Archive pour avril, 2011

Joh-20,19_Vision_Doubt_Apparition_Doute

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Pasqua: la vita affacciata alla finestra del Cielo – II Domenica di Pasqua, 1 maggio 2011

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26479?l=italian

Pasqua: la vita affacciata alla finestra del Cielo

II Domenica di Pasqua, 1 maggio 2011

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 29 aprile 2011 (ZENIT.org).- La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Tommaso, uno dei Dodici chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, io non credo”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,19-31).
Contemplando Gesù Risorto che appare a porte chiuse in mezzo ai discepoli, trentun anni fa Giovanni Paolo II scriveva: “Ecco il Figlio di Dio, che nella sua risurrezione ha sperimentato in modo radicale su di sé la misericordia, cioè l’amore del Padre che è più potente della morte. Ed è anche lo stesso Cristo, Figlio di Dio, che al termine – e, in certo senso, già oltre il termine – della sua missione messianica, rivela se stesso come fonte inesauribile della misericordia, del medesimo amore che, nella prospettiva ulteriore della storia della salvezza della Chiesa, deve perennemente confermarsi più potente del peccato. Il Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente: storico-salvifico ed insieme escatologico.” (Enciclica Dives in misericordia, n. 8).
Affacciato alla finestra del Cielo, oggi il beato Karol proclama con la Chiesa intera il trionfo della Divina Misericordia, rinnovandone l’annunzio al mondo con le parole della sua seconda enciclica: “Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola “misericordia”, quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia “con forti grida” (Eb 5,7)… per implorare la sua misericordia, la cui certa manifestazione essa professa e proclama come avvenuta in Gesù crocifisso e risorto, cioè nel mistero pasquale. E’ questo mistero che porta in sé la più completa rivelazione della misericordia, cioè di quell’amore che è più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male, dell’amore che solleva l’uomo dalle abissali cadute e lo libera dalle più grandi minacce…quell’amore cha ha caratteristiche materne e, a somiglianza di una madre, segue ciascuno dei suoi figli, ogni pecorella smarrita, anche se ci fossero milioni di tali smarrimenti, anche se nel mondo l’iniquità prevalesse sull’onestà, anche se l’umanità contemporanea meritasse per i suoi peccati un nuovo “diluvio”, come un tempo lo meritò la generazione di Noè. Facciamo ricorso a quell’amore paterno, che ci è stato rivelato da Cristo nella sua missione messianica, e che raggiunse il culmine nella sua croce, nella sua morte e risurrezione!” (id., n. 15).
Sì, per il culmine di questo amore estremo del Padre, il corpo di Gesù è stato segnato per sempre dalle piaghe impresse dal ferro dei chiodi e della lancia, le quali saranno contemplate in eterno in quel Cielo di cui, dalla terra, si può vedere solo una finestra.
La drastica incredulità di Tommaso (“se non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, io non credo” – Gv 20,25) non ci sorprende molto, se la confrontiamo con la moltitudine di coloro che, trovandosi nell’angoscia, vorrebbero anch’essi “toccare” le piaghe del Signore per credere all’amore di Dio e guarire l’infermità della loro fede, spesso paralizzata e come svuotata dal dolore.
Ebbene, tale contatto salvifico delle nostre piaghe profonde con quelle di Cristo è già avvenuto a Pasqua, e può essere rinnovato sacramentalmente in ogni momento, come annunzia l’apostolo Pietro: “dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24). Da queste piaghe, infatti, cioè dal corpo glorioso del Signore risorto, non cessa di scaturire la vita nuova e vivificante dello Spirito, in particolare mediante i sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione.
Canonizzando suor Faustina Kowalska all’inizio del terzo millennio, Giovanni Paolo II ha indicato al mondo intero la piaga del cuore squarciato e glorioso di Cristo quale fonte perenne di vita e di misericordia, come testimonia Giovanni: “..e subito ne uscì – per sempre e per tutti – sangue ed acqua” (Gv 19,34b).
