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1 GENNAIO 2014 | MARIA SS. MADRE DI DIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO
MARIA SS. MADRE DI DIO
«NELLA PIENEZZA DEL TEMPO, DIO MANDÒ IL SUO FIGLIO, NATO DA DONNA… »
Che dopo aver concentrato quasi esclusivamente la propria attenzione sul Figlio che ci è stato «donato» (cf Is 9,3), la Chiesa inviti oggi, ottava di Natale, i fedeli a rivolgere la loro mente e il loro cuore alla Madre di Gesù, mi sembra una cosa ovvia. Ogni nascita mette in evidenza, almeno immediatamente, due protagonisti: il figlio e la madre. Questo poi è tanto più vero nel nostro caso, in cui la nascita «verginale» di Cristo esalta in un modo anche più sublime la divina maternità di Maria. Però è anche significativo che tale festa di fatto cada proprio all’inizio del nuovo anno civile e in occasione della «giornata mondiale della pace», che già dal 1968 il papa Paolo VI ha fissato per tale data, quasi come un augurio di felicità per tutti i giorni che ci stanno, ancora intatti, davanti: la luce di Maria può e deve riempirli con tutta la ricchezza di amore che essa ha riversato sul mondo dandoci Cristo, «nostra pace» (cf Ef 2,14). Mi sembra che le odierne letture bibliche colgano un po’ tutti questi aspetti e vogliamo davvero fornirci come una specie di viatico per il nuovo anno, che stiamo per intraprendere sotto il sorriso benedicente di Maria.
«Andarono e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino» Maria, pur essendo messa in evidenza dalla Liturgia, di fatto è sempre un po’ oscurata dal Figlio, come le stesse letture bibliche che esamineremo dimostrano. Ma è proprio questa la grandezza di Maria, che nella storia della salvezza non ha un ruolo autonomo, ma subordinato a quello di Cristo: la stessa divina maternità non è per la sua esaltazione personale, ma per la glorificazione di Dio in Cristo e per la salvezza degli uomini. «Redenta in modo sublime in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo officio e dignità di madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo… Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, e sua figura, ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità, e la Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima».1 Il brano di Vangelo ci descrive l’andata dei pastori alla ricerca del «Salvatore», annunciato loro dall’Angelo (Lc 2,11). È evidente dal racconto di Luca che l’interesse dei pastori è tutto concentrato sul «bambino che giace nella mangiatoia»; è lui che cercano, è di lui che parlano dopo averlo contemplato con i loro occhi, generando «stupore» in tutti quelli che li ascoltano. Però, parlando di lui, non avranno taciuto della madre che hanno visto in atteggiamento così discreto e meditabondo accanto al figlio, infinitamente lieta che ci si interessi più di lui che di se stessa. In ogni modo, è certo che a Luca, così attento a cogliere gli stati d’animo dei suoi personaggi, ha fatto una enorme impressione l’atteggiamento riservato di Maria, che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (v. 19). Direi che Maria è l’antitesi dei pastori: essi vedono, sono presi dall’entusiasmo, annunciano a tutti l’accaduto contagiando gli altri della loro esultanza. Maria, invece, è come sopraffatta dalla grandezza e dalla misteriosità dei fatti che si sono svolti in lei e per mezzo di lei, e cerca di penetrarne il senso più segreto e le indicazioni che la Provvidenza le fornisce anche attraverso le reazioni e i commenti degli altri. Anche più tardi, dopo il racconto dello smarrimento di Gesù nel tempio, Luca annoterà: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (2,51). Con questa espressione Luca vuol darci come una dimensione più profonda della maternità di Maria: è una maternità «adorante» la sua, che cerca di penetrare sempre più a fondo nel mistero del Figlio, un’ardua prova anche per la sua fede. Perciò direi che la sua maternità «cresce» giorno per giorno e che lei stessa deve continuamente assimilare in estensione sempre più vasta, fino alla maternità crocifiggente dal Calvario. È a questa, infatti, che mi sembra si faccia un velato accenno nel versetto che chiude l’odierno brano evangelico: «Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel grembo della madre» (2,21). È bensì vero che la «circoncisione» nell’Antico Testamento era un segno del patto tra Dio e Israele (cf Gn 17,11) ed era pure segno, per un maschio, della sua appartenenza al popolo di Dio: per Gesù però essa era anche un’anticipazione profetica della sua passione, con la quale di fatto avrebbe salvato gli uomini. Maria ci ha donato un figlio destinato alla morte di croce: la sua maternità è piena di dramma e di sofferenza, e perciò anche più feconda. Infatti proprio ai piedi della croce essa ci assumerà tutti come suoi «figli» (cf Gv 19,26) germinati dal sangue di Cristo.
