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XXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO C (29 AGOSTO 2010 PDF)
A CURA DI MARCO BONARINI – GRUPPO “VITA CRISTIANA” DELLE ACLI DI ROMA
Testi ed appunti per la liturgia domenicale possono diventare dono da offrire per maturare il nostro sacerdozio comune nella Parola di Dio. Nei circoli e tra cristiani che partecipano alla liturgia il testo può servire per una personale riflessione settimanale.
Siracide 3,19-21.30-31
19 Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
20 Quanto più sei grande, tanto più fatti
umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
21 Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
30 Per la misera condizione del superbo non
c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
31 Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il
saggio.
Siracide 3,19-21.30-31
Questo elogio dell’umile è un insegnamento sapienziale di grande rilevanza, soprattutto in tempo come il nostro in cui crediamo di avere in mano la vita, ma dove basta una piccola eruzione o un incidente su una piattaforma petrolifera dovuto a incuria degli uomini, che ci accorgiamo come siamo poca cosa di fronte alla creazione. Ma l’uomo è stato fatto poco meno degli angeli, dice il salmo 8. In questo oscillare tra miseria e grandezza, il Siracide ci mostra una via di sapienza: l’umiltà e la mitezza, che i vangeli ci mostrano essere caratteristiche importanti di Gesù («Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» Mt 11,29). Se uno agisce con mitezza, viene riconosciuto come un figlio di Dio e detto beato. Non è la grandezza umana che ci fa grandi davanti a Dio, ma l’umiltà, tanto più se siamo importanti agli occhi del mondo. Dio disprezza i superbi, ma si fa amico dei miti per confidare loro il suo disegno di salvezza. Dio è grande e solo gli umili possono riconoscerlo come tale, perché non lo sentono in concorrenza con la loro grandezza che si può mutare in superbia. I superbi, proprio perché tali, difficilmente possono convertirsi, perché manca loro la radice: riconoscere la loro creaturalità come dono gratuito di Dio. Solo il meditare le parabole e i proverbi dei sapienti rende umili, perché di fronte al mistero della sapienza di Dio, anche l’intelligenza dell’uomo ritrova le sue vere proporzioni: capaci di grandi cose nei vari campi del sapere, ma sempre fragili nella vita. Il saggio sa ascoltare la sapienza che viene dalla vita, se ne fa attento uditore, per poterla vivere e comunicare a chi ha un cuore in ricerca sincera della sapienza che viene da Dio.
Ebrei 12,18-19.22-24
Fratelli, 18 non vi siete avvicinati a qualcosa
di tangibile né a un fuoco ardente né a
oscurità, tenebra e tempesta, 19 né a squillo di
tromba e a suono di parole, mentre quelli che
lo udivano scongiuravano Dio di non
rivolgere più a loro la parola.
22 Voi invece vi siete accostati al monte Sion,
alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme
celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza
festosa 23 e all’assemblea dei primogeniti i
cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice
di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, 24 a
Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Ebrei 12,18-19.22-24
L’autore della lettera mostra in questo brano la differenza tra l’alleanza del Sinai e quella in Gesù. La prima è stata un avvicinarsi al Signore attraverso dei segni della sua presenza per ascoltare la sua voce: il monte Sinai, il fuoco ardente, squilli di tromba. Tutti i presenti erano presi dal timore di ascoltare direttamente la parola del Signore e preferivano una mediazione di cui fu incaricato Mosè: a lui Dio si rivolgeva nella tenda e poi riferiva al popolo.
Con Gesù ci si è accostati al monte Sion, il monte su cui è costruita Gerusalemme. Accostarsi alla Gerusalemme terrena implica accostarsi anche alla Gerusalemme celeste, dove gli angeli e i redenti – i primogeniti e i giusti resi perfetti – insieme celebrano la perenne liturgia di lode al Signore che salva in Gesù, il mediatore della nuova alleanza, perché compie l’antica e la rende definitiva. L’alleanza è nuova anche perché non è più mediante segni viene rivelato Dio, ma il mediatore stesso è Dio e uomo contemporaneamente. Gesù riunisce in sé la natura divina e quella umana, pertanto è in lui che la mediazione tra l’uomo e Dio si compie. A lui dobbiamo rivolgere i nostri occhi per contemplare questo mistero di salvezza che si manifesta a noi e che nella liturgia di lode eucaristica
celebriamo in comunione con la Gerusalemme celeste.
Luca 14,1.7-14
Avvenne che 1 un sabato Gesù si recò a casa
di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi
stavano a osservarlo.
7 Diceva agli invitati una parabola, notando
come sceglievano i primi posti: 8 «Quando sei
invitato a nozze da qualcuno, non metterti al
primo posto, perché non ci sia un altro
invitato più degno di te, 9 e colui che ha
invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il
posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare
l’ultimo posto. 10 Invece, quando sei invitato,
va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando
viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico,
vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore
davanti a tutti i commensali. 11 Perché
chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si
umilia sarà esaltato».
12 Disse poi a colui che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non
invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi
parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta
non ti invitino anch’essi e tu abbia il
contraccambio. 13 Al contrario, quando offri
un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi,
ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da
ricambiarti. Riceverai infatti la tua
ricompensa alla risurrezione dei giusti».
modo esemplare la situazione che vuole illuminare.
Luca 14,1.7-14
La parabola in questione non è di difficile lettura, in quanto ricalca in modo esemplare la situazione che vuole illuminare Gli invitati guardano Gesù perché sono interessati alla sua persona e in particolare alla sua capacità di guarigione (14,2-6). Gesù prende poi la parola per far notare i criteri di scelti utilizzati dai presenti per sedersi a mensa. La parabola tuttavia usa la situazione presente per illuminare la situazione di quando il regno di Dio si realizzerà come un matrimonio. Non si può “sgomitare” per occupare i primi posti nel regno di Dio, perché essi sono destinati ai prediletti dal Signore: i piccoli e i poveri della storia, mentre coloro che in qualche modo hanno una posizione, anche nel regno, vengono dopo, perché l’unico criterio di merito è quello dell’amore per Dio che si fa amore concreto per i fratelli. Ora umiliarsi vuol dire che ci si rimette alla volontà del Padre per ricevere onore da lui, quell’onore che deriva dall’amore e tutti sappiamo quanto siamo tiepidi in questo amore per Dio che si fa servizio dei fratelli. Gesù poi si rivolge a colui che lo ha invitato, uno dei capi dei farisei, per indicargli il criterio con cui invitare a un pranzo o a una cena: non tanto gli amici, che si sentono in debito e possono ricambiare l’invito, quanto il gratuito accogliere chi non può ricambiare l’invito, perché non ne ha i mezzi. E’ così infatti che fa il Signore nei nostri confronti: noi non possiamo ripagarlo per l’invito a entrare nel suo regno, perché non abbiamo nulla che Dio non abbia già, e in questo il suo invito è veramente gratuito. Solo un amore sincero verso i fratelli è quanto si aspetta da noi il Signore perché possiamo così entrare tutti nella sua gioia che nasce dalla sua misericordia per i piccoli e i poveri.