L’Eucaristia, che è realmente il cuore di Cristo, è simile al contatto vivo della mano di Tommaso che, attraverso il fianco aperto del Signore, raggiunge il cuore e “tocca con mano” il suo amore estremo, guarendo dall’incredulità e da ogni altra piaga dell’anima.
Ha scritto Benedetto XVI: “E’ essenziale il fatto che con la risurrezione di Gesù non è stato rivitalizzato un qualsiasi singolo morto in un qualche momento, ma nella risurrezione è avvenuto un salto ontologico che tocca l’essere come tale, è stata inaugurata una dimensione che ci interessa tutti e che ha creato per tutti noi un nuovo ambito della vita, dell’essere con Dio” (“Gesù di Nazaret”, seconda parte, p. 304). Ora, se il salto ontologico operato dalla risurrezione del Signore tocca “l’essere come tale” (cioè la persona umana), non può non toccare anche le piaghe che dell’essere fanno parte, poiché esse sono piaghe non semplicemente fisiche, ma “personali”.
Perciò a Pasqua la sofferenza viene sanata dal suo effetto peggiore, quello di farci dubitare della presenza di Dio. Non solo, ma lungi dal separarci da Lui, la piaga del dolore diventa una finestra spalancata sopra l’abisso infuocato della sua Misericordia.
Ma che cos’è questo “salto ontologico”? E’ il livello sperimentato della “vita eterna”, è Cristo risorto “che vive in me”, è “questa vita, che io vivo nel corpo, vissuta nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).
Per capirlo, più che cercare definizioni conviene ascoltare le testimonianze. Ecco quella di una donna affetta da cancro, la quale, dopo aver sperimentato dolore intollerabile e disperazione, scrive: “La cosa sconvolgente è che quando tutto è distrutto, quando non c’è più niente, allora non ci sono la morte ed il vuoto come si pensa, assolutamente no. Ve lo giuro. Quando non c’è più niente, c’è solo l’Amore. Non c’è altro che l’Amore. Tutte le barricate crollano. E’ un tuffo, un’immersione. L’amore non è un sentimento. E’ la sostanza stessa della creazione…fino a poco tempo fa credevo che l’amore fosse un legame che ci unisce gli uni agli altri. Invece è molto di più. Questo è il mistero. Questo provoca la vertigine più grande. In fondo io vengo solo a portarvi la buona novella: al di là del peggio ti aspetta l’Amore. In realtà non c’è niente da temere. Con questa capacità di amare, che è enormemente cresciuta, è cresciuta anche la capacità di accogliere l’amore…bisogna conoscere l’agonia, bisogna essere abbattuti come alberi per liberare attorno a sé una potenza d’amore simile. Un’onda, un’onda immensa. Osare amare dell’unico amore che merita questo nome e dell’unico amore la cui misura sia accettabile: l’amore esagerato”. (C. Singer, in “Ultimi frammenti di un grande viaggio”, p. 30-40).
La natura umana, quando è colpita dal dolore, rifiuta istintivamente di cercare nelle proprie piaghe il Dio della vita e della gioia, e, per così dire, ha ragione, poiché il Creatore ha lasciato la sua impronta nelle “cose buone” (Gen 1) e non nella sofferenza e nella morte, che sono conseguenze del peccato. Tuttavia l’incarnazione del Verbo ha cambiato profondamente lo stato delle cose, poiché avendo Egli preso sopra di sé la sofferenza, ne ha fatto un mezzo di redenzione, di partecipazione alla sua Vita e al suo Amore, che trasforma ogni piaga, per mezzo della fede, in sorgente attuale di grazia e felicità.
Il fatto è che le sue piaghe sono diventate le nostre e le nostre le sue, poiché facendosi uomo Cristo, in certo modo, si è fatto ogni uomo; e facendosi piaga, si è fatto ogni piaga, che in Lui è perciò divenuta “profumo di Cristo” per il mondo intero.
Per questo non solamente la prospettiva della sofferenza può far trasalire il cuore di gioia, ma l’amarezza stessa del dolore può comunicare un’esperienza così profonda e trasformante di comunione con il Risorto, da generare nell’anima come un’ineffabile beatitudine.
———
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 30 avril, 2011 |Pas de commentaires »

