« NELLA SPERANZA SIAMO STATI SALVATI » – (SPE SALVI FACTI SUMUS: RM 8,24)
http://www.collevalenza.it/Riviste/2008/Riv0308/Riv0308_04.htm
Conferenza di S.E. Mons. Domenico Cancian, vescovo di Città di Castello 8 febbraio 2008
« NELLA SPERANZA SIAMO STATI SALVATI » – (SPE SALVI FACTI SUMUS: RM 8,24)
Il tema e la sua attualità
La seconda enciclica di Papa Benedetto XVI, pubblicata il 30 novembre 2007, si apre con una citazione della Lettera di S. Paolo ai Romani. L’Apostolo afferma che non solo il cristiano, ma ogni uomo, anzi, « tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto », aspettando con perseveranza la redenzione e la salvezza. « Poiché nella speranza noi siamo stati salvati » (Rm 8, 19-25). Mons. Domenico Cancian fam e P. Aurelio Pérez fam, Superiore GeneraleÈ evocata qui l’immagine di una dona che attende con gioiosa sofferenza di dare alla luce un figlio. Non possiamo non vederci la Madonna della Speranza, Madre di Gesù e nostra, la Chiesa che accoglie e accompagna quelli che seguono Gesù ed anche la nostra venerabile Madre Speranza che molto spesso si rivolgeva alla persona che aveva di fronte con l’espressione: »Figlio/a mio/a ». Voleva dire che aveva piacere di incontrarla, che l’attendeva, che l’avrebbe senz’altro aiutata e incoraggiata. Lei ha testimoniato la Speranza fondata nell’indubitabile certezza dell’Amore Misericordioso di Dio. »Sicuri dell’Amore infinito di Dio, possediamo nella misericordia la speranza di salvezza per noi e per ogni uomo … perché anche «l’uomo più povero, il più miserabile e perfino il più abbandonato è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un Padre e una tenera Madre» » (Cost. art 14). Cosa vuol dire « speranza » nella non sempre facile situazione personale, famigliare, sociale? E a quale tipo di speranza possiamo affidarci in modo sicuro?
Presentazione sintetica dell’Enciclica Introduzione La speranza vera ci consente di affrontare e superare il faticoso presente (cf. n. 1). « Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente » (n. 2). Parte prima Cos’è la speranza cristiana? (cf nn. 2-31). È evidente che il Papa propone la speranza rivelata dalla Parola di Dio e quindi come « virtù teologale », non come sentimento, atteggiamento, « speranza corta », ideologia… San Paolo nella lettera agli Efesini ricorda che, prima dell’incontro con Cristo, essi erano « senza speranza e senza Dio », senza speranza perché senza Dio. « Giungere a conoscere Dio – il vero Dio, questo significa ricevere speranza » (n. 3). È questo il caso della schiava africana santa Giuseppina Bakhita, che, dopo essere stata venduta e maltrattata, si aprì alla speranza di una vita nuova quando si sentì accolta e amata da Dio. Il cristianesimo non si concretizza in un messaggio sociale rivoluzionario, come quello di Spartaco. Gesù ha portato una speranza che « rivoluziona » l’uomo dal di dentro, al punto da renderlo realmente figlio di Dio e fratello di tutti. « La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire… essa ci dà già ora qualcosa della realtà attesa e questa realtà presente costituisce per noi una « prova » delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro… Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente, [il quale] viene toccato dalla realtà futura » (n. 7). Una speranza che, d’altra parte, matura sopportando pazientemente le prove della vita. Questo tipo di speranza, quindi, non è semplicemente « informativa » (non ci offre solo una nozione sul futuro), ma è « performativa », ossia è « una comunicazione che produce fatti e cambia la vita… Chi ha speranza vive diversamente » (n. 2). La fede ci offre la vita eterna. Per capire meglio, il Papa rileva che « vita » non deve essere intesa come la realtà che conosciamo e che spesso è più fatica che appagamento, cosicché se per un verso la desideriamo, per un altro non la vogliamo; « eterna » non significa un interminabile susseguirsi di giorni. La « vita eterna » è il compimento di tutto ciò che noi desideriamo di veramente bello e buono nella vita terrena, e che non possiamo mai raggiungere; l’ »eternità… è il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore… sopraffatti dalla gioia » (n. 12). Gesù promette ai suoi una gioia piena e sicura che nessuno può togliere. La fede-speranza cristiana dev’essere compresa non in forma individualistica, ma in forma comunitaria, perché alla vita eterna con Dio sono chiamati tutti. Non si tratta di « fuga » dal mondo e dai suoi problemi, ma di ulteriore impegno per la costruzione di un mondo più umano e più giusto, prefigurazione e anticipazione del Regno di Dio. La fede-speranza si è profondamente trasformata nel tempo moderno. Con le nuove conquiste dell’uomo è nata un’epoca storica nuova, segnata, come afferma F. Bacone dal dominio della scienza e della tecnica sulle leggi naturali. La fede, con ciò, non viene semplicemente negata: « essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private e ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo… La speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama « fede nel progresso » (n. 17). Ma il progresso resta fondamentalmente ambiguo: è « il progresso dalla fionda alla megabomba » (Th. Adorno) che « offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male… Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore… allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo » (n. 22). Anche la fede nella ragione e nella libertà, come nell’epoca dell’Illuminismo, resta ambigua. La ragione può essere a servizio della verità e farci superare l’irrazionalità, ma può anche chiudersi nei ragionamenti soggettivi ed egoistici, può mettersi al servizio del potere. Questo significa che senza il riferimento a Dio l’uomo può perdere la Speranza o trovarsi con delle speranze « corte ». Come dire che l’uomo limitato e difettoso non può assicurare la Speranza certa. Questa può essere garantita da Colui che tiene in mano il mondo e la storia, come Creatore e Salvatore.
