva di sfuggire a questo cliché, alleandosi con un potente movimento anti-israeliano, ancora presente in Egitto.
Ma la posizione di Shenouda ha spinto Sadat a metterlo agli arresti domiciliari nel monastero di Anba Bishoy nel deserto (Wadi an-Natroun) durante 4 anni, da settembre 1981 fino alla morte di Sadat (assassinato il 6 ottobre 1985). Sadat ha fatto imprigionare anche alcuni vescovi: era la prima volta nella storia dell’Egitto che ci si trovava in una situazione così tesa, che è durata quasi un anno.
In più, per governare, Sadat si appoggiava sui Fratelli musulmani, sempre duri con i cristiani. Per questo possiamo dire che tutto il periodo di Sadat è stato molto difficile per Shenouda.

Rapporti con Hosni Mubarak
Quando invece è venuto Mubarak, 31 anni fa, la situazione è cambiata. Il patriarca ha appoggiato il presidente e viceversa. I due hanno fatto un accordo personale che ha superato il divieto per la costruzione delle chiese. In Egitto, per legge, una chiesa può essere edificata solo se si rispettano 10 regole. Ma esse sono così  frenanti che è praticamente impossibile edificarne qualcuna. Il patto fra Shenouda e Mubarak prevedeva l’accordo anno per anno del numero di chiese da costruire. Quando è stato reso pubblico vi sono state critiche da parte dei musulmani, ma niente di più.
L’accordo però supponeva che il patriarca sostenesse tutte le decisioni di Mubarak. Quando l’anno scorso è scoppiata la primavera araba,  molti cristiani sono scesi in Piazza Tahrir. Ma il patriarca è rimasto  piuttosto restio nell’appoggiare il movimento,  perché esso ha preso sempre più una dimensione anti-Mubarak.
Il problema dei cristiani in Medio oriente è sempre questo: ci si trova fra due fuochi, fra una dittatura e il fondamentalismo.
La nostra situazione in Medio oriente è sempre stata così debole e la Chiesa copta ne è l’esempio: incapace di prospettive, di iniziative, di impegnarsi nella società e nella politica. La Chiesa copta è spesso rinchiusa su se stessa, vive in un ghetto per proteggersi e vivere con tranquillità. Non tentano di cambiare la società perché temono di non farcela, essendo una minoranza.
In passato è stato diverso, 80 o 50 anni fa era molto più viva. Poi, anche per le condizioni di libertà, ci si è rifugiati di più nei monasteri, nella preghiera, nella vita interna della Chiesa. Ora, con la Primavera araba, siamo in un momento che ha suscitato tante speranze di libertà per cristiani e musulmani, rifiutando un regime teocratico. Purtroppo sembra che andiamo proprio in questa linea.
L’altro problema dell’Egitto sono i militari. L’esercito comanda in Egitto dai tempi di Nasser, da almeno 60 anni, e non pare che voglia lasciare il potere. Ancora adesso sono loro a decidere tutto. L’Egitto si trova in un incrocio delicato: potrebbe diventare una dittatura militare o un regime fondamentalista. Proprio per questo molti cristiani hanno esitato di fronte alla rivoluzione.

Il futuro dei Copti ortodossi
Fra i vescovi copti vi sono personalità molto valide, che potrebbero prendere la leadership della Chiesa copta. Fra questi escluderei il vice di Shenouda, che è stato un esecutore delle sue decisioni, ma carente di personalità
La Chiesa copta rimane forte nella spiritualità, nella preghiera liturgica, nel digiuno. Ricordo che i copti hanno quasi 200 giorni di digiuno all’anno. E il loro digiuno significa che non si prende nulla, né bevande, né cibo dalla mezzanotte precedente fino alle 15 del giorno dopo. E i pasti che si fanno dopo sono molto leggeri. Questo digiuno, vissuto in unione con Gesù Cristo, rafforza la fede e la forza dei copti, capaci di resistere nella loro identità.
I copti non fanno vedere che digiunano, ma quando i musulmani si accorgono, rimangono meravigliati in modo positivo. Il cibo poi è vegetariano; sono escluse anche le uova, il formaggio, il latte, ecc… Va detto che in qualche modo questa testimonianza religiosa dei copti impressiona molto le persone islamiche che spesso assommano i cristiani all’occidente e all’ateismo.
Dopo la Primavera araba, siamo ad  una nuova tappa che ci richiede nuove scelte. All’interno della Chiesa copta si deve dare più libertà ai vescovi, ai sacerdoti, ai laici: occorre certo avere una voce unica, ma non dittatoriale. È necessario anche impegnarsi di più nella vita della società, per il bene comune, la politica, i diritti umani. I cristiani copti non sono contrari a questo, ma non promuovono tutto questo. E invece i cristiani avrebbero una funzione molto importante, soprattutto per ridare dignità e valore alla donna, che nell’islam è spesso umiliata.
Il rapporto con i musulmani dovrebbe essere più vivo: non si può vivere l’uno accanto all’altro, senza porsi alcuna domanda. Ad esempio: nella società egiziana si fa solo pubblicità all’islam, in autobus, in taxi. Bisogna che i cristiani chiedano ai musulmani che è tempo di costruire una società che lascia spazio a tutti.
Un’altra dimensione necessaria è la missione. In Egitto non c’è missione anche per condizioni sociologiche: l’islam non permette l’evangelizzazione. Ma è urgente la testimonianza esplicita e in questo sarebbe bene lavorare, insieme alle altre confessioni cristiane. Siamo già pochi: dividerci ci indebolisce ancora di più.
Per concludere, non possiamo che pregare per chiedere a Dio di illuminare il Santo Sinodo affinché elegga un successore forte nella fede, aperto al mondo e ai suoi bisogni e attento ai bisogni dei più deboli come della società in genere.

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