«IO COMPLETO NELLA MIA CARNE CIÒ CHE MANCA ALLA PASSIONE DI CRISTO PER IL SUO CORPO CHE È LA CHIESA» (Col. 1, 24)

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_f.htm#

«IO COMPLETO NELLA MIA CARNE CIÒ CHE MANCA ALLA PASSIONE DI CRISTO PER IL SUO CORPO CHE È LA CHIESA» (Col. 1, 24)

San Gregario Nazianzeno *

Gregorio Nazianzeno (329-390) è, con san Basilio, suo amico, e Gregorio di Nissa, fratello di questi, uno dei tre grandi Padri della Cappadocia. Contemplativo e poeta, ebbe un’esistenza molto tormentata. Monaco con Basilio, divenne contro volontà vescovo di Sasima, e fu elevato in seguito alla sede di Costantinopoli. Stancatosi degli intrighi di questa città, si ritirò dapprima a Nazianzo, e in seguito nella solitudine, dove scrisse le sue opere più importanti. Il brano che leggeremo è tratto da due suoi sermoni per la Pasqua.

Stiamo per prender parte alla Pasqua: per il momento questo avverrà ancora in figura, anche se in modo più manifesto che nella legge antica. Potremmo dire infatti che allora la Pasqua era un simbolo oscuro di ciò che tuttavia resta ancora simbolo. Ma fra poco vi parteciperemo in modo più perfetto e più puro, quando il Verbo berrà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre (cfr. Mt. 26,29). Egli, facendosi nostro maestro, ci svelerà allora quello che attualmente ci mostra solo in parte e che resta sempre nuovo, anche se lo conosciamo già. E quale sarà questa bevanda che gusteremo? Sta a noi impararlo:lui ce lo insegna, comunicando ai discepoli la sua dottrina; e la dottrina è nutrimento anche per colui che la dispensa.
Partecipiamo dunque anche noi a questa festa rituale: secondo il Vangelo però, non secondo la lettera; in modo perfetto, non incompleto; per l’eternità, non per il tempo. Scegliamo come nostra capitale non la Gerusalemme di quaggiù, ma la città che è nei cieli; non la città che ora è calpestata dagli eserciti, ma quella che è glorificata dagli angeli. Non immoliamo a Dio giovani tori o agnelli che mettono corna e unghie, vittime prive di vita e di Intelligenza, ma offriamogli un sacrificio di lode sull’altare del cielo insieme con i cori angelici. Apriamo il primo velo, avviciniamoci al secondo e fissiamo lo sguardo verso il Santo dei santi. Dirò di più: immoliamo a Dio noi stessi; anzi, offriamoci a lui ogni giorno e in ogni nostra azione. Accettiamo tutto per amore del Verbo; imitiamo con i nostri patimenti la sua passione. Rendiamo gloria al suo sangue con il nostro sangue. Saliamo coraggiosamente sulla croce: dolci sono quei chiodi, anche se fanno molto male. Meglio soffrire con Cristo e per Cristo che vivere con altri nei piaceri.
Se sei Simone i,l Cireneo, prendi la croce e segui Cristo. Se sei stato crocifisso ‘come un ladro, fa’ come il buon ladrone e riconosci Dio. Se per causa tua e del tuo peccato Cristo fu trattato come un fuorilegge, tu, per amor suo, obbedisci alla legge. Appeso tu pure alla croce, adora colui che vi è stato inchiodato per te. Sappi trarre profitto dalla tua stessa iniquità, acquistati conia morte la salvezza. Entra in paradiso con Gesù, per comprendere quali beni hai perso con la caduta. Contempla le bellezze di quel luogo e lascia pure che il ladrone ribelle, morendo nella sua bestemmia, ne resti escluso.
Se sei Giuseppe d’Arimatea, richiedi il corpo di Cristo a chi lo ha fatto crocifiggere e sia tua così la vittima che ha espiato il peccato del mondo. Se sei Nicodemo, il fedele delle ore notturne, ungi,lo con aromi per la sepoltura. Se sei l’una o l’altra Maria, o Salo me, o Giovanna, piangi su di lui, levandoti di buon mattino. Cerca di vedere per primo la pietra sollevata, d’incontrare forse gli angeli o la persona stessa di Gesù.

* Eis ton aghiovpascha, XLV: P.G. 36, 653 C-656 D.

DOMENICA 1 MAGGIO 2011 – II DI PASQUA

DOMENICA 1 MAGGIO 2011 – II DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqA/PasqA2Page.htm

MESSA DEL GIORNO

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 3, 1-17
 
La vita nuova in Cristo
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Responsorio   Col 3, 1. 2. 3
R. Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; * pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.
V. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio;
R. pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 8 nell’ottava di Pasqua 1, 4; Pl 46, 838. 841)

Nuova creatura in Cristo
Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell’apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo, né Greco; non c’è più schiavo, né libero; non c’è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. E’ infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riservato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l’ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all’immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).

Responsorio   Col 3, 3-4; Rm 6, 11
R. Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. * Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria, alleluia.
V. Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
R. Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria, alleluia.