Parte seconda: « Luoghi » di apprendimento e di esercizio della speranza (cf. nn. 32-48). La preghiera come scuola della speranza. Con il Signore possiamo essere sempre in comunione per purificare, allargare, accogliere il suo Amore nel nostro cuore. « Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini. Nella preghiera l’uomo deve imparare… che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento, la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze. Deve liberarsi dalle menzogne segrete con cui inganna se stesso… Il non riconoscimento della colpa, l’illusione di innocenza non mi giustifica e non mi salva, perché l’intorpidimento della coscienza, l’incapacità di riconoscere il male come tale in me, è colpa mia. L’incontro invece con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un’autogiustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso… Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso « la fine perversa » (nn. 33-34).
Agire e soffrire. « Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto » (n. 35). Il Regno di Dio è un dono offerto a tutti; tuttavia il nostro agire non è indifferente per Dio, per gli uomini e per la storia. Possiamo con la nostra libertà inquinare o purificare, far progredire o regredire la Chiesa e il mondo. Anche la sofferenza che deriva dalla nostra finitezza e dalle nostre colpe, dal male che è nel mondo e dal maligno – e che dovremmo cercare di affrontare, alleviare e superare – chiama in causa la speranza. È questa che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene, anche dinanzi a situazioni impossibili o disperanti. La tribolazione, mediante l’unione con Cristo che ha sofferto con infinito amore, si trasforma in beatitudine e dolcezza. (A proposito viene citato un brano della lettera del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (+ 1857). « Cristo è disceso « nell’inferno » e così è vicino a chi vi viene gettato » (n. 37) ed allora troviamo nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di speranza. Anzi Cristo ci insegna ad assumere in qualche modo la sofferenza dell’altro per amare e consolare, ossia per essere vicino all’altro che soffre. La verità, la giustizia, l’amore non raramente chiedono il sacrificio del proprio interesse, comodità, salute, « altrimenti la mia vita diventa menzogna » (n. 38). È questa la strada del martirio che si concretizza nelle molteplici alternative quotidiane. È proprio dal genere e dalla misura della nostra speranza che abbiamo la forza « di poter « offrire » le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso » (n. 40), quello di attualizzare la com-passione di Gesù e in qualche modo di « completarla » a favore del prossimo (cf. 1Pt 4, 13; 2Cor 1, 7; Col 1, 24).
Il Giudizio. Il Signore che ritorna come Re e Giudice della storia richiama la speranza della giustizia definitiva dinanzi alla quale emerge la nostra responsabilità. Non è possibile all’uomo fare giustizia in senso assoluto. Per evitare distorsioni (paure o superficialità) occorre riferirsi al Cristo crocifisso e risorto, dinanzi al quale la nostra vita appare nella sua verità di amore (paradiso) o di egoismo (inferno), e l’eventuale necessità di purificazione (purgatorio). »L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa « come attraverso il fuoco ». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi » (n. 47). Maria, che col suo sì ha aperto a Dio stesso la porta del nostro mondo, è la stella della speranza che brilla sul nostro cammino. Lei vide morire il Figlio come un fallito, esposto allo scherno più totale. « La spada del dolore trafisse il suo cuore. Era morta la speranza? » (n. 50). In quell’ora tenebrosa avrà riascoltato dentro di sé le parole dell’angelo forse tante volte ripetute da Gesù: « Non temere, Maria » (Lc 1, 30). Il Regno del Signore non finiva (cf. Lc 1,33), anzi nella fede intravedeva la Pasqua, già preannunciata nel suo Magnificat. La sua fede e la sua speranza le consentirono di animare i discepoli scandalizzati e dispersi, di accompagnarli dal venerdì santo alla Pasqua e alla Pentecoste. « Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare e amare con te » (n. 50). « Gesù, sii il mio compagno e la mia speranza. Guidami nel vasto mare di questo mondo. Mi serva di porto sicurissimo l’abisso del tuo amore e della tua misericordia »
(M. Speranza, Novena all’A.M.)