Figli «nel Figlio» Questo speciale rapporto di Maria con Gesù, ma altresì con tutti noi, è messo in evidenza anche dalla seconda lettura, in cui san Paolo, contrapponendo la economia del Vangelo a quella della Legge, fa vedere come in Cristo noi diventiamo «figli» di Dio, superando il precedente regime di schiavitù. È un brano molto denso, che fa vedere in rapidi scorci l’ampiezza di rinnovamento e di doni offertici da Cristo. Prima di tutto egli ci «riscatta» (Gal 4,5), cioè ci libera dalla molteplice schiavitù a cui eravamo assoggettati dalla forza del male che ci suggestiona dal di dentro e che trova la sua manifestazione più virulenta nella opposizione alla Legge. In secondo luogo, spezzate le catene della schiavitù, Cristo ci imprime come il contrassegno di questo nuovo stato di libertà, ci comunica cioè la sua stessa figliolanza divina: «Perché ricevessimo l’adozione a figli» (v. 5). L’adozione però, come la intende san Paolo, non è un mero titolo giuridico, ma una trasformazione interiore, che tocca e rigenera il nostro stesso essere, assimilandoci in tutto a Cristo, di cui riceviamo anche quello che gli è più proprio, cioè il «suo Spirito», mediante il quale e per il quale possiamo chiamare Dio con lo stesso appellativo intimo ed esclusivo con cui lui lo chiamava: «Abbà», cioè «Padre» (v. 6; cf Mc 14,36 e Rm 8,15-16). Il cristiano, rinato con Cristo e in Cristo, è dunque un essere completamente rinnovato, trasferito già nel mondo di Dio, su cui ormai può accampare diritto di eredità: «Quindi non sei più schiavo, ma figlio; se poi figlio, sei anche erede per volontà di Dio» (v. 7).
«Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» La cosa interessante, però, è che, per attuare tutto questo grandioso disegno di rinnovamento in Cristo, Dio ha avuto bisogno di Maria. È questo il senso di quel fugace, e pur così significativo, accenno che fa san Paolo a Maria all’inizio del brano che abbiamo letto: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge…» (vv. 4-5). È l’unico accenno a Maria nel ricco epistolario paolino. Forse una minore considerazione di Paolo, tutto «afferrato» da Cristo, per la Madre del Redentore? A mio parere quel fugace accenno mariano («nato da donna») è invece pieno di significato teologico, inserito com’è in un versetto che in pochissimi tratti condensa tutta la storia della salvezza: siamo nella «pienezza del tempo», cioè al culmine dell’attesa dei secoli in cui Dio deve attuare la salvezza; egli l’attua «mandando» il suo Figlio; per inserirsi nella nostra storia, però, Cristo aveva bisogno di prendere «carne e sangue» nel seno di Maria, così come aveva bisogno di nascere «sotto la legge» per infrangerne i ceppi e restituirci a libertà. In questo contesto la «donna», di cui Paolo non ci dice neppure il nome, assume il rilievo di una figura determinante nel disegno salvifico di Dio:2 senza di lei il Cristo non sarebbe venuto a noi! E se Cristo non si fosse fatto uno dei nostri, neppure noi saremmo potuti diventare «figli di Dio». Non solo quella di Cristo, dunque, ma anche la nostra figliolanza divina deriva in qualche maniera dalla maternità di Maria. A ragione perciò nel Postcommunio la Chiesa ci fa oggi pregare: «Con la forza del sacramento che abbiamo ricevuto guidaci, Signore, alla vita eterna insieme con la sempre Vergine Maria che veneriamo madre del Cristo e madre della Chiesa». Essendo inserita nel disegno salvifico, la maternità divina di Maria non può limitarsi solo a Cristo: nel «capo» e con il capo essa non può non abbracciare anche tutte le altre membra del «corpo».