Luk-24,13_Emmaus_on_the_way_en_route

Luk-24,13_Emmaus_on_the_way_en_route dans immagini sacre 16%20A%20LES%20PELERINS%20D%20EMMAUS%20PARIS%20LOU

http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 29 avril, 2011 |Pas de commentaires »

A Cracovia, lungo i sentieri di Giovanni Paolo II

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26477?l=italian

A Cracovia, lungo i sentieri di Giovanni Paolo II

di Chiara Santomiero

CRACOVIA, venerdì, 29 aprile 2011 (ZENIT.org).- Sono 37 i luoghi contrassegnati dal Comune di Cracovia come appartenenti al percorso “Lungo i sentieri di Giovanni Paolo II” che riportano il pellegrino e il visitatore alla presenza in città di Wojtyla come “studente di filologia polacca, manovale, attore, poeta seminarista, giovane prete, professore universitario, vescovo, metropolita, cardinale e capo della Chiesa cattolica”.
L’immagine di Giovanni Paolo II ti viene incontro dappertutto in città. Campeggia sulle magliette, sui souvenir religiosi e persino sulle scatole dei fiammiferi vendute su banchetti per strada.
All’arcivescovado incornicia la finestra dalla quale si affacciava a salutare i fedeli: davanti, dall’altra parte di via Franciszkanska, un tappeto di lumini colorati segnala l’attesa dei polacchi per una beatyfikacja della quale non hanno mai dubitato. Sorride sull’altare monumentale della basilica Mariacka – nella piazza centrale della città -, dove dal 1952 al 1957 Wojtyla svolse l’ufficio di padre spirituale.
“Esisteva qualcuno – scrive nelle sue memorie Wanda Póltawska dopo il primo incontro con lui in questa chiesa, un evento dal quale sarebbe scaturita un’amicizia spirituale lunga tutta la vita – che quelle funzioni sacerdotali le compiva proprio come è scritto nel Vangelo: era pronto ad accompagnare non per cinque passi, ma per quanti erano necessari, e non gli era indifferente cosa sarebbe accaduto al penitente, a quell’anima che gli si era affidata”.
A San Florian, la parrocchia dove Wojtyla a partire dal 1949 fu vicario e cominciò ad “inventare” la pastorale giovanile che avrebbe portato negli anni da pontefice alla creazione delle Giornate mondiali della gioventù, la sua immagine è collocata sotto la pala del santo soldato romano martirizzato per la fede cristiana. Dopo la venerazione al SS. Sacramento, in molti si fermano a pregare davanti al sorriso giovane e allo sguardo benedicente del Papa dietro al quale si affaccia l’immagine della Madonna di Czestochowa.
Nella cripta della cattedrale di S. Stanislao, all’interno del castello del Wawel, Wojtyla celebrò la sua prima Messa il 2 novembre del 1946. Veniva spesso a pregare qui da vescovo e da pontefice tornò, in segno di ringraziamento, in occasione del 50° di sacerdozio. In questo luogo sono sepolti gli eroi della storia nazionale polacca, dal re Sobieski che sconfisse gli ottomani davanti alle mura di Vienna nel 1683 al maresciallo Pilsudski che nel 1918 divenne il capo della nuova Repubblica di Polonia dopo che per due secoli il Paese era scomparso dalla carta geografica europea, al presidente Lech Kaczynski, morto nell’incidente aereo di Smolensk che lo scorso anno ha decimato l’establishment polacco.
“Il vescovo Wojtyla – racconta mons. Zdzislaw Sochacki, parroco della cattedrale – era solito dire che non si può entrare in questa cripta senza provare commozione, perché si tratta di un posto straordinario per la storia della Polonia e per ogni polacco”. “Giovanni Paolo II – prosegue Sochacki – si identificava con la storia della sua patria, egli si sentiva parte di questa storia e tante volte ha affermato che con il pensiero era spesso presente in questo luogo”. Un sentimento di unità nazionale da cui non era disgiunta l’identità cristiana.
“Il suo ministero di pastore a Cracovia – afferma Sochacki – ha avuto come carattere principale il servizio all’unità, l’essere pastore per tutti”. Anche il suo pontificato “è servito all’unità, a cementare l’identità nazionale”. Non per niente “il suo insegnamento quando veniva in Polonia era costruire insieme l’unità”. La sua beatificazione, in quest’ottica “sarà di nuovo uno stimolo per rileggere la sua storia e il suo incessante adoperarsi per l’unità della nazione polacca in vista del bene comune”. L’aspettativa della gente si concretizza, secondo Sochacki, “in vista della riscoperta del valore del Vangelo nella vita di ciascuno e per ritornare sul decalogo che Giovanni Paolo II ripeteva spesso nei suoi viaggi in Polonia necessario a ristabilire un ordine morale nella società”.
Lo stesso ordine morale, per la difesa della pace e degli umili, “per il quale ha dato la sua vita il santo vescovo Stanislao, attorno al cui sarcofago nella cattedrale Wojtyla riuniva la gente a pregare come attorno ad un altare della patria”. Accanto all’altare il cero offerto da Giovanni Paolo II in un pellegrinaggio è fissato su un piedistallo offerto dai vescovi tedeschi “un altro segno di riconciliazione della storia nazionale voluto da Wojtyla”.
“Prima che me ne vada di qui – disse Giovanni Paolo II al termine del suo viaggio a Cracovia nel 1979 – vi prego vogliate ancora accogliere una volta ancora, con amore, speranza e fede, questo immenso patrimonio spirituale di nome ‘Polonia’ (…). Nella speranza che non smettiate mai di credere, che non vi abbattiate né scoraggiate, nella speranza che non tagliate da soli quelle radici dalle quali cresciamo”.
Presto nella cattedrale del Wavel ci sarà una cappella dedicata al futuro beato: “attraverso la sua intercessione – conclude Sochacki – i polacchi sapranno non perdere mai il senso della loro unità nazionale”.

