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IL DIO CHE HA PIANTO (2/2)
Pubblicato: 23 Febbraio 2013
di Giuseppe Pollano -
Il pianto di Gesù su Gerusalemme ci apre l’orizzonte della pietà di Dio, che soltanto i cristiani sono in grado di capire e di condividere. Perché qui Gesù estende il suo sguardo dove lo sguardo umano non arriva.
Gesù, quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!”. (Lc 19,41-42)
Artisti del centro Aletti, Il pianto di Gesù su Gerusalemme Gerusalemme, pur avendo respinto Gesù, è stata per secoli il luogo di incontro di Dio e dell’uomo. Dove doveva andare Gesù, per incontrare definitivamente l’uomo, se non nel luogo dell’incontro, il tempio, la città del tempio? Eppure Gerusalemme lo ha crocifisso fuori dalle mura. È questa dimensione religiosa, soteriologica, che strappa le lacrime del Signore.
Possiamo chiedergli perché ha pianto, cosa vedeva in quella città, tra l’altro così bella, così attiva, così laboriosa; avrà anche sentito la gente cantare nelle strade; era una città nel pieno della sua vivezza. Era primavera, tutto era in fiore: insomma cosa ha visto che lo ha fatto così piangere?
Possiamo cercare di capire i gradi del suo pianto: per amore della sua città santa, per la rottura della continuità delle alleanze, per la durezza dei cuori che hanno provocato la cecità, per la tenerezza divina che scorge il fallimento dei destini.
He Qi, Gesù fanciullo tra i dottoriGesù ha pianto per amore della sua bella città santa
Gesù è stato profondamente ebreo, un ebreo nel sangue, praticante, credente, un ebreo che ha pregato per anni e anni nella sinagoga con tutte le preghiere ebraiche e aramaiche che si dicevano da centinaia di anni. Dunque amava intensamente la sua città, sua nel senso che era la città santa. Quando gli ebrei una volta all’anno vi si recavano, esprimevano davvero una passione; era davvero un pellegrinaggio, era un cantar di salmi in cui credevano. Era forte il senso religioso che li sosteneva, così come la loro fede. Gesù ha vissuto tutto questo.
La prima volta che vi è andato, compiuti i dodici anni prescritti per la maggiore età, è corso al tempio ed è stato lì tre giorni a parlare di Dio con l’appassionato amore che adesso lo fa piangere alla vista della città tutta distesa sotto il suo sguardo, perché lui sa che ormai il tempio s’è svuotato. Non passeranno molti anni, e poi le legioni di Roma spianeranno tutto.
Beati se sapremo piangere quando vediamo tradimenti nella Chiesa, assistiamo a liturgie convenzionali e poco soddisfacenti, ad un certo modo di vivere la religiosità slavato e povero, a omelie che non sanno di niente, a ritualità stancanti: tutto questo non è il segno del trascendente e non attira i semi-credenti, anzi, li allontana dalla Chiesa.
Gesù ha pianto perché Gerusalemme ha spezzato il disegno di Dio
L’alleanza della creazione, l’alleanza con Noè, l’alleanza con Abramo, l’alleanza con Mosè sono state il crescere di una medesima alleanza che avrebbe avuto il compimento con la venuta di Colui che era l’Alleanza; invece c’è stato il brusco rompersi delle due alleanze che ancora adesso non si sono ricongiunte. Come poteva Gesù non piangere di una cosa simile?
Anche a noi accadono situazioni analoghe. Per esempio quando un padre e una madre, che vorrebbero la continuità della fede da parte dei figli, sanno piangere su loro se spezzano l’alleanza e se ne allontanano. L’essere capaci di piangere sulla rottura da generazione a generazione, da educatori a educati, su questo continuo frantumarsi di una continuità, rende il cuore più attento, più aperto, più missionario: non basta piangere sui fatti nostri.
Nel cap. 5 della Lumen Gentium è scritto che la Chiesa è stata chiamata ad un’universale santità, perché il popolo eletto esiste per santificarsi. Se questo popolo eletto, ad esempio, rompe la tradizione dei suoi santi, li appende solo ai muri, dice loro quattro preghiere al giorno, ma non ne segue l’esempio perché quelli sono santi, noi no, tradisce la sua elezione. Quante virtù adesso sono tutt’altro che scontate e sono diventate rare, come la verginità e la castità cristiana! Pensiamo anche solo all’aborto e all’eutanasia: c’è una mentalità distorta. C’è un degrado evidente, una rottura; una tradizione che si spegne. Come possiamo non piangere di una situazione simile?
James Tissot, Anna e CaifaGesù ha pianto anche per le durezze di cuore che hanno provocato la cecità su di lui
Piange su quelli che gli sono nemici, lui non ne ha; piange sui suoi prossimi crocifissori; piange su Anna, su Caifa, su tutti. È un uomo così santo che non riesce a non piangere neanche di fronte a Giuda: “Amico, è per questo che sei venuto?”.