Maria «Madre e Regina della pace» A questo punto è anche facile vedere come Maria, in quanto «madre di Cristo e della Chiesa», insieme al Figlio, «principe della pace» (cf Is 9,5), può essere per noi e per tutti gli uomini un augurio e un segno di «pace» per l’anno nuovo che sta per aprirsi. Una pace da farsi proprio nel segno della «maternità», che genera dei «figli-fratelli». È risalendo perciò alle origini, anche semplicemente umane, dell’amore fecondo che gli uomini potranno ritrovare la capacità di comprendersi, di rispettarsi, di accettarsi, di perdonarsi, di servirsi reciprocamente. In fin dei conti, infatti, la «pace» è rispetto della «vita» come primo dono, offertoci proprio attraverso l’opera delle nostre mamme e che apre la porta a tutti gli altri doni che ci vengono da Dio. È quanto ha affermato Giovanni Paolo II: «La guerra è sempre fatta per uccidere. È una distruzione di vite concepite nel seno della donna. La guerra è contro la vita e contro l’uomo. Il primo giorno dell’anno, che con il suo contenuto liturgico concentra la nostra attenzione sulla maternità di Maria, è già perciò stesso un annuncio di pace. La maternità, infatti, rivela il desiderio e la presenza della vita; manifesta la santità della vita. Invece la guerra significa distruzione della vita. La guerra nel futuro potrebbe essere un’opera di distruzione, assolutamente inimmaginabile, della vita umana».3 Ma la pace non si offende solo con la guerra! Qualsiasi forma di «violenza», che si tenta magari di giustificare per finalità politiche, è offesa alla pace e perciò offesa alla vita e perdita del senso della maternità. Tentando di dare una spiegazione alla spirale di violenza «sociale», che sta devastando oggi tanti paesi e sembra avere un sinistro fascino specialmente sui giovani, nel suo ultimo discorso per la «giornata della pace»,4 il papa Paolo VI la trovava anche nella mancanza di autentico amore «materno» che molti di questi giovani soffrono, per cui provano un senso di vuoto e di ribellione contro tutti e contro tutto: «Nel segreto del loro cuore, questi “orfani” non aspirano forse dal fondo di questa società matrigna ad una società materna, ed infine alla maternità religiosa della Madre universale, alla maternità di Maria? La parola di Cristo in croce: “Donna, ecco il tuo Figlio”, non si indirizzava a loro, attraverso san Giovanni: “Madre, ecco i tuoi figli…”? E non è ad essi che il Signore moribondo diceva: “Figli, ecco la vostra Madre”, una madre che vi ama, una madre da amare, una madre al vertice della società dell’amore?». In tal modo Maria diventa non soltanto simbolo, ma autentica «generatrice» di pace, dilatando all’infinito la sua maternità. Il Papa così continuava in quella occasione: «E nessuno pensi che la pace, di cui la Madonna è portatrice, sia da confondere con la debolezza e l’insensibilità dei timidi o dei vili. Ricordiamo l’inno più bello della Liturgia mariana, il “Magnificat”, dove la voce squillante e fiera di Maria risuona per dare fortezza e coraggio ai promotori della pace: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”». In questi tristi momenti di violenza «generalizzata» abbiamo veramente bisogno di sentirci ripetere la benedizione del Sommo Sacerdote ebraico al suo popolo: «Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Con l’augurio che la «benedizione» di Dio, sotto il sorriso di Maria e mediante la nostra collaborazione, diventi realtà.
Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.