Publié dans:PAPA GIOVANNI PAOLO II |on 29 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Sabato 30 aprile 2011: Dalle «Catechesi» di Gerusalemme

SABATO 30 APRILE 2011

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 22, Mistagogica 4, 1. 3-6. 9; PG 33, 1098-1106)

Il pane del cielo e la bevanda di salvezza
«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. E preso il calice rese grazie, e disse: Prendete e bevete; questo è il mio sangue» (1 Cor 11,23). Poiché egli ha proclamato e detto del pane: «Questo è il mio corpo», chi oserà ancora dubitare? E poiché egli ha affermato e detto: «Questo è il mio sangue» chi mai dubiterà, affermando che non è il suo sangue?
Perciò riceviamoli con tutta certezza come corpo e sangue di Cristo. Nel segno del pane ti vien dato il corpo e nel segno del vino ti vien dato il sangue, perché, ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, tu diventi concorporeo e consanguineo di Cristo. Avendo ricevuto in noi il suo corpo e il suo sangue, ci trasformiamo in portatori di Cristo, anzi, secondo san Pietro, diventiamo consorti della natura divina.
Un giorno Cristo, disputando con i Giudei, disse: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita (cfr. Gv 6, 53). E poiché quelli non capirono nel giusto senso spirituale le cose dette, se ne andarono via urtati, pensando che li esortasse a mangiare le carni.
C’erano anche nell’antica alleanza i pani dell’offerta, ma poiché appartenevano all’Antico Testamento, ebbero termine. Nel Nuovo Testamento c’è un pane celeste e una bevanda di salvezza, che santificano l’anima e il corpo. Come infatti il pane fa bene al corpo, così anche il Verbo giova immensamente all’anima.
Perciò non guardare al pane e al vino eucaristici come se fossero semplici e comuni elementi. Sono il corpo e il sangue di Cristo, secondo l’affermazione del Signore. Anche se i sensi ti fanno dubitare, la fede deve renderti certo e sicuro.
Bene istruito su queste cose e animato da saldissima fede, credi che quanto sembra pane, pane non è, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo. Credi che quanto sembra vino, vino non è, anche se così si presenta al palato, ma sangue di Cristo. Di queste divine realtà già in antico David diceva nei Salmi: «Il pane che sostiene il suo vigore e l’olio che fa brillare il suo volto» (Sal 103, 15). Ebbene sostieni la tua anima, prendendo quel pane come pane spirituale, e fa’ brillare il volto della tua anima.
Voglia il cielo che con la faccia illuminata da una coscienza pura, contempli la gloria del Signore, come in uno specchio, e proceda di gloria in gloria, in Cristo Gesù, Signore nostro. A lui onore, potestà e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Responsorio   Cfr. Lc 22, 19; Es 12, 26. 27
R. Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; * fate questo in memoria di me, alleluia.
V. Quando i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo rito? Voi direte loro: E’ il sacrificio della Pasqua per il Signore;
R. fate questo in memoria di me, alleluia.

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