Ebbene, dobbiamo ancora stare attenti, noi cristiani, ad evitare l’ultimo ostacolo: non piangere per quelli che ci sono nemici. Nessuno ci ha dato il diritto di non piangere per quelli che ci perseguitano o ci contrastano. Non solo. Poiché Gesù ha pianto indistintamente per Gerusalemme tutta, il cristiano diventa tanto più cristiano quanto più sa piangere su coloro che osteggiano Dio, Cristo e la Chiesa. Ci sono stati lunghi decenni in cui la Chiesa tradì quello che chiamiamo oggi l’atteggiamento apologetico e l’atteggiamento del dibattito, della discussione, dello scontro teologico e mentale: si discuteva ma non si piangeva.
Questo può accadere anche a noi; può perfino accadere che noi siamo capaci di distinguerci e dividerci all’interno della Chiesa per il semplice fatto che apparteniamo a gruppi diversi. Sono situazioni in cui il Signore diventa molto severo, il suo amore diventa esigente.
Gesù ha pianto perché scorge il fallimento dei nostri destini
Piangere sui peccatori è il vero segreto di Gesù, è la tenerezza di Dio.
Non tutti i cristiani, anche quelli che sanno piangere sulla morte umana, ci arrivano, perché ci vuole finezza, ci vuole Spirito di Dio, senso della grazia. Questo pianto è gratuito, non serve a niente lì per lì: eppure Dio gradisce questo pianto consapevole, come ha gradito quello di suo figlio. Piangere perché non hai più fede, piangere perché non preghi, piangere perché pecchi, piangere perché sei una povera società impenitente, piangere perché non te ne importa di Dio: di queste lacrime la nostra cultura è priva, perché non ne capisce neanche il senso. Ci sono atei che piangono su Lazzaro, a modo loro, ma nessuno piange perché una città è impenitente; ci vuole tutta una fede per arrivare a queste lacrime.
Anche noi cristiani rischiamo un po’ di mimetismo riguardo i destini umani, cioè ci pare un discorso un po’ da missionari, da gente specializzata, poiché intanto Dio è buono e in qualche maniera tutti si salvano; entriamo in una forma di genericismo, dove si affloscia il desiderio di dire agli altri Gesù Cristo, di comunicare la lettura dei destini umani. Invece questo è l’aspetto più missionario, più profondamente spirituale, quello che è proprio dentro il mistero della Croce, visto che Gesù è morto non soltanto perché Lazzaro risorgesse, ma perché i peccatori risorgessero dalla vera morte. Questa, insomma, è la realtà di quella che l’Apocalisse chiama “la morte seconda” (Ap 21,8): la morte ultima dalla quale non c’è rimedio, perché quello è l’inferno. Eppure la Pasqua è stata pensata e realizzata da Dio proprio per salvarci da questa morte seconda.
James Tissot, Gesù piange su GerusalemmeIl pianto spirituale di Dio si addice ai cristiani: i santi, come ad esempio il Cottolengo, ci mostrano come sanno piangere sugli altri, e per questo diventano giganti di pietà accorgendosi delle sofferenze che altri non vedono; santo non è uno che vuole gli altri in paradiso e intanto li lascia con le scarpe rotte, con lo stomaco vuoto.
Soltanto chi crede nell’eternità sa piangere su coloro che la stanno perdendo o che non la stanno accettando; allora vengono fuori le preghiere, le tue preghiere, le tue adorazioni, i tuoi sacrifici, che non hanno più un immediato obiettivo storico, ma che guardano le realtà ultime, si rendono conto che l’eternità c’è e vorrebbero che c’entrassero tutti. San Paolo si è fatto tutto a tutti per salvare almeno qualcuno: quanta umiltà c’è in questo straordinario apostolo. Non è pessimistico farsi tutto a tutti per salvare almeno qualcuno, è un obiettivo per cui vale la pena spendere tutto quanto. Teresa di Gesù Bambino morendo dice: “Non avrei mai immaginato di soffrire tanto”, poi però aggiunge: “Non me ne pento, non mi pento di aver offerto questo per i peccatori”. Ecco l’orizzonte dei santi, ecco il pianto del Signore.
È giusto che noi un po’ di queste lacrime le piangiamo. Esiste il dono delle lacrime, ma non è qualcosa di eccezionale: è un sentimento tipico dei cristiani, che non toglie loro la gioia, ma fa parte integrante della loro serietà.
Quindi prendiamo queste pochissime righe del vangelo, entriamo nella scena, immedesimiamoci in essa, guardiamo questo Gesù; vinciamo la resistenza del vederlo piangere e quando lo sentiamo singhiozzare, perché l’ha proprio fatto, allora entriamo in sintonia con questo Dio, condividiamo il suo cuore e avremo forse toccato uno dei momenti più intensi della sua esperienza umana. Avremo conosciuto Gesù molto meglio che leggendo un tomo di teologia.
Questo è il lavoro pratico del cristiano, ci farà molto più buoni, più lieti, più aperti.
Ci aiuti Maria che ha conosciuto e condiviso tutte le lacrime di Cristo: allora vivremo una quaresima feconda di salvezza.
